Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: InkTears    18/04/2016    2 recensioni
-Tu sei il mio sole Jean e cercherò sempre di proteggerti perché…perché ti amo, ora e sempre…-
Marco sciolse le sue dita dalla mano dell’altro e l’abbracciò più forte spaventato che se ne potesse andare, ma le mani del biondo gli afferrarono con forza la maglietta attirandolo di più a lui. Il suo calore lo avvolse e le guance ancora bagnate gli solleticarono il collo, un raggio di luce li illuminò...
Genere: Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(Ho corretto questa storia dopo più o meno due secoli da che lo scritta, ma mi sembrava corretto farlo, spero di aver corretto tutto e non aver tralasciato nulla perché dal telefono si vede leeeegeermente piccolo. Detto ciò buona lettura a chi capiterà su questa piccola storiella senza pretese e grazie infinite a chi l'ha già letta e recensita <3)  
C’era un maledetto freddo quella notte e i denti continuavano a battere in maniera costante ed incessante, scandendo quel interminabile scorrere dei minuiti che non voleva portare l’alba, lasciando l’oscurità padrona del tempo. Quanto avrebbe dato per un raggio di sole o un po’ di calore in quel momento! Dormire  era escluso non riusciva a chiudere occhio, nonostante i due strati di calze e il maglione pesante sembrava di avere le ossa di ghiaccio a causa del rigido clima invernale. Avvolto nella coperta, con le ginocchia rannicchiate contro il petto, decise di osservare ciò  che lo circondava, studiò le ombre alte dei letti a castello, udì il cigolare di alcune assi di legno e il lieve russare di qualche suo compagno, sicuramente Eren o Connie. Era sempre stato un buon osservatore, sensibile ed attento, certo non si poteva paragonare ad Armin a cui non sfuggiva mai nulla, ma lui non ne aveva bisogno, gli bastava poter sorvegliare e vedere ogni giorno il volto di quel ragazzo che gli aveva portato via il cuore, come se glielo avesse strappato del petto e lo tenesse ancora vivo e pulsante tra le sue mani. Voltò lo sguardo verso la branda del ragazzo in questione e si stupì di  non vederlo addormentato nel suo solito modo disordinato, abbracciato al cuscino, con la coperta che strusciava per terra, una gamba che pendeva dal letto, i capelli corti arruffati. Sorrise nascondendo tra le mani il volto. Tornò ad osservarlo quando gli giunse alle orecchie un rumore attutito dall’ombra della notte, un singhiozzo debole e ferito. Alzò la testa e si accorse che Jean stava piangendo. Non l’aveva mai visto piangere e credeva che mai sarebbe successo. Insomma! Era lui quello frignone tra i due, non il biondo.
Si alzò trascinandosi dietro tutte le coperte, che  silenziose frusciavano sul pavimento gelido. Facendo il minor rumore possibile giunse accanto al letto del biondo, inginocchiandosi gli sfiorò appena con una mano la gamba piegata affinché l’altro notasse la sua presenza.
-Ehi tutto bene?- il suo fu appena un sussurro. Jean alzò il viso dalla braccia incrociate al petto, gli occhi arrossati e ancora lucidi. Jean sembrò accorgersi di lui dopo qualche secondo, contorse le labbra in un' espressione amara prima di parlare:
-M…Marco…cosa ci fai ancora sveglio?-
-Ho troppo freddo, non riesco a dormire, ma piuttosto …-
-Allora non stare li per terra Lentiggini o ti congelerai definitivamente.- le parole di Jean lo interruppero prima che potesse finire di parlare, ma obbedì sorridendo, si sollevò mentre Jean si sedeva facendogli posto per mettersi accanto a lui, il moro si accomodò con le guance appena arrossate per l’imbarazzo.
-Jean?-
-Che c’è?-
Un raggio di luce lunare filtrò dalla finestra macchiando di una pallida chiazza lattea il fondo del letto. Marco si voltò a guardare Jean che con gli occhi fuggiva i suoi e tirava su col naso per bloccare le ultime lacrime, arricciandolo in maniera buffa e tenera. Il petto di Marco venne stretto in una morsa di dolore che non aveva origini, non era a causa delle lacrime di Jean era qualcosa che, neanche sapeva il perché, ma faceva male. Poi capì, lui non avrebbe dovuto essere li, ma non riusciva ad abbandonare Jean, forse non ci sarebbe mai riuscito.
-Jean perché piangi?-
Il biondo si voltò di scatto.
-Non sto piangendo!- le sopracciglia aggrottate e due lacrime che solcavano simmetriche le sue guance lo tradirono. Infossò il volto tra le braccia e colto dal freddo anche lui iniziò a tremare, scosso in parte dai singulti e in parte dal gelo. Il moro si  fece più vicino e lo avvolse insieme a lui nella coperta, stringendolo tra le braccia e cullandolo lievemente, Jean si girò all’improvviso cingendogli il busto con forza e poggiando il volto sul suo petto, come se Marco fosse stato la sua unica ancora di salvezza. Un po’ di calore raggiunse il freddo petto del moro.
-Ho maledettamente paura Marco, non so perché, ho come l’impressone che presto tutto sarà macchiato di sangue e rimarrò solo, circondato da cadaveri che un tempo furono miei amici, conoscenti… o forse è già successo, non lo so , non so più niente Marco, non voglio ricordare il passato perché so che mi ucciderebbe e non voglio immaginare un futuro perché vedo solo morte. Ho paura Marco, ho paura di tutto, ho una fottuta paura…- passarono un paio di secondi in cui il silenzio fu interrotto solo dall’affannato respiro di Jean, secondi in cui Marco si beò del profumo del ragazzo che lo stringeva, della sua semplice presenza, secondi in cui il tempo sembrò essersi fermato e un' ombra si allungava arrampicandosi silenziosa sulle spalle del moro oscurandogli appena la parte destra del viso, cingendogli il braccio, un’ ombra che non se ne sarebbe mai andata.
