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Autore: Sui    21/04/2016    4 recensioni
Roma nacque e fu subito meraviglia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Antica Roma
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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21 Aᴘʀɪʟɪs 753  A.C.


Ci furono due gemelli nati da un sangue reale e tanto antico da lambire le vecchie mura di Troia quanto le vette più alte dell’Olimpo, là dove sedeva il dio Marte padre forte e orgoglioso. Toccò ad essi ristabilire l’ordine ad Alba Longa e a loro fu concesso l’onore di fondare una città dove una lupa li aveva salvati allattandoli come cuccioli  rendendoli forti alla vita.

Là crebbero e là tornarono con gli animi ardenti perché l’uno chiamava il suo sogno Roma indicando con forza il Palatino mentre l’alto volgeva il proprio capo all’Aventino per piantare i semi della sua Remora.
Toccò dunque agli Dei che proteggevano quei luoghi indicare, mediante aruspici, chi avrebbe dato il nome alla città e chi vi avrebbe regnato d’ora in avanti. Essi allungarono il loro braccio, indicarono Romolo scegliendolo come colui che avrebbe dato vita ad una stirpe valorosa che a lungo avrebbe fatto echeggiare il proprio nome a passo di marcia in quelle terre e oltre i confini dell'Occidente e dell'Oriente.

Si disse che il fratello fu geloso del fratello, che gli uomini si divisero, parole e azioni furono scagliate cariche di veleno e astio perché la gelosia rende da sempre l’uomo cieco e feroce quanto la fiera più selvaggia; il legame del sangue cadde nel buio della dimenticanza, l’ira fiorì da regina nel dettare le regole di un gioco pericoloso e mortale.

Sangue caldo e ferroso fu ciò che imbrattò il terreno fertile, l’erba ormai macchiata del più grave dei peccati rese colui che era stato scelto dagli Dei il primo Re di tutti loro. Si vide esplodere in lui, favorito dal momento, un gridare ruggente dell’animo – il gridare di colui che con intenti chiari, finalmente si sfoghi.

« Così, d'ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura! »1


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La carne splendette e si illuminò sotto tiepidi raggi del Sole, delle piccole dita si sporcarono di terra e tirarono verdi filamenti per osservarli con occhi curiosi e luminosi. Ci furono poi due gambine un po’ tozze, dei piedi nudi spalmati contro terreno umido e marrone noncurante che questo si insinuasse sotto le unghie. Un capo già bruno dove ciuffi ribelli si alzavano verso un cielo biancheggiato da candide nuvole fece capolino, questo si volse a destra e poi a sinistra portandosi l’erba alle labbra piccole e saggiandone il sapore amarognolo.

Roma nacque e fu subito meraviglia.

Aveva già il sorriso sul volto, le guance piene e di un rosa delizioso che parlavano di salute; apparve come un buon segno, perché quel bambino aveva la forza di Marte nelle vene e la protezione della Fortuna a baciargli il capo.
Ruminò erba con fare convinto,  provando passi perché già incapace di starsene fermo.  Cadde, si rialzò e cadde di nuovo, il terriccio che tutto si spandeva a tratti oscurandogli già una pelle che il tempo avrebbe reso bruna e segnata dalla violenza, essa avrebbe però avuto anche carezze, caldi abbracci, baci umidi e vogliosi.

Si rotolò come solo un cucciolo d’uomo avrebbe potuto, il nasino e gli occhi color ambra rivolti ora al cielo ora agli alti rami di un fico poco distante che gli apparve enorme e infinito nell’innocenza del proprio pensare. Vide un uomo sotto di esso, riconobbe dei capelli scuri, occhi e naso e si disse che sì – era un uomo vero.
Fu l’istinto più semplice a suggergli il movimento, all’approcciarsi cauto e lento tanto da condividere con lui l’ombra delle foglie larghe. Ci furono due occhi mai visti prima a posarsi sul proprio corpo, ci fu sorpresa e sgomento e l’appello agli Dei affinché chiarissero i loro intenti.

Roma alzò il suo braccio morbido, le cinque piccole dita tese con una fiducia innaturale e inspiegabile.
La lingua non pronunciò parole perché incapace, gli occhi comunicarono in sua vece in modo silenzioso e inequivocabile; una volontà simile a fuoco vivo ad illuminarli tutti che rese l’uomo adulto incapace di ignorarli.
Gli dissero ‘’ prendimi ‘’ e due braccia non tardarono ad afferrarlo, alzandolo per la prima volta dalla madre terra. Strinse il naso dell’uomo e poi la guance, c’erano punte pungenti che non seppe spiegarsi ma che lo fecero ridere. Inconsapevole e riparato dalle grandi mani degli Dei, Roma giacque tra le braccia di Romolo con fiducia genuina.

Alcuni uomini lo avrebbero chiamato dominus, altri generale, alcuni addirittura amico.
La storia lo avrebbe ricordato come Roma,  il grande Impero che ebbe ai suoi piedi il Mediterraneo.
Ma Romolo lo chiamò Augustus perché protetto dagli Dei, pronunciando il suo nome per la prima volta in un sussurro che il vento  portò via con sé.
Lo strinse al petto, volgendosi lontano dal fico perché oramai era tempo.

« Andiamo a casa. » 



Note:
1) la citazione è tratta da Livio
 ( I, 7 ) 

Prima storia che pubblico d'autrice, è un esperimento che ho provato a fare sperando di non aver creato un macello. Ringrazio in anticipo i possibili lettori/recensori sperando che la lettura non sia stata un'eccessiva perdita di tempo!

  
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