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Autore: Small Wolf    20/04/2016    1 recensioni
-Il bimbo si voltò verso di lei e dopo averla guardata con una dolce espressione infantile esclamò "Mamma!" e Sakura non si sentì mai più tanto gioiosa e colpevole al tempo stesso. Quel sostantivo era tutto per lei ma di regola, non avrebbe dovuto essere suo. Sasuke la guardò con un'espressione indecifrabile, lascinadola per la prima volta completamente sola nel dilemma della sua scelta-
-L'ambiente era pieno solo di vuote parole che alimentavano il silenzio nelle loro anime. Naruto tentava di tutto per non farle percepire l'immensa mancanza a cui erano stati costretti ma Hinata proprio non riusciva a mentirgli. Non era mai stata brava con le bugie e per questo lui l'amava. Ma ora quell'amore la stava facendo ammalare e lui non poteva vederla morire a causa sua-
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Neji/TenTen, Sai/Ino, Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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A naruto pareva che i palazzi avrebbero potuto sciogliersi e crollare da un momento all’altro come pezzetti di burro. Il caldo era opprimente e innalzava dal cemento ampie folate roventi.
La città, a quell’ora di primo pomeriggio, era quasi del tutto deserta e la gente si rifugiava in casa sotto la frescura dei propri condizionatori. Già, condizionatori. E dire che a lui sarebbe bastato un po’ di venticello fresco ma lì, nel centro di Tokyo, la brezza del mare non riusciva ad arrivare e rimaneva impigliata fra i muri vetrati dei grattacieli, i fumi di scarico delle auto che generalmente affollavano le grandi strade a quattro corsie, i semafori e le mille insegne torreggianti in mezzo ai larghi incroci.
L’esterno appariva come un deserto grigio e bollente in cui  camminava da ore, passando di negozio in negozio, di magazzino in magazzino con in mano il suo povero curriculum. Da quando era stato licenziato da Ikaru, non faceva altro che girovagare per la metropoli alla ricerca di un qualunque impiego anche se il periodo estivo e l’oligopolio industriale di cui faceva parte Hiashi, gli impedivano parecchi sbocchi. 
Il padre di Hinata, preso com’era dalla fama d’imprenditore in cui si era chiuso a riccio dopo la morte dell’adorata moglie, non lasciava spazio ai desideri neanche della propria figlia ma anzi, s’imponeva di evitare a lei ed a Naruto una vita semplice, controllando spesso la lista dei dipendenti sotto il suo vasto controllo.
-Non voglio che quell’Uzumaki lavori per nessuna delle mia filiali-doveva aver detto ai capi superiori delle varie industrie, i quali avevano certamente sparso parola ai dirigenti minori di tutte le compagnie Hyuga. Sebbene la città fosse grande, Naruto e Hinata erano schiacciati in una morsa di ferro tesa al punto giusto da parte di poteri maggiori.
Il biondo era sicuro che Hiashi sapesse molto di lui e con tutti gli uomini che aveva sparsi per Tokyo, non c’era da stupirsi se conoscesse i suoi movimenti e gli impedisse così di trovare un lavoro stabile.
Tirò un calcio ad un sasso, stizzito da quei pensieri e per il fatto di sentirsi come un animale braccato, senza curarsi della direzione né dell’oggetto che andò a colpire con la pietruzza.
Stava ancora camminando con le mani nelle tasche dei pinocchietti larghi quando una voce sicura e maschile, lo costrinse a voltarsi.
-Hey, tu-fece.
Naruto si girò ed incrociò il viso perfetto di un giovane uomo sulla trentina che, dalla sua altezza privilegiata, percorse con sufficienza la sua povera figura. Doveva essere qualcuno degli alti ambienti giapponesi visti i jeans di marca su cui una camicia e una cravatta cascavano con un tocco di classe giovanile, le mani lisce abbandonate lungo i fianchi sottili e la tipica espressione saccente dei giovani di buona famiglia. Affianco a lui c’era un omino dai capelli grigi legati in una coda bassa il cui ghigno tagliente era reso ancor più irritante dagli occhiali da professore che gli scivolavano sul naso.
