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Autore: dragon24    16/04/2016    3 recensioni
In questa fanfiction ridescrivo un po' alcune puntate, metto qualche missing moments e racconto ciò che, secondo me, è successo dopo la fine. Dal primo capitolo:"Nonostante fosse abituato, quell’uomo lo aveva fatto sentire come si era sentito la prima volta: disgustato da sé stesso, imbarazzato, fragile. Allora capì perché Spartacus combatteva."
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agron, Nasir, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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-Tiberio, ho quasi finito. Preparati, dopo tocca a te- furono le parole che gli rivolse il suo ormai vecchio padrone con voce affaticata, ancora grondante di sudore per lo sforzo compiuto nel tentativo di fottere Sylvia. Il giovane schiavo dai lunghi capelli neri e dalla pelle ambrata non disse niente ma si limitò ad annuire leggermente. Ormai era abituato a quella frase, era lo schiavo carnale del padrone e doveva soddisfare ogni suo desiderio. Si era rassegnato a percorrere la strada che gli dei gli avevano destinato. Del resto era un piccolo prezzo da pagare per tutti i privilegi che il padrone concedeva a lui e a Sylvia.
 Prima che il padrone potesse finire con Sylvia però fu interrotto da un rumore di grida violente. Il padrone si affrettò ad uscire dalla ragazza e ordinò a Tiberio - Passami la tunica, presto!-. Ebbe giusto il tempo di rivestirsi prima che tre uomini sfondassero la porta della camera, spade alla mano e imbrattati di sangue. Appena videro i due schiavi gli uomini gli fecero cenno di uscire mentre prendevano violentemente il padrone. Appena fuori videro tutti i loro compagni che ascoltavano un tale che cercava di convincerli che poteva dargli la libertà. Il loro signore rise alle parole di quell’uomo e chiese chi fosse lui per garantire loro la libertà. Di tutta risposta l’uomo rispose con voce ferma:-Io sono Spartacus-. Subito tutti gli schiavi cominciarono a mormorare quel nome con riverenza e timore, come se fosse il nome di un dio, ma furono interrotti dalle dure parole del padrone che venne preso da un altro uomo. Tutti sapevano che fine avrebbe fatto ma nessuno si mosse per aiutarlo.
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Mentre i seguaci del portatore di pioggia facevano razzie di ciò che c’era nella villa e si davano alla pazza gioia, Spartacus, nonostante Agron non fosse per niente d’accordo con l’idea del gladiatore che chiunque potesse combattere, chiamò a sé un manipolo di ex-schiavi dicendogli che le catene della loro schiavitù erano spezzate e dandogli delle spade per combattere. Tiberio però non era convinto delle parole di Spartacus. Diceva di averli liberati quando in verità li aveva solo costretti a catene più libere; se anche non fossero morti, l’aiuto dato al gladiatore li avrebbe marchiati per sempre come nemici di Roma, costretti alla fuga per tutta la vita con il fiato dei romani sul collo. Prese la spada titubante. Era pesante, scomoda e certamente non la voleva. Sapeva che cosa significava prendere quella spada in mano e non voleva certo terminare la sua vita così. Ma poi, guardando la lama che splendeva alla luce della luna, un’idea gli balenò in testa. Sapeva che probabilmente non sarebbe sopravvissuto abbastanza per raccontarlo, ma almeno non sarebbe morto crocifisso.
L’ora era ormai tarda ma i galli continuavano a bere e mangiare come se non lo facessero ormai da molti anni. Spartacus si era ritirato con la sua compagna nella camera padronale. Il giovane Tiberio si avvicinò furtivamente in quella casa che conosceva come se stesso e cercò di attaccare il gladiatore, ma la sua compagna lo avvertì prima che potesse addirittura entrare totalmente nella stanza. Tiberio allora corse cercando di colpire Spartacus che fulmineamente gli girò il braccio appesantito dalla spada disarmandolo e gli puntò la spada come per affondarla nelle sue carni. Nonostante stesse rischiando la vita il suo coraggio, o la sua stupidità per alcuni, non sparì e disse con rabbia al gladiatore:- Tu mi hai già ucciso una volta, ripeti la tua impresa!- . La giovane dai capelli neri come i suoi rispose subito in difesa del compagno dicendo:- Quello che ha fatto è offrirti la libertà. È così che lo ripaghi?-, ma lei non sapeva cosa gli aveva offerto. Lui stava bene in quella casa e offrirsi al padrone e ai suoi amici era solo un piccolo prezzo per tutti i privilegi che gli aveva concesso. – Non toccava a lui decidere. Io ero lo schiavo carnale dl padrone, avevo una posizione, ero rispettato-, provò adire senza che la sua voce cambiasse tono, ma il gladiatore lo interruppe. – Eri soltanto uno schiavo, quello che credevi di possedere era pura illusione-. –Tu vuoi sostituirti al mio padrone- provò a controbattere. Spartacus, la spada ancora puntata contro il giovane e lo sguardo duro, disse con voce ferma:- Dimmi che cosa farebbe lui adesso, se lo avessi aggredito alle spalle.- -Lui mi taglierebbe la gola.- -Sì, ti ucciderebbe- concluse il gladiatore abbassando l’arma e spingendolo contro il muro. Lo portò insieme a due dei suoi uomini davanti a Crisso e Agron; lui si dibatteva come un animale feroce. Crisso, poco convinto, chiese:-Vuoi davvero addestrare questo bastardo?- Spartacus tranquillo rispose:- Il ragazzo merita una possibilità- e Crisso controbatté subito:- Gliel’hai già offerta, e lui ha pensato bene di attentare alla tua vita.- Agron, che fino a quel momento era stato in silenzio, intervenne dicendo:-Che gli dei mi perdonino ma per una volta il gallo ha ragione- Spartacus non si scompose rispose:- Non ha conosciuto altro che schiavitù, il segno delle catene non guarisce in un giorno- Crisso, cercò di controbattere, ma il portatore di pioggia non demorse. Il gallo allora lo minacciò e lo colpì facendolo sanguinare.
