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Autore: lawlietismine    19/04/2016    13 recensioni
Sterek - Au - Childhood Friends.
Derek ricorda bene come lui e Stiles sono diventati amici, o almeno ricorda come all'inizio quel bambino petulante e iperattivo si era introdotto nella sua vita fra la sua invadenza incontrollata e le sue insistenti domande comandate dall'incessante curiosità.
[...] Ricorda anche che la prima volta che se l'era visto arrivare in contro con quei capelli rasati, lo aveva guardato con una smorfia a delineargli le labbra e la tremenda voglia di chiedere alla signora Stilinski cosa le fosse passato per la testa.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi purtroppo non mi appartengono (sennò Stiles e Derek sarebbero insieme su un'isola a questo punto, non uno chissà dove e l'altro circondato da idioti) 
e questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Note: Beh, questa storia mi ha fatta dannare in un modo assurdo. Ci ho messo più giorni del previsto per scriverla.
Nella scorsa One-Shot avevo detto di avere un'idea nuova, ma alla fine ho pensato ad altro e quindi è nata questa.
Sono più di 8 mila parole, è ufficialmente la mia OS più lunga per ora.
Cooomunque, è una Au in cui Stiles e Derek si conoscono fin da bambini.
Ho messo una differenza di età di quattro anni, ma a volte potranno sembrare tre solo perché Derek è nato a Dicembre e Stiles ad Aprile.
La famiglia Hale è viva e lo stesso vale per Claudia, la mamma di Stiles.
L'ho scritta ascoltando la famosa canzone di Elvis, da cui la OS prende il nome, perché io la amo ed è fatta apposta per loro.
L'immagine all'inizio è presa a caso da internet, ma non sapevo cosa metterci, inoltre a fine storia ho messo i link per ascoltare delle cose.
Spero vi piaccia (visto appunto quanto mi ci sono disperata per scriverla^^") e fatemi sapere cosa ne pensate, se ne avete voglia!
Alla prossima, 
Lawlietismine

 

Can't help falling in love (with you)

 

Derek ricorda bene come lui e Stiles sono diventati amici, o almeno ricorda come all'inizio quel bambino petulante e iperattivo si era introdotto nella sua vita fra la sua invadenza incontrollata e le sue insistenti domande comandate dall'incessante curiosità. Ricorda bene come Claudia Stilinski, la sua vicina, era solita portarsi dietro il piccolo figlioletto, quando andava a passare il tempo in lunghe chiacchierate con sua madre Talia, e come pian piano quello stesso figlioletto, crescendo, aveva iniziato a tormentare proprio lui, nonostante la presenza in quella casa di una bambina, cioè Cora, che aveva in comune con Stiles l'età.
Ricorda che quando quel moccioso era diventato abbastanza grande da stare in piedi da solo e mettere in fila almeno tre parole che avessero insieme un senso compiuto, se lo era ritrovato sempre fra i piedi nei momenti più improbabili, le mani dietro la schiena e lo sguardo stralunato che lo fissava dal basso verso l'alto, mentre si dondolava sul posto.
Ricorda anche che la prima volta che se l'era visto arrivare in contro con quei capelli rasati, lo aveva guardato con una smorfia a delineargli le labbra e la tremenda voglia di chiedere alla signora Stilinski cosa le fosse passato per la testa.

***

Era arrivato a casa più tardi del solito quella sera, perché le giornate erano più lunghe vista la primavera e fra una cosa e l'altra non si era minimamente accorto dell'ora, fregato dalla luce del sole che ancora permetteva di giocare a basket nel piccolo parco a quei ragazzi più grandi che a volte si fermava a guardare. Presto sarebbe diventato bravo come loro, anzi, sarebbe diventato molto più bravo e allora in quel parco ci avrebbe giocato lui; ma per ora aveva solo nove anni, quasi dieci.
Quando arrivò a casa, non fece in tempo a posare il suo zaino da una parte e prepararsi per spiegare il motivo del suo ritardo senza avvertimenti a sua madre, che Stiles invase subito i suoi spazi – che per quel bambino in particolare equivalevano ad almeno dieci metri di distanza – e iniziò a muoversi freneticamente davanti a lui, gli occhi strabuzzati per l'infantile eccitazione.
“Sai che giorno è fra due giorni?” blaterò, incespicando nelle sue stesse parole, senza curarsi di nascondere la sua impazienza e la sua euforia, mentre Derek alzava apertamente gli occhi al cielo, perché questa dannata scena si ripeteva ormai da tutta la settimana come puntualmente ogni anno.
Lo ignorò e riafferrò al volo il suo zaino, prima di dirigersi verso le scale per raggiungere camera sua e magari rinchiudersi lì fino a che non fosse andato via, ma l'altro lo seguì come un'ombra e gli bloccò la strada con aria risoluta.
“Der” biascicò, senza come al solito riuscire a dirlo tutto, quel nome, e “dai, dai, Der, sai che giorno è?” cantilenò impaziente, guardandolo con quel suo sorriso sdentato – visto quel buco al posto degli incisivi – che fece distogliere lo sguardo al diretto interessato. Derek sbuffò scocciato, conscio che non avrebbe mai trovato il modo di sbarazzarsi di lui se non avesse almeno fatto finta di ascoltarlo.
“È il mio compleanno, Der!” annunciò dopo un attimo di silenzio, allargando teatralmente le braccia come se fosse una notizia eclatante e soprattutto come se Derek ormai non lo sapesse già, visto quante volte gliel'aveva detto il giorno prima, quello prima ancora e tutti gli altri da chissà quanto. Poi, ancora con quel suo sorriso inquietante, gli allungò davanti al viso le sue piccole mani e “sei, Der! Sono sei” aggiunse, sottolineando il concetto con il numero delle dita.
Lui lo fissò con un sopracciglio inarcato e prese un profondo respiro, poi annuì, lo scansò e finì di ripercorrere le scale, lasciandoselo dietro senza più tante storie: prima di dirigersi verso camera sua, fece in tempo a vedere con la coda dell'occhio la leggera nota di delusione sul volto dell'altro, che poi si voltò e se ne andò a sua volta verso la cucina, dove probabilmente le loro madri stavano parlando davanti a una tazza di tè fumante.

Derek dovette sorbirsi quella scena anche il giorno seguente, perché Stiles non mollava mai naturalmente, e alla fine si ritrovò senza neanche rendersene conto a comprargli un regalo al ritorno a casa, allontanandosi prima del solito dal campo dove i ragazzi più grandi giocavano. Se aveva avuto qualche possibilità prima di allora di togliersi presto di torno quel bambinetto, dopo quel gesto fu impossibile: lo capì dal modo in cui Stiles fissò sorpreso il pacchetto e da come poi lo trattò come il regalo più prezioso.

