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Autore: _cercasinome_    18/04/2016    2 recensioni
-Cana-san?- la chiamò con voce lieve la blu. La castana interruppe la sua bevuta, guardando sorridente la ragazzina e invitandola a parlare –Perche bevi?- chiese timida, arrossendo leggermente per la paura di essere stata troppo diretta e inopportuna.
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Piccola storia sulla mia ipotesi del perché Cana abbia iniziato a bere. Spero vi piaccia, buona lettura!
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kana Alberona, Macao Conbolt, Wendy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Taste of Sadness

-Perché bevete?-
I due uomini, boccali di vino rosso già alle labbra nonostante fosse solo tarda mattinata, sbatterono più volte le palpebre, osservandosi sorpresi tra loro, per poi riconcentrarsi sulla ragazzina che, braccia distese sul tavolo e mento appoggiato sula superficie di legno che puzzava ancora di disinfettante, stava seduta davanti a loro.
-Che domanda è mai questa?- chiese divertito l’uomo dal ciuffo più assurdo che la giovane avesse mai visto  -Perché ci piace, no?!- aggiunse scrollando le spalle come se avesse detto qualcosa di assolutamente ovvio.
La ragazzina dai lunghi capelli castani storse il naso, per niente convinta, ma, allungatasi sul tavolo, rubò dalle mani dell’uomo dai capelli scuri il suo boccale. Sotto il suo sguardo di disappunto, bevve un sorso di quel liquido color prugna, facendolo scendere lungo la gola. Schioccò la lingua sul palato, cercando di analizzare attentamente quel gusto forte e leggermente frizzante, e si leccò le labbra, pulendole da ogni goccia, mentre l’uomo si riprendeva avido ciò che lei aveva “preso in prestito”.
-Si, non è male- ammise –Ma io voglio sapere perché ne bevete così tanto fino ad ubriacarvi. Cosa c’è di bello nel non riuscire a stare in piedi e a dire scemenze dalla mattina alla sera?- riprovò, afferrando il viso tra le mani e puntellando i gomiti sul tavolo. Li scrutò sempre più curiosa con i suoi grandi occhi viola, prima uno, poi l’altro, attendendo una risposta che la soddisfacesse.
Macao e Wakaba rimasero basiti per qualche secondo, sentendosi leggermente offesi da quelle parole. Era quello ciò che una semplice ragazzina pensava di loro?
-Cana, non hai niente di meglio da fare?-le sorrise Macao, scolandosi fino all’ultima goccia di vino rimasta nel suo boccale.
La castana scosse semplicemente la testa.
Tutti i ragazzi della sua età erano in missione oppure in giro per Magnolia. Lei aveva deciso di rimanere in gilda, come aveva fatto tutta la settimana. Qualche giorno fa, infatti, aveva sentito dire al master che, probabilmente, Gildarts sarebbe tornato in quei giorni. Non poteva rischiare di perdere quell’occasione. Forse sarebbe riuscita, finalmente, a dirgli tutta la verità.
Così si era ritrovata ad aspettare lì, ogni giorno, dalla mattina alla sera, seduta su quelle scomode panche di legno. E l’unica cosa che poteva fare durante l’attesa era osservare ciò che le accadeva intorno.
E i suoi occhi vispi e attenti (e le sue orecchie) non avevano potuto ignorare la confusione e il chiasso che, quotidianamente, Macao e Wakaba scatenavano in gilda.
I visi perennemente rossi e gli occhi lucidi a causa del’alcool, le movenze di due funamboli imbranati.  Stavano lì, tutto il giorno, a bere, ridere, scherzare, litigare e urlare. Niente di molto entusiasmante. Anzi, spesso si beccavano qualche sedia in testa dai loro compagni che cercavano un po’ di riposo dopo una lunga e faticosa missione.
Eppure… sembravano divertirsi così tanto. Erano sempre felici e allegri.
Sapeva che era, per lo più, merito del vino, però doveva ammettere di essere leggermente invidiosa. Lei aveva solo quattordici anni, era ancora una ragazzina, ma non rideva mai come loro.
Uno sbuffo la fece ridestare dai suoi pensieri e riportare l’attenzione sugli uomini che aveva davanti, capendo che avevano ceduto e che presto le avrebbero detto quello che voleva sapere.
-Beviamo perché ci aiuta a non pensare- sospirò Macao  -A noi non piacciono le cose tristi. Quindi beviamo per essere sempre allegri e dimenticare il resto- cercò di spiegare con parole semplici, in modo che lei potesse capire.
-Si, come ad esempio il fatto che ogni giorno a casa mi aspetta mia moglie- scherzò Wakaba, rabbrividendo al solo pensiero, per poi sbattere forte la mano sul tavolo e ridere sguaiatamente, contagiando anche l’amico.
Cana non riuscì a rimproverarlo per la battutaccia nei confronti di sua moglie, ma sorrise anche lei divertita dal comportamento di quei due. E mentre loro ordinavano ancora da bere, lei si prese il mento fra le mani, riflettendo su ciò che le avevano appena detto i due uomini.


