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Autore: InuAra    17/04/2016    7 recensioni
ULTIMO CAPITOLO ONLINE!
Con due bellissime fanart di Spirit99 (CAP. 4 e 13)
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Cosa succede se il mondo di Ranma incontra il mondo di Shakespeare? Rischia di venirne fuori una storia fatta di amori, avventura, amicizia, gelosia, complotti. Tra fraintendimenti e colpi di scena, ne vedremo davvero delle belle!
DAL CAPITOLO 2
Ranma alzò lo sguardo verso il tetto. “Akane. Lo so che sei lì” “Tu sai sempre tutto, eh?” A Ranma si strinse il cuore. Ora che era lì, ora che l’aveva trovata, non sapeva cosa dirle. Soprattutto, non poteva dirle nulla di ciò che avrebbe voluto. “Beh, so come ti senti in questo momento” “No che non lo sai” “Si può sapere perchè non sei mai un po’ carina?” “Ranma?” “Mmm…”  “Sei ancora lì?” “Ma certo che sono qui, testona, dove pensi che vada?” Fece un balzo e le fu accanto, sul tetto. “Sei uno stupido. So benissimo che sei qui perchè te l’ha chiesto mio padre” “E invece la stupida sei tu”, si era voltato a guardarla, risentito e rosso in viso, “E’ vero, me l’ha chiesto, ma sono qui perchè lo voglio io! Volevo… vedere come stai…ecco…”
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Were it not better,
(…) That I did suit me all points like a man?
A gallant curtle-axe upon my thigh,
A boar-spear in my hand; and--in my heart
Lie there what hidden woman's fear there will--
We'll have a swashing and a martial outside,
As many other mannish cowards have
That do outface it with their semblances.
 
 
Ma non sarebbe meglio
(…) vestirsi in tutto e per tutto come un uomo?
Con il bravo coltellaccio al fianco,
la lancia da cinghiale in pugno, e in cuore
serrata ogni paura da donna,
così da avere una facciata spacconesca e marziale,
come fan tanti maschioni codardi
che bleffano con le apparenze.
 
As you like it – W. Shakespeare




 
 
 
 
 
"Stupido, stupido Ranma…"
 
La litanìa era conosciuta, ma risultava stranamente venata da un dolore inusuale e straziante.
 
Stupido, stupido Ranma…
 
Uno scenario triste avvolgeva la piccola figura singhiozzante accartocciata su se stessa.
 
Soltanto il bosco, umido e sospeso, era a testimone di quel crimine innominabile, i rami ritorti ne erano i taciti complici, l'alba grigio cenere l'omertosa compagna.
 
Il ragazzo le era scivolato alle spalle.
 
Akane si voltò di scatto e lo guardò un'ultima volta, senza capire realmente che in quelli dell'amico fidato si nascondevano gli occhi del suo assassino.
 
Ryoga piangeva come un vitello prima di essere scannato.
 
Al contrario, ad Akane si erano freddate le lacrime agli occhi.
 
Il pugnale, vibrante di luce sinistra, non indugiò oltre e andò ad affondare preciso nel petto bianco della fanciulla, imbrattandolo per sempre.
 
Il grido le morì in gola, strappandola alla vita, mentre il terreno si impregnava di sangue, avido.
 
 

 
"Ryogaaaa!! No… No! Noooooo!!"
 
Si tirò su a sedere, madida di sudore e di lacrime, con un taglio in gola per l'urlo lancinante che l'aveva appena svegliata, imponendole di uscire a forza dall'incubo che la stava divorando.
 
"Ukyo calmati… calmati Ukyo… un sogno, era solo un sogno…", sussurrava a se stessa.
 
Ma perchè questo non la rassicurava? Perché continuava a sembrarle tutto dannatamente reale, il bosco, le lacrime, la lama, e tutto quel sangue…, anche se era sveglia e seduta sul suo futon?
 
Con dita tremanti trovò la candela e riuscì ad accenderla.
 
Non un rumore attorno a lei. Nessuno ancora sospettava della fuga della principessa. Nessuno sospettava di Ryoga.
 
"Ryoga…"
 
Si passò una mano sul volto.
 
La realtà era lì attorno a lei, ferma, immobile.
 
Lo sguardo di Ryoga, in quel maledetto sogno, era assente. Non riusciva a strapparselo dalla mente. Assente come solo un altro paio di volte gli aveva visto… come poco prima di sferrare quell'attacco… come diavolo si chiamava?… Sì, lo Shishi Hokodan, una pericolosa tecnica energetica che Obaba e Happosai avevano insegnato al ragazzo anni prima. In quelle occasioni Ryoga aveva dipinta sul volto un'espressione vacua, priva di emozioni, che le dava i brividi.
 
Non riusciva a dimenticare quegli occhi vuoti, nella visione notturna. Più di ogni altra cosa la terrorizzavano.
 
Aveva un brutto presentimento. Possibile che…?
 
"No Ukyo, no! Era solo un sogno, solo un bruttissimo sogno", si ripeteva ossessiva.
 
Ma d'improvviso dettagli a cui non aveva dato importanza franarono nella sua memoria col peso di una valanga: l'esitazione, lo sguardo distante e turbato, parole mai pronunciate, un bacio disperato, un pugnale appeso alla cintola.
 
Desiderò che il sole fosse alto e lui accanto a lei, a ridere della sua ingenuità, a sciogliere le sue paure con quella sua risata calda e sincera.
 
E attese. 
 
Attese il sole e il suo ritorno, pregando i kami di aver fatto davvero solo un brutto sogno.
 
 
 
***
 
 
Riaprì cautamente gli occhi, temendo di scoprire che il sangue che le stava scivolando lento lungo la pelle sgorgasse da una ferita mortale di cui non riusciva a percepire alcun dolore, in un misero tentativo di restare ancorata alla vita.
 
Quello che però vide la spiazzò e le ridiede colore alle guance ancora bagnate, un colore misto a paura, disappunto, smarrimento.
 
"Ryoga! Co-cos'hai fatto?!"
 
Sopra di lei, ancora immobile nell'atto conclusivo di quel gesto incomprensibile, il pugnale gocciolante nella mano destra e il braccio sinistro ferito, sollevato davanti a sè, Ryoga la guardava con un sorriso dolce, tentando di infonderle sicurezza.
 
E intanto un rivolo di sangue continuava a fuoriuscire copioso da quella ferita. Ma non sentiva dolore. Non gli importava. L'aveva fatto per lei, e si sarebbe ucciso, se ce ne fosse stato bisogno.
 
Le mani di Akane furono più lucide di lei, in quel momento, e si mossero rapide verso il proprio yukata, ne strapparono un lembo su cui erano già impresse alcune gocce schizzate dall'impatto della lama contro la cane viva e si gettarono a tamponare il taglio sul braccio di Ryoga.
 
E intanto lo guardava con occhi brucianti, esigendo una spiegazione, ma non osando pretenderla a parole.
 
"Io… Io non potrei mai uccidervi", si giustificò lui.
 
La sua voce era calma, onesta.
 
"Sì, ma allora… perché venire qui? La fuga? Il rischio? Il furto dei cavalli? Dopo aver letto", deglutì amaramente, "…le sue parole… Se lui non è qui… se tu non volevi…?", iniziò quasi aggredendolo, ma non riusciva proprio a comprendere il tutto e nel tentativo di farlo le parole finirono per morirle in gola.
 
"Per prendere tempo", iniziò a spiegarle, asciugandosi con una manica le ultime lacrime che brillavano feroci intorno agli occhi segnati.
 
"Io a palazzo non ci torno!", gli ringhiò contro. Ma non fece in tempo a vedere che lui scuoteva la testa, in risposta, che venne presa a tradimento da una raffica di singhiozzi.
 