***

Casa sua era abbastanza grande, visto che doveva contenere costantemente cinque persone e per il resto spesso e volentieri anche tutti gli altri parenti in occasione di pranzi della domenica e varie feste, e Derek aveva sempre avuto un piccolo spazio tutto per sé oltre alla sua camera. Quando era un bambino di sette anni, lui e suo padre avevano costruito insieme una casa sull'albero che fosse solo sua, vietata alle sue sorelle e a tutti gli altri.
Un posto dove potersi rifugiare quando discuteva con Laura, per studiare e leggere in santa pace, oppure un luogo in cui nascondersi quando aveva quelle sue voglie di stare a contatto con la natura ma sua madre non gli permetteva di accamparsi nel bosco, perché ovvio che non te lo lascia fare, Derek, lo rimproverava dispotica sua sorella maggiore, sei solo un bambino. E allora lui si era accontentato del giardino.
Ora che di anni ne aveva dodici, al ritorno da scuola tutti i pomeriggi andava direttamente lì invece che in casa, con sua madre che ogni volta gli faceva trovare ai piedi dell'albero un cestino con dentro qualcosa da mangiare che lui si portava puntualmente su. Lo faceva sentire adulto, indipendente, mentre posava abitudinariamente il suo zaino in un angolo, il cestino sul tavolino e poi si lasciava andare sulla sedia.
Era abbastanza spaziosa, probabilmente in futuro ci sarebbe comunque entrato senza però riuscire a muoversi così liberamente al suo interno. Suo padre aveva fatto un ottimo lavoro come suo solito, apportando man mano modifiche per renderla sempre più comoda, sicura e accessibile, soprattutto pratica visto il tempo che il figlio ci passava.
Non era granché arredata, perché Derek non era il tipo che si occupava di questi aspetti a parte qualche poster di giocatori di Basket, per il resto tutti i suoi libri stavano l'uno sull'altro da una parte del tavolo, alcuni vestiti portati lì per figura erano abbandonati sulla brandina che aveva deciso di metterci così da poter essere libero di dormire lì dentro quando voleva – che solitamente succedeva solo in estate – e un comodino era a uno degli angoli perché così poteva metterci le scorte di cibo, tipo snack vari.
Laura a volte fingeva di volerci andare giusto per infastidirlo un po', lasciando poi presto perdere perché aveva altro da fare che starsene su una casa costruita su un albero, ma Cora cercava spesso di arrampicarsi sulla scaletta, portando Derek a cacciarla malamente e tirare su quella stessa scaletta così da impedirle di riprovarci, facendola spesso e volentieri di conseguenza piangere.
A lui poco gli importava, perché quello era il suo territorio, e sua madre in quei casi si limitava a rimproverarlo un po' prima di cercare di distrarre la figlia più piccola che andava subito da lei in cerca di sostegno.

Stiles era tutta un'altra cosa.
Principalmente perché non era solito andarsi a rifugiare fra le braccia di sua madre in lacrime, di fronte alla boriosa sgarbataggine di Derek, bensì preferiva restarsene seduto a tempo indeterminato ai piedi dell'albero quando lui ritirava la scaletta, gambe incrociate e sguardo rivolto verso l'alto, spesso biascicando frasi a vanvera ad alta voce nella speranza di sentirsi rispondere o di vedere apparire l'altro sul piccolo terrazzo, o magari affacciato alla finestrella.
Derek non l'aveva mai accontentato. Quando Stiles faceva la sua apparizione con il suo naso colante e le maniche della maglia che gli coprivano perfino le mani da quanto erano lunghe, lui si rinchiudeva addirittura a chiave e si metteva sulla brandina a leggersi un libro o al tavolino a studiare, ignorando apertamente le chiacchiere prive di senso del bambino seduto nel suo giardino.

All'inizio la scaletta la lasciava giù, perché quei due marmocchi – e soprattutto, fra i due, il figlio insistente di Claudia e dello Sceriffo – erano troppo piccoli per riuscire davvero ad arrampicarsi, perlopiù senza cadere dopo il secondo scalino. Da quando Stiles aveva raggiunto i sei anni e soprattutto ora che ne aveva otto come Cora, però, la tirava su non appena sentiva la sua voce squillante che lo chiamava elettrizzata.

“Derek!”
Il diretto interessato non distolse lo sguardo dai suoi compiti, né fiatò, mentre il piccolo Stilinski si faceva strada nel giardino di casa sua come d'abitudine.
“Dererk! La scaletta!” e di riflesso lui inarcò un sopracciglio, perché quella era davvero nuova: fra tutte le cose che Stiles diceva nei suoi momenti di delirio, mai gli aveva chiesto esplicitamente di lasciarlo salire. Derek sperò che non fosse un cambiamento dato dalla crescita, perché non era certo di poter sopportare una cosa del genere e dio solo sapeva cos'altro poteva venirgli in mente.
“Derek” lo chiamò ancora, con quel suo tono impregnato di ovvietà e quasi rimprovero, come se fosse lui il più grande fra i due. Se lo immaginò con le braccia incrociate al petto, accigliato, mentre arricciava il naso un po' contrariato, magari picchiettando il piede a terra.
“La merenda!” continuò poi, indispettito, e Derek azzardò un'occhiata oltre il vetro della finestra che stava sulla parete del tavolino a cui era seduto, accanto alla porta, sporgendosi leggermente: Stiles era proprio come se l'era immaginato, a parte che le braccia stringevano al petto il cestino che solitamente Talia gli faceva trovare già pronto al suo arrivo, e spostava lo sguardo corrucciato un po' ovunque sulla casa, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Sbuffò irrimediabilmente fra sé e sé, quando il suo stomaco brontolò rumorosamente nel pensare di lasciar perdere il cibo per quel giorno. Lasciò la penna, andò indietro con la sedia e si alzò molto lentamente, quasi nella speranza di convincersi a non farlo prima che fosse troppo tardi, poi però aprì la porta e, senza neanche affacciarsi, “ti passo una corda, legacelo” sbottò, prima di adocchiarla sotto la brandina e prenderla.
Quando non ottenne risposta, mentre snodava la suddetta corda, fece l'immenso sbaglio di sbirciare. Stiles aveva abbassato lo sguardo lucido, imbronciato, stringendo un po' di più il cesto con labbra tremolanti: prima ancora che potesse strozzarsi da solo e impedirsi di fare una stupidaggine del genere, Derek buttò con uno sbuffo risentito l'oggetto da una parte e poi colpì con un piede la scaletta, che finì per cadere e srotolarsi fino a ondeggiare libera di fronte al bambino.
Fece in tempo a vederlo strabuzzare sorpreso gli occhi ambrati e poi sorridere smagliante – perché , in quel momento i denti c'erano tutti – prima di voltarsi e tornare già pentito al suo posto, sentendolo poi arrampicarsi alla bell'e meglio con il cesto in braccio, impazientemente.

In un modo o nell'altro, da quel giorno in poi tutti i pomeriggi Stiles salì lì con lui e continuò con le sue chiacchiere mentre se ne stava seduto da una parte a guardare Derek fare le sue cose apparentemente senza dargli ascolto.
Nessuno commentò mai questo cambiamento.

***

Probabilmente era vero che tutte le migliori amicizie iniziavano con l'odio, perché Derek fin dalla prima volta che Claudia Stilinski e suo marito avevano portato quel neonato incapace di starsene fermo nel salotto di casa sua, per farlo conoscere a una altrettanto piccola Cora, aveva sentito un'inspiegabile insofferenza nei suoi confronti, che era peggiorata i primi tempi e poi cambiata irrimediabilmente con il passare degli anni. Due stupidi occhioni ambrati, un altrettanto stupido regalo di compleanno, una scaletta tirata giù in modo arrendevole ed era stato fatto un passo dopo l'altro, da lì in poi la lenta nascita di un'amicizia era stata inevitabile, per quanto essa fosse totalmente strana rispetto alle altre.

