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Autore: xX_ImNoHero_Xx    23/04/2016    0 recensioni
"Era particolare. Quel ragazzo era particolare, emanava una strana luce, come quando tutto intorno è grigio, e lui anche lo sembra, ma in realtà a guardar bene, vedi una sfumatura colorata.
Una sfumatura viva."
*****
"Quei ragazzi mi hanno insegnato che si può vivere cent'anni, senza vivere un secondo. E Luke, tu, di secondi, me ne hai dati tanti."
*****
Luke, la tempesta, il Cavaliere Nero, il ghiaccio, la stronzata adolescenziale, o come si voglia chiamarlo. È solo colui che incontrai, che non avrei dovuto conoscere ma che ho voluto amare.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. I WOKE UP IN THE PLACE WE STARTED


La pioggia scendeva dal cielo, piccoli petali di acqua che ingrigivano la Londra autunnale. Il fresco si cominciava ad avvertire, tanto atteso dopo la mia estate a Sidney.

L'autunno invece era stato così voluto, così desiderato. L'avevo atteso per mesi, in ansia di lasciare quell'orribile città e di tornare qui, da Anne. Lei mi era sempre piaciuta, era come una madre per me, anzi, era la madre

Marylin l'ho sempre considerata come una estranea. Così fredda, così sconosciuta e misteriosa. Ci ha abbandonati anni fa, me e mio padre. Una notte chiuse quella porta di graffi e ricordi, e non la aprì più. Dimenticata oltre un cancello.

Nessuno ebbe più notizie di lei, e nessuno voleva averle. Tranne Anne, lei ci aveva sempre tenuto, troppo buona per scordarla. Nonostante tutto il male che la sorella le aveva procurato, lei le voleva ancora bene.

***

La luce s'intrufolò dalla finestra, svegliandomi da un sonno vuoto.
La voglia di alzarmi era inesistente, dato che avevo un'altra settimana di libertà e poi sarebbe iniziata la scuola. Eppure avevo il bisogno di uscire di casa, di trovare un posto al sicuro fuori da quelle mura bianche e pulite.

Afferrai le lenzuola e le abbassai fino al torace, quindi presi il telefono e cominciai a digitare sulla tastiera

* Jess, tra mezz'ora sono da te *

Scesi dal letto e mi incamminai verso la cucina, come al solito vuota a quell'ora di martedì mattina. Anne era a lavorare e non sarebbe tornata prima di cena. Feci colazione e mi vestii, poi andai a bussare alla porta scura.

" Chris, stai dormendo ancora? " sussurrai. Non ricevendo alcuna risposta aprii la porta. Lui stava disteso a pancia sotto, la faccia incassata nel cuscino, non dava alcun segno di volerne uscire. Presi dalla sua scrivania un foglio e con la penna gli lasciai un messaggio, così che non si preoccupasse nel non trovarmi. Poi il cuscino si mosse, e la sua faccia sbucò dalle lenzuola. Gli occhi si aprirono, dopo un'inutile battaglia contro la luce.

" Shay" biascicarono le sue labbra, ancora gonfie dal sonno. I suoi occhi scuri si posarono sulla tracolla che avevo sulla spalla. " Stai uscendo? "

" Sì, non torno per pranzo, se vuoi invitare qualcuno fai pure, basta che non fai casini" dissi, cercando di non inacidire il suo risveglio.

Mugugnò una specie di risposta, poi si rigirò verso il cuscino e ci si rigettò sopra.

***

Le strade di Londra erano più asciutte del solito, dato che pioveva quasi sempre. Il selciato sul quale camminavo in quel momento non sporcava i miei anfibi bordeaux. Mi sentivo ancora le palpebre pesare, ma a me e Jess piaceva uscire la mattina presto, quando la città ancora dormiva.

Alzai lo sguardo e incontrai due occhioni neri. Mi ero accorta solo in quel momento delle parole di Jess, e mi dispiaceva. Non era la prima volta che lo facevo, la gente mi parlava e io non la ascoltavo, articolando pensieri miei.

Non che io non volessi ascoltare, anzi ascoltare mi piaceva, ma molto spesso non mi ineteressava ciò che mi dicevano o non ero d'accordo. E io ero fatta così, se una cosa non mi stava bene, stavo in silenzio e la ignoravo.

"Scusami, ero distratta..."

