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Autore: Doelan Cony    23/04/2016    0 recensioni
E' incredibile cosa a volta si riesce a tirar fuori, da un ricordo confuso di un sogno fatto la notte passata. Da questo ho strappato il luogo e le sensazioni... il resto viene da me, e dall'ispirazione che mi hanno dato Poe e Lovecraft che in questi giorni sto leggendo molto, quindi aspettatevi un racconto che si ambienta oltre il mondo terreno con quella goccia di grottesco che rende tutto più interessante. Affronterete un breve viaggio su ciò che accade "dopo".
Buona lettura.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo è il mio posto
 
Qual più formidabile esempio è quello di Dante e la sua selva per l’uomo che, dalla notte al dì, si è perso e ritrovato in luogo sconosciuto e non seppe dire come vi ci arrivò.
Eccomi, in mezzo a questo spiazzo di pietra dritto a livello, di roccia porosa che al sol guardarlo sembra si debba, a un momento all’altro, sgretolarsi. A destra, dietro e manca, alte mura della stessa roccia, che sembra appartenere a tre monolitici edifici che di poco si separano, come se essi stessi avessero deciso che fra tutti e tre dovessero passare dei sottili solchi dal quale sivedeva cielo e vento.
Dinanzi a me, invece, tutto ciò che dietro non fu, quindi, dunque, un paesaggio diviso in due, turchese sopra e orca sotto, un cielo sconfinato che si protraeva verso l’alto, il quale blu sembrasse volesse toccare gli dei in persona. Sotto, un deserto che toccava ogni punto che il mio occhio potesse guardare, anche lui con la stessa sfrontataggine del cielo, sembrava protrarsi per abbracciare l’intero pianeta ed io, un piccolo essere nel nulla, guardavo incredulo, dall’alto di quello spiazzo che più accentuava il paesaggio, che cosa ci facevo lì ?
“E’ un sogno” mi dissi, non c’era spiegazione alcuna, ma sapete, la consapevolezza di un sogno, se davvero lo era, non ci libera dal sogno stesso, e la convinzione che aver riconosciuto il sogno ci permetta di fare ciò che vogliamo, era mera e stupida illusione. Che altro fare ? Un uomo solo , sperduto in quello che sembrava un sogno, o che comunque la mia mente sperava che fosse, cosa può fare se non cercare una possibile uscita.
Così mi mossi, ma al mio solo ruotare su me stesso, il luogo sembrò cambiare. Mi trovai proprio sotto l’enorme edificio di tufo che era alle mie spalle, lo spiazzo si riempì magicamente si soppalchi e gradoni in pietra, incorniciati da ciuffi di erba selvatica, tipici di posti lasciati al degrado, soli, da molto tempo.
Mi incamminai verso l’edificio alla mia destra, il quale era l’unico ad avere fori nei quali sarei potuto entrare,  guidato da grande e strana voglia di esplorare e seguito da brividi di freddo che, sempre per magia, venivano da un vento che, invece, era caldo.
All’avvicinarmi notai ergersi nuovi soppalchi di pietra, sta volta più alti che superavano di due volte la mia altezza. Tali altari erano della stessa pietra su cui camminavo e dello stesso colore del deserto che mi circondava, ma di una cosa erano diverse, su queste spiccavano grigie e marmoree lastre dove ad ognuna era attaccato un decorato vasetto in ferro con svariati e diversi fiorellini all’interno ma sui quasi era posato uno strato di polvere che spegneva i loro raggianti colori. Accanto ai vasetti, incisioni nel marmo, e sopra le incisioni, forse lo starete intuendo, foto di persone, a me sconosciute, la maggior parte anziani, ma meno di quanti ve ne aspettereste.
Feci un lento giro su me stesso cercando di cogliere ogni mattone di quello che inequivocabilmente era un cimitero.
Alzai lo sguardo, lo stesso sole che fin ora mi portava compagnia, ora mi dava alla testa, mi perforava le tempie come piccoli proiettili appuntiti. Quella stessa stella ora mi tormentava, sempre alta al centro del cielo, sebbene fosse passato ormai svariato tempo, dava l’impressione di seguirmi come se volesse aiutarmi a illuminare il mio cammino o forse era il contrario dato che mi offriva solo illusioni e mi annebbiava la vista.
Entrai nell’edificio centrale per trovare un po’ di sollievo; la lieve ombra che i tumuli funebri regalavano non era abbastanza e i volti su di essi iniziavano ad inquietare in quello che mi pareva esser fissato da ognuno di loro. L’entrata era ben nascosta, dove nessuno avrebbe mai pensato di incastrarla, trovarla fu l’ennesima impresa. L’interno era completamente chiuso in una grande rampa di scale che doveva però occupare solo una minima parte dell’intero complesso. La base era immersa nell’ombra, ma la luce del sole entrava forte dalla cima del palazzo ove una grande finestra pareva aprirsi in cima alla rampa. La mia voglia di nuove scoperte doveva aspettare, il mio corpo, al momento, necessitava solo di molto riposo.
