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Autore: Marianna 73    22/04/2016    16 recensioni
Un lampo ed il buio, non solo quello della notte, improvviso e terrificante.
Ispirata alla splendida "Una sera" di Cecile Balandier.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il buio all'improvviso

 

Questa piccola o.s. inizia dove termina la splendida "Una sera" di Cecile Balandier, che ringrazio infinitamente per avermi autorizzato a scrivere su una sua idea.

 

Il corridoio per raggiungere l'uscita non gli è mai sembrato così lungo.
Lo percorre quasi correndo,  il passo sempre più affrettato,  il cuore trafitto da un dolore e da una brama che non sa quanto riuscirà  ancora a sopportare.
Via.
Via, lontano da lei, finché ancora è in tempo, finché  la ragione ancora riesce a tenere a bada il desiderio, il bisogno sconfinato di specchiarsi nell'azzurro dei suoi occhi, di annullarsi nel suo sorriso, di respirare il profumo della sua pelle, velluto bianco sotto alle dita, un ricordo che mai riuscirà a cancellare.
Ancora una svolta e sarà all'aperto. Intravede già il tenue lucore dei doppieri che illuminano il vestibolo.
Via, lontano, mentre il fiato gli si spezza nella gola, l'incedere concentrato nella penombra.
Via.
In caserma, in una bettola sudicia e rumorosa, sulla sponda lurida della Senna con nessuna altra compagnia che una bottiglia di vino scadente. Ma via. Lontano da lei.

Da lei, così bella e indifesa, addormentata davanti al fuoco, il libro abbandonato sul petto, le lunghe gambe mollemente allungate sul tappeto, il viso d'angelo piegato di lato a lambire la spalla e le fiamme ad accendere riflessi vivi sui riccioli biondi, fulgidi come oro rosso in quel riverbero.
"Aiutami, Signore" mormora piano "dammi la forza di andarmene, ti prego..."
Un lampo, accecante, interrompe per un istante i suoi passi, tanto vicino ed improvviso da accendergli un dolore tagliente nel cervello ed obbligarlo  a fermarsi,  la vista  già precaria trafitta da quel bagliore bianco e crudele.
Il respiro diviene un sibilo tra i denti mentre attende che, scemato pian piano il dolore, i contorni delle cose tornino a manifestarsi.
Ma ad avvolgerlo, solo buio...
Un respiro ancora, provando a tenere a freno i battiti furiosi del cuore, che gli rimbombano dentro e sovrastano il fragore del tuono che vibra possente sui vetri della porta d'ingresso.
Ancora, nient'altro che buio.
Le braccia si allargano quasi senza che la sua volontà, annichilita dalla paura, le governi, per sondare il vuoto, ed i passi improvvisamente incerti scartano di lato sino a quando la punta delle dita incontra il freddo del muro.
Buio, ancora, ovunque.
Buio quando, il respiro ormai un raschio di terrore, appoggia la schiena alla parete e si lascia scivolare sul freddo del pavimento di marmo.
Buio.
Sapeva che sarebbe potuto succedere, il medico lo aveva avvisato che anche l'occhio destro si sarebbe presto spento, sovraffaticato com'era, se lui non avesse provato a riguardarsi di più. Aveva avuto le prime avvisaglie da tempo... spesso la vista gli si offuscava ed ogni cosa gli appariva velata di un'ombra scura. Ma non immaginava che sarebbe successo così  presto.
Serra forte le palpebre e con una mano, percorsa suo malgrado da un tremito lieve, si deterge una piccola lacrima che sente pungere dietro le ciglia.
Si sforza di governare il respiro, di cercare, nel rumore scrosciante della pioggia che giunge da fuori, un aiuto per provare a riportare la calma nel rincorrersi impazzito dei pensieri.
Forse se si ferma un istante, se rimane lì, appoggiato a quel muro, in quell'angolo fresco ed odoroso di pioggia, forse... forse riaprendo gli occhi... 
In fondo non è  poi così  diverso da quando bambino, nel buio colmo di lampi della sua cameretta, serrava forte le palpebre per vincere il timore del temporale, una Oscar spaventata e tremante tra le braccia da confortare, a cui mai avrebbe confessato di aver paura anche lui di quel cielo improvvisamente impazzito.
Era stata così  sua, in quei momenti da pensare per anni, scioccamente, che quegli istanti sarebbero bastati a non separarli mai, a renderli unici, inattaccabili, indivisibili.

