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Autore: AlbaViolet    17/04/2016    0 recensioni
Due amanti. Un centro commerciale. E il peso di un segreto che non può essere rivelato.
“Strano sapersi perduti tutti i giorni, e non dirsi mai addio” (Erri De Luca)
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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        Non ne poteva più di contare i minuti.
Aveva chiuso il negozio molto prima del previsto sotto gli occhi indagatori del suo dirimpettaio, un vecchio commerciante che faceva il finto tonto ma sapeva vita e morte di ogni singolo cittadino, e si era messa in auto rinunciando a rinfrescarsi per non correre il rischio di perdere troppo tempo finendo imbottigliata in mezzo al traffico in tangenziale.
Odiava incontrarlo in quel centro commerciale. Tre piani di caciara e cemento a buon mercato dove tutti sembravano girare all’impazzata come fossero pupazzi caricati con la  molla, un luogo lontano e al riparo da certi sguardi nel quale sentirsi tutt’altro che colpevoli.
Colpevoli di cosa, poi pensava, battendo le unghie sul volante consunto. Era accaduto, santo Dio, così come accade di sbucciarsi le ginocchia o di pungersi con l’ago mentre si attacca un bottone.
Galeotto per loro fu il battesimo di Matilde. Stavano distribuendo i piatti rosa con la torta, e dopo essersi sfiorati con la punta delle dita avevano sentito una scossa nelle viscere che aveva fatto tremar loro le gambe come deboli ramoscelli in balia di una tempesta.
Ciò che avvenne in seguito fu un mese vissuto nell’ardore più bruciante, un fuoco nel quale l’impeto e la passione li avevano portati a dimenticare senza remore quale fosse il confine tra il bene e il male, un mese che nessuno avrebbe potuto cancellare, nemmeno le pieghe di un abito bianco indossato con disgusto sull’altare dei Sette Angeli.
Si rabbuia, e spegne la sigaretta nel posacenere maleodorante. Ed eccola lì ora la sua sbucciatura, un uomo sulla quarantina in jeans e camicia che continua a voltarsi con fare impaziente come se fosse in attesa di qualcuno di importante. Le porte automatiche si aprono con un fruscio. Giorgia trattiene il fiato, e mentre avanza a passo svelto verso di lui, sa già che la canzonerà per il suo modo di fissarlo come un ladro celato dietro a una lastra di vetro.
«Da quanto sei qui?»
«Sono appena arrivata, perché?»
«Bugiarda» sussurra. «T’ho vista sai, che mi spiavi da là fuori …»
«Stavo fumando» spiega.
«Hai spento la sigaretta cinque minuti fa.»
«E con questo?» ribatte. «Volevo vedere se aspettavi un’altra donna.»
«Certo» risponde. «Magari una donna che non si nasconde dietro a questi» dice, e le afferra a tradimento gli occhiali da sole cercando di toglierglieli prima che lei lo fermi.
«E smettila, che ho il trucco sciolto!» si lamenta, ma Stefano è uno a cui non piacciono le scuse. Così riesce a strapparle le lenti dal viso e in attimo quegli occhi lo fanno tribolare li tiene dentro ai suoi verdemare, convinto che stavolta non se li farà più sfuggire.
«Non è sciolto» mente, il ghigno compiaciuto di chi ha vinto una battaglia.
«E allora, perché ridi come un fesso?»
«Niente. E’ che sono contento di vederti.»
«Tu sei sempre contento» gli fa notare.
«E’ vero» ammette. «Ma lo sai che con te riesco ad esserlo un po’di più» confessa, e la bacia sulla fronte stringendosela al petto.
 
            Le scale mobili sono un passatempo alquanto sciocco, un modo per confondersi tra le buste e i carrelli sentendosi sperduti pur tenendosi per mano. Ogni tanto Stefano la abbraccia. L’abbraccia piano, con dolcezza, l’abbraccia davanti alla signora ingioiellata che sembra avere addosso più oro e lapislazzuli del becco dell’avvoltoio sulla maschera di Tutankhamon. L’abbraccia costernato come quella volta in vacanza, quando fecero l’amore senza dirsi una parola distesi sul tappeto di una stanza malridotta.
«Come è andata poi la cena?»
«Quale cena?» chiede lui, scartando una caramella tirata fuori dalla tasca.
«All’agriturismo. L’anniversario di nozze di Franco e Milena.»
«Ah, quella …» dice, la voce monocorde priva di entusiasmo. «Ma niente, uno schifo. Alla fine ci siamo attaccati al vino per disperazione.»
«Non mi sono persa niente, allora.»
«Ti sei persa me» replica, il tono picchiettato da una punta di presunzione. «E comunque non mi hai detto perché non sei venuta.»
«Marcello aveva la febbre e Livio era in fabbrica a fare il turno di notte.»
«Potevi chiamare. Avrei mollato tutto e sarei venuto ad aiutarti.»
«E con quale scusa, stavolta?»
Ride. «La solita, ovviamente. Che Marcello va matto per le favole di suo zio.»
Le avvicina la caramella a stuzzicarle le labbra, ma quando Giorgia le schiude per poterla afferrare, lui se la infila come un lampo nella bocca e per poi sporgersi su di lei e darle un bacio zuccheroso.
«Scemo!» lo insulta, con uno schiaffo che è una carezza. Stefano sorride coi suoi denti bianchi e dritti, e una volta ingurgitato quel quadrato gelatinoso, le loro labbra scelgono di assaggiarsi ancora per dare vita stavolta a un sapore tutto nuovo, un gusto proibito che profuma di primavera e che le fa tornare d’improvviso alla memoria il sole di maggio nella campagna di suo nonno, quando andava nei campi a rubargli le fragole e le mangiava di nascosto sotto all’albero di magnolia.
Allora per questo se ne era innamorata, perché lui le faceva varcare il confine senza il timore di fermarsi a dover guardare indietro, quel suo essere sospeso così tra bene e male, sfuggente come le scale che vanno in versi opposte e trascinano con sé i volti degli amanti che ormai  non riescono nemmeno più a sfiorarsi.
La porta del bagno si chiude alle loro spalle.
«Facciamolo qui, come l’altra volta» ansima, e Giorgia si libera senza indugio delle mutandine ridendo di cuore come fanno i ragazzini.
Perché il sesso, in certe storie, è la parte migliore da dover salvaguardare. E per quelli come loro condannati già all’inferno, dove c’è gusto, dice il detto, non può esservi davvero un briciolo di perdenza.
 
