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Autore: AlyTT    17/04/2016    0 recensioni
Alessandra una giovane ragazza italiana, dopo il diploma di maturità decide di trasferirsi a Londra per lavoro, e lì incontrerà dapprima Robbie Williams e successivamente i Take That. Non sarà per niente facile per lei imparare a convivere con uno di loro, e soprattutto ci saranno mille difficoltà da affrontare.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gary Barlow, Howard Donald, Jason Orange, Mark Owen, Robbie Williams
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SEI: Let Me Entertain You

Erano trascorsi ormai cinque mesi da quando Robbie si era trasferito a Los Angeles. In quei mesi lui aveva provato a riallacciare i rapporti, chiamandomi, oppure mandandomi sms o e-mail, ma io mi ero sempre mantenuta distaccata, perché non volevo soffrire di nuovo.. come se non soffrissi già abbastanza. Questo però a mio avviso, non faceva che peggiorare la situazione.
Nel frattempo avevo anche lasciato l’appartamento di Robbie e mi ero trasferita con J, Howie e Gaz, che avevano preso un nuovo appartamento vicino a Piccadilly. La proposta di andare a vivere con loro mi aveva allettato e non solo, mi era sembrata un’ottima idea, almeno sarei riuscita a venire meno ai miei pensieri.

Era il 2 agosto, il giorno del mio compleanno, quando quel maledetto telefonò squillò ed io come ogni volta andai a rispondere, visto che i ragazzi non volevano saperne, perché troppo presi a sfidarsi alla playstation, tranne Jason che era invece sempre intento a preparare infusi o robe simili. Risposi inconscia che dall’altra parte del telefono non avrei mai potuto sentire quella voce. Eppure era proprio lui. Chiamava proprio per farmi gli auguri. Non riuscii a dire niente, se non un timido grazie. Robbie non si era dimenticato di me, e le sue parole lo confermarono poco dopo, ma non volevo e non potevo ricaderci di nuovo, non dopotutto quello che avevamo passato entrambi. Avevamo detto basta e così doveva essere.

« Mi manchi da morire. Ho bisogno di vederti! »
Robbie fece una pausa, ed in quel preciso istante capii che non avrei potuto mettere una pietra sopra a ciò che c’era stato. Non avrei potuto nemmeno tra vent’anni. Capii forse dopo tanto tempo e per la prima volta, quando davvero quel ragazzo inglese dagli occhi verdi era importante per me.
Intanto i tre “moschettieri”, - come mi ero divertita a chiamarli, negli ultimi mesi, in cui avevamo convissuto insieme – avevano smesso di fare ciò che facevano, e si erano avvicinati a me per origliare.
« I ragazzi partiranno dopodomani per raggiungermi, speravo di riuscire a convincerti. Ero sincero prima Alessandra. Una parte di me è rimasta lì con te. »

« Sai Robbie, una parte non basta. Ti ringrazio per l’invito e la telefonata, ma non verrò a Los Angeles. »

Passai il telefono a Jason che impacciato com’era riuscì a stento a salutare Rob, mentre gli altri due mi seguirono in cucina, cercando di farmi capire che forse avevo sbagliato a rispondere a Robbie in quel modo, ma io lo sapevo, solo che non volevo ammetterlo, ma soprattutto non volevo ricaderci con tutte le scarpe e stare male di nuovo.

« Dovresti pensarci. Los Angeles è molto bella, e poi se non vuoi vedere Robbie, puoi sempre uscire con me e Howard. Ti portiamo ovunque tu voglia andare. Hai bisogno di una vacanza e poi oggi è anche il tuo compleanno. »


« Ha ragione Gaz, vieni a Los Angeles con noi! Non te ne pentirai e poi, come ha detto lui puoi sempre contare su di noi, sappiamo essere delle ottime amiche.
Vai a fare quella maledetta valigia su, perché più tardi dobbiamo portarti in un posto..
J sei ancora vivo? Oppure stai emettendo ancora monosillabi al telefono con Robbie? »

« Ottime amiche? Parla per te Donald. »