Forse era anche per questo che Derek, tornando a casa dopo l'ennesima giornata stancante del suo primo anno alla Beacon Hills High School, quando trovò Stiles immobile davanti alla porta di casa, con le mani salde sulle bretelle dello zaino e lo sguardo impaziente e allo stesso tempo estremamente fiducioso puntato su di lui, gli rivolse uno sguardo scocciato e rammaricato.
“Non ti hanno preso?!” esalò con voce strozzata l'altro, incredulo, gli occhi completamente spalancati, muovendosi istintivamente verso di lui mentre insieme entravano nella casa. Derek scrollò abbattuto le spalle, richiudendosi la porta dietro e alla fine, posando la giacca e la tracolla sulla sedia all'ingresso, non riuscì più a trattenersi e gli dedicò un sorriso smagliante, soddisfatto e contento: Stiles sobbalzò sorpreso e l'attimo dopo stava sorridendo anche lui.
“Ti hanno preso!” si corresse quasi in uno squittio, fiero ed altrettanto felice, senza riuscire a stare fermo, e “non avevo dubbi!” aggiunse, saltellando sul posto come il bambino di undici anni quale era. Derek lo fissò, sentendosi assurdamente appagato di fronte alla fierezza e alla fiducia che Stiles gli stava rivolgendo, prima con quella reazione che condivideva con lui e poi con tutta la sua sicurezza che Derek ovviamente sarebbe riuscito a entrare nella squadra di basket.
In fondo era sempre stato lì con lui, mentre si allenava fino allo stremo per essere sicuro di riuscire a farcela: in quei momenti Stiles se ne stava seduto da una parte e lo guardava allenarsi in silenzio, tenendogli semplicemente compagnia.
Non si era mai vergognato di complimentarsi con lui e mostrargli la sua ammirazione, riconoscendogli che era bravissimo in ciò che faceva.
A modo suo Derek sapeva che non lo diceva solo per appagarlo.
“Perdenti, smettetela con tutto questo chiasso” si lamentò Laura, scendendo le scale per poi entrare in cucina, senza però essere degnata d'attenzione alcuna. Il maggiore dette una pacca sulla spalla al ragazzino e poi insieme andarono in camera sua a giocare alla Play, entrambi ancora col sorriso stampato in faccia.

“Posso venire a vederti?”
Derek strinse così forte il Joystick che per un attimo pensò di averlo rotto, poi però la scritta “Game Over” lampeggiò sullo schermo dalla parte di Stiles, decretando la sua sudata vittoria, e allora si lasciò a un sorrisetto un po' presuntuoso, prima di avviare un altro round.
“Non appena ci saranno delle partite, potrai farti accompagnare” gli rispose, mentre il dubbio che lui l'avesse lasciato vincere solo per non rovinargli l'umore si faceva strada tra i suoi pensieri, in fondo quel piccoletto era un portento ai videogiochi e fino a un secondo prima stava per stracciarlo come suo solito.
“Scommetto che diventerai capitano!” continuò Stiles con voce sognante, come se stesse parlando di se stesso e non di qualcun altro, e Derek né lo negò né gli dette corda, preferendo acconsentire a quell'affermazione col silenzio. A parte perché avrebbe fatto di tutto per diventarlo davvero, sarebbe diventato il migliore della squadra.
“E tu, nanetto?” si mosse di lato per dargli una leggera spallata, facendolo barcollare nonostante fossero entrambi seduti, e Stiles lo guardò stralunato.
“Io cosa?”
“Tu cosa farai?” chiarì ovvio, alzando gli occhi al cielo.
L'altro si mangiucchiò distrattamente la guancia, giocando allo stesso tempo, e “conquisterò Lydia Martin” borbottò fra sé e sé, facendolo sghignazzare un po' malignamente divertito al ricordo di quando anni prima gli era andato in contro come un tornado per raccontargli di quella bambina che aveva in classe. A quel tempo Derek aveva ignorato il moccioso di sei anni che si era preso una cotta, lasciandolo sparlare a raffica mentre lui cercava di fuggire da qualche altra parte, ma adesso che era più grande e che Stiles, ora al primo anno delle medie, non aveva fatto alcun progresso, la cosa lo divertiva. Era certo che una volta ambientatosi per bene nella scuola nuova, si sarebbe presto dimenticato di lei, solo una semplice cotta data dall'età.

La sua ilarità vacillò nel momento in cui Stiles, senza più tanti discorsi, uccise malamente il suo personaggio e stavolta l'orrendo “Game Over” lampeggiò unicamente per lui.


Comunque Stiles si presentò a tutte le sue partite di basket, sia quell'anno che tutti quelli seguenti.

***

L'ultimo anno era impegnativo e, se ci pensava, il tempo sembrava essere passato in un attimo: un secondo prima era appena entrato nella squadra e lo annunciava al figlioletto dei suoi vicini, quello dopo era il capitano e prossimo ad andarsene per lasciare il suo posto a qualcun altro. Avrebbe dovuto pensare all'università, si sarebbe trasferito e sarebbe cambiato praticamente tutto nella sua vita, a parte il giocare a basket.
Non era certo al cento per cento di essere pronto, per quanto continuasse a ripetersi che lo era.
Stiles aveva passato ore con lui mentre si informava sulle varie possibilità, su quali università gli avrebbero permesso di continuare con lo sport e quali lo avrebbero portato molto lontano da casa, ma non lo aveva mai influenzato su niente, lasciandolo da solo a decidere del suo futuro.
Ripensandoci, era assurdo che lui fosse già all'ultimo anno e che quello che ancora considerava un marmocchio fosse invece al primo della stessa scuola, ormai quattordicenne, gli sembrava solo ieri che l'altro frequentava ancora le elementari e lui invece si preparava mentalmente per l'esperienza prossima del liceo.
Il tempo era volato e non sembrava disposto ad aspettarlo, perciò avrebbe dovuto scegliere in fretta.