Ryoga si strinse nelle spalle. Non riusciva a guardarla così. Non riusciva a starsene con le mani in mano e vederla soffrire, così piccola, così vulnerabile. Non sentiva dolore al braccio, il dolore fisico era nulla rispetto alla fitta al cuore che provava nel vederla così.
 
"Akane", osò, chinandosi a carezzarle il capo per calmarla.
 
Era la prima volta che la chiamava per nome. Forse fu proprio sentirglielo pronunciare senza suffissi nè onorifici, forse fu il calore della mano di lui. Akane a poco a poco si calmò e cercò rifugio sul petto di Ryoga che, protettivo, la strinse a sè.
 
"Perché… perché ti sei ferito a un braccio?"
 
"Ho un piano", mormorò.
 
 Sorpresa, lei gli rivolse fulminea uno sguardo attento.
 
"Voglio dare a Ranma ciò che vuole: la prova che gli ho ubbidito", le spiegò non senza fatica, "la prova di avervi ucciso…", aggiunse abbassando appena il tono, vergognandosi. Strinse con la destra il fazzoletto avvolto intorno alla ferita. "Il pezzo di stoffa strappato al vostro yukata e… tutto questo sangue, lo convinceranno, e lo terranno buono per un po'…"
Si rese conto di aver parlato troppo, e troppo crudamente, che i ragionamenti che lui aveva fatto ed elaborato, lei stava a malapena cercando di digerirli in quel terribile istante.
 
Bastò sentirlo nominare ancora una volta.
 
"Ra-Ranma…"
 
Stupore nella sua voce, incredulità, disperazione, rabbia. E un insopprimibile desiderio di pianto, che Ryoga si decise a stroncare sul nascere.
 
"Quell'idiota si sarà fatto ingannare! Gli avranno fatto credere che voi l'avete tradito…"
 
"Io? Ma come…??"
 
Lei non si dava pace.
 
"Non so in che modo, ma tutta questa storia mi puzza", la zittì il ragazzo. E continuò, in risposta agli occhi sgranati di lei, "La scrittura è la sua, è vero, ma… Io lo conosco e lo conoscete anche voi… E' geloso, irascibile e stupido. Ma non crederebbe mai a delle calunnie… E non vi farebbe mai del male. Dev'esserci qualcosa che ci sfugge… E…", scrollò la testa sicuro, "sinceramente non penso che sia stato sedotto da una qualche donna e convinto a uccidervi…"
 
Gli occhi di Akane parlavano da soli, fissi nel vuoto. Ryoga non poteva ascoltarne le parole trattenute, in cui rieccheggiavano frammenti di pensiero.
 
*Mousse… me l'aveva detto… una donna cinese… una certa Shan-Pu… Non mentiva…*
 
Ma ne colse comunque il senso malato.
 
"No, non può essere!", quasi le urlò contro, riscuotendola. Si rese immediatamente conto dello scatto inopportuno e aggiunse, meno sicuro, "Ma…  A-Akane-san… La verità è che non ho una risposta. Non mi resta che un briciolo di speranza a cui vi chiedo di attaccarvi con me"
 
"Dimmi il tuo piano", lo esortò risoluta, una nuova luce negli occhi.
 
"Niente più palazzo, su questo siamo d'accordo "
 
"Sì!"
 
"La libertà che avete conquistato oggi è un tesoro che dovrete tenervi stretta: vi permetterà di agire senza il controllo di nessuno"
 
"E senza nessuno da sposare", aggiunse lei, con un senso di ripicca nei confronti di Kuno, e del mondo che imponeva alle figlie di maritarsi con gli uomini decisi dai padri.
 
"O da cui guardarsi alle spalle", concluse Ryoga, pensando a Kodachi.
 
Sospirarono all'unisono, poi il ragazzo continuò: "Ma… dovete essere disposta a tutto…"
 
"Lo sono. Dopo tutto questo... nulla mi spaventa più"
 
"La libertà ha un prezzo e… voi siete una fanciulla, oltre che una principessa…"
 
"Che c'entra? Sono forte e perfettamente in grado di difendermi… Piuttosto…Dove andrò? Dove vivrò? Cosa… mangerò?"
 
"Prima ancora di questo, io direi… 'come' andrete… cioè…"
 
Si stava agitando, tutta la sua sicurezza stava scemando pericolosamente e un fastidioso rossore, dannazione, non gli abbandonava il viso.  Ma possibile che in un momento così grave lui cominciasse a vergognarsi come un dodicenne?! Lei continuava a guardarlo, innocente, senza capire proprio dove volesse andare a parare.
 
"Che intendi dire, Ryoga?"
 
"Intendo…"
 
Alzò gli occhi su di lei. Li riabbassò. Li chiuse, per raccogliere un po' di lucidità. E decise di mettere mano alla sacca che si portava dietro. Meglio passare direttamente ai fatti.
 
Riuscì per qualche secondo ad affrancarsi da quella scomoda posizione, giusto il tempo di raggiungere i cavalli, tirare verso di sé l'involto appeso alla sella e raggiungere nuovamente la principessa.
 
Cercò di ritrovare una certa fermezza nella voce.
 
"Ecco", disse semplicemente, tirando fuori dal bagaglio alcuni indumenti.
 
Akane non capiva. Guardò meglio e riconobbe delle brache, di quelle strette al polpaccio, una casacca larga e imbottita, spesse polsiere e robusti parastinchi , un paio di stivali bassi e un copricapo scuro: una strana ed eterogenea tenuta che ricordava quelle dei viandanti montani.
 
In altre parole, abiti da uomo.
 
"Dovrei… indossarli?"
 
Ryoga annuì con decisione.
 
Forse Akane cominciava a capire.
 
"Dovete… scordarvi d'esser donna, ecco. Dimenticare che siete una principessa. Nessuno vi disturberà se vi crederanno un ragazzo in viaggio verso un qualche parente"
 
Akane lo ascoltava, senza perdersi una parola.
 
"Dovrete cercare in ogni modo di… di mettere da parte la vostra grazia… di muovervi... di atteggiarvi… come un uomo, ecco"
 
Le parlava e intanto perdeva sicurezza. Come potevano quegli occhi da cerbiatta che non si erano mai posati sulle cose del mondo sembrare quelli di un giovanotto perfettamente in grado di viaggiare in quello stesso mondo da solo?
 
"M-ma temo proprio di aver fatto male i miei calcoli… Voi non assomiglierete mai a un uomo…", sbuffò affranto.
 
"Questo è tutto da vedere", sbottò Akane, combattiva, strappandogli il cappello di stoffa che lui stava stropicciando tra le dita nervose e raccogliendo a piene mani il resto del vestiario.
 
Senza aggiungere altro girò intorno all'albero più vicino, pretendendo di ripararsi coi suoi rami semispogli mentre iniziava a cambiarsi, piuttosto incurante di essere a mezzo metro dal ragazzo.
Ryoga si voltò di scatto, paonazzo ormai oltre ogni dire, tentando di mostrarsi calmo e riuscendo invece a malapena a rilasciare l'aria compressa nei polmoni.
Che assurda situazione! Per distrarsi continuò a parlare, fingendo tranquillità.
 
"Come un uomo…insomma… le gambe larghe… e magari dovreste molleggiare un po' sui talloni, in una camminata… sicura… da spaccone, potremmo dire. Le braccia mai troppo attaccate al corpo… Dovete immaginarle muscolose… E magari ogni tanto ricordatevi di… beh sì, di sputare e di… grattarvi… oh kami, mia signora, perdonate davvero la mia impertinenza, non vorrei parlarvi di queste cose, ma è necessario… Grattarvi da uomo… lo so che è da maleducati… ma gli uomini non se ne vergognano troppo, in fondo… E poi… la voce. Un uomo non parla mai troppo. Rispondete con frasi asciutte. Come se ogni volta la vostra risposta… fosse un pugno in pieno viso! Sì… E dovrete tentare di ingrossarla, la vostra voce, abbassarla un po'…  E… ah, certo!…Niente sorrisi… Cioè… evitateli, se potete… E poi…"
 
Si interruppe. Dietro di lui sentì i passi di lei calpestare le foglie a terra e farsi sempre più vicini.
 