Un respiro profondo gli pervade il petto mentre appoggia la testa al muro e le mani scendono  a cercare il gelo delle mattonelle. C'è un'ombra  di sorriso, sulla disperazione delle sue labbra ora, mentre  al viso impaurito  di Oscar bambina si sovrappone quello vinto dal sonno, stanco e bellissimo, che ha appena lasciato davanti al camino. "Se non vedrò  più, riaprendo gli occhi" mormora, trafitto dalla possibilità concreta che il momento di quell'evento sia giunto davvero "almeno sarai stata tu, l'ultima cosa che ho visto, Oscar..."
Scorrono piene ora le lacrime e le mani, rese ghiaccio dal pavimento, non fanno nulla per  fermarle.
Non può  trattenerle quelle lacrime, forse nemmeno lo vuole... Non può arginare il pianto per una vita che non è  stata ma della quale comunque non rimpiange nulla,  se non i momenti che, da quella notte maledetta, ha vissuto lontano dal cuore di lei.
È  un gemito dolente, il lamento di un animale ferito, il suo nome che gli schiude le labbra.
"Oscar..."
Lei, soltanto.
Nient'altro che lei, sempre.
Ovunque. Nel profondo della carne e dell'anima, in ogni respiro, in ogni singolo istante di ogni suo giorno ed in ogni anelito del suo cuore.
"Oscar..."
Ed alla paura di poterla vedere più  se ne aggiunge un'altra portata dalla consapevolezza devastante che se quel buio in cui è sprofondato quando riaprirà  le palpebre non svanirà, gli impedirà  di continuare a proteggerla, anche da lontano, come sta facendo ora.
Non potrà  più  cercarla con lo sguardo al mattino, quando giunge in caserma, algida e perfetta nell'uniforme blu, l'azzurro trasparente degli occhi a rendere sereno ogni suo cielo, anche il più burrascoso.
Non potrà  più  alzare lo sguardo alla sua finestra quando attraversa la piazza d'armi, il cuore  a rivolgerle un saluto muto mentre la immagina seduta alla sua scrivania, intenta al suo dovere.
Non potrà  più...il respiro gli si spezza e deflagra in un singhiozzo aspro, squassante, le mani al volto, la testa  che colpisce piano il muro per provare, disperato, a non lasciarsi trascinare più  a fondo nel gorgo urlante del terrore.
"Oscar..." un altro sussurro, quasi una preghiera. "Aiutami, ti prego..."
Minuti interminabili, non saprebbe dire quanti, scanditi dai tuoni e dallo scrosciare impietoso della pioggia, assordante sui vetri  e sulla ghiaia del viale.
Poi, di colpo, il silenzio.
La furia del temporale si è  acquietata  e quel chioccolio di ultime gocce intriso di ritrovata quiete gli riporta alla mente lo sguardo limpido  di Oscar, in quegli anni lontani, quando, un'ultima stretta più  calda intorno alla vita, lo salutava muta e riconoscente per averla accolta e protetta prima di sgusciare silenziosa fuori dalla sua stanza.
Ed è  a quell'immagine che si appiglia, per trovare la forza di  calmare il respiro e ricacciare nel fondo della gola quel vortice diaccio che stava per risucchiarlo. Scosta piano le mani dal viso per portarle ai capelli, imperlati dal sudore ghiacciato della paura poi, gli occhi ancora strettamente serrati, di nuovo cerca con le mani la consistenza gelida delle mattonelle, quasi a volerne assorbire la durezza attraverso la pelle, per affrontare la verità che lo attende.
Un ultimo respiro, a riempire i polmoni dell'aria lavata via di ogni paura che viene da fuori, poi la volontà che impone alle palpebre di alzarsi e svelare...
Lievissimi, nella penombra, i contorni degli arredi che tornano a delinearsi scuri e fumosi, dapprima, poi sempre più  nitidi.
Riprende a correre anche il cuore mentre, impetuoso, si alza e senza esitare torna sui suoi passi percorrendo nuovamente il corridoio silenzioso, l'anima che grida forte l'unica cosa di cui ha davvero bisogno...
Rivederla.
Rivedere lei, subito, ancora, di nuovo.
Ritrovarla nel suo sguardo e, privilegio che ha temuto di aver perduto per sempre, ancora saziarsi della sua immagine, respirarle vicino, fingendo per un attimo, uno soltanto, che non sia cambiato nulla.
Varca la soglia del salottino e, attento a non fare rumore, si avvicina alla poltrona.
Lei è ancora li.
Bella e quieta nel sonno, l'animo tormentato finalmente assopito, il rosso delle braci quasi consumate che ricama barbagli d'aurora sul suo viso.