“A cosa pensi?” Paige si sedette di fianco a lui sugli spalti della palestra, osservandolo di sottecchi mentre quello se ne stava con i gomiti sulle gambe e la testa fra le mani, visibilmente stanco e con la mente altrove.
Si erano avvicinati al terzo anno, quando Derek aveva cercato di attirare la sua attenzione e poi aveva combinato disastri dopo disastri, facendo lo sbruffone di fronte ai suoi amici e compagni di squadra e finendo così per allontanarla. Poi avevano imparato a conoscersi ed erano diventati amici, fino a quando poco prima delle vacanze di Natale quell'anno non si erano ritrovati a baciarsi fra i corridoi vuoti della scuola, prima di dividersi per raggiungere lui la palestra e lei l'aula di musica.
Ora era primavera e loro stavano ufficialmente insieme da qualche mese.
“Niente” mentì, senza avere alcuna voglia di parlare di ciò che gli stava prosciugando tutte le energie.
Paige si sporse un po' e gli lasciò un leggero bacio sulla mano che ancora copriva il suo volto.
“La squadra ti sta stancando troppo” disse poi, poggiandosi a lui spalla contro spalla, e “forse dovresti prenderti una pausa, concentrarti sullo studio...” aggiunse, come se fosse pensabile una cosa del genere. Derek inorridì solo all'idea, ma lasciò perdere e non le rispose, fingendo di prendere in considerazione di mollare davvero l'unica cosa che lo rendeva sicuro per buttarsi a capofitto su ciò che invece lo confondeva.
Perché, insomma, era come chiedere a lei di smetterla con quel suo violoncello.
O forse non era lo stesso?
In ogni caso era sicuramente come chiedere a Stiles di smetterla di essere curioso.
La sentì sospirare e per un attimo avrebbe voluto chiederle di lasciarlo di nuovo stare da solo, perché era quello di cui aveva bisogno, ma alla fine fu il suono della campanella a risparmiargli quell'uscita che sarebbe sembrata fin troppo scontrosa. Paige si alzò, passandogli in modo consolatorio una mano sulla schiena, e lui la seguì a ruota.
Non appena furono in piedi, rimasero per un po' a guardarsi negli occhi senza dire niente, poi Derek si avvicinò e le depositò un bacio a fior di labbra, posando le mani sui suoi fianchi prima di sentirsi avvolgere le guance da lei.
“Sono solo stanco” si giustificò, acconsentendo in piccola parte a quello che gli aveva detto poco prima, e Paige gli rivolse un lieve sorriso comprensivo, prima di intrecciare le loro dita e avviarsi con lui verso l'uscita della palestra per raggiungere ognuno la propria aula.

Derek riuscì a sentirsi più tranquillo solo quando Stiles si lasciò cadere malamente seduto al suo fianco all'ora di pranzo. Lo raggiunse al tavolo fuori, posò il suo vassoio da una parte e lo salutò con una leggere spallata amichevole, senza dire niente. L'altro si rilassò di riflesso almeno un po', mentre insieme iniziavano a mangiare quel che c'era nei loro piatti.
“Sto valutando tutte le possibilità” disse solo a un certo punto, voce bassa e sguardo sul suo pasto, conscio che Stiles avrebbe capito di cosa stava parlando senza il bisogno da parte sua di specificare.
L'altro annuì impercettibilmente, lanciandogli un'occhiata veloce.
“Sono certo che saprai scegliere ciò che è giusto per te” gli rispose sincero, rivolgendogli un sorriso. Derek lo guardò per un attimo, spostando lo sguardo da quegli occhi fiduciosi e amichevoli, a quei nei che gli tempestavano il lato del volto come gocce di cioccolato fuso, fino a sparire oltre il colletto della maglietta, e poi a quei capelli ancora dannatamente e ridicolmente rasati, prima di ricambiare lievemente il sorriso e di tornare a incrociare il suo sguardo.
In cuor suo lo rassicurava sapere che, qualsiasi cosa avesse scelto, sicuramente almeno Stiles l'avrebbe appoggiato.

Stava per ringraziarlo, magari ricambiando l'amichevole spallata iniziale, ma la voce di Paige lo interruppe ancor prima di poterci pensare.

“Di che parlate, voi due?” li richiamò allegra, avvicinandosi con il suo vassoio stretto tra le mani e un sorriso smagliante rivolto a entrambi.
Derek si irrigidì all'istante e perse in un attimo qualsiasi accenno di complicità tornando serio, e, distogliendo definitivamente lo sguardo dall'amico, guardò la sua ragazza sedersi davanti a lui e iniziare a mangiare in attesa di una risposta alla propria domanda.
“Niente, Stiles stava andando via” sbottò inaspettatamente, improvvisando e tornando a concentrarsi anche lui sul suo pranzo.
Il diretto interessato gli rivolse un'occhiata interdetta e confusa, corrucciato per l'insensato cambio d'atteggiamento, poi però Derek sottolineò il concetto con un arrogante e secco “Giusto, ragazzino?” che gli fece storcere la bocca, ferito di fronte a quella maschera che l'altro stava pretendendo di indossare senza motivo con l'arrivo della sua ragazza, trattandolo come da anni aveva smesso di fare.
Rimase per un attimo in silenzio a fissarlo, come se davanti a sé avesse un alieno e non il Derek Hale che conosceva, ma alla fine anche lui distolse lo sguardo, si alzò pesantemente, afferrò il suo vassoio ormai vuoto e li lasciò soli senza aggiungere altro, se non un'ultima occhiata amareggiata.

Anche senza guardarlo dritto negli occhi, Derek si sentì colpire in pieno petto dal suo sguardo deluso e leso a causa sua, ma si convinse a ignorare il bisogno incessante di chiedergli scusa e la sensazione di nausea che gli si strinse in gola.


Non si rivolsero la parola per due giorni, poi il più grande si presentò a casa sua con un nuovo videogioco e tutto tornò come prima, senza il bisogno di parlarne.

Il mese dopo lui e Pagie si lasciarono, ma lui e Stiles non parlarono neanche di questo.

***

Gli anni continuavano a passare in fretta, le cose cambiavano e loro crescevano.
Derek era quasi alla fine del suo terzo anno di università a New York e condivideva il dormitorio con Jennifer: dopo un po' da quando si erano conosciuti, avevano avuto un piccola storia – perlopiù di quelle occasionali e, beh, carnali – ma era terminata in breve tempo e avevano finto che non fosse mai successo niente, continuando indisturbati la vita da coinquilini.
Le sue lunghe ed estenuanti giornate – ora che stava lì da alcuni anni – erano fatte di corsa mattutina in un parco lì vicino, lezioni, pausa pranzo, studio, turno al bar, basket occasionale se trovava il tempo, chiamata veloce ai suoi e poi a Stiles, che ormai era alle prese con la squadra di Lacrosse e con il suo ultimo e impegnativo anno al liceo di Beacon Hills.

A volte ricordava la percezione forse falsata del suo sguardo smarrito quando aveva detto a lui per primo che aveva deciso di andare a studiare a New York, uno sguardo che forse si era immaginato e che aveva comunque lasciato subito il posto al suo solito supporto e alla sua felicità per lui, prima di abbracciarlo e augurargli il meglio.

 

C'erano dei giorni in cui tentavano di chiamarsi con Skype, soprattutto quando era da tanto che non si vedevano, ma Derek era un incapace e inoltre evitava di usarlo soprattutto quando c'era intorno la sua compagna di stanza. Due o tre volte in quei tre anni Stiles era andato anche a trovarlo, ma perlopiù era lui che tornava per le vacanze e, quando capitava, anche durante i weekend.
Due giorni dopo però sarebbe stato l'otto di Aprile, cioè il compleanno di quel marmocchio iperattivo dalla parlantina ininterrotta, perciò Derek si era ovviamente preso tre giorni di assenza per tornare a casa e festeggiare insieme, il suo regalo già pronto da tempo e tenuto al sicuro nel suo armadio del dormitorio.