Scoppiai a ridere e Gaz alzò la cornetta del telefono e poi spostandola anche verso di noi, così che riuscissimo a sentire ci mettemmo ad ascoltare la conversazione, anche se era più un monologo di Rob. Jason rispondeva si o no, a seconda delle domanda che l’amico gli poneva. Robbie era sempre stato il clown del gruppo; era quello che aveva sempre la battuta pronta o quello che non si tirava mai indietro davanti ad uno scherzo, specialmente se questo era rivolto al povero Jason. Infatti anche in quell’occasione non aveva tardato a prendersi gioco di lui.
Posai un bacio sulle guance di Gaz e Howie e mi precipitai a preparare quella valigia; infondo avevano ragione, anche se sarebbe stato impossibile non voler stare con Robbie. Erano cinque mesi che non lo vedevo e che non avevamo avuto una conversazione decente e priva di insulti o frecciatine.
Non ero mai stata negli States e non sapevo come fosse il clima, tranne per sentito dire. Immaginavo che in agosto facesse molto caldo, specialmente a Los Angeles. Buttai in valigia qualcosa, poi nel caso avrei fatto shopping là come promesso dalle mie “amiche”. In tutto questo però feci promettere ai ragazzi che non avrebbero fatto parola della mia decisione con Robbie. Volevo fargli una sorpresa.

Qualche ora più tardi i ragazzi compreso Mark, che ci aveva raggiunti, si erano messi in testa di volermi portare fuori per poter festeggiare il mio compleanno, nonostante io avessi insistito per voler rimanere in casa. Non mi andava di uscire a fare chissà cosa, che poi le serate in compagnia di loro sapevo sempre come finivano. Tutti sbronzi a dormire sui divanetti e questa era la migliore delle ipotesi. L’unico su cui avrei potuto contare era Gaz che essendo leggermente tirchio, se avesse scoperto quanto avremmo speso per quella sera ci avrebbe sicuramente ripensato, ma non questa volta.

« Gary sai come andrà a finire? Loro rimarranno senza soldi e tu dovrai pagare come sempre per tutti. Sei davvero sicuro di volerlo fare? Io lo dico per te.. E se Dawn lo venisse a sapere? Oh no Gary, non puoi metterti questo. Pensa se lo venissero a sapere dei bambini che ti sei ubriacato in un pub con i tuoi amici. Non ci rimarrebbero per niente bene. »

« Questa volta non mi incanti. Abbiamo detto di andare ed andremo. Non fare storie Miss Italia.

Comunque devo farti i complimenti, la storia dei figli regge sempre.. Sai quali tasti toccare per far impietosire un uomo, ma questa volta non ha funzionato. Vatti a preparare, Mark sarà qui tra poco! »

Nello stesso momento in uno studio di Los Angeles, Robbie provava ad incidere una canzone. Aveva deciso di andare lì, subito dopo la telefonata, ma nemmeno la musica quel giorno lo avrebbe distratto dai suoi pensieri. Non sapeva se Alessandra lo avrebbe raggiunto o meno, anzi a dirla tutta aveva proprio perso la speranza. Credeva di non rivederla più, almeno che non si fosse deciso a mettere da parte quello stupido orgoglio e fosse tornato a Londra, da lei. Aveva chiesto più volte ai ragazzi se si vedesse con qualcuno e loro avevano sempre negato, ma lui i cuor suo, aveva davvero paura di perderla. Aveva paura che qualche sconosciuto o anche uno dei suoi amici, potesse rubargliela per sempre. Robbie aveva preso la sua decisione, se lei non fosse andata lì per le vacanze, lui sarebbe tornato a casa.