            «Sicura che non vuoi niente? Un caffè, un succo?»
Giorgia gli fa segno di no con la testa, e gioca col bicchiere di plastica ormai vuoto schiacciandolo incurante del rumore che produce. Era sempre così dopo averlo avuto dentro, restava in silenzio a guardarlo negli occhi nell’attesa che arrivasse il momento più brutto, quello in cui lo avrebbe visto andarsene, lasciandola col dubbio sul se e quando sarebbe tornato.
«E Matilde come sta?»
«Bene. È una gran chiacchierona.»
«È con tua madre?»
«No, è con Sonia, la nuova baby sitter. Serena torna a casa stasera. È a Roma da due giorni per quel congresso di odontoiatria.»
«Lo so. Me lo ha detto» annuisce. Poi stringe il bicchiere rompendolo definitivamente e lo getta con rabbia colpendo la tazzina sporca. «Stefano, che cosa vuoi da me?»
«È semplice. Voglio che tu lo lasci.»
«Non posso.»
«Perché?»
«Perché sono felice con lui.»
«Se tu lo fossi non saresti qui.»
«Questo è un altro discorso.»
«Lascialo, Giò» insiste.
«Sei più testardo di un mulo!»
«Tipico dell’ariete, il segno più testardo di tutto lo zodiaco.» Tira fuori una sigaretta dal pacchetto e ne batte più volte il filtro sul tavolo. «Te lo ripeto per l’ultima volta. Lascia Livio, ed io ti prometto che farò lo stesso con Serena.»
«E avresti il coraggio di lasciare mia sorella?»
«Io non voglio continuare a nascondermi in eterno.»
«Perfetto. Per quanto mi riguarda possiamo anche chiuderla qui.»
«Allora guardami negli occhi e prova a dimmi addio.»
«E’ tardi. Livio tra un po’ inizierà a telefonare.»
«No, Giò! Guardami negli occhi e prova a dirmi addio.»
È troppo. Giorgia si alza di scatto, e la sedia si rovescia sotto il peso della sua borsa. Stefano sbuffa, all’apparenza sollevato, e raccoglie i suoi oggetti sparpagliati sul pavimento prima che lei possa perdere qualcosa.
«Ti amo, Giò» le dice.
«Ti amo anche io» piagnucola, tirando su col naso. «Ma è davvero impossibile andare avanti così.»
Indossa la fede custodita nella tasca e lui la imita facendo lo stesso. È il loro modo composto di salutarsi in silenzio, il gesto che pulisce la loro psiche immonda restituendoli alla luce col cuore candido come un lenzuolo.
«Domenica sei al circolo?»
«No. Ho preso un lavoro extra e lo devo completare.»
«Lo fai per soldi?» chiede.
La guarda. «Lo faccio solo per non pensare a te.»
 
            La voce metallica che gracchia all’altoparlante avvisa che mancano cinque minuti alla chiusura.
Stefano e Giorgia escono a testa bassa attraversando mesti il parcheggio ormai deserto, ma prima di salire sulle rispettive auto alzano lo sguardo per l’ultima volta e si scambiano un’occhiata come sentinelle in lontananza.
Avrebbe dovuto dirglielo, stavolta.
Avrebbe dovuto confessargli avvilita che Livio la picchia perché folle di gelosia, e che quando è costretta a doverci fare l’amore, è il suo corpo che sente muoversi contro il suo. Ma i segreti, si sa, si portano nella tomba, e mentre Dolores canta dei suoi sogni che non sono tranquilli come posso apparire, Giorgia ripensa alle pieghe del suo abito, e al fatto che Stefano non verrà mai a sapere che Marcello in realtà è figlio suo e non di Livio.
Le lacrime arrivano fino agli angoli della sua bocca.
Addio Stefano, amore mio. Forse stavolta t’ho perso davvero.
Ma quando alza il volume alla radio, capisce che sarà soltanto un altro dei loro lunghissimi arrivederci.
 
   
 
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