Aveva prenotato l'aereo il mese prima, ma non aveva avvertito neanche la sua famiglia del suo arrivo, perciò non si sorprese quando non trovò nessuno ad attenderlo all'aeroporto. Prese un taxi e andò a casa sua, certo di non doversi preoccupare di farsi scoprire da Stiles, visto che a quell'ora era come al solito agli allenamenti di Lacrosse.
Quando entrò, fu accolto da un insolito silenzio: Laura era probabilmente a lavoro, come suo padre e sua madre, oppure a casa sua con il suo ragazzo, e Cora forse era uscita con le sue amiche.
Posò il borsone sulla sedia lì all'ingresso e poi si diresse in cucina per mangiare qualcosa nell'attesa.
La prima a rientrare fu Talia, lo raggiunse in cucina per niente sorpresa – forse per il borsone, forse per il periodo dell'anno in cui erano – e lo baciò amorevolmente sulla guancia, prima di sedersi con lui e chiedergli come procedeva l'università e tutto il resto. Poi fu il turno di entrambe le sorelle.
Cora lo tempestò di domande; Laura si limitò invece a rivolgergli quel suo sorrisetto ferino che tanto la caratterizzava, quando lui notò l'ora e si dileguò in giardino, portandosi dietro qualche snack preso dalla mensola in cui li riponeva sempre sua madre.
Stiles, soprattutto da quando lui se ne era andato ma comunque anche da prima, era solito scavalcare il muretto di casa sua e andarsi a rifugiare nella casa sull'albero di Derek, quando rientrava il pomeriggio. Si arrampicava sulla scaletta e si metteva a studiare in quello spazio che col tempo era stato un po' allargato, visto che – cosa non inizialmente prevista quando la casa era stata progettata – lui e Derek quando erano insieme se ne stavano sempre lì, qualsiasi fosse la loro età.
Si sedeva contro la parete di legno dalla parte opposta della porta e perlopiù studiava, beandosi della tranquillità e solitudine che quel posto gli concedeva, visto che nessuno – pur sapendo che era lì – andava mai a disturbarlo.
Talia gli portava puntualmente il cestino della merenda, proprio come era solita fare anche quando suo figlio era ancora a casa. Lo lasciava ai piedi dell'albero, legato alla corda che era appesa al terrazzino, poi lui si premurava di tirarla su e ringraziarla quando alla fine andava via.
Derek salì e gattonò fino al punto in cui stava sempre, posando accanto a sé le scorte di cibo e preparandosi all'imminente arrivo – secondo i suoi calcoli – dell'altro. Notò alcuni fogli sul tavolino, gli spartiti raggruppati malamente, e ricordò quando all'inizio dell'anno Stiles gli aveva annunciato di aver iniziato a suonare il pianoforte seguendo alcuni corsi online, sorprendendolo visto che non gli aveva mai parlato di questo suo interesse.
Non l'aveva mai sentito suonare, ma si chiese irrimediabilmente quanto potessero essere utili dei video caricati sul web per uno strumento come il pianoforte.
Si riscosse quando sentì in lontananza i familiari monologhi recitati al vento da Stiles, mentre tentava come suo solito di scavalcare agilmente il muretto, molto probabilmente con ancora lo zaino in spalla e il telefono in una mano.
Tentò di trattenersi dal chiamarlo per non rovinare la sorpresa, quando percepì il fruscio che annunciava la sua scalata, e si sentì il petto pieno di soddisfazione quando Stiles, nell'entrare sfiancato con i capelli tutti arruffati e nell'accorgersi – sobbalzando spaventato – della sua presenza, strabuzzò gli occhi ambrati e rimase con la bocca schiusa, sorpreso e senza parole.
“Derek?!” esalò con voce strozzata, incredulo e privo di fiato, prima di distendere le labbra in un sorriso e di affrettarsi a raggiungerlo per soffocarlo in un abbraccio. Derek si ritrovò a ricambiare il sorriso e la stretta, poi dopo un tempo incalcolabile Stiles si lasciò scivolare di lato e si mise seduto al suo fianco a gambe incrociate.
“Potevi avvertirmi! Quando sei arrivato? Quanto resti? Cosa è succ–” l'altro lo interruppe alzando gli occhi al cielo, divertito ed esasperato. Non l'avrebbe detto ad alta voce, ma era certo che Stiles sapesse che era lì per il suo traguardo: i diciotto anni erano importanti, dopotutto, e quel ragazzino gliel'aveva sempre ricordato.

Stiles gli raccontò come era andata la giornata, l'allenamento con il famoso coach Finstock di cui tanto si lamentava ma che in fondo adorava, e poi tornarono all'argomento università, che tanto lo aveva tormentato nelle loro conversazioni telefoniche, in cui gli aveva confessato di voler andare alla Columbia. A New York.
Gli disse di averne parlato con quella dispotica di Lydia, la sua famosa prima cotta e ora – a quanto pareva – chissà come sua grande amica, di cui elogiava spesso e volentieri l'intelligenza e il fascino, e disse anche che lei aveva pensato e gli aveva proposto di condividere l'appartamento che la sua famiglia aveva a New York nel caso in cui anche lui fosse andato appunto alla Columbia, visto che lei ci sarebbe entrata sicuramente. Stiles aveva accettato dopo molta insistenza, poiché quella Lydia non gli avrebbe concesso un no come risposta per niente al mondo.
Derek non sapeva come prendere quella notizia.
Poi l'amico lo invitò ufficialmente per il giorno dopo alla festa di compleanno di cui gli aveva tanto parlato per telefono, la festa che Lydia Martin lo obbligava a fare nella sua villa e che proprio Lydia aveva voluto organizzare per lui, con la scusa che lei di feste era un'esperta.
Il resto della giornata lo passarono chiusi lì, poi Stiles restò a cena a casa Hale fino a tardi.

La sera dopo Derek si ritrovò quasi alle nove e mezza davanti alla porta del posto che l'altro gli aveva indicato, pregandolo più volte di presentarsi – come se ce ne fosse bisogno, poi, di pregarlo – nonostante la presenza unicamente di ragazzini del liceo, e dal rumore che sentiva probabilmente era proprio quella la villa. Si era portato dietro il suo regalo, che se ne stava rigorosamente nella tasca interna della sua giacca, ma aveva deciso all'ultimo minuto di non darglielo quella sera, almeno non lì, ma il giorno dopo oppure al loro rientro a casa, magari nel loro posto.
Ad accoglierlo fu una ragazza alta, e non solo per i tacchi, con i capelli scuri raccolti e un sorriso cordiale a fior di labbra: seppe subito che non era la padrona di casa, perché l'altro era stato molto specifico nelle sue numerose descrizioni.
“Ciao, sono Allison” lo salutò, probabilmente leggendogli in faccia l'attimo di confusione nel non saperla identificare, poi si scansò per permettergli di entrare e “tu devi essere Derek” aggiunse, osservandolo attentamente quasi divertita e cogliendolo di sorpresa.
Lui inarcò scettico e perplesso un sopracciglio e lei rise.
“Per fortuna sei arrivato, Stiles pensava già che tu avessi cambiato idea” lo avvertì con un altro sorrisetto complice e amichevole, mentre fra una cosa e l'altra gli faceva strada.
Era la ragazza di Scott, l'amico di cui Stiles raccontava e compagno di avventure fuori e dentro la scuola, e ora che ci faceva caso, lei trasmetteva forza e dolcezza allo stesso tempo proprio come gli era stato detto.
Alzò gli occhi al cielo nel sentire che l'altro aveva pensato una cosa del genere.
La casa era enorme e piena di palloncini colorati e robe varie, la musica era alta e assordante, era pieno di gente che lui non aveva mai visto – forse qualcuno quando era al suo ultimo anno alla BHHS, ma non ne aveva più memoria – e adocchiò tavoli sia all'interno che all'esterno con cibo e bevante, fra cui – ne era certo – alcune anche alcoliche nonostante l'età dei presenti.
Come diamine si era lasciato convincere ad andarci?
“Chi abbiamo qui?” lui e Allison si voltarono all'unisono verso la voce che aveva parlato e fu allora che Derek inevitabilmente la riconobbe, nonostante non la conoscesse personalmente: con le braccia strette al petto, la postura sicura, il mento alto e lo sguardo occupato a squadrarlo da capo a piedi, si ergeva la famosa Lydia Martin –con i suoi capelli rosso fragola e tutto il resto.