Ero assorta nei miei pensieri, quando il suono del campanello mi riportò con i piedi per terra. Mi detti un’ultima sistemata veloce e poi uscì dal bagno. Alla fine avevo optato per un paio di stivaletti borchiati che arrivano sopra la caviglia ed il tacco piuttosto basso ed un abito semplice nero. Non ero solita indossare abiti provocanti e scarpe vertiginosi, anche perché in caso contrario – specialmente con i tacchi – avrei trascorso l’intera serata al pronto soccorso con un qualche trauma. I quattro mi attendevano in salotto, l’uno di fianco all’altro. Sembrano dei soldatini, per quanto erano impettiti e perfetti in quei loro abiti. Mi scappò da ridere, ma loro seri mi dissero che c’era una sorpresa che mi attendeva. Non stavo più nella pelle, anche se le sorprese non mi entusiasmavano molto, perché non riuscivo a resistere alla tentazione di attendere il fatidico momento in cui avrei scartato finalmente il regalo. Qualche attimo dopo Mark sparì e quando tornò stava spingendo una bellissima bicicletta. Ero solita andare a lavoro con quella, ma da quando me l’avevano rubata me ne andavo a piedi, poiché odiavo i mezzi pubblici. E loro avevano avuto la bellissima idea di comprarmene una nuova. Andai a ringraziarli uno ad uno, ma Jason – che stranamente se ne rimaneva sempre in silenzio – disse che non era quella la vera sorpresa. Mi bendarono e mi portarono in auto. Non ci capivo più niente, so solo che stavano facendo un casino assurdo per farmi confondere.

« Non mi starete portando in quelle strane confraternite, vero? Non so come dirvelo, ma io.. cioè ecco, il mio segno zodiacale.. Ragazzi, non sono del segno della vergine.. volete parlare! Voglio sapere dove mi state portando. »

Loro scoppiarono a ridere all’unisono e poi dissero che tra non molto avrei capito. Qualcuno disse anche che avrei dovuto avvisare i miei che per diverse ore non avrei potuto usare il cellulare. Che stavano combinando? Mi stavano davvero portando con un giorno in anticipo in America? Strabuzzai gli occhi, anche se con quella benda era impossibile anche se solo vedermi. Uno di loro mi prese la mano e mi aiutò a scendere.
Non so quanto tempo trascorse ancora, so solo che dopo un bel po’ e solo quando fummo saliti sull’aereo privato dei Take That mi tolsero la benda e mi fu possibile a quel punto avvisare la mia famiglia dell’improvvisa famiglia. Improvvisamente però mi venne in mente il lavoro, ma Gary mi tranquillizzò dicendo che aveva pensato lui a quello e che non mi sarei dovuta preoccupare. Lo guardai in modo severo, come per voler capire se stesse dicendo la verità, ma quella sua espressione mi fece ridere.
Ero davvero grata ai ragazzi per quello che stavano facendo per me, e non solo, per quello che avevano fatto in quei lunghissimi cinque mesi. Il viaggio fu lungo, ma il tempo sembrò volare.
Quando arrivammo mi fecero indossare quella maledetta benda nera, ma ero riuscita a scorgere una limousine. Provai a chiedere ancora una volta la nostra destinazione, ma venni subito ammonita. Volevo sapere dove fossimo diretti, ma non sembravano volermelo dire.
Dopo una mezz’ora circa il taxi si arrestò e noi scendemmo, e solo quando fummo all’interno del palazzo – almeno credo fosse stata una cosa del genere -, mi tolsero la benda.

« Tu rimani in silenzio e fin quando non te lo diciamo noi non uscire dall’ascensore, ok? »
Queste furono le parole di Howie, e poi schiacciò il pulsante dell’ascensore, che nemmeno in un paio di minuti ci portò fino all’ultimo piano di quel gigantesco edificio.


Nello stesso frammento di tempo Robbie se ne stava sull’Empire State Building a bestemmiare contro il suo manager che lo stava facendo impazzire per la realizzazione del suo nuovo video. Sia Robbie che io eravamo ignari che da li a poco ci saremmo rivisti. Nessuno dei due sapeva ciò che ci attendeva.
Le porte dell’ascensore si spalancarono ed i ragazzi uscirono. Sentii le loro voci allontanarsi, ma erano ancora abbastanza nitide.. E poi quella voce. Quella voce inconfondibile.
 