Marco  sollevò  il viso del ragazzo biondo tenendolo fra le sue  mani, gli asciugò le lacrime sugli zigomi con i pollici e dopo che ebbe arricciato il naso per l’ennesima volta glielo baciò divertito. Rise illuminando per un momento l’intero dormitorio maschile con la sua risata limpida e cristallina. Jean corrucciò lo sguardo, lievemente offeso dalla risata dell’altro e volse gli occhi sul lenzuolo sgualcito per nascondere il lieve rossore che gli imporporava il viso.
-Cosa c’è? Perché ridi?!-
-Piange mai la luna perché non può incontrare il sole? No, e non scappa, ogni notte torna in tutta la sua eterea bellezza, in attesa del suo amato.-
-Cosa centra, non sono più un bambino! Queste storie non me le raccontano più da quando ho sette anni.-
-Vedi che non capisci tonto, dovrebbero raccontartele ancora. Non devi avere paura e non devi piangere, siamo troppo giovani per farlo e la vita va vissuta ridendo, perché ricordati che ad ogni cosa brutta ne segue una bella. Se la luna stesse con il sole noi non la potremmo mai vedere e la notte sarebbe solo buia notte, eppure guarda che serate meravigliose ci regala nonostante la sua tristezza, non è  bello?- il biondo seguì con gli occhi la mano scura di Marco che indicava la finestra, le stelle brillavano guidate dalla luna, il dito del moro si mosse lievemente come a voler unire alcuni di quei puntini luminosi e Jean si accorse di quanto bella fosse la notte e di quanto bello fosse Marco nella sua infinita ingenuità che lo rendeva più saggio e maturo di tutti loro messi insieme. Jean gli afferrò la mano intrecciando le loro dita.
-Marco scusa non capisco, la notte è magnifica, ma cosa significa tutto questo? -
Un altro bacio giunse sul naso del biondo, poi sulla fronte.
-Tu sei il mio sole Jean e cercherò sempre di proteggerti perché…perché ti amo, ora e sempre…-
Marco sciolse le sue dita dalla mano dell’altro e l’abbracciò più forte spaventato che se ne potesse andare, ma le mani del biondo gli afferrarono con forza la maglietta attirandolo di più a lui. Il suo calore lo avvolse e le guance ancora bagnate gli solleticarono il collo, un raggio di luce li illuminò passando attraverso il più alto, facendo scintillare l’ultima lacrima sulle ciglia di Jean.
-Marco non te ne andare.-
Il ragazzo posò le mani sull'ovale del viso del biondo, un'altra volta…l’ultima volta.
-Lo sai che non posso, io…-
-No! No no no no no! Marco ti prego…- gli occhi di Jean vennero di nuovo deformati dalle lacrime e dalla disperazione, il labbro inferiore tremava e i denti battevano tra loro  cercando di trattenere gemiti disperati, lo sapeva, aveva sperato che non lo fosse, ma era stato ingannato di nuovo...
-Marco io…io ho bisogno di te…-
Posò le sue labbra sottili e tremanti su quelle fredde del moro, fu un bacio breve e freddo, quasi inconsistente.
-Jean io so…-
-Non lo dire! Non è vero! Non è vero…tu sei qui con me vero?! Marco…- la fronte del moro si poso su quella dell’altro, leggera come una farfalla, gelida come la neve.
-Jean io sono morto, ma continuerò a vegliare su di te ogni giorno, seguendoti silenzioso come la luna segue il sole, perché tu sei il mio sole, ma il mio sole deve ridere perché se no che senso avrebbe la sua vita già bagnata dalla pioggia e dal sangue?-
Il suo corpo si fece pallido, sempre di più, le mani di Jean che lo cercavano disperatamente arpionavano ormai solo il vuoto.
-Marco, Marco no, non un’altra volta… ti prego…io…io ti amo…-
Con l’ultima essenza di corpo rimasta Marco si piegò sul suo orecchio:
-Sarò sempre con te…- un soffio leggero come una piuma baciò la guancia di Jean prima che il freddo tornasse a impregnare ogni sua fibra corporea. Jean crollò sul letto afferrando la coperta e lanciandosela addosso, cercando di coprirsi da quell’immenso vuoto che lo scavava da dentro. Si portò le ginocchia fin sul petto, dove con una mano si stringeva il maglione all’altezza del cuore. “Non devi piangere…la vita va vissuta ridendo” quante volte gliel’aveva detto Marco, ormai aveva perso il conto e ogni notte tornava a ripetergliele, ma perché non ci riusciva?! Perché faceva cosi maledettamente male?! Avvolse il guanciale tra le braccia robuste:
-Ci…ci proverò Marco, per te, riderò…- nascosto tese gli angoli della bocca all’insù, ma non ci riusciva, le lacrime inondarono di nuovo gli occhi e il nero della tristezza riprese il sopravvento. Altre lacrime seguirono le prime.
Le nuvole scoprirono la luna nella sua interezza e lei, violenta, inondò il dormitorio, illuminando i ragazzi dormienti abbandonati tre le braccia di Morfeo e un giovane, uno solo, che sfuggito al dio del sonno, piangeva abbracciando il cuscino, e che tra le lacrime rideva esprimendo in quel sorriso tirato l’odio e il dolore che il mondo gli aveva donato…piangeva su quel cuscino su cui le lacrime, avevano disegnato tante piccole umide lentiggini che non se ne sarebbero mai andate.
   
 
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