Si voltò. … e ciò che vide lo sorprese non poco.
 
Completamente bardata come un uomo, la principessa avanzava tentando di mettere in pratica i consigli appena ricevuti dal ragazzo. Seria in volto, andatura pesante e sgraziata, Akane lo guardava a mo' di sfida, alternando allo sguardo ora una grattata al fianco, ora uno sputo rumoroso, che aveva il solo risultato di farla arrossire fino alla radice dei capelli. Eppure non demordeva, ostentando sicurezza e virilità.
"Che hai da dire?", lo esortò con una voce marcatamente più bassa e insolente.
 
Nonostante la situazione, a lui si disegnò un sorrisetto sulle labbra.
 
La trovò bellissima anche così.
 
Guardandola attentamente, si rese conto che così conciata la principessa cominciava davvero a somigliare a un ragazzo, un ragazzo molto giovane magari, appena più che un bambino imbronciato, di circa dodici anni, ancora imberbe e poco formato, ma desideroso di diventare presto uomo. Ne osservò accuratamente l'aspetto. Grazie all'imbottitura degli indumenti, le forme femminili erano completamente camuffate e tutta la figura ne usciva informe e vagamente tarchiata.
 
Lei era sulle spine, in attesa di un verdetto.
 
"Siete… siete piuttosto convincente!", esclamò ancora incredulo.
 
"Non per niente… 'lui' lo diceva sempre, che sono un maschiaccio…", rispose triste, "Imbranata e per niente carina…", aggiunse più per sé che per essere udita,  ingoiando il dolore, "Alla fine mi sta tornando utile", concluse con un sorriso mesto, a fil di voce.
 
"M-ma non è sufficiente", riprese lui energico, cercando di deviare il discorso, "I lineamenti del vostro viso vi tradirebbero… Ecco qui, vi ho portato questo…"
 
Cavò fuori di tasca una scatolina.
 
Akane la osservò curiosa.
 
"Si tratta di una specie di unguento… spalmandolo sul volto scurirà la vostra pelle… sì, insomma, la vostra pelle così bianca, da principessa, e vi darà un aspetto più duro"
 
La ragazza non se lo fece ripetere due volte. Gli strappò di mano la scatolina e cominciò a impiastricciarsi le guance.
 
Ryoga la osservò ammirato: la sua sfortunata padrona si mascherava, nel tentativo testardo di rinascere a nuova vita, senza lasciarsi abbattere dalla situazione.
 
"Ecco fatto"
 
Il candore si era perso e così il vermiglio delle labbra; i tratti dell'intero viso parevano uniformati tra loro: lo stacco tra il collo delicato e la linea della mandibola era meno marcato, gli zigomi apparivano meno scolpiti e persino le ciglia lunghe quasi non si distinguevano più.
 
Ryoga annuì.
 
"Ma non dimenticate di sporcarvi anche le mani", in un unico gesto non calcolato, raccolse una manciata di terra, e la strofinò contro le mani di lei, impastandola all'unguento residuo.
 
Sentendo quanto piccole e lisce fossero quelle mani tra le sue, sussultò.
 
"Grazie, Ryoga", lo rincuorò Akane, "Grazie"
 
Non doveva commuoversi, non ancora.
 
"Vi chiederete, mia signora", si ritrasse rigettando con forza indietro le lacrime, "perché tutto questo. La risposta è semplice. Vi recherete ad Hakata. Camminerete attraverso i boschi, lontana dalla strada, aggirando il monte… Vestita così non dovreste essere importunata e non dico che sarà facile, ma… se siete fortunata incontrerete solo qualche capriolo. Ad Hakata, Hiroshi e Daisuke non ci penseranno due volte a nascondervi. Voi sarete tra amici e io saprò dove trovarvi, in futuro. Anche… Ranma… se scriverà ancora… le sue lettere passeranno da loro…"
 
Lei seguiva il discorso, seria e attenta, non permettendo a quel nome di indugiare troppo dentro di lei, facendole male.
 
"Dimenticavo! Prendete, questa vi guiderà"
 
Ryoga le mise in mano un piccola bussola di legno rovinata dall'uso.
 
"No Ryoga! Tu… come farai?"
 
"I cavalli conoscono la strada del ritorno", ammise con un sorriso imbarazzato, "Voi, invece, ne avete bisogno. Basta andare verso sud. Dal monte stesso, così mi ha ripetuto Ukyo fino allo sfinimento, a un certo punto riuscirete a intravedere il porto della città. Non potrete sbagliare"
 
Akane gli sorrise, grata. Ryoga aveva pensato proprio a tutto. Persino al senso dell'orientamento. Di entrambi.
 
Tirando fuori il fagotto del cibo che la principessa avrebbe portato con sè, e premurandosi lui stesso di legarle il pugnale in vita, lo stesso bagnato del proprio sangue, il ragazzo aggiunse, con un tono più disteso, prendendo tempo: "Mi è giunta voce che ad Hakata sia appena approdata la divisione dell'esercito cinese guidata dal generale Shinnosuke"
 
"Il generale Shinnosuke?"
 
"Sì, proprio lui. Lo conoscete? E' un generale cinese, ma è nato…"
 
"…qui in Giappone. Conosco la sua storia. Mio padre mi ha parlato di lui, tempo addietro, del suo onore e delle sue vicende. Devo averlo anche intravisto un giorno a palazzo, mentre trattava di questioni politiche con lui…"
 
"Motivo di più per essere schiva e prudente e non farvi vedere da nessuno che potrebbe riconoscervi. Dicono che sia una persona giusta e onesta, ma voi, in questo momento, siete pur sempre la figlia del suo nemico…"
 
Ancora una volta Akane annuì, ubbidiente.
 
Ci fu qualche secondo di silenzio.
 
"Temo proprio sia arrivato il momento di lasciarci, vero?", gli fece lei, con una voce piccola e tenera.
 
Davvero era già arrivato quel momento? Il momento di staccarsi da lei, lasciandola al bosco e al suo destino? Il magone gli salì di colpo in gola. Le aveva detto tutto? Le raccomandazioni, gli ammonimenti, il conforto? Ce l'avrebbe fatta davvero? E lui, stava facendo la cosa giusta?
 
La scrutò un'ultima volta, come per sincerarsi che fosse tutto a posto, che non mancasse un solo dettaglio, e si rese conto che lei lo guardava con occhi forti e al contempo tanto spauriti. Mille emozioni si esprimevano su quel viso, rincorrendosi tra loro.
 
Maledizione.
 
La principessa era da sempre stata incapace di nascondere il proprio stato d'animo.
 
Questo era un problema.
 
Come porvi rimedio?
 
Si portò una mano alle tempie, arrovellandosi, mentre lei lo guardava interrogativa. E l'idea gli venne improvvisa.
 
"Ecco cosa manca!"
 
Si sfilò brusco la fascia giallognola che era solito tenere in fronte, le tirò via il cappello che si era calcata sulle orecchie e, un po' goffamente, gliela fece aderire appena sopra gli occhi, legandola alla nuca nel modo più gentile che poteva.
 
Akane la sfiorò con due dita. La fascia era ancora tiepida, impregnata del calore di lui.
 
"Ma… ma questa è tua! Io non..."
 