-Hai graffiato una macchina che vale più della tua reputazione, temo.-la voce dell’uomo con i capelli grigi sembrava quasi felice di poter pronunciare quelle parole mentre il volto del moro rimaneva impassibile ad analizzarlo.
Naruto contrasse le sopracciglia folte e bionde e strinse i denti: non poteva permettersi di protestare ma la fiamma che era la sua personalità non gli impedì di tacere.
-E tu che ne sai della reputazione, conciato come un pinguino?!
L’uomo sfoggiò a stento un’espressione contenuta, poi sorrise nuovamente in modo magligno.
-Dovrai ripagare il danno-aggiunse semplicemente intanto che qualcosa nello sguardo di Sasuke, si era acceso di curiosità, sebbene tentasse di rimanere apatico.
-Non ripagherò un bel niente, non l’ho fatto apposta. E poi con tutti i soldi che ha uno che si può permettere una macchina così, il danno è in grado di ripararselo tre volte da solo.
Percepì le guance, abbronzate e percorse da una serie di cicatrici orizzontali, accaldarsi e la rabbia salire assieme alla temperatura corporea. Non riusciva a sopportare chi se la prendeva per poco, segnato com’era da problemi ben maggiori, né la sua precaria pazienza gli consentivano di trattare con moderazione personaggi del genere di quei due uomini palesemente benestanti ed arroganti.
-Ancora una parola e sarò costretto a denunciarti per aggressione verbale.
Naruto stava per ribattere quando il finestrino oscurato dei posti posteriori si abbassò ronzando e dalla fessura che dava sull’interno si intravidero due occhi ambra dal taglio deciso e le pupille lievemente allungate verso l’alto.
-Va bene così, Kabuto. Sono certo che un giorno questo ragazzo ripagherà il suo debito.
-Il mio…
Sasuke sollevò una mano e per una volta qualcuno riuscì ad ammutolire la bocca larga dell’Uzumaki. Per qualche strana ragione quel cenno e quello sguardo erano riusciti a farlo star zitto senza bisogno di spiegazioni. Rimase in silenzio ad osservarli rientrare in auto e partire dalla piazza in cui era avvenuta la conversazione verso una delle strade principali.
Era ancora inebetito da quello strano ed inquietante incontro quando il cellulare vecchio modello che aveva da tempi immemori, squillò. 
Guardò il numero che era sconosciuto e sperò con tutto se stesso che la chiamata appartenesse ad una delle tante agenzie a cui aveva distribuito il curriculum assieme ad una parlantina incessante su quanto fosse in grado di svolgere i più svariati lavori, ma quando sollevò la cornetta la voce che sentì non gli comunicò nulla di buono.

La mattinata era iniziata come molte altre. Alle sette era già in piedi e dopo una doccia, Hinata si era preparata per andare a lavorare. Una semplice magliettina sopra ad un paio di jeans fuori moda erano il meglio che potesse trovare nel cassettino che le apparteneva.
Il colorito che aveva notato riflesso nello specchio tondo del minuscolo bagno non l’aveva preoccupata dato che la sua pelle era sempre stata chiarissima, così chiara da farla apparire quasi angelica sotto determinate sfumature di luce. Eppure sentiva di avere qualcosa che non andava. Un lieve dolorino al basso ventre e un senso di nausea non le avevano neanche fatto mangiare entrambi i biscotti di routine che le spettavano e quando si era diretta a piedi all’agenzia di pulizie, si era dovuta fermare diverse volte per placare quel fastidioso bruciore.
-Sta bene, signorina?- le aveva chiesto un vecchietto dallo sguardo mite.
Hinata, sorridendo commossa per quell’attenzione, gli aveva risposto di non preoccuparsi nonostante il malessere andava progressivamente aumentando. 
Fu mentre lavava i vetri di un ufficio da cui era stata chiamata che, improvvisamente, si sentì mancare. I suoi grandi occhi chiari cercarono aiuto nel panorama caotico e sfumato dell’ufficio mentre lei si portava una mano allo stomaco. Ricordava di aver indietreggiato tremolante dal vetro, con ancora la pezza bagnata in una mano, di aver cercato appoggio alla scrivania dietro la sua schiena magra e cinta dalla divisa, di aver tastato con le mani il vuoto ed aver percepito un urlo femminile. Poi il buio.