Poi “Derek Hale” se ne uscì lei senza alcun dubbio, prima ancora che lui potesse fiatare, un tono presuntuoso e pieno di sottintesi che lo lasciò perplesso, e “finalmente riusciamo a incontrarci” concluse teatralmente, prima di allungare una mano perfettamente curata verso di lui, che la osservò poco convinto ma alla fine la strinse: quella ragazza sprigionava sicurezza anche con una semplice stretta di mano. Una parte di lui lo portò a chiedersi come Stiles potesse esserne tanto preso.
Derek era un ventunenne, che andava ormai per i ventidue, e si riteneva maturo, ma in quel momento non sapeva bene se non sopportava quella ragazzina oppure se un po' ne era intimorito, alla fine si convinse che ne era solo indifferente e che non gli importava.
Si chiese istintivamente come avrebbe fatto Stiles a conviverci l'anno seguente e scacciò quello che sembrava essere un leggero senso di preoccupazione a riguardo, a parte perché a quel punto fu proprio Stiles a distrarlo dai suoi pensieri, notandolo e andandogli subito in contro, sbracciandosi.
“Derek! Derek!” quasi urlò per farsi sentire oltre la musica, facendosi spazio maldestramente fra la folla e rischiando più volte di inciampare nei suoi stessi piedi.
“Ce l'hai fatta!” lo salutò, sorridendo smagliante, gli occhi ambrati più lucidi del normale e le guance un po' rosate probabilmente per qualcosa che aveva bevuto e che non avrebbe dovuto bere, e “sei venuto” aggiunse un po' tremolante, prima di dargli un pugno scherzoso sulla spalla.
“Spero tu abbia un regalo per me” buttò lì poi in modo sarcastico, afferrandolo per un braccio per andare a presentargli altra gente, sotto lo sguardo insistente della altre due ragazze.

Si domandò da dove venisse il suo dubbio riguardo il suo presentarsi o meno, perché Stiles era il suo migliore amico e, nonostante il suo carattere un po' serioso e brusco, avrebbe sempre fatto qualsiasi cosa per renderlo felice, che lo dicesse esplicitamente o meno.
Stiles al contrario di lui era sempre più diretto, ma erano semplicemente diversi e questo lo sapevano entrambi. O almeno avrebbero dovuto.
Per un attimo ne dubitò.

Derek dovette sfuggire a quella festa e lo fece perfino più tardi di quanto si sarebbe aspettato.
Gli era stato (ri)presentato – perché era già accaduto quattro anni prima, ma non si erano più visti – ufficialmente di persona Scott McCall, con cui aveva conversato a volte via messaggio o indirettamente per chiamata quando quello era con Stiles, aveva chiacchierato con un certo Isaac e poi era stato placcato da una ragazza, Erica, che lo aveva deriso per come si era fatto trascinare da una parte all'altra dal festeggiato, al fianco di Boyd, che Derek aveva ritenuto troppo... troppo per poter essere un ragazzino all'ultimo anno del liceo. Soprattutto quando aveva saputo che non era neanche un ripetente.
Comunque alla fine aveva notato per caso che erano le due di mattina e aveva perso di vista Stiles ormai da almeno mezzora. L'aveva cercato e gli aveva detto che si sarebbero rivisti a casa, perché poi avrebbe dovuto dargli il suo regalo, e lui dapprima l'aveva guardato un po' deluso e confuso – colpa dell'alcool – poi gli aveva concesso la fuga.
Derek sapeva che una persona normale avrebbe atteso il giorno seguente e un'ora decente per rivederlo, perché tanto Stiles avrebbe festeggiato ancora per un po' e poi sarebbe rimasto ancora per aiutare a sistemare; magari avrebbe perfino dormito lì? Si era dimenticato di chiederlo per sicurezza. Ma dallo sguardo che gli aveva rivolto prima che se ne andasse, gli era parso di capire che l'avrebbe raggiunto, prima o poi.
Per questo quando era tornato, al posto di rientrare in casa si era diretto in giardino e si era arrampicato sulla scaletta, lasciandosi poi andare contro la parete opposta al porta.
Sapeva che Stiles avrebbe saputo dove cercarlo.

Quando aprì gli occhi, la luce dell'alba iniziava a farsi strada nello spazio di cielo che si intravedeva dalla finestra sopra la scrivania.
Riconobbe subito in tutto ciò che lo circondava una situazione di estrema e piacevole familiarità: Stiles se ne stava sdraiato lì accanto a pancia in su, in posizione a stella marina, con un braccio allungato malamente sul petto di Derek e una gamba stesa sulle sue ginocchia, il volto diretto verso l'altro con la bocca schiusa in modo bizzarro.
Quando Derek si mosse leggermente per stirarsi e rianimare i muscoli intorpiditi, Stiles borbottò qualcosa nel sonno e si girò per travolgerlo completamente. Fissò per un attimo il peso morto sul suo petto, cercando di scansare l'ammasso di capelli disordinati che gli solleticò il mento, poi richiuse gli occhi per riposarsi qualche altro minuto.
Erano fortunati che quell'Aprile fosse abbastanza caldo, ma sinceramente non lo era così tanto da poter passare una nottata a dormire fuori: dovevano essere stati entrambi così stanchi da essere crollati senza tanti problemi.
La seconda volta che aprì gli occhi, probabilmente erano passate come minimo due ore: la luce invadeva del tutto lo spazio intorno a loro e soprattutto il suo volto.
Stavolta Stiles era sveglio.
“Buongiorno” biascicò all'amico che ora lo stava fissando stralunato, prima di passarsi una mano sugli occhi.
“Buongiorno” ricambiò l'altro, prendendosi un altro po' di tempo prima di tirarsi su e liberarlo dalla sua stretta.
“Buongiorno!” Cantilenò Laura da fuori, facendo loro il verso, e “la signora madre mi manda con la vostra colazione. Oggi siamo tutti a pranzo qui, auguri Stiles!” continuò, prima di tornarsene in casa.

Rimasero lì a mangiare quello che sua sorella aveva portato e a parlare di come era continuata la festa dopo che lui se ne era andato, Stiles gli disse che alcuni erano rimasti a dormire da Lydia dopo che avevano pulito, ma che lui aveva preferito rientrare.

Poi Derek tirò finalmente fuori il regalo che ancora se ne stava nella giacca che aveva addosso e con cui si era addormentato, glielo porse e ripose segretamente in un cassetto della sua memoria lo sguardo pieno di emozioni che Stiles gli rivolse dopo averlo scartato: abbonamento a Netflix e due biglietti per l'Universal's Islands of Adventure in Florida, in cui si trovava il Wizarding World of Harry Potter, il parco a tema in cui l'altro era sempre voluto andare.
Derek si sentì leggero come mai prima d'ora.

***

Laura aveva invaso il suo appartamento da due giorni, era arrivata quel venerdì di Novembre direttamente a New York per mostrargli di persona un dannato test di gravidanza e fargli sapere che sarebbe ufficialmente diventato zio, quando per poco non si era ancora nemmeno ripresa dalla fine della luna di miele. Era sposata da un anno e già stava per diventare madre.
A esternare di più la propria contentezza a riguardo, però, era stato Stiles, che era passato di lì la sera stessa per portargli i muffin che aveva preparato lui stesso e che si era ritrovato davanti la maggiore dei fratelli Hale, senza aspettarselo minimamente.
Non che a lui dispiacesse diventare zio, anzi, era felice per sua sorella e non poteva esserlo di più, solo che non lo lasciava intendere molto. Fra i due era l'altro quello bravo in queste cose.
Derek aveva finito l'università l'anno prima, ma era rimasto in affitto in un appartamento a New York – con l'aiuto dei suoi genitori – per approfondire i propri studi e perché ormai si era abituato a vivere lì; Stiles invece alla fine era entrato alla Columbia ed era andato davvero a stare con Lydia Martin, ormai erano già poco più di due anni che le faceva da coinquilino.

Spesso andava da Derek quando usciva dall'università e gli occupava il salotto per studiare e magari farsi aiutare, ma uscivano meno volte di quante avrebbero entrambi sperato.

Il motivo non gli era chiaro, spesso e volentieri quando erano insieme Stiles sembrava trattenersi dal dire e fare qualcosa, quasi volesse andarsene. Con il tempo aveva iniziato a sembrare sempre più strano, distante, più controllato e forse stanco, e Derek aveva lasciato perdere, dicendosi che era per la scuola e perché stava facendo altre esperienze.
Si erano un po' allontanati senza riconoscerlo ad alta voce e fingevano l'uno di fronte all'altro che andasse bene così, che non fosse vero.
Derek lo faceva perlopiù perché non voleva riconoscere tante altre cose a riguardo.

“Ripetimi perché siamo qui, per favore” chiese corrucciato e desideroso di tornarsene nella sua Camaro, mettere in moto e guidare di nuovo verso casa sua. Laura alzò gli occhi al cielo, poi affondò le mani nelle tasche del cappotto nero e si avvicinò con passo sicuro, nonostante i tacchi, alla porta del locale in cui aveva portato il fratello.
“Perché sei un idiota, tesoro mio, e noi due dobbiamo fare due chiacchiere prima che tu ti autodistrugga, però prima devi bere qualcosa e distrarti” rispose senza alcun filtro, completamente tranquilla, prima di lanciargli un'occhiata per fargli intendere che doveva aprirle la porta.
Derek trattenne uno sbuffo secco, per le sue parole e per il suo gesto, poi l'accontentò e la seguì quando lei entrò.
Ancora non sapeva come si fosse lasciato convincere ad andarci, o soprattutto a indossare abiti eleganti. E stretti, sopratutto stretti. Probabilmente i bottoni della camicia avrebbero ceduto all'altezza del petto prima della fine della serata, allora avrebbe dovuto agganciarsi la giacca scura per nasconderlo.
“Vorrei ricordarti che tu non puoi bere” le borbottò scorbutico dietro, richiudendosi la porta alle spalle, e “oppure ti sei già dimenticata il motivo che ti ha portata qui a New York?” aggiunse, guardandosi intorno.
Il locale era molto bello, calmo e... ed elegante, sì, anche se non troppo, ma a parte quello Derek si sorprese di non averlo mai notato in quegli anni, per quanto le volte in cui era uscito in posti del genere si contassero sulle dita di una mano. In ogni caso non era dell'umore giusto per una serata così ed era certo che quella di Laura fosse solo malvagità allo stato puro.
“Lo so bene, Der, ma sappiamo altrettanto bene entrambi che adesso le cose stanno degenerando” ribatté sua sorella senza neanche voltarsi, guidandolo certa verso un labirinto di tavoli per raggiungere il bancone così da ordinare qualcosa.
Finse di non sapere di cosa stesse parlando, ma Laura c'era stata quello stesso pomeriggio quando si era imbattuto casualmente in Stiles e Lydia Martin, insieme mentre ridevano per chissà che cosa, a braccetto, di ritorno – probabilmente, viste le numerose buste – da una giornata di shopping.
Laura c'era stata quando si erano parlati leggermente, in modo superficiale, senza riuscire a guardarsi troppo negli occhi, quasi in imbarazzo e a disagio, prima di sfuggire entrambi a quella situazione con la coda tra le gambe.
Aveva ignorato l'occhiata stupita e stordita di sua sorella – che la sera prima, con i muffin e l'annuncio della gravidanza, non aveva notato niente di tutto ciò – e aveva ignorato anche il “lascia stare, muoviamoci” di Stiles rivolto nervosamente alla sua coinquilina, in risposta a Derek non sapeva cosa. Avevano continuato sia lui che l'altro a far finta che non fosse successo niente di strano, ognuno con la rispettiva compagnia.

Derek voleva far finta di non odiare quella Lydia Martin dalla prima volta in cui l'aveva sentita nominare e soprattutto ancora di più dalla prima volta in cui l'aveva vista di persona. Voleva far finta anche di non sentirsi infastidito dal fatto che Stiles abitasse con lei già da tutto questo tempo e che la vedesse più di quanto si vedevano loro. Si sentiva quasi rimpiazzato, ma voleva far finta che non fosse così.
Voleva far finta e ignorare tutte queste cose, perché non aveva senso.
E si sentiva un idiota.
Allora preferiva allontanarlo e mettere un po' di distanza fra loro due, senza tra le altre cose chiedere a Stiles il perché di quel suo comportamento quando erano insieme.

Parlarne l'avrebbe solo fatto sembrare più vero.

“Derek, tu lo sai che ti voglio bene” iniziò Laura, mentre aspettavano lì al bancone il loro bicchiere d'acqua e la birra. Lui non voleva ascoltarla.
Il suo sguardo vagò angosciato per tutto il locale, quasi alla ricerca di una via di fuga.
“Ho sempre aspettato silenziosamente che foste voi a capirlo, ma adesso non posso non–” ma lui non riuscì a sentire più neanche una parola di quello che gli stava dicendo, perché i suoi occhi si posarono sulla fonte di musica che allietava la serata dei clienti, su quel pianoforte che se ne stava in fondo al locale su uno spiazzo rialzato e inevitabilmente sul ragazzo che lo stava suonando.
Derek sentì un peso sul petto quando il suo sguardo si posò sulla figura di Stiles e il respiro gli si fece improvvisamente più pesante nel realizzare la situazione.
Stiles lavorava lì? Da quando? Da quando suonava così bene? E, soprattutto, da quando sapeva perfino cantare?
Laura seguì il suo sguardo smarrito e si zittì nel momento in cui ne capì il motivo, ma il fratello non se ne rese neanche conto.
Stiles se ne stava stretto in un completo elegante e scuro, gli occhi posati sui tasti del pianoforte ma lo sguardo visibilmente perso, quasi sovrappensiero, fra le nuvole, mentre le sue labbra si muovevano per lasciar uscire le parole.
Derek sentì una voragine aprirsi dentro di lui nel percepirlo così lontano nonostante fossero così vicini, inorridì quando si sentì quasi come fossero due sconosciuti capitati lì per caso, e qualcosa si incrinò inevitabilmente in lui quando l'altro intonò una nuova canzone con gli occhi improvvisamente lucidi e affranti, la figura un po' tremolante e un'espressione sofferta in volto.

Wise men say
Only fools rush in
But I can't help falling in love with you

Gli uomini saggi dicono che solo gli sciocchi fanno le cose d'impulso, ma io non posso fare a meno di innamorarmi di te.


Derek si sentì smarrito quando percepì le parole colpirlo e togliergli il fiato, provando ansia e paura di fronte a qualcosa che gli sembrava che parlasse per lui, come se quella canzone lo stesse denudando di ogni maschera e spingendo a mostrarsi, a tirar fuori quello che cercava incessantemente di nascondere e ignorare, far finta che non esistesse, da più tempo di quanto sarebbe riuscito ad ammettere.
Si sentiva esposto di fronte a lui, nonostante Stiles non sapesse che era lì, nonostante non sapesse cosa gli passava per la testa ogni volta che pensava a lui e che erano insieme, nonostante non sapesse minimamente ciò che cercava di celargli e che lo portava ad assecondarlo mentre si allontanava Derek, invece che trattenerlo disperatamente come in realtà voleva fare.

Shall I stay?
Would it be a sin
If I can't help falling in love with you?

Dovrei restare? Sarebbe un peccato, se non posso fare a meno di innamorarmi di te?


E poi Stiles alzò lo sguardo rammaricato e incontrò il suo, come se si fossero chiamati a vicenda a gran voce.
Rimasero entrambi immobili, così, mentre le mani dell'altro non smettevano di suonare, nonostante la voce improvvisamente incrinata, e quelle di Derek di tremare, e solo in quel modo sembrarono comunicare più di quanto non fossero riusciti a fare negli ultimi tempi. Mentre tutto intorno a loro scompariva, sembrarono leggersi dentro, a fondo, condividendo paure e segreti che a voce non erano riusciti a esternare, finendo entrambi per voltare le spalle l'uno all'altro senza riconoscere il problema. Per un attimo sembrò di essere tornati indietro, solo loro da soli in una casa sull'albero in una delle tante notti estive, senza niente a invadere il mondo in cui loro vivevano.
Due ragazzi che erano cresciuti a fianco, che si erano scoperti insieme, confidati e consolati, che si erano protetti a vicenda, testimoni di tutto, e che pian piano erano diventati come un'unica persona, completandosi in modo unico.
E si sentiva stupido, perché era Stiles, era sempre stato Stiles, e sarebbe sempre stato lui.

Like a river flows
Surely to the sea
Darling, so it goes
Some things are meant to be

Come un fiume scorre verso il mare, tesoro, va così: alcune cose sono destinate a essere.


Come aveva potuto pensare che lasciarlo allontanare fosse la cosa giusta, la risposta ai suoi sentimenti?
Stiles lo guardò come se fosse il centro del suo mondo e allo stesso tempo la causa della sua pena, e anche in quello lui e Derek si rispecchiarono l'uno nell'altro, condividendo gli stessi pensieri.
Stiles era tutto per lui e questo lo terrorizzava, impedendogli di dirlo ad alta voce, ma da quello che lesse in quegli occhi ambrati – e che non aveva mai pensato di leggervi – per Stiles era lo stesso.
Quando avevano smesso di parlare davvero? Quando avevano smesso di capirsi in quel modo, solo guardandosi?

Derek aveva sempre avuto paura di dire a lui, ma soprattutto a se stesso, che, di quel ragazzino che all'inizio non aveva mai sopportato e che poi era diventato fondamentale nella sua vita, che gli si era insinuato lentamente dentro e che ora non poteva più uscirne, lui ne era innamorato.

Take my hand,
Take my whole life, too
For I can't help falling in love with you

Prendi la mia mano, prendi anche la mia vita intera, perché non posso fare a meno di innamorarmi di te.


Da quello che Stiles gli stava quasi urlando con gli occhi, come a dedicargli ogni parola e a sottintenderne molte altre, Derek sapeva finalmente che lo stesso valeva per lui.

***

Quindi sì, Derek ricorda bene come lui e Stiles sono diventati amici, o almeno ricorda come all'inizio quel bambino petulante e iperattivo si era introdotto nella sua vita fra la sua invadenza incontrollata e le sue insistenti domande comandate dall'incessante curiosità. Ricorda bene come Claudia Stilinski, la sua vicina, era solita portarsi dietro il piccolo figlioletto, quando andava a passare il tempo in lunghe chiacchierate con sua madre Talia, e come pian piano quello stesso figlioletto, crescendo, aveva iniziato a tormentare proprio lui, nonostante la presenza in quella casa di una bambina, cioè Cora, che aveva in comune con Stiles l'età.
Ricorda che quando quel moccioso era diventato abbastanza grande da stare in piedi da solo e mettere in fila almeno tre parole che avessero insieme un senso compiuto, se lo era ritrovato sempre fra i piedi nei momenti più improbabili, le mani dietro la schiena e lo sguardo stralunato che lo fissava dal basso verso l'alto, mentre si dondolava sul posto.
Ricorda anche che la prima volta che se l'era visto arrivare in contro con quei capelli rasati, lo aveva guardato con una smorfia a delineargli le labbra e la tremenda voglia di chiedere alla signora Stilinski cosa le fosse passato per la testa.

Sorride mentre ricorda, riportando alla mente anche come quel moccioso era poi cresciuto per diventare un ragazzino e alla fine un uomo, tutto sotto i suoi occhi.
Ricorda benissimo ogni singolo istante passato insieme, quando gli ha fatto da fratello maggiore, poi da migliore amico e infine anche da amore inconsapevolmente tormentato.
Ma quella sera lontana... La sera in cui ha capito, in cui ha letto in quegli occhi quell'amore e in cui ha cercato di trasmettere con i suoi lo stesso sentimento, beh, quella sera è impressa nella sua memoria in modo indelebile, perché è stata come un nuovo inizio.
Un nuovo, ennesimo, capitolo della storia che li vede protagonisti da sempre.

E mentre ricorda, appoggiato allo stipite della porta della spaziosa camera, giocherella d'abitudine con il piccolo cerchietto che ha all'anulare sinistro e osserva rapito e sognante il ragazzo– l'uomo che se ne sta malamente sdraiato a pancia in su sul letto matrimoniale dalle coperte sfatte, le braccia e le gambe sguaiatamente spalancate come una stella marina, la bocca schiusa e i capelli arruffati, il corpo perfetto nudo.

Derek lo ammira, ricorda e non può fare a meno di innamorarsi di lui sempre di più. 






*Vi metto un video di una cover che ho trovato dopo aver scritto la fic, così vi fate un'idea di come è la canzone suonata al piano: https://www.youtube.com/watch?v=K1mG1k6k8iI
e anche l'originale, perché è stupenda ed è una delle mie canzoni preferite^^: https://www.youtube.com/watch?v=vGJTaP6anOU

  
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