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Autore: Vitya    19/04/2016    5 recensioni
Piccola one-shot scritta per sfuggire allo stress da esami. Niente di troppo impegnativo, solo cose belle :)
Dal testo:
Tu eri nel primo dormitorio, con la tua divisa impeccabile, tutti i privilegi del caso e di certo un cognome forte alle tue spalle; io, in quel momento, stavo tornando negli sgabuzzini degli addetti ai lavori.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Hai bussato alla mia porta

La prima volta che ti ho visto c’era il sole. Era uno dei primi pomeriggi di primavera e le lezioni erano finite già da un po’. Nel gran traffico del cortile, fra ragazzi che chiacchieravano e chi improvvisava una partita con un pallone sgonfio, tu eri da solo in mezzo al prato. Stavi all’ombra di uno dei grandi alberi, con un libro in mano. Mi sono accorto di te per caso, guardando fuori da una delle tante finestre del corridoio. Non t’importava niente della confusione che avevi intorno, protetto sotto quei rami possenti e ricchi di foglie: eri lontano da tutti, completamente immerso nella lettura. Credo di essere rimasto a fissarti imbambolato per quasi cinque minuti, cercando in te non so che cosa. Ho capito subito che alloggiavi nel primo dormitorio: il tuo aspetto era troppo raffinato, il tuo portamento quasi regale non poteva permetterti di condividere la stanza con altri ragazzi “normali”. Quella pelle lattea non doveva aver visto per troppo tempo i raggi del sole, mentre i tuoi capelli lunghi, tanto scuri da sembrare blu, riparavano due affilati occhi di ossidiana. Persino il tuo modo di scorrere lo sguardo sulle pagine ti elevava sopra la massa. Ne ho avuto conferma più di una settimana dopo, quando ti ho visto nel giardino adiacente al grande palazzo. In quei sette giorni ti ho cercato di continuo, voltandomi, guardandomi intorno nella speranza di trovarti ovunque andassi, senza sapere bene il motivo. Ti ho riconosciuto nonostante fossi lontano da te, e ho come sentito che quella lontananza fra noi due non era solo un problema di spazio. Tu eri nel primo dormitorio, con la tua divisa impeccabile, tutti i privilegi del caso e di certo un cognome forte alle tue spalle; io, in quel momento, stavo tornando negli sgabuzzini degli addetti ai lavori. Avevo appena finito di pulire i cessi sporchi della facoltà, e mi sentivo addosso una puzza tremenda di sporcizia mista a detersivo. Abbassai gli occhi sulla mia salopette azzurrina, scolorita e lurida, mentre spingevo il carrello dove avevo posato guanti, spazzolone e quei saponi in grado di sciogliere le peggiori incrostazioni. Tu dovevi essere ricco da fare schifo, io lavoravo per una borsa di studio a rischio. Tu studiavi nel gazebo in mezzo ai fiori, io facevo avanti e indietro fra gli edifici del collegio con lo spazzolone e il sacco d’immondizia alla mano. Quella verità mi ha schiacciato all’improvviso, paralizzandomi sul posto; c’era un divario fra noi. Per un attimo, un istante lungo quanto un battito di ciglia, ho pensato di non essere abbastanza. Non al tuo livello almeno, e questo mi ha fatto un male atroce. Non sapevo nemmeno il tuo nome ma volevo conoscerti; per questo ti cercavo in ogni aula, ogni corridoio, oltre i vetri di ogni finestra del campus. È per questo che ho cambiato i turni delle pulizie, non lo nascondo, anche se ammetterlo è un po’ imbarazzante. Ho assillato l’ufficio gestione per giorni finché non mi hanno messo “ai piani alti”, così come noi studenti mediocri chiamiamo voi privilegiati. I vostri ego senza limiti e la vostra superiore arroganza mi hanno subito dato un gelido benvenuto, fatto di occhiate irrisorie e battute piene di cattiveria. Mi chiedevo se anche tu fossi tanto stronzo in realtà, se tutti quei soldi ti avessero viziato fino a marcirti dentro come gli altri rampolli della struttura. Finché un giorno, per caso, ho bussato alla tua camera. Finalmente ho scoperto quale fosse il tuo nome. Persino quello mi è sembrato un suono dolce e ruvido al punto giusto, bello come te e duro come la tua solitudine: Sasuke. Uchiha Sasuke.
 