"Ne ho altre a palazzo, non vorrete preoccuparvi per una sciocchezza simile?… In questo modo le vostre sopracciglia resteranno coperte e i vostri pensieri saranno un po' meno leggibili…"
 
"Sono davvero ingenua, eh?"
 
"Non è questo…", si schermì lui coprendole nuovamente il caschetto bruno col copricapo maschile, "Ma così… insomma, adesso il vostro volto è davvero irriconoscibile: gli occhi sembrano un po' meno… accesi e i capelli non denunciano il fatto che siete… una fanciulla, ecco"
 
Gli sorrise grata. Cosa avrebbe fatto senza di lui?
 
La principessa stava per dire qualcosa di solenne, se lo sentiva, e lui… Lui stava per mettersi irrimediabilmente a piangere. Preferì alzarsi di colpo, impedendole di parlare, e si avviò verso il cavallo, risoluto.
 
Akane comprese, commossa.
 
In fondo non c'erano parole adatte a quell'addio.
 
Ryoga era sul punto di salire in sella quando, per fortuna, si ricordò.
 
Stava per passargli di mente e se ne sarebbe dispiaciuto.
 
"Principessa! Un'ultima cosa…"
 
La raggiunse trafelato.
 
"Questo, tenetelo con voi, potrà tornarvi utile"
 
Akane, interrogativa, tese verso di lui la piccola mano.
 
Lui le lasciò cadere sul palmo una boccetta rosso scuro.
 
La boccetta di Kodachi.
 
"Di che si tratta?"
 
"E' un rimedio portentoso, vi sarà utile contro qualunque tipo di malessere. Sperando che non vi serva mai…"
 
Si sentiva più sicuro a sapere che qualora si fosse sentita male per qualsiasi motivo, avrebbe avuto una valida medicina a portata di mano.
 
Ahimè, ignorava il vero contenuto di quella boccetta.
 
"Ne terrò conto…", ancora una volta lui la stava salvando e si stava preoccupando per lei, e ancora una volta gli chiese 'grazie' con lo sguardo.
 
E improvvisamente quello stesso sguardo si incupì. La mano di Akane corse al petto, come a calmare un guizzo di dolore.
 
"Anche se non credo che servirà contro il male che sento qui"
 
La guardò. La guardò davvero, per quello che era: una forte giovane donna che soffriva. Chissà per quanto tempo non l'avrebbe rivista.
 
E fu allora che le parole, inaspettatamente, arrivarono.
 
"Ranma ha commesso l'errore più grande della sua vita. Presto lo capirà e tutto si sistemerà, ve lo giuro", le regalò un sorrisetto spavaldo, che la riscaldò più di tante consolazioni, "Ma vi giuro anche che gli farò ingoiare fino all'ultimo briciolo tutta la sua stupidità"
 
Lei annuiva e sorrideva e si asciugava le lacrime calde.
 
"Ora andate… Akane"
 
Ma prima che lui potesse allontanarsi da lei, lasciandole l'eco del suo nome pronunciato con tanta dolcezza, si protese goffa verso di lui, e lo abbracciò.
 
"Ryoga, prenditi cura della mia Ukyo. E… grazie"
 
Accidenti, ora sì che le lacrime sarebbero sgusciate via dal suo controllo, beffarde.
 
Akane si staccò dalla stretta e gli prese il viso ormai bagnato tra le mani, mentre lui tirava su col naso, millantando un contegno eroico.
 
"Sei l'amico più prezioso che potessi avere. E sei l'amico più prezioso che 'lui' potesse avere", aggiunse con un sorriso.
 
Cos'era quel sorriso?
 
Tutto. Gratitudine, tristezza, determinazione, speranza.
 
E alla fine fu lei a voltarsi e ad allontanarsi da lui.
 
La vide raccogliere la sacca col cibo e mettersela in spalla, la guardò allontanarsi con un passo ostentatamente maschile lungo il terreno sconnesso che saliva impercettibilmente, e regalargli un ultimo sguardo di addio, prima di consultare la bussola e addentrarsi nella boscaglia.
 
Sentì di non volerla lasciare andare. Sentì che più si sommavano i passi che li distanziavano, più il sangue gli defluiva dalle vene e un'improvvisa umidità gli entrava nelle ossa. La seguì a vista finchè poté, pregando i kami che non le succedesse nulla in quella foresta e che arrivasse alla città di Hakata sana e salva.
 
'Una donna dalla forza erculea', così la definiva Ranma.
 
"Che stupido che sei… Davvero stupido", si lasciò sfuggire a fior di labbra.
 
Sì, lei era forte. Sapeva il fatto suo, era testarda e conosceva le arti marziali, era vero. Ma era pur sempre una principessa che non era mai uscita dalle mura del suo palazzo. Non sapeva nulla di quel mondo in cui si stava inoltrando.
 
Il respiro gli si strozzò in gola.
 
Ma non c'era tempo per i ripensamenti. Doveva sbrigarsi a tornare alla tenuta Tendo, sperando che nessuno avesse ancora notato la sua assenza.
 
Rilasciò l'aria che gli schiacciava i polmoni, saltò in sella e spronò il cavallo in direzione contraria a quella di Akane.
 
 
 
***
 
 
 
"Zio Genma, vi siete appisolato di nuovo? Possibile che stare seduto qui davanti vi piaccia tanto? Io lo detesto"
 
L'uomo per un attimo si guardò attorno disorientato. 
 
Poi  alzò il capo e la vide, con le mani sui fianchi e l'aria contrariata.
 
Ma certo, si era lasciato cullare dai raggi tiepidi del mattino e si era addormentato. Si stiracchiò indolente. "Non dovresti parlare così, Misaki, questo è il posto migliore del mondo. E poi è casa", tagliò corto l'uomo.
 
In tutta risposta lei sbuffò.
 
Era una ragazza sulla ventina o forse anche meno. Continuava a guardarlo con due occhi castani, vivi e acuti. Tutto in lei trasudava praticità: i fianchi erano fasciati da comodi pantaloni di cotone che arrivavano sotto il ginocchio, sui quali si chiudeva la casacca di uno yukata senza fronzoli di alcun tipo; ai piedi portava calzari imbottiti, utili quando il sentiero si faceva pietroso sotto i passi. Anche i capelli, di un impalpabile castano chiaro, non avevano nulla di femminile. Da anni ormai era lo stesso rito: anche quella primavera, quando si erano fatti troppo lunghi dopo l'inverno, la ragazza aveva preso la spada dello zio, li aveva raccolti in un pugno, liberando completamente il collo e senza troppe cerimonie aveva dato un taglio netto. A testimonianza di quel gesto incurante erano rimasti un po' più lunghi attorno al viso, dove sfioravano la mandibola a ogni movimento. E nonostante tutto nessuno avrebbe potuto scambiarla per un ragazzo: anzi, l'abbigliamento sobrio e mascolino creava un contrasto intrigante che ne rendeva più interessanti i lineamenti.
 
"Zio, siete sempre così tranquillo! Ma davvero a voi piace questa vitaccia?"
 
Genma sospirò, sapeva dove la ragazza voleva andare a parare: "Intendi doversi procacciare il cibo quasi ogni giorno?… Il freddo dell'inverno…?"
 
"Ma più che altro la monotonia, zio! Tutti i giorni uguali! Ci si alza, si mangia, si dorme… Ma davvero prendere un po' di sole davanti a questa capanna basta ad accontentare le vostre esigenze di essere umano? Io vorrei fare qualcosa di più della mia vita"
 
"Andiamo, Misaki. Cosa puoi chiedere di più?", a interromperla era stata una voce femminile, pacata e docile.
 
"Ah, Hitomi, scusa, ora ti porto dentro l'acqua", brontolò la ragazza, affrettandosi a calare il secchio nel pozzo accanto alla capanna.
 