Corrugò la fronte, storcendo le labbra e appoggiando le mani sulle gambe incrociate , lasciate nude dal vestito verde.
Sospirò pesantemente, scrollando il capo e facendo ballonzolare il materasso del suo letto sul quale era seduta, rischiando di far cadere le bottiglie che aveva davanti e di rovesciare il loro contenuto sulle lenzuola pulite e sul pavimento.
Erano passate altre due settimane. Quattordici lunghissimi giorni. E di Gidarts, ancora nessuna traccia.
Sicuramente Makarov si era sbagliato: non sarebbe tornato, non ancora. Sarebbe stato via per chissà quanto altro tempo.
Sentì gli occhi pizzicare, ma ricacciò immediatamente indietro le lacrime, testarda e orgogliosa.
Si portò una ciocca castana dietro l’orecchio, piegando il viso da un lato e continuando a fissare insistentemente quelle due bottiglie che aveva “preso in prestito” dalla gilda, come se da un momento all’altro queste potessero iniziare a parlare e consigliarle cosa fare.
Ripensò attentamente alle parole di Macao e Wakaba.
Anche lei voleva essere felice, senza pensieri. Voleva smetterla di essere perennemente triste, solo ed esclusivamente per colpa sua.
Era arrivata a Fairy Tail con l’intenzione di conoscere suo padre e, non appena lo aveva incontrato, non era riuscita a dirgli niente. Eppure bastavano tre semplici parole: “sono tua figlia”.
Non doveva essere così difficile.
Ma lei non ce l’aveva fatta. Non ce l’aveva fatta la prima volta, la seconda, la terza, la quarta e, ne era sicura, non ce l’avrebbe fatta mai e poi mai.
E questo pensiero non faceva che rattristarla sempre più, perché, dentro sé, provava mille emozioni, che si mescolavano fra loro, mandandole la testa in confusione e generando salate lacrime che lei, la notte, quando nessuno poteva vederla e sentirla, non riusciva più a trattenere.
Perché voleva che tornasse, che passasse più tempo in gilda e con lei. Ma la consapevolezza di non riuscire a confessargli la verità non le faceva apprezzare neanche quei momenti durante i quali lui si trovava a Magnolia.
Avrebbe tanto voluto corrergli incontro ad ogni suo ritorno, saltargli tra le braccia, farsi stringere forte, e chiamarlo papà, dicendogli quanto gli fosse mancato e beandosi dei suoi baci fra i capelli.
E invece si limitava a salutarlo con un gesto della mano e un sorriso, mentre Natsu, Gray, Erza e tutti gli altri gli saltellavano intorno come tante ranocchie, arrampicandosi su di lui e giocando come se fosse loro padre.
Non era gelosa, non lo era mai stata.
Era triste. Triste perché sapeva che, se solo avesse voluto, anche lei avrebbe potuto comportarsi diversamente e ricevere le attenzioni che tanto desiderava.
Dunque era solo colpa sua.
Ma voleva smettere di deprimersi! Appena entrata a Fairy Tail, era stata immediatamente ben accolta da tutti quanti e, grazie al master Makarov, aveva imparato ad usare la magia. Amava davvero Fairy Tail, e non l’avrebbe abbandonata solo per cercare di dimenticare suo padre.
Sarebbe rimasta lì. Ma doveva trovare un modo per sopportare le rare visite di Gildarts e il loro distacco.
Macao e Wakaba le avevano dato un’idea.
Deglutì, mentre stringeva fra le dita il collo di una bottiglia.
Voleva smettere di pensare a lui.
Voleva essere felice: ridere e scherzare come tutti gli altri.
Chiuse gli occhi, portandosi la bottiglia alle labbra e, dopo un lungo respiro, fece scivolare il liquido rossastro nella sua bocca.
Storse il naso, allontanando la bottiglia e iniziando a tossire a causa del gusto forte che le pizzicava la gola.
Bere qualche goccia era diverso dal bere un lungo sorso come quello.
Però non era male. Il sapore era davvero buono, doveva semplicemente farci l’abitudine.


Sollevò con forza il grande barile di legno, aprendo la bocca e gustandosi appieno il sapore di quel vino rosso di prima qualità.
Lo riappoggiò con forza sul tavolo solo quando non riuscì più a trattenere il fiato.
Si asciugò con un braccio le labbra e il mento, bagnati dalla bevanda, e rise entusiasta, iniziando a sentire quel piacevole calore provocato dall’alcool avvolgerle il corpo.
Aprì gli occhi, ritrovandosi davanti la piccola Wendy, seduta sulla panca. Sembrava ancora più piccola vista da sopra il tavolo sul quale era stravaccata.
-Ehi Wendy! Ne vuoi un po’?!- chiese divertita, piegando il barile in direzione della Dragon Slayer, che sgranò gli occhi, muovendo freneticamente le mani davanti al viso, in segno di diniego.
-Non offrire certe cose a Wendy!- la rimproverò Charle, seduta sulle gambe della ragazzina, facendo solo ridere ancora di più Cana.
-Ne vuoi un po’ tu, gatto?- disse, sollevando le sopracciglia e indicando la gattina bianca e la sua perenne smorfia arrabbiata.
-Assolutamente no!- rispose sicura, incrociando le zampette al petto.
-Come vuoi- disse Cana, scolandosi un altro po’ di vino direttamente dal barile, come faceva sempre.
-Cana-san?- la chiamò con voce lieve la blu. La castana interruppe la sua bevuta, guardando sorridente la ragazzina e invitandola a parlare –Perche bevi?- chiese timida, arrossendo leggermente per la paura di essere stata troppo diretta e inopportuna.
Cana sembrò pensarci un attimo, alzando il capo verso l’alto e puntando lo sguardo al soffitto e assumendo un’espressione pensierosa, resa meno credibile dal rossore che colorava le sue guance. Le sfuggì un piccolo sbuffò divertito.
Ghignò allegra, troppo allegra, mostrando tutti e trentadue i denti, piegando il busto verso Wendy e chiudendo gli occhi a mezza luna.
-Perché mi piace, no?!-
 
  
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