Non credevo arrivassi a tanto. Non mi sarei mai aspettato di trovarti dietro la mia porta. Già da un po’ mi ero accorto di te, mio stalker personale; con quei capelli biondi così accesi è davvero difficile non attirare l’attenzione. Ogni volta che ci siamo trovati nello stesso luogo sentivo i tuoi immensi occhi azzurri puntati su di me, e anche quelli sono davvero troppo lucenti per passare inosservato. Ho fatto finta di niente, lasciandoti stare finché saresti rimasto a fissarmi da lontano. Tu non avresti fatto del male a una mosca, lo si capiva guardandoti. Anche quando ci siamo ritrovati faccia a faccia sullo stipite della mia stanza ne hai dato una prova. Hai iniziato a mormorare qualcosa sui cestini che dovevi svuotare e le cose da mettere in ordine, finché non ti sei presentato in preda all’imbarazzo. Eppure io sapevo già chi fossi, Naruto Uzumaki, perché il professor Orochimaru aveva cercato la tua scheda d’iscrizione per me. Non mi stupiva che lavorassi per la borsa di studio, quanto che avessi trovato il coraggio di bussare da me. Forse avrei dovuto mandarti via subito, prima che prendessi troppa sicurezza e degenerassi come tante altre mie ammiratrici passate. Il tuo sguardo innocente mi ha convinto a lasciarti entrare. Mi ricordo che hai cercato in ogni modo di farmi parlare, tempestandomi di tante di quelle domande che alla fine ti ho quasi cacciato. Da allora sei venuto tutti giorni a svuotare i cestini, puntuale come un orologio, e quando uscivo dalla stanza capitava spesso, casualmente, che tu stessi pulendo il pavimento o le finestre del mio corridoio. Ti ho beccato anche a spiarmi mentre ero in sala di musica, una volta. Ero seduto al pianoforte ad esercitarmi su uno spartito, ma per qualche ragione non mi sentivo a mio agio come quando suonavo da solo. Mi sono voltato di scatto e ho notato che la porta era socchiusa. Quando poi sono corso a controllare chi avesse aperto non ho trovato nessuno, eccetto un carrello delle pulizie abbandonato da qualcuno. Mi sono arrabbiato da morire, perché odio essere spiato, e soprattutto non voglio avere nessuno vicino quando mi esercito. Ho sbattuto la porta in malo modo, facendo quasi tremare le pareti. Il giorno dopo non sei venuto a sistemarmi la stanza, e quando ci siamo incrociati a lezione mi hai salutato imbarazzato, quasi a scusarti. Mi era già passata l’arrabbiatura, però volevo continuare a tenerti il muso ancora per un po’, probabilmente per il gusto di farti penare. Poi ti trovato in libreria, nelle vicinanze di un esame, con un’espressione sconsolata mentre fissavi abbattuto una dispensa e un quaderno pieno di scarabocchi. Mi sono fermato alle tue spalle, interpretando quella scrittura disordinata a fatica, per poi indicarti l’errore che ti affliggeva tanto. Ti ho colto alla sprovvista e per lo spavento hai urlato così forte che tutti i presenti si sono voltati verso di noi, fulminandoci con lo sguardo. Con un po’ di imbarazzo hai mormorato delle scuse, chiedendomi di nuovo cosa avessi sbagliato. Non mi dimenticherò mai la tua faccia quando ti ho offerto una mano per lo studio; stavi quasi per svenire, per poi esplodere in un sorriso pazzesco e ringraziarmi a gran voce. Ci siamo fatti rimproverare di nuovo, attirando l’attenzione di tutti. Me ne sono andato con una strana leggerezza in corpo, che però è svanita subito. Ho visto chiaramente dei ragazzi avvicinarti con discrezione, per poi sedersi accanto a te e iniziare a borbottare qualcosa mentre si guardavano intorno. Parlavano di me, non ci voleva un genio per capirlo, e ho subito immaginato quante schifezze ti stessero raccontando e come mi descrivessero. Non era certo la prima volta che mi ricoprivano di fango, non mi ero mai curato di certe cose. Invece quella volta mi è dispiaciuto: non volevo che tu venissi condizionato da loro, tu che ogni mattina mi salutavi sorridendo e mi rivolgevi sempre una parola gentile. Solo a quel punto mi sono accorto di essermi in qualche modo affezionato a te, anche se non l’avrei mai ammesso a nessuno, nemmeno a me stesso. Ripetevo che era solo il senso dell’abitudine, che sarebbe stato strano non avere una tua visita ogni pomeriggio con la scusa di sistemarmi la stanza già perfettamente in ordine. Non ti aspettavano il giorno dopo. Invece hai bussato con l’entusiasmo di sempre e mi hai chiesto, dopo aver terminato le pulizie, se potevo ancora aiutarti con alcune lezioni da studiare. Sei rimasto fino a tardi, con una naturalezza invidiabile, e non facevo altro che chiedermi cosa ti avessero detto quei bastardi il giorno prima, perché ero certo che ti avessero raccontato del mio trasferimento. Eppure tu sei stato così naturale che sembrava non li avessi mai incontrati. Non ti ringrazierò mai abbastanza per aver fatto tu la prima mossa; io non avrei avuto il coraggio. Non più, dopo quello che aveva passato appena un anno prima, nonostante dentro di me sentivo di volerlo disperatamente. Eravamo seduti alla scrivania, a ripassare gli ultimi appunti. Tu mi hai preso la mano e mi hai baciato, e non avrei potuto immaginare un bacio più adatto a te di quello. Un bacio gentile, delicato ma allo stesso tempo forte, proprio come eri tu. Allora ho deciso di baciarti anche io, Naruto.
 