 –Come pensi di addestrare questo cane rabbioso?- chiese Agron, incerto sul comportamento del ragazzo. Non si fidava del giovane e non capiva tutta quella fiducia che Spartacus poneva in lui. Nonostante capisse il punto di vista del suo comandante, mettere nelle mani di quello schiavo una spada significava tendere la mano ad un cane che ti ha già morso un dito, ne avrebbero tratto soltanto guai.
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Il giorno dopo tutti si allenarono per essere pronti a combattere, a versare sporco sangue romano per la loro causa. Anche il giovane dai lunghi capelli corvini si era allenato molto. Spartacus aveva preso quel ragazzo sotto la sua ala protettiva e sembrava concedergli molta fiducia, al contrario di tutti gli altri che sembravano già odiarlo. Tiberio aveva notato gli sguardi che gli venivano lanciati. Se già prima non aveva il favore dei suoi compagni per la sua posizione privilegiata, adesso era sicuro di non avere nemmeno quella dei gladiatori che lo guardavano con diffidenza e odio.
 E poi c’era Agron, uno dei bracci destri di Spartacus. Lui aveva uno sguardo enigmatico che proprio non riusciva a decifrare. Forse Tiberio lo aveva interpretato male, o forse ne era semplicemente rimasto ammaliato. Se glielo avessero chiesto non lo avrebbe mai ammesso, ma trovava quel germano particolarmente… interessante, e la cosa lo faceva sentire strano. Quello che provava quando stava insieme a lui era un misto di diffidenza, avversione e un sentimento mai provato che non sapeva interpretare.
La giornata era finita e Apollo aveva lasciato spazio a Selene che inondava di luce lunare la valle. I galli avevano acceso un fuoco nella villa e continuavano a bere, a mangiare e ad assordare le orecchie di tutti con i loro canti come la sera precedente. Tiberio appoggiato ad una colonna cominciò un gioco di sguardi con Spartacus, interrotto dal germano che, avvicinatosi piano al giovane, disse:-Stai sfidando la sorte, guardare negli occhi l’uccisore di Teocoles-. Il ragazzo non si era accorto dell’arrivo di Agron, ma non si fece distrarre e rispose:-Una vittoria non esclude future sconfitte-. Agron sorrise divertito, come se avesse fatto una battuta, e passò al giovane una piccola coppa di vino, poi si piegò alla sua altezza e disse:- Dimmi come ti chiami a proposito, saprò dare un nome al tuo cadavere.-  lui lo guardò e senza esitazioni rispose:- Tutti mi chiamano Tiberio- -Tiberio… hai la pelle scura per un nome così romano- -Parte del mio sangue è siriano- -C’era un siriano a scuola…l’essere più spregevole che abbia mai incontrato. Tu avevi una famiglia?- chiese infine Agron. Tiberio rimase per un secondo confuso da quella domanda, non capiva perché gli interessasse, poi rispose:- Ricordo solo un fratello- -Anch’io avevo un fratello.- il più giovane lo guardò:- Ora non più?- -È stato trucidato dai romani- -Quando avete impugnato le armi- disse il ragazzo in modo saccente. Agron assunse un’espressione irosa e per un attimo Tiberio temette che il germano lo volesse picchiare, poi però gli fece un sorriso chiaramente finto e disse:-Cosa che farai anche tu, se hai un briciolo di buon senso- e se ne andò ancora più adirato.
Cosa ne vuole sapere quel moccioso di mio fratello, della scuola, dell’arena. Forse i privilegi gli hanno dato alla testa. Per quanto mi faccia schifo ammetterlo, Crisso aveva ragione, le sue catene non andavano spezzate, del resto ci stava tanto bene con il collare, no? Mi chiedo perché Spartacus riponga tanta fiducia in lui.” Questo pensava Agron mentre continuava a bere in un angolo e a guardare il siriano.