Ora si trovava sdraiata su un lettino nel pronto soccorso di uno degli ospedali centrali della città con una flebo conficcata nella tenera piegatura del braccio e la testa pesante. Pareva che i capelli liscissimi e profumati fossero diventati catene di piombo.
-Salve, come si sente?-un giovane donna poco più grande di lei l’accolse con un sorriso amichevole, entrando nella cameretta chiara.
Hinata cercò di sorridere e con un breve cenno del capo affermò di sentirsi molto stanca.
-Posso immaginare…-rispose la giovane dottoressa mentre si accomodava sullo sgabellino accanto alla barella ed accavallava le lunghe gambe magre-per una persona nella sua condizione è normale…
La voce parve tremarle ma Hinata non rimase a domandarsi il motivo. Anche se lo sguardo della donna si era coperto di una sorta di ombra, lei era spaventata e provata per essere in quell’ospedale e soprattutto era in ansia per Naruto che certamente, avvertito da qualcuno, doveva essere fuori di se per la preoccupazione. La Hyuga sapeva benissimo quanto lui si agitasse per lei e tentasse di proteggerla in modo quasi morboso da ogni cosa. Comprendeva di essere la cosa più preziosa che lui avesse ed oggetto su cui rovesciava tutto il suo sentimento,il quale corrispondeva poi nell’impegno di vederla serena. Hinata conosceva le fragilità più segrete del suo Naruto, quella costante sensazione di perderla, perdere la persona più importante della sua vita, perdere la fonte della sua forza e la ragione di tentare di migliorarsi.
-Nel… mio stato?-mormorò perplessa.
La dottoressa parve riscuotersi da una sorta di oblio ed esibì un’espressione stupefatta.
-Come non lo sa?
Hinata era visibilmente confusa e sempre più frastornata.
-Lei è incinta, cara.

Sasuke non era solito organizzare cose romantiche. Non era il suo forte esprimere i propri sentimenti in quel modo. Preferiva di gran lunga la galanteria e la gentilezza dei piccoli gesti. Non era bravo con le parole per giustificare il suo bisogno di fare semplicemente qualcosa di tenero per Sakura.
Lei non se ne curava, comunque. Le bastava che quel ragazzo dagli occhi apparentemente freddi e distanti, persi in chissà che malinconie, con le mani ampie e sempre poco calde, i movimenti sicuri e scostanti, le fosse accanto, mostrandole quel lato segretamente bisognoso di affetto e comprensione che non era accessibile quasi a nessun altro. All’inizio della loro storia, Sakura aveva visto Sasuke come una sorta di principe dell’oscurità e spesso era rimasta delusa da alcuni suoi comportamenti che a lungo aveva scambiato per disinteresse e apatia. Ma ora, dopo anni e anni di convivenza, aveva accettato l’Uchiha sotto tutti i suoi aspetti ed aveva preso consapevolezza di quanto lui le andasse bene così, con quei suoi modi a volte distaccati e la voce bassa. Aveva imparato a scoprire alcune facce dell’amore che non pensava potessero esistere e ad apprezzare il silenzio e l’azione più che i lunghi monologhi che aveva sognato le facesse per dimostrarle il proprio affetto. 
Quindi, quando quella stessa sera tornò al loro appartamento all’attico del grattacielo nella quarantacinquesima, dopo aver lasciato la valigetta da lavoro ad una donna di servizio, il suo cuore prese a battere furiosamente alla vista del modernissimo ed ampio soggiorno tutto addobbato per una cena al lume di candela.
-Bentornata-la salutò Sasuke dall’alto della scala che portava alla camera da letto.
Gli fece un sorriso intenerito e lo osservò scendere lungo i gradini con una bottiglia di champagne in mano.
-E’ un Roederer-le disse-uno dei migliori champagne francesi, offerto direttamente dagli Akimiji. Credo temessero che l’ultima volta fossimo andati via per noia.