La sorella rimase a guardarla, e con lo sguardo abbracciò la piccola radura antistante, le fronde degli alberi che custodivano la loro semplice casupola di legno, il pendìo che saliva lieve su un lato e lo zio, vestito nel suo solito completo chiaro, il capo fasciato da un fazzoletto dello stesso colore, che se ne stava abbandonato a un tronco guardandola serio, dietro i suoi occhiali tondi.
Inspirò, grata al mattino e alla vita, che a differenza della sorella minore la allietava con le piccole cose di sempre.
 
Erano così diverse… Per quanto le separassero giusto un paio d'anni, la maggiore era avvolta da un'energia matura e calma. I lunghi capelli castani erano raccolti in una coda adagiata sulla spalla destra, mentre il corpo era coperto da uno yukata color prugna di cotone spesso, lungo fino alle caviglie.
 
"Qui si sta davvero bene"
 
"Sorellina, lo dici solo perché non hai visto altro che questo…", brontolò la minore, mentre trafficava con la carrucola, "…e la montagna, o poco più. Giusto qualche pastore o qualche contadino quando eravamo piccole… Ma il mondo, le persone che lo abitano… chi li ha mai visti? Questo è vivere? Io voglio conoscere altri esseri umani e... le leggi della società, non quelle del bosco! Insomma, là fuori il mondo va avanti a oro e monete, dico io, e noi qui stiamo a barattare una capretta per un fiasco di vino da qualche pecoraio che si esprime praticamente solo a gesti e monosillabi"
 
"Misaki!", la rimproverò appena la sorella.
 
"Te l'ho già spiegato, Misaki", le interruppe perentorio Genma, "La società ha portato solo alle guerre, e le guerre portano con sè nient'altro che morte. Questo è quanto"
 
"Sì, lo so, ma io vorrei…
 
"Tra poco sarà pronto il pranzo, zio"
 
"Grazie Hitomi, cara. Cosa faremmo senza di te", disse Genma riappoggiandosi al tronco. "Su Misaki. Entra a dare una mano a tua sorella"
 
"Preferisco andare a vedere se le trappole hanno catturato qualcosa", borbottò la ragazza, ingoiando frustrazione, dopo aver lasciato in casa il secchio d'acqua, "Ce ne sono un paio qui vicino. Non ci metterò molto. Arriverò in tempo per il pranzo"
 
L'uomo si arrese e, dopo averle fatto un cenno di assenso, vide le due ragazze allontanarsi, una nel bosco, l'altra dentro casa.
 
Sospirò amaro.
 
"Nabiki…. Kasumi… Temo di aver sbagliato ogni cosa", mormorò tra sé e sé.
 
Riempiendosi i polmoni d'aria, nel tentativo di calmare la propria agitazione, sentì l'odore della pioggia riempire le sue narici. Seguì una nuvola stanca ondeggiare davanti al sole.
 
Presto avrebbe piovuto.
 
Gli anni erano passati in un batter di ciglia in quel luogo senza tempo, e quelle due bambine erano cresciute davanti ai suoi occhi colpevoli, ignorando il loro vero nome.
 
Tendo.
 
Nabiki Tendo e Kasumi Tendo.
 
Assaporò nella mente i loro nomi. Ogni volta che le chiamava Misaki e Hitomi si sentiva stringere le budella.
 
Era mai riuscito a perdonarsi di averle strappate al padre, quindici anni prima?
 
"Soun…"
 
Vecchio mio.
 
Si morse la lingua prima di formulare quell'epiteto un tempo usuale accanto al nome dell’amico.
 
L'uomo serrò la mandibola.
 
Il suo più caro amico e compagno d'armi quindici anni prima si era trasformato nel primo tra i suoi nemici, colui che gli aveva strappato la felicità dalle mani.
 
E allora Genma Saotome aveva giurato vendetta contro Soun Tendo.
 
Genma abitava in un villaggio appartenente alle terre adiacenti i dominii Tendo.
Era da poco morta la moglie dell'amico, e solo i kami sapevano quanto avrebbe voluto stargli vicino in quel frangente, ma Soun si era rifiutato di incontrare chiunque, lui compreso, chiudendosi nel proprio ostinato dolore.
Genma aveva compreso, e aspettando il momento buono per riavvicinarglisi, cresceva il suo unico figlio, di poco più di un anno.
 
Il suo piccolo Saotome.
 
"Ranma…"
 
A decidere di chiamarlo così era stata la moglie, ahimè morta di parto, e lui aveva voluto onorare quel bizzarro nome legando i capelli del bimbo, sottili ma presto già abbastanza lunghi da consentirglielo, in una treccina sulla nuca.
 
Inaspettatamente, come una fiera improvvisa sulla preda, la guerra si era abbattuta sul villaggio.
 
Una guerra feroce e senza senso, mossa dal principe Tendo contro i territori confinanti.
Una guerra in cui Soun-sama aveva raso al suolo interi villaggi, dimentico degli amici e dei nemici che vi abitavano.
 
Genma non era mai riuscito a dimenticare quel livido mattino di lame e di sangue che l'aveva colto di sorpresa, facendogli perdere di vista il figlio.
 
Il trambusto della battaglia gliel'aveva portato via.
 
Dopo che i soldati se ne erano andati, l'aveva cercato tra le macerie fumanti per giorni, per settimane, fino a che non si era rassegnato alla morte del bambino.
 
Tra le lacrime che gli appannavano gli occhiali, aveva giurato vendetta.
 
Tutto quello che era accaduto poi, nella sua memoria sfumava nell'allucinazione.
Una notte senza luna, l'adrenalina trattenuta nel tentativo di annullare la propria aura, due bambine che dormivano (e la terza dov'era?), l'orgoglio che ribolliva nelle tempie, il pianto lacerante, la fuga, la paura, l'amarezza della riuscita…
 
Soun gli aveva portato via il suo unico figlio e lui l'aveva ripagato con la stessa moneta, strappando le figlie al padre.
 
Ma quell'odio non trovò terreno oltre la vendetta. Genma amò quelle bambine come fossero sue e le crebbe come delle figlie, raccontando loro di esserne lo zio, l'unico parente rimasto dopo le guerre.
 
Avevano vissuto in quel luogo sperduto, lontano dal mondo civile, lontano dalla corte e dalle sue regole di potere e di dominio, ignare di essere principesse, ignare di avere un padre e una sorella.
 
Ma il sangue brucia nelle vene rammentando la propria origine e Nabiki mostrava da tempo una certa insofferenza per la propria condizione.
 
Kasumi era di indole più tranquilla. Aveva sempre preferito la cura della casa, il lavoro della lana e del filato alle altre attività.
 
Lui aveva voluto insegnare alle due ragazze a difendersi. Con Kasumi… beh, non poteva dirci di esserci riuscito… Ma almeno Nabiki sapeva tenere in mano una spada, anche se preferiva di gran lunga l'uso dell'arco, dimostrando di contro delle abilità tattiche non indifferenti: sapeva architettare le trappole più ingegnose per la cattura della selvaggina, prediligendo la caccia mentale a quella corpo a corpo.
 
Aveva cercato di essere un buon punto di riferimento per loro, ma qualcosa era andato storto.
 
Lui avrebbe voluto relegare a un angolo remoto dei propri ricordi cosa aveva compiuto e chi erano davvero quelle due ragazze. Avrebbe voluto vivere di quella vita divisa tra il duro lavoro e un ozio indolente.
 
Ma la realtà lo schiaffeggiava ogni giorno, sempre più esigente e amara. Aveva sofferto molto, ma aveva rapito due innocenti alla loro vita.
 
"Nabiki… Kasumi… Non posso più tornare indietro"
 
La confusione si agitava sempre più forte in lui.
 