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-Torce, vengono da nord-. A dirlo era stato Crisso rientrando nella casa. –Quanti sono?- chiese Spartacus cercando di non mostrare la tensione nella sua voce-Sei, forse di più. Radunate gli uomini.- -Aspetta, potrebbe essere un drappello in ricognizione. Se soltanto uno sopravvivrà andrà ad avvertire gli altri - -E noi affileremo le lame- concluse Crisso. Il suo spirito bramava sangue per vendicare Naevia e ciò non lo faceva ragionare. Spartacus vide il giovane siriano e gli venne in mente un’idea. –C’è un sistema migliore che ci consentirà di celare i nostri movimenti ai romani. Tiberio, vieni qui.- ordinò Spartacus. Crisso lo guardò con occhi stupefatti e disse:- Tu sei un pazzo se credi che metterò la mia vita nelle mani di questo piccolo sporco cane bastardo. Sai bene che per me si meritava di restare in catene, non penserai certo che mi affiderò alle sue sporche mani da traditore.- Spartacus lo guardò e rispose con voce calma:- Fratello, non voglio che ti fidi di lui, voglio che tu riponga la tua vita nelle mie mani come hai fatto quando abbiamo attaccato la casa di Batiato. Ora nascondetevi e tenete le spade pronte, mentre tu dovrai convincere quegli uomini che qui non è successo niente e che questa villa è ancora in mani romane, credi di farcela?- Tiberio annuì e si mise ad aspettare che i mercenari arrivassero. Non capiva tutta la fiducia che il gladiatore poneva in lui, volendo lo avrebbe potuto tradire, ma quel pensiero fu come una stilettata al cuore e non ne capì il motivo.
Mentre lui aspettava nella villa calò il silenzio che a lui sembrò assordante. Sapeva che in gioco non c’era solo la vita dei gladiatori, ma quella di donne, bambini e schiavi innocenti, non poteva tradire loro. Finalmente qualcuno bussò violentemente al portone. Tiberio aprì e sei mercenari entrarono. Il capo guardò lo schiavo, che avrebbe giurato di averlo già visto, e disse:- Devo parlare con il tuo padrone. Su ordine di Seppio.- Il giovane disse velocemente:- Non è qui. Affari urgenti lo hanno chiamato a Picentia- -Picentia? Non mi risulta che frequenti la città- Tiberio si aspettava un’affermazione del genere ed aveva la risposta pronta- Infatti è così. Frequenta le sue meretrici- il mercenario rise, poi riprese:- Tu sei il suo schiavo carnale, come ti chiami?- -Tiberio- -Tiberio, giusto. E dimmi…- sguainò la spada e riprese- perché non sei con il tuo padrone?- Il giovane sorrise:-Non c’è nessun altro di cui si fidi per badare alla villa mentre soddisfa le sue voglie.- -Tu sei un buon servitore.- Disse il mercenario e lo guardò dal basso verso l’alto, uno sguardo che il siriano conosceva bene. Quando il suo sguardo si posò sulla tunica che portava sorrise e fu allora che Tiberio ricordò dove lo aveva visto. Era stato alla villa, non troppe settimane prima, con Seppio per fare un accordo con il suo padrone, il quale aveva concesso loro di godere dei suoi schiavi. Il capo dei mercenari aveva voluto lui. Il suo non era certo stato un tocco gentile, al contrario aveva goduto molto vederlo soffrire. Nonostante fosse abituato, quell’uomo lo aveva fatto sentire come si era sentito la prima volta: disgustato da sé stesso, imbarazzato, fragile. Allora capì perché Spartacus combatteva. Non poté soffermarsi troppo su quel pensiero perché il mercenario alzò il suo sguardo e quando vide il suo collo il sorriso gli sparì dalle labbra. Tiberio dovette inventarsi una scusa e, prima che andassero via, disse:- Il viaggio è lungo da qui a Capua, entrate, rifocillatevi prima di ripartire.- In meno di un secondo i gladiatori uscirono dai loro nascondigli e cominciarono ad attaccare i mercenari. Una mano lo spinse indietro facendolo cadere vicino ad una spada. La battaglia infuriava e i gladiatori li stavano uccidendo senza problemi. Il giovane notò che il capo dei mercenari si stava per avventare contro Spartacus, distratto da un altro. Non mise tempo in mezzo e, prima che potesse colpirlo, lo trafisse da parte a parte. Il gladiatore gli accennò un sorriso ma, prima che potesse dire qualcosa, Crisso lo prese per il collo e lo sbattè contro un colonna. –Perché non hai lasciato che se ne andassero?- Spartacus provò a difenderlo:- Ha ucciso il mercenario.- -Quando ha capito che non avevano scampo- Tiberio, nonostante la mano di Crisso gli levasse il respiro, rispose:- Il suo sguardo si è fermato sul mio collo, ha visto che non porto il collare. Se non li avessi fatti entrare sarebbero andati a chiamare rinforzi.- Crisso lo lasciò e Spartacus disse:- Sei stato bravo Tiberio.- Sentendo quel nome capì che cominciava a stargli stretto, che gli ricordava troppo tutto quello che aveva dovuto subire, per cui decise di svelare il suo più grande segreto, un segreto custodito gelosamente e mai rivelato a nessuno:-Nasir. Mio fratello mi chiamava Nasir.-
 
   
 
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