Un singolo gelido spiffero mi destò. Mi rimisi la maglia che per il caldo avevo tolto. Mi parve che la luce accecante si era fatta meno forte, che stia arrivando il crepuscolo ? uscii fuori e guardai la porzione di orizzonte che non mi era preclusa dalla pietra, ma il cielo era dello stesso turchese di sempre, l’unica cosa che cambiò erano le quattro enormi e candide nuvole che ostruivano i raggi del sole, esse erano grandi e corpose, ebbi l’impressione che furono più dure della roccia ove stavo in piedi e che al di sopra ci fosse qualcosa di solenne come poteva essere la dimora di un dio. Mi fecero la gentilezza, ripeto, di mandarmi un minimo di frescura.
La pausa era finita, restava ancora l’enigma del palazzo. Rientrai e mi feci forza nel decidere di affrontare quell’immane rampa. Gradino dopo gradino, pianerottolo dopo pianerottolo, pause di tanto in tanto. La fatica era tanta, ma sentivo che dovevo farlo.
L’ultima rampa era davanti a me, da lì già intravedevo il foro regolare che mi incitava a continuare. Un enorme buco in quel palazzo, era più lungo che alto, in quelli che mi parevano dieci metri per tre.
Superai lo stipite di quella sobria e squadrata apertura; oltre ci fu un balcone, si lanciava a strapiombo dall’alto palazzo, era solo una pedana di pietra che pendeva su quel mondo.
Il vento era lieve e tornai a sentire il forte sole, feci un passo avanti, poi un altro e un altro ancora; il senso di vertigini mi arrestò. Ebbi il grande coraggio di guardare giù e quello che vidi mi mozzò il fiato in gola, la testa mi girò come colpita dall’audacia di quella vista così imponente.
Al disotto come tanti palcoscenici, rividi la scenografia del mio sogno, ma in numero spropositato. Tanti spiazzi con altrettante serie di quei tre palazzi di pietra ocra, si ripetevano per svariate volte, al disotto di me, erano tutte uguali, disposte a piramide, così che la parte libera dello spiazzo non si trovasse mai altri palazzi di fronte. I complessi più esterni era bassi e affacciavano sulla sabbia, quelli interni si alzavano, pareva levitassero, man mano sempre più in alto in modo che, quei piccoli esseri che per caso o per sfortuna, si trovavano in mezzo agli spiazzi cme successe a me, guardando verso il lato ove non c’erano palazzi, erano costretti a vedere solo l’infinito davanti a loro, perché si, in ogni direzione si estendevano solo cielo e sabbia e la situazione mi parve tanto meravigliosa, quanto terrorizzante… quanto incredibile.
Chi aveva mai potuto creare un cimitero di proporzioni tanto bibliche ? Non poteva essere opere di mano terrestre.
Ebbi il tempo di cercare di immaginare tutte le risposte a tutte le domande che mi venivano in mente, ma più che risposte erano ipotesi e più le ipotesi prendevano piede nella mia testa più le domande si moltiplicavano.
Il tempo passava, io ero sempre li, ne fame ne sete mi colpirono, ma solo fame di risposte e sete di coerenza.
Tutto era immutato nel tempo che trascorsi lì, tanto che guardare quella potenza immobile mi procurò un senso di disgusto, come quando vedi una grande opera, un grande potenziale, che però sta lì a marcire senza che nessuno gli dia un senso, anche se del resto, questo era un cimitero e dai loculi pieni capii il suo essere era compiuto.
Una cosa smosse la mia attenzione. Un ombra, o almeno credo. L’impressione del dubbio di aver intravisto qualcosa di sfuggevole all’occhio, come quando sei solo in casa e sembra che una presenza ti si appena passata davanti; non sei sicuro di cosa fosse, non sei sicuro di averlo visto e alla fine dubiti pure di averla vista. Così mi parve quell’ombra nera che nel complesso subito sotto  quello dove ero condannato io, si muoveva fra i tumuli come se cercasse qualcosa.
Ripercorsi la rampa, la discesa non fu meno faticosa della salita. Una volta fuori mi accorsi di una cosa orribile: il paesaggio era cambiato di nuovo. Intorno a me, le pietre avevano assunto forme e disposizioni diverse da come le ricordavo. I gradoni erano più alti e in molti punti si collegavano formando quello che poteva sembrare un labirinto. Il panico mi colse di