"Ranma… Non posso più tornare indietro"
 
Il dolore lo schiacciava, il dubbio scemava e si riaccendeva.
 
"O no?…"
 
Il perdono premeva per essere accolto.
 
"Soun… Vecchio mio..."
 
 
 
***
 
 
 
 
Uscì dalla propria tenda.
 
Il Giappone.
 
Si trovava di nuovo lì: la terra che poco tempo prima l'aveva accolto a braccia aperte nei suoi palazzi, nei suo giardini, nelle sue camere da letto.
 
Non era poi così importante il fatto che aveva dovuto mentire e ingannare per intrufolarvisi.
 
Mousse spaziò con lo sguardo sulla piana su cui era accampato l'esercito cinese, in attesa. In attesa lo era anche lui, senza un perché. L'accampamento subiva la tesa elettricità che precede una battaglia non ancora dichiarata. Lui si sentiva inquieto e nervoso.
 
Inspirò profondamente l'aria del mattino e si chiese se ogni cosa fosse rimasta immobile e uguale a se stessa dall'ultima volta che era passato da quelle parti.
 
Senza che potesse farci nulla il sorriso della principessa Akane Tendo gli si illuminò nella mente.
 
Lo scacciò in malo modo.
 
Sul suolo natìo della ragazza si sentiva come se fosse senza armatura, più solo, e inspiegabilmente più vicino a lei.
 
Si chiese cosa ne fosse stato di lei, dicendosi anche che poco gliene importava.
 
Si rigirò distrattamente l’anellino di oro grezzo che aveva al mignolo, in un gesto nervoso ormai automatico.
 
Era stato tutto troppo veloce.
 
Aveva vinto. La scommessa, l’anello, l’onore. Aveva vinto.  Ma la soddisfazione era durata poco. Quell'impiastro giapponese, quel ragazzo così insulso e impulsivo era crollato sotto un filtro di Shan Pu. Niente di più prevedibile. E poi non si era più svegliato.
 
E Shan Pu… Shan Pu non solo non era riuscita a godere delle conseguenze della pozione, come avrebbe desiderato, ma dopo qualche giorno di appagato silenzio, la sua frivola sicurezza aveva cominciato a vacillare, e si era addirittura messa a temere per la vita di quel cretino. Gliel’aveva letto negli occhi. Quegli occhi freddi e acquosi come un bicchierino di liquore che ti taglia le gambe e ti fa salire un brivido lungo la schiena.
 
Glial’aveva letta, in quegli occhi, la paura.
 
Valeva la pena avere la vita di una persona sulla coscienza per una piccola ripicca?
 
Non si accorse che stava serrando i denti. Cercò di volgere quella smorfia in un sorriso stanco. 
 
Aveva davvero senso fare tutto quello per un rifiuto? Abbassarsi a tanto e con tanta tenacia?
 
Di certo non era lui ad avere la risposta.
 
Nè aveva avuto il tempo di trovarla, dato che, tempestiva, la lettera di chiamata alle armi era arrivata a toglierlo d'impaccio.
 
Un luccichìo traditore, giunto da chissà dove gli ferì gli occhi e Mousse abbassò lo sguardo, infastidito.
 
Non poteva immaginare che qualcun altro, come lui, si era alzato prima del tempo quella mattina e che quel riflesso partiva in effetti da un pezzo di armatura appartenente a una fiera cinesina di sua conoscenza.
 
 
 
 
A non troppa distanza, Shan Pu si stava preparando per la battaglia.
 
In un'ala separata dell'accampamento, destinata alla divisione amazzone, si spazzolava i lunghi capelli con la stessa maniacale serietà con cui lucidava le armi prima dell'attacco.
 
Era imbronciata e bellissima.
 
Il corpetto di metallo risplendeva ai primi raggi del sole, irradiandosi in riflessi birichini, e le stoffe vaporose che le avvolgevano fianchi e braccia, si gonfiavano leggere alla brezza del mattino.
 
Fissò cupa il vuoto.
 
Ancora la voce della signora Nodoka le rimbombava nelle tempie.
 
Devi andartene, Shan Pu! Tesoro mio, perché l'hai fatto?
 
Per divertimento.
 
Non potrà perdonarti…
 
Ingoiò bile. Non gliene importava.
 
Prega che non sia accaduto nulla alla sua Akane…
 
Questa poi.
 
Perché, piccola mia? Perché gli hai fatto questo? Potrebbe non risvegliarsi più…
 
No. No. No… Sentì vacillare il suo animo. Per un attimo, solo per un attimo, ebbe paura. Aveva avuto paura anche in quel momento. La signora gliel'aveva letta, quella paura, negli occhi. E Mousse… anche lui doveva essersene accorto, prima di partire per il Giappone. Si sentì una sciocca. Allontanò risoluta il ricordo del suo sguardo indagatore.
 
E se, benedetti kami, riaprisse gli occhi? Non temi la sua vendetta?
 
No, non la temeva. Si strattonò con la spazzola l’ultima ciocca di capelli.
 
Ma più di ogni altro rimprovero erano state quelle ultime parole soffocate dalla dolcezza delle lacrime ad alimentare in lei sdegno e risentimento.
 
Shan Pu, pensi davvero che il dolore si allontanerà da te se lo rigetti sugli altri facendo loro del male?
 
Non aveva risposto nulla.
 
Ingoiando ferita lacrime di stizza l'aveva guardata, si era alzata, aveva raccolto le poche cose con cui era arrivata, i bonbori e alcuni gioielli che ornano i capelli delle amazzoni prima del combattimento, e se ne era andata.
 
La signora Nodoka doveva aver capito. Shan Pu Era partita alla volta della guerra. Era andata lontano da lui e dalla propria colpa, a lottare contro il Paese da cui lui era fuggito.
 
Ma lei non aveva colpa. Non era stata una fuga.
 
La gatta non fugge: scatta in avanti. La gatta non commette errori: è una gatta, e pensa e agisce da gatta.
 
E lei, nella vita, era sempre andata avanti, senza fermarsi a riflettere su ciò che faceva, né sul perché. Lo faceva e basta.
 
Non avrebbe certo fatto eccezione in quel frangente.
 
 
 
***
 
 
 
Andava avanti.
 
Un passo e poi un altro, e un altro ancora. Da quanto ormai? Dieci? No, due. Due giorni soltanto, ma a lei sembravano un'eternità. Due giorni, e due notti buie.
 
Akane non credeva che il mondo potesse essere tanto duro. Non credeva di non riuscire più a percepire i muscoli intorno alle ossa. Di poter sentire in quelle ossa un freddo così pesante e appiccicoso. Le si era insinuato nel midollo durante la prima notte, quando si era raggomitolata sul ramo muschioso di un albero, tremando per quel freddo e la paura e cedendo a un breve sonno frammentato da incubi.
 
Ma quanto era lunga la strada che la separava da Hakata? Quanto diamine era largo il monte Inunaki da aggirare? Si era forse persa?
 
"No, non credo", sussurrò con una vocina sottile arrochita dalla fatica, nel tentativo di tenersi compagnia da sola e non impazzire del tutto.
 
Dal giorno prima aveva cominciato a intravedere di tanto in tanto all'orizzonte oltre la boscaglia, il profilo della città portuale e una strisciolina di mare.
 
Il mare.
 
Il cuore le si era fermato per un istante.
 
Aveva messo da parte la stanchezza, le vesciche ai piedi, il dolore, la rabbia. Aveva visto il mare per la prima volta.
 
E non solo.
 
Non credeva che il mondo potesse essere tanto duro, eppure non riusciva a non provare una scossa di piacere ogni volta che scopriva un nuovo suono, un nuovo colore, una nuova pianta.
 