Ed è  così uguale alla sua Oscar bambina in quell'arrendevolezza stremata che, di nuovo, per un istante la nostalgia ed il rimpianto rischiano di annientarlo.
Quante volte si sono addormentati su quella stessa poltrona, le teste chine sul medesimo libro, cullati dallo scoppiettio delle fiamme?
Quanti progetti, quante speranze, quante paure li hanno uniti in quei tempi lontani? E quanta vita è  passata su di loro da quelle sere perdute, a stritolarli, a trasformarli da quei bimbi inseparabili che erano in questi  due adulti straziati dallo stesso amore, incontenibile per uno ed irricevibile per l'altro?
Si avvicina e le sue dita cercano, lievissime, il contorno di un ricciolo che, morbido, scende oltre il fianco della poltrona.
"Che cosa ti ho fatto, Oscar?"
Di nuovo il rimorso, cocente, per quella sera di follia in cui nel disperato tentativo di farle comprendere l'entità  del suo sbaglio e del suo amore per lei,  l'ha allontanata da sé nel peggiore dei modi.
Le sue dita abbandonano la ciocca di sole ed esitano, vicinissime al velluto della sua guancia per alcuni interminabili istanti, poi si allontanano. Troppo grande è il timore di svegliarla  e troppo grande il bisogno di starle accanto, ora.
Il desiderio ardente di poco prima, quello che l'aveva fatto correre a perdifiato fuori da quella stanza per timore di non sapersi dominare, si è sgretolato sotto l'incedere terrificante di quel buio e si è  trasformato in necessità  di sentirla, semplicemente, vicina, accanto a sé, come un tempo. Come quando nulla era ancora accaduto e tutto era ancora possibile, anche sognare che lei, un giorno, lo avrebbe amato.
Lascia scendere la mano lungo il fianco e si volta, poi piega le ginocchia e trova con la schiena il morbido della poltrona, di quel bracciolo su cui lei è  riversa, il profumo dei suoi capelli ad avvolgerlo tutto.
Perdonami" mormora piano, la testa a cercare il conforto del velluto. "Perdonami, se puoi."
Non si accorge, perduto com'è nei suoi pensieri del movimento impercettibile di lei, che apre gli occhi, richiamata alla realtà  da quella voce udita mille volte ma nella quale mai ha sentito eccheggiare tanto dolore.
"Perdona il mio amore che non dovrebbe essere, perdona ciò  che questo cuore impazzito non è  stato capace di impedire, quando mi hai detto che volevi vivere come un uomo..."
È quasi facile, ora, dirle tutto in quel crepitio sommesso di braci morenti, in quel tepore grato, con il ritmo lieve del respiro di lei ad infondergli calma e quiete. A farlo sentire a casa.
"Avevo saputo da poco che avrei perso del tutto la vista..."  Un piccolo sussulto dietro di lui,  assorbito dall'imbottitura spessa, di cui nuovamente non ha percezione  "e quando mi hai detto che non avresti più avuto bisogno di me io...io..."
Resta in silenzio qualche istante, non ci sono parole né pensieri per perdonarsi quel gesto, nemmeno in nome di quel sentimento sconfinato che è  la sua ragione di vita.
Ma qualcosa lo sprona a continuare quella strana confessione,  ad affidare a quella stanza che è stata tante volte il loro rifugio tutta la sua disperazione.

"Poco fa il buio mi ha colto all'improvviso, sai Oscar?" Un sospiro profondo gli esce dal petto e copre il singhiozzo sommesso che si leva dalla poltrona "E ho avuto paura....come non mi era mai capitato di averne, in tutta la mia vita...Sapevo che sarebbe successo, il Dottor Lassonne mi aveva avvisato ma quando è  successo ho scoperto che non ero ancora pronto."
Si alza in piedi ora perché  nuovamente gli argini del dolore stanno tracimando e non vuole cedere alle lacrime, non vicino a lei.
"Non ero pronto a lasciarti andare, Oscar"
Un passo, difficilissimo, verso l'uscita, nera, nel buio profondo della notte.
"A
vevo bisogno di vederti, almeno ancora una volta..."
Non c'è più  nulla da dire, ora.
E non c'è più  nulla che lo possa separare da quel buio che sembra attenderlo dietro l'uscio spalancato, per inghiottirlo di nuovo.

Nulla se non la voce di lei, inaspettata e calda, un raggio di sole ad accendere quella notte di speranza.

"Aspetta, André. Non andartene, ti prego..."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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