"Sai, me ne ero accorta. Ascolta, ti stavo chiedendo se quest'anno alla fine cambi scuola o hai deciso di restare lì" Jess era due anni più grande, ma per me era come la mia gemella diversa. Eravamo cresciute insieme, lei era la figlia della migliore amica di Anne. Ed era il mio opposto completo. Lei amava parlare, uscire il sabato sera con gli amici, andare alle feste, ubriacarsi... io no.

Io amavo il silenzio, i pensieri, non ero una di molte parole, preferivo evitare i casini. Non ero timida, semplicemente non credevo che ciò che pensassi interessasse gli altri. E appartenevo solo a me stessa. Nessuno poteva sapere cosa volessi davvero, cosa mi spingesse al limite e farmelo superare. Almeno, non ancora.

"Non so, dipende da cosa decide Zach. Spero che mi lasci qui anche quest'anno. Se farà così, resto alla London High."

Jess arricciò il naso, facendo una smorfia buffa. Le facce buffe erano il suo cavallo di battaglia. Le sapeva fare di ogni genere, e riusciva sempre a tirarmi su. Anche senza parole, bastava quello per farmi stare meglio. Per questo amavo starle accanto.

Si fermò di colpo. Lo sguardo rivolto al terreno, la fronte corrugata.

"Jess... che succede?"

Mi guardò per qualche secondo, nei suoi occhi potevo vedere solo il mio riflesso. Si passò una mano tra i capelli abbassando il volto, poi scosse la testa sorridendo "Niente, non preoccuparti"

Strano. Lei non era una che riusciva a tenere i segreti, qualunque cosa avesse in testa, prima o poi sarebbe saltata fuori.

***

Erano tre giorni che pioveva. Londra era così, un giorno c'era il sole, poi per un mese avrebbe piovuto. Io amavo la pioggia, anche se, lo ammetto, le giornate in cui pioveva c'era ben poco da fare. Stavo osservando le goccioline che scivolavano lungo il vetro.

L'acqua mi faceva rilassare, era come se accompagnasse i miei pensieri verso un mondo più tranquillo, senza brutture. Oppure, mi aiutava a concentrarmi meglio, a scandire meglio ogni pensiero e portarlo sulla via della conclusione sensata.

Quando sentii bussare, non avrei saputo dire quanto tempo fosse trascorso. Un minuto, o forse un'ora. Dal tocco gentile con il quale le nocche accarezzavano la porta, capii subito che era Chris.

"Entra Chris"

La maniglia cigolò e l'ombra della testa ricciolina di mio cugino fu proiettata sul pavimento della mia camera. "Ehi" mi rivolse con un sorriso. Troppo piccolo per essere di gioia, troppo breve.

Conoscevo Chris più di me stessa, e avrei capito da un anno luce di distanza che aveva il bisogno di parlarmi.

"Shay, posso? Vedo che non sei molto occupata" si passò una mano dietro al collo e iniziò a grattarsi la nuca. Era nervoso.

Mi alzai dal davanzale e mi sedetti sul letto. Indicai un punto vicino a me. Era sempre così che iniziavamo le nostre conversazioni, seduti. Era come se non avessimo potuto reggere il peso delle parole, in piedi. Non mi sono mai reputata una persona forte. Ero debole e lo tenevo bene a mente. Non mi cacciavo mai nei guai, o almeno ci provavo.

"Ascolta, credo di sapere che lo zio ha deciso. Ieri, mamma ha parlato con qualcuno al telefono, e da quello che ho sentito stava parlando con lui." C'era imbarazzo nella sua voce. Tutti nella mia famiglia sapevano ciò che era accaduto tra Zach e Anne. Ed era ancora una cosa difficile da affrontare, nonostante fossero passati quasi vent'anni.

"Ah..." amavo Chris, ma se c'era una cosa che mi dava fastidio di lui, era che non finisse mai i discorsi Mi faceva venire la nevrosi, perché cominciava a parlare ma ti lasciava così, con le frasi in sospeso.

Parole appese ai fili del forse.

Abbassò lo sguardo.

"Chris, qual è il punto?" notando che non parlava intervenni di nuovo. Lo guardai ancora in attesa di una risposta. Poi lo vidi alzare gli occhi e cercare i miei. Senza alcuna avvertenza lanciò le braccia attorno al mio collo e respirò profondamente nei miei capelli. La mano destra me li accarezzava, calmando più lui che me.

"Shayleene Moore, non permetterti di lasciarmi in disparte." si allontanò guardandomi negli occhi.

Sentii uno scricchiolio, i frammenti della mia speranza.
 