Il mondo era vasto e terribile. E meraviglioso.
 
Il vento affilato la frustava, ma i raggi del tramonto, un tramonto visto da nuovi occhi, le avvolgevano caldi il cuore.
 
E quella linea di mare ancora troppo lontano, che lambiva un villaggio di forma inalterata (possibile che il giorno prima, studiandone la distanza con un occhio chiuso, le sembrasse grande come un'unghia e ora superasse di poco più la falange?), quella linea di mare aveva davvero il colore degli occhi di Ranma.
 
Represse una contrazione alla bocca dello stomaco.
 
Ranma…
 
No, aveva fame. Era solo fame quella che sentiva. Non il dolore sordo che le divorava le viscere, ormai da due giorni.
 
Scacciò il dolore e si concentrò sulla fame.
 
Non mangiava da due giorni. Beh sì, ma non quanto avrebbe dovuto. Non era abituata a fare la fame. Dapprima si era avventata sulle pietanze preparate da Ukyo per il viaggio e poi aveva cercato di nutrirsi con bacche e piccoli funghi. Ma alla fine quelli che sapeva con certezza essere commestibili non erano poi molti e aveva preferito sopperire all'inesperienza con un salutare brontolìo prolungato. Le era pure capitata una lepre praticamente tra le gambe, ma non aveva avuto cuore di mettere mano al pugnale. Per fortuna non si era imbattuta in animali più pericolosi che non avrebbero usato con lei la stessa cortesia. Né esseri umani. Era sola da due giorni. Sola coi propri pensieri e la propria stanchezza. Meglio così. Nessuno l'avrebbe vista spossata e sporca di terra. Forse l'avrebbero davvero presa per un uomo in quel momento, un uomo rozzo e puzzolente, senza la minima idea del decoro.
 
La scomoda verità era che Akane aveva dovuto fare i conti con una giovane principessa e non con un'esperta di arti marziali pronta a ogni evenienza.
 
Sì, era forte e probabilmente sarebbe stata in grado di difendersi, ma l'asprezza di quel mondo era nuova e difficile da digerire, senza contare che era infreddolita, affamata, schiacciata dalla sorte e sola, tanto sola.
 
Tanto da potersi permettere di piangere silenziosamente per ore senza asciugarsi le lacrime e lasciare che fosse il vento contro il viso a seccargliele.
 
Ma anche se poco prima era sul punto di svenire per la fame, lei era forte e stringeva i denti, incurante dell'anima che le gridava spiegazioni, e che lei zittiva prontamente, perché semplicemente non le aveva.
 
E fu a quel punto che cominciò a piovere. Una pioggia improvvisa che bramava sciogliere il mondo e lavarne via ogni intralcio.
 
Akane fece appena in tempo a calarsi il cappuccio sulla fronte, evitando al pastone scuro spalmato sul volto di liquefarsi, che già sentì la schiena inzupparsi e le gambe farsi molli.
 
Non vi era l'ombra di un riparo, davanti a lei. Anche i rami più fitti erano violati da quella pioggia violenta e incessante.
 
Non un lamento le uscì dalle labbra violacee. Continuò a guadare il muro d'acqua che la separava del mondo, al ritmico ticchettìo dei denti che battevano tra loro.
 
Si trascinò coi piedi fradici e le vesti gonfie e pesanti per ore.
 
Quando la pioggia cessò continuò a camminare, scaldandosi come poteva al sole del pomeriggio. La legna bagnata non si sarebbe accesa. Tanto valeva continuare a camminare nella speranza di trovare un riparo per la notte.
 
Fu allora che le parve di intravedere da lontano tra gli alberi un filo di fumo. In quel momento un fuoco caldo era l'unico balsamo che chiedeva per il suo corpo provato.
 
Arrancò tremante verso la fonte di quel fumo e le si parò davanti una casupola di legno.
 
Sembrava disabitata, se non fosse stato per quel fumo che sgattaiolava leggero dal comignolo.
 
Di colpo le riaffiorarono alla mente i racconti di Obaba che tanto la spaventavano da bambina: storie di demoni mangiauomini e di spiriti maligni che attirano i viandanti nelle loro tane per poi divorarli o peggio maledirli.
 
Fu lei a maledire la fame e il bisogno di comodità che reclamava in quel momento ogni sua molecola, corrompendo il buon senso.
 
Si avvicinò cautamente. Forse era il caso di annunciarsi? No, meglio di no, non ancora.
 
Un profumo di funghi e legumi la accolse invitante, rendendola temeraria.
 
Si guardò intorno.
 
Nessuno.
 
"E'… è permesso?", osò.
 
Nessuna risposta.
 
Mise mano al pugnale, sperando di non doverlo usare.
 
"Sto-sto entrando", continuò ingrossando la voce, "Non ho cattive intenzioni", aggiunse con una specie di buffo squittìo più che con l'audacia che avrebbe voluto ostentare.
 
*Sperando che non ne abbia chiunque viva qui*
 
Ancora nessuna risposta.
 
Pregò che nessuno fosse pronto a braccarla, che se proprio avesse dovuto incontrare qualche essere del bosco, almeno fosse uno spirito benigno che nulla avesse a pretendere da lei, che in fondo stava entrando senza permesso solo perché era affamata, infreddolita, stanca.
 
E tremando e pregando, varcò la soglia, lasciandosi alle spalle il bosco, il viaggio e il mare lontano.
 
***
 
 
Akane lo stava guardando con occhi infiammati e i lunghi capelli scompigliati dall'ira.
 
L'aveva fatta grossa. Le aveva appena detto che lei non si doveva immischiare in un combattimento tra uomini, che si sarebbe fatta male, imbranata com'era. Si vergognò subito di quelle parole, già mentre stava finendo di pronunciarle, e la guardò colpevole, torturandosi il codino. Ma ormai era troppo tardi.
 
Lei, infuriata, gli diede le spalle: "Lascia stare, non importa!"
 
Ryoga, a cui invece importava dell'umore e della fiducia della sua principessa, si sentì chiamato in causa. Anche se sembrava nè più nè meno che uno dei soliti battibecchi tra Ranma e Akane, un po' era anche colpa sua: era lui che si stava allenando con Ranma e insieme stavano cercando di affinare una nuova tecnica basata su calma e precisione.
 
Al diavolo la calma.
 
Ryoga si fece prendere dall’agitazione e la sottile fascia di pelle, tagliente come una lama, che stava facendo roteare sopra la propria testa, gli sfuggì rapida dalle mani.
 
Saettò contro il collo di lei e… Zac!
 
 
 
 
Si svegliò, scosso da un leggero tremito.
 
Un sogno.
 
Si era appisolato cullato dal mare. E ora aveva la fronte sudata, il capo bollente.
 
Un ricordo, a dirla tutta. Eppure venato da una nuova angoscia.
 
La testa gli era caduta per pochi istanti appena, ma era bastato per rivederla.
 
Ne accarezzò l'immagine, ancora vivida nella mente, cercando di scacciare qualsiasi pensiero che potesse turbarla.
 
Si trovava in coperta, lontano dagli occhi sospettosi dei suoi commilitoni. Non potevano avere nulla da ridire apertamente: anche Shinnosuke, il loro stesso generale era di origine nipponica. Ma lui la loro stima se l'era conquistata poco a poco. Questo ragazzo dagli occhi foschi e dalle poche parole si era arruolato in pochi minuti solo perché l'esercito aveva bisogno urgentemente di braccia.
Chi era? Cosa ci faceva nell'esercito cinese? Andava tenuto d'occhio.
 
Ranma sbuffò, incurante di quanto fosse provvisoria la sua condizione, e ficcò una mano nel fagotto delle proprie cose, le stesse che si era portato appresso nel suo addio al Giappone, e che ora sembravano le uniche a ricordargli di avere avuto un'identità, un passato.
 