« Voi che ci fate qui? Lei dov’è? E’ qui con voi vero? »

« No Rob, purtroppo non è voluta partire, e quindi abbiamo deciso di anticipare di qualche giorno la vacanza. Abbiamo saputo che eri qui a New York. »

Intervenne Gary. Ci fu una lunga discussione tra i ragazzi e Robbie, dove lui chiedeva i motivi della mia mancata partenza. Mi sentii morire.. Se non fossi salita su quell’aereo, lo avrei davvero ferito. Allo stesso tempo però non vedevo l’ora di balzare fuori e di vedere la sua adorabile faccia da schiaffi. E poi ero a New York. Avevo sempre sognato di vederla. Socchiusi gli occhi e provai ad immaginarmela in tutta la sua bellezza, ma la cosa più bella era che ero lì con Robbie. Mark pronunciò la frase “ragazze uscite”.. Era il mio momento. Avevano fatto credere a Robbie che per compensare la mia assenza, avessero portato delle ballerine, e la risposta di Robbie mi confermò ancora una volta quanto davvero mi volesse lì. Disse che non se ne faceva niente delle ballerine.

« Beh Londra non è proprio dietro l’angolo, ma posso sempre tornare indietro, se proprio non vuoi neanche vedere una delle ballerine. »

Robbie rimase talmente sorpreso della mia presenza, che inizialmente non ci aveva capito granché. Poi improvvisamente si bloccò e si voltò verso di me. Io ero immobile sulla porta che portava all’esterno, sulla terrazzina sotto alla punta dell’Empire. Quello che trascorse tra di noi sembrò essere un minuto interminabile.

« Non ti azzardare a tornare a Londra per le prossime 72 ore o.. »
Robbie non riuscì neppure a terminare la frase. Era emozionato e quando mi raggiunse mi abbracciò. Non mi aveva mai abbracciato in quel modo, e nemmeno io. Nemmeno quando c’eravamo detti addio. In tutto questo però non persi la mia voglia di scherzare e lo stuzzicai. Sinceramente? Beh era l’unica soluzione per non piangere. Se avessi stoppato la mia mente per far si che metabolizzasse la cosa, sarei scoppiata in lacrime, seppure per la felicità. Non mi sembrava possibile che fossimo di nuovo insieme.

« Credi che 72 ore basteranno per recuperare questi cinque mesi lontani? Sei molto ottimista Williams. »

Gli altri iniziarono a fischiare ed a battere le mani, quando Robbie posò dolcemente le sue labbra sulle mie. Avete presente quei film smielati dove alla fine i due protagonisti si ritrovano e si baciano? Ecco, era andata più o meno in quel modo. Robbie fece cenno a tutti di allontanarsi per lasciare che vivessimo tranquillamente la nostra privacy, e per quanto loro avessero ubbidito, non persero occasione per prenderci in giro, ma non mi meravigliai neanche un po’. Era proprio questo il bello dei Take That.

« Non credevo saresti venuta fino a New York. No, ne ero certo. Mi ero già rassegnato all’idea di averti perso. Sono stato un cretino, non ho lottato per riprenderti, perché ho pensato che se tu mi fossi stata lontana saresti stata felice. Io non sono in grado di badare a me stesso. Sono egoista, viziato, ma ti amo come non ho mai amato nessuna. Mi sei mancata da morire Scheggia! »
« Io non credevo di venire fin qua Robbie. E’ tutto merito dei ragazzi. Avevo paura di stare male di nuovo, e quindi pensavo che starti lontano sarebbe stata la soluzione migliore, ma credimi non lo è. Questi cinque mesi, sono stati i cinque mesi più lunghi della mia vita. Ti amo anche io brutto orso! »

« Sbaglio, o è ancora il 2 agosto qui a New York?
Ci pensi io e te a New York.. e beh quella massa di rompiscatole che ci sta aspettando giù.. Chi l’avrebbe mai detto?! »

Lo guardai e poi mettendomi in punta di piedi, poggiai le nostre fronti l’una contro l’altra e poi baciai le sue labbra, che erano mancate da morire. Mi era mancato tutto di Robbie, anche la cosa più piccola ed insignificante, ma ora avevamo tutto il tempo per recuperare il tempo perduto.
 

   
 
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