*****

Mi guardò come se stesse per uccidermi, ma con riluttanza. Anne era fatta così, non poteva star bene vedendo qualcuno soffrire, questa era una qualità che avevo sempre apprezzato. Tuttavia, poteva essere una pessima qualità, era come un avvertimento, la pioggerella prima del temporale.

Si avvicinò al tavolo, prese in mano la tazza di camomilla che fumava ancora. Se la portò alle labbra, ma non bevve. Gli occhi erano posati sul bianco della ceramica, la sua testa non era a Londra. Tutto questo non faceva che mettermi più ansia.

Decisi di aspettare ancora qualche secondo, in modo che potesse pensare bene a come darmi la notizia. Ormai non mi importava più che la pronunciasse. Il suo sguardo articolava parole che le labbra magari non avrebbero mai detto.

Avevo capito, non mi serviva una frase. La guardai un altro secondo, poi mi voltai e lasciai la cucina per attraversare il corridoio. Aprii la seconda porta a destra, quella che separava me dalla non più mia camera.

Mi buttai sul letto, cosciente del fatto che tra massimo due giorni sarei dovuta partire, verso la meta tanto odiata e tanto conosciuta, purtroppo.

In realtà, non c'era un motivo particolare legato al fatto che odiassi Sidney. Quella città non rinchiudeva particolari dolori per me. Mia madre non era scomparsa a Sidney, successe quando abitavamo a Boston.

Non avevo inimicizie, a Sidney. Non ero stata traumatizzata da qualcosa, a Sidney.

Ed era per questo che né Anne né Zach capivano perché la odiavo tanto. E forse non lo sapevo neanche io, ma mi proposi che andando lì l'avrei scoperto.

Sentii le mie mani fremere, segno che la rabbia si sarebbe impossessata di me di lì a poco.

Il brusio delle ali di una zanzara mi riscosse dai pensieri, girai la faccia verso il comodino per cacciarla con la mano. Quando si allontanò il mio sguardo si posò sul mobiletto scuro e quadrato. Sopra vi era appoggiata una cornice, dentro, una foto di me e Chris. Ricordavo bene quando fu scattata, quella foto.

Poi sentii gli occhi pungere. Non ci avevo mai pensato, ad una vita dove non ci fosse un angolino per Chris. O meglio, dove l'angolino c'era, ma la persona con cui riempirlo fosse d'altra parte del mondo.

Quando avvertii una lacrima scendere, chiusi la mano a pugno e la sbattei contro il materasso. Poi lo rifeci ancora e ancora.

Ero ancora una bambina, pensai. Di quelle che pestano i piedi a terra anziché trovare una soluzione.

Ma la soluzione non c'era, in effetti. Perché non sarebbe bastata una lotta con le parole per smuovere Zach, non sarebbe bastata neanche una pistola alla tempia. Questo lo sapevo bene.

Continuai a malmenare il materasso e a farmi sfuggire una lacrima dopo l'altra fino a quando le mie nocche non colpirono qualcosa di duro. Il bordo del letto.

Un gemito di dolore scappò dalla mia bocca. Ma non era solo dolore fisico.

In quel momento riuscii ad ammettere a me stessa che da quella situazione non sarei riuscita a scappare. Londra non l'avrei più rivista, probabilmente.

Le lacrime di risentimento contro Zach mi accompagnarono da Morfeo, in una silenziosa sinfonia di singhiozzi trattenuti e parole non dette.

***

"Tesoro, hai preso tutto? " Anne attendeva sulla porta d'ingresso della cara e familiare abitazione. Le persiane verde bosco erano ancora chiuse, dato che era mattina presto. La debole luce colorava le mura gialline di un tono più tenue e delicato.

Mi sarebbe mancata quella casa, lo sapevo benissimo.

Mi sforzai di trattenere le poche lacrime che mi erano rimaste, con l'intenzione di sprecarle per occasioni peggiori.

'No, in realtà ho perso tutto' avrei voluto dire, ma mi limitati ad un semplice "Credo di sì ".

Lei si avvicinò cautamente e mi regalò un abbraccio titubante.

Credo che si sentisse in colpa, per la verità. Ma io sapevo che non era stata una sua decisione, quella di spedirmi a Sidney da Zach.

Come se fossi un pacchetto da portare avanti e indietro per il mondo, in attesa di qualcuno che si decidesse a tenermi. E quando avevo trovato quel qualcuno, qualcun'altro mi riportava al punto di spedizione.

Ero esausta.

Ricambiai l'abbraccio e poi mi voltai, decisa a non guardarmi più indietro.