Fu facile per lui riconoscere tra le dita il piccolo involto di seta.
 
Lo tirò fuori, lo aprì con cura e si ritrovò sul palmo della mano una ciocca scura di capelli tenuti insieme da un nastro giallino, che ne marcava i riflessi bluastri.
 
Non possedeva poi molto. E nulla di valore. Ciò che stava stringendo in quel momento rappresentava decisamente un'eccezione.
 
Avvicinò la ciocca al viso e lasciò che fosse la morbidezza prima ancora del profumo a solleticargli le narici, ritrovando una sensazione familiare.
 
Un piccolo rituale che faceva da quella volta. Un rituale più frequente da quando era stato allontanato da lei.
 
Quella volta…
 
Dovevano essere passati due anni o poco più… Lei portava ancora i capelli a quel modo, legati da quel nastro giallo...
 
"Akane…"
 
Ukyo, poco distante, aveva visto la scena. I suoi occhi erano fuori dalle orbite. La ricordava mentre guardava la padroncina e guardava la ciocca di capelli a terra, (la stessa che pochi minuti dopo, gonfio in viso e dolorante, lui avrebbe raccolto di nascosto), e che era schizzata via nel momento in cui, benedetti Kami, la principessa si era accorta del pericolo e si era abbassata per schivare l'arma affilata.
 
L’ancella li aveva poi freddati entrambi con uno sguardo omicida.
 
Lui aveva abbassato il suo di sguardo, per poi spiare di sottecchi Akane, che se ne stava immobile.
 
Solo il vento le smuoveva quell'insolito taglio di capelli, leggero e disordinato.
 
Era bellissima.
 
"Sembra… sembra sotto shock…", aveva osato dire, a fil di voce, ignorando le proprie considerazioni.
 
"E' logico", l'aveva rimbrottato Ukyo, "Le sono stati tagliati i suoi bellissimi capelli! Capelli così belli sono invidiati da tutte! Non riesci a capire cosa può significare tutto questo?"
 
Non sapeva che dire di fronte a tanta aggressività. Si era ritrovato a rispondere, un po' titubante:"Certo… certo che capisco! I… i capelli sono importanti!"
 
 
*Come sanno essere melodrammatiche per certe cose, a volte, le donne…*, sorrise tra sé e sé.
 
Rivivendo quel momento si rivide interdetto.
 
Dunque anche Akane aveva a cuore a una cosa frivola e femminile come quella? Anche il suo… ehm.. "maschiaccio"?
 
"Sì, ma per fortuna non è ferita", si era intromesso Ryoga sospirando tra il sollievo e la colpa. Per una frazione di secondo aveva davvero temuto il peggio.
 
"Non è ferita, ma per colpa tua ha perso i suoi capelli!", era intervenuto lui, precedendo Ukyo. Anche se non aveva colto appieno il senso della questione, la cosa gli era sembrata piuttosto grave: ancora Akane non aveva detto nulla e fissava il vuoto.
E si era sentito in dovere di prendere le sue parti contro la mancanza di tatto di Ryoga, rimasto paralizzato da quella verità.
 
Era stato per questo motivo che lui, Ranma, aveva detto: "Mi dispiace, è tutta colpa mia, Akane! Colpiscimi pure"
 
Il ragazzo con la bandana, subito, si era schierato dalla parte della colpa, pregandola per una punizione.
 
"Colpite anche me!"
 
"Cerca di sfogarti, se ti può far star bene", aveva rilanciato lui, in una sfida alla redenzione, "Picchiami dieci volte. Picchiami  anche venti volte, se vuoi"
 
"Colpitemi con tutta la vostra forza, Akane-san, non abbiate timore. Avete tutte le ragioni"
 
Il fatto che poi lei avesse ascoltato quei consigli e si fosse sfogata su di loro senza remore, non era altro che un epilogo divertito del ricordo.
 
 
 
Il sorriso gli si spense sulle labbra, in un'espressione seria e concentrata.
 
Quella volta, insieme, avevano temuto per lei, si erano scusati, si erano presi le proprie responsabilità.
 
Insieme e senza fiatare si erano fatti picchiare dalla forza erculea di Akane.
 
No, Ryoga non le avrebbe mai fatto del male.
 
Eppure…
 
Si ritrovò tra le mani la sua lettera.
 
E, senza averlo davvero deciso, la rilesse per l'ennesima volta.
 
…Amico mio… Mi hai chiesto la più difficile delle scelte...
…Ma per l'amicizia e la lealtà che ci lega, ho scelto…
…non sono riuscito a crederla colpevole, fino alla fine...
…Con dolore…
 
No, Ryoga. Non l'hai fatto.
 
Stropicciò il foglio tra le dita, stringendo i denti.
 
Dimmi che non l'hai fatto.
 
Allontanò da sé ogni dubbio o paura con la veemenza di un pugno ottuso e ben assestato.
 
Basta!
 
Doveva arrivare al più presto. Doveva sapere.
 
Quella nave sembrava immobile e pigra.
 
Per un attimo valutò seriamente l'idea di buttarsi in mare e colmare a nuoto la distanza che lo separava dal Giappone e dalla verità.
 
Fu in quel momento che, alzando lo sguardo, si accorse che all'orizzonte si intravedeva la costa.
 
Una scarica di adrenalina lo attraversò violenta, rimpolpando ciò che bastava di quella sana arroganza che, nonostante tutto, gli usciva sempre nel momento del bisogno, tirandolo fuori dai dubbi e dai guai.
 
"Sto arrivando, Akane. Sto arrivando"
 
 
 
 
--
 
Ciao a tutti!
 
Innanzitutto grazie grazie e ancora grazie alla toccante fanart al capitolo 12 della splendida Spirit99 che mi ha fatto una sorpesa pochi minuti fa!!!! Non la trovate semplicemente meravigliosa? Davvero non ho parole…
 
Per quanto mi riguarda sono riuscita incredibilmente ad aggiornare in tempi record, considerando i miei standard! XD
D’altronde non potevo lasciarvi troppo a lungo con l’eventualità di una morte imminente..! Per quanto… ognuna delle splendide persone che mi ha lasciato una recensione al capitolo precedente e ha fatto le proprie supposizioni, ha pressocchè indovinato come sarebbe andata a finire… Ahahah!!!  Un premio a LadyChiara, Xingchan, Gretel85… Lallywhite, ci sei andata vicinissimo!  Mi avete fatto morire! Nessuna, dico nessuna che ha temuto per il peggio: la vostra fiducia in Ryoga non ha mai vacillato!... ;-)  (Ma in generale vi avverto, non abbassate la guardia, eheh!...)
 
Scherzi a parte, grazie per essere arrivati fin qui.
Il capitolo è lunghetto, in particolare la prima parte, ma per come si era fermata la narrazione ho sentito la necessità di indugiare un po’ più del dovuto nell’addio tra Akane e Ryoga e nelle emozioni che questo porta con sé.
 
Più che mai questo capitolo è un capitolo di passaggio, in cui tiro vari fili.
 
Non posso non dedicarlo a Faith, la quale dall’inizio della storia attende fedele l’entrata in scena delle sorelle! Eccoci finalmente, e con loro…Genma! (Altra carne al fuoco, tanto per annodare sempre più la vicenda).
 
Ma basta chiacchiere!
 
Ringrazio moltissimo quanti stanno leggendo, preferendo, seguendo, ricordando e soprattutto recensendo.
Col capitolo precedente siete arrivati sopra al centinaio e per me è stata un’emozione indescrivibile!
 
Un abbraccio a voi tutti!
 
E un saluto speciale alle mie Ladies!
 
Inuara
 
 
  
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