Sakura non riuscì a trattenere una risatina.
-Tutto questo è…-le parole morirono mentre gli occhi ammiravano il tavolo imbandito da una tovaglia di seta candida, le candele piangenti rosso scuro, l’argenteria pregiata che attendeva solo di essere riempita dalle gustose pietanze che già inondavano la sala di aromi squisiti, la luce soffusa delle lampade a muro e la vetrata del terrazzo spalancata da cui proveniva la lo sguardo del cielo stellato.
-Mi andava di fare qualcosa di diverso-affermò sasuke, stappando la bottiglia-ma non di andare in qualche palloso ristorante a cinque stelle.
Sakura rise ancora mentre gli si avvicinava e si sistemava i capelli rosati dietro un orecchio.
-Così ho pensato di organizzare qui… credevo potesse farti piacere.
Si guardarono e Sakura lesse nel suo viso delicato i contorni di un desiderio inespresso. Capiva benissimo che quello era il suo modo per occuparsi di lei, per farla sorridere perché era diverso tempo che non riusciva più ad essere la ragazzina “noiosa” di cui si era innamorato senza nemmeno accorgersi e la cui presenza era divenuta indispensabile.
-Grazie Sasuke-sussurrò, carezzandogli la guancia.
Lentamente, entrambi si avvicinarono l’uno all’altra e si scoccarono un tenero bacio.
-Com’è andata oggi?-la cena iniziò ufficialmente con quella frase.
Sasuke sbuffò e lei capì che aveva qualcosa da dirle.
-Uno strano tizio dei sobborghi ha quasi litigato con Kabuto.
-Ancora Kabuto?! Questo significa che c’era anche…
-Orochimaru-sama, si, Sakura.
La rosa sospirò lievemente irritata mentre lui continuava a mangiare noncurante.
-Insomma… ma perché ti ostini a frequentare quell’essere? Non mi trasmette alcuna fiducia, te l’ho detto mille volte…
-Serve per l’azienda, almeno su questo Madara ha ragione. 
-Come se tu prendessi ordini-lo stuzzicò-potrebbe pensarci Itachi.
Sakura si sentì gelare dopo aver pronunciato quella frase così delicata e un’occhiataccia di Sasuke parve trafiggerla come una katana e farla sentire intimorita ed in colpa.
-Itachi è malato e non deve agitarsi oltre.- Furono parole secche, dette con una certa rabbia per ciò che il suo adorato fratello maggiore stava vivendo. Itachi era l’ultimo che gli era rimasto oltre allo zio Madara che ora gestiva parte dell’azienda proprio perché il più grande dei due eredi non stava particolarmente bene. La malattia lo costringeva spesso a ricoveri e controlli e non era in condizione di poter gestire gli incontri fuori sede e, in generale, gli affari. Anche se contava di rimettersi in fretta Sasuke insisteva con stizza ad occuparsi anche del lavoro del fratello e detestava quando Sakura pareva non capire quanto questo impegno lo stressasse e lo preoccupasse.
-Scusami…
Continuarono in silenzio finchè non fu nuovamente il moro ad intervenire.
-Comunque quell’idiota a momenti non si beccava una denuncia per aggressione verbale.
L’Haruno sbuffò:-Conoscendo Kabuto, avrà esagerato come sempre. 
Sasuke sorrise e la tensione si affievolì.
-Oggi una ragazza incinta è stata portata in pronto soccorso per un malessere… non sapeva di aspettare un bambino. Sono stata così indelicata a svelarglielo…
Le forchette dell’Uchiha smisero di tintinnare contro il piatto.
-Sembrava… così spaventata… Quando è arrivato il suo ragazzo hanno pianto insieme. Non credo fossero lacrime di gioia…
La ragazza ingoiò a stento il piccolo pezzo di pollo infilzato sulla forchetta e lo usò come espediente per non singhiozzare. Lo sguardo di Hinata le balenava ancora in mente come un’oscura profezia sul futuro della creatura che aveva nella pancia. 
La sala si riempì nuovamente di silenzio: in quel momento la il caso della vita apparve ad entrambi tremendamente sbagliato.
  
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