Chris mi avrebbe accompagnata all'aeroporto, poi da lì avrei detto addio a Londra.

***

I profili di Sidney mi fissavano da oltre la finestra. Ormai il sole si nascondeva tra le case, alludendo ad un tramonto che per chiunque sarebbe stato bellissimo, ma non per me.

Non per me che ero stata quasi convinta che quella sera l'avrei passata stesa sul letto a pensare a quali vestiti indossare per la scuola, l'indomani. Invece ero lì, in quella stanza vuota , a fissare i palazzi in lontananza.

Quando sentii dei rumori dal pian terreno dell'abitazione, mi voltai verso la porta. Sapevo che di lì a poco avrei incontrato Zach.

Infatti, la porta si spalancò ed entrò lui, alto, grigio e spento. Sul suo volto si dipinse la sorpresa, marcando le rughe che già segnavano quel viso stanco.

"Sei già qui? Come sei entrata?" La sua voce era sempre quella, gentile qualcuno avrebbe pensato. E magari lo era anche, se non fosse stato svuotato dal tempo.

Restò ancora qualche istante sulla porta, poi entrò nella stanza e appoggiò la brandina che aveva in mano.

"Già, avevo le chiavi. Quest'estate non le avevo restituite." Fredda. Ma come mi potevo comportare? Come potevo comportarmi con qualcuno che non era stato abbastanza forte da andare avanti e portare avanti anche me? Con qualcuno che era venuto allo scoperto solo qualche anno prima?

Annuì, poi si spostò nel corridoio ed entrò qualche secondo dopo con un materasso, che appoggiò sul sostegno di ferro.

"Qualche giorno, e poi sistemiamo questa stanza, promesso" Lo sentii dire. Ah, promesse. Decisi di non rispondere, mi rigirai verso il vetro.

"Domani ti accompagno a scuola, svegliati quando vuoi ma sappi che alle 7.50 dobbiamo uscire di casa." Sospirò, sembrava quasi che quella frase avesse voluto dirla da tempo, come se non avesse mai avuto nessuno di cui curarsi. E forse, era così. Non ottenendo risposta, se ne andò.

Solo in quel momento mi accorsi di aver trattenuto il fiato durante tutta la conversazione. Mi avvicinai alla porta per chiuderla, poi mi avvicinai alla valigia per tirare fuori ciò che mi sarebbe servito il giorno dopo.

***

La macchina grigia stava per fermarsi, e lì avvertii una sensazione nello stomaco. Non ero mai stata una brava attrice. Una di quelle che in realtà non provano nulla, eppure fingono di essere tutte prese da ciò che sta accadendo. No, io avevo ansia e lo sentivo davvero, e lo dimostravo.

Per tutto il tragitto il silenzio aveva regnato nell'auto, e continuò a regnare anche quando scesi sul marciapiede. Senza girarmi, chiusi la portella e mi incamminai verso l'entrata. Passo dopo passo nell'ampio cortile notavo gli altri ragazzi.

C'era di tutto. Chi fumava, chi chiacchierava, chi correva incontro a qualche amico, chi gridava, chi se ne stava sulle sue, nascosto dietro l'ombra di un albero.

Il salice piangente proiettava una sagoma scura sull'erba corta che affiancava il sentiero che portava al cortile. Tra quei fili d'erba scorsi diverse paia di scarpe, che proteggevano i piedi di qualche ragazzo a giudicare dalla grandezza.

Distolsi lo sguardo, non troppo interessata all'argomento, e cercai di trovare qualcosa di interessante. Le lezioni cominciavano alle 8.15, avevo ancora un quarto d'ora per trovare qualcuno con cui passare la giornata.

Continuai a guardarmi intorno, fino a quando dalla pozza nera del salice uscirono delle figure. Un moro, un castano, un tinto.

Ridevano come se la Terra fosse diventata di colpo un diffusore di gas esilaranti. Quei ragazzi mi colpirono. Mi colpì come i loro sguardi si incatenassero quasi inconsapevolmente.

Udivo benissimo la risata del ricciolino castano, era davvero carina. Stava dando un pugno sulla spalla del ragazzo dai capelli verdi.

Verdi. Davvero. Rimasi piuttosto scioccata. Seguii i suoi movimenti, stava tornando alla pozza.

Quando ne uscì, portava un ragazzo tenendolo per la manica della maglietta. Era voltato, stava dicendo qualcosa a qualcuno nell'ombra, mentre camminava al contrario per sostenere il passo.

Poi si girò, ed è lì che lo vidi per la prima volta.

   
 
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