Nella mia mente la tua immagine si accostava sempre più spesso a quella di un principe, tanto ti distinguevi da chi avevi intorno. Anche i tuoi baci, come quelli di un principe, dovevano avere qualche potere particolare. Di sicuro lo avevano, perché è bastato stringerti a me per dimenticare tutte quelle cattiverie che mi avevano raccontato. Ti eri trasferito in questo collegio dopo lo scandalo che ti aveva investito nella tua vecchia scuola, quando si era scoperto della tua storia con un altro studente. Il putiferio era giunto anche alle orecchie della tua famiglia, che aveva occultato il tutto con una generosa donazione per poi traferirti in questo istituto, fingendo che non fosse mai successo niente. Eppure la voce era giunta anche qui, per questo nessuno ti stava troppo vicino o cercava di avvicinarti. Gli stessi ragazzi che mi avevano fermato in biblioteca avevano voluto avvisarmi, come se tu fossi un mostro. Perché era esattamente così che ti dipingevano: un ricco annoiato, che grazie ai propri soldi riusciva ad adescare gli altri, e mi raccomandavano di stare attento. Ai loro occhi io, che lavoravo per mantenermi, ero la tua preda perfetta. Eppure ogni parola era svanita, cancellata dal tocco leggero delle tue labbra, mentre affondavo le mani fra i tuoi capelli incredibilmente lisci. Ci siamo visti di nascosto per quanto? Settimane? Non ho tenuto il conto, però ogni volta che mi aprivi la porta l’entusiasmo era lo stesso della prima volta.
 
Con te il mio passato non mi fa paura. Tu mi hai accettato nonostante il mio nome, il mio carattere solitario e tutto ciò che ho alle spalle. Ero consapevole che tu già conoscessi quello che era successo l’anno scorso, però volevo comunque dirtelo. A te non è importato. Solo dopo il professor Orochimaru mi ha raccontato che sei stato quasi bandito dalla biblioteca: avevi insultato i ragazzi che avevano sparlato di me, che volevano metterti in guardia nei miei confronti. Mi avevi difeso fin da subito e questo mi ha inspiegabilmente reso felice. Ho fatto finta di niente, però quella sera, appena hai bussato alla mia stanza, ti ho aperto con un’impazienza che non provavo da tanto. Tutt’ora quegli studenti ci stanno lontano, mormorano alle nostre spalle e ridono quando ci allontaniamo. Ma che ne possono capire? Niente, proprio come la mia famiglia non lo capirà. Però non m’importa più nemmeno di questo. M’importa, invece, che oggi è il giorno del nostro diploma, e che grazie a te non mi vergogno più di me stesso, né del mio passato. Non mi vergogno più di baciarti davanti a tutti, perché tu sei speciale, Naruto Uzumaki, e non ti ringrazierò mai abbastanza per esserti presentato alla mia porta quel pomeriggio. 


*angolo autrice*
Salve a tutti :D è da un po' che non mi faccio sentire, però volevo condividere con voi questa storiella che avevo in testa. Non è proprio il "mio tipo" di storia, dato che solitamente scrivo rigorosamente in terza persona, e si tratta sempre di storie lunghe e abbastanza intricate. Però era da tantissimo tempo che non usavo la prima persona, e devo dire che è molto più difficile di quanto ricordassi. Inoltre volevo provare a scrivere qualcosa di semplice, dato che solitamente inserisco mille dettagli e scene secondarie spesso anche inutili, e la tentazione di fare lo stesso anche qui è stata parecchia. Alla fine il risultato è questo qui, spero che questo "tentativo" (chiamiamolo così) non sia stato del tutto un fallimento. 
Per chi aspetta notizie di "Quel bar chiamato Akatsuki", sappiate che ho finalmente iniziato il nuovo capitolo! ;)
A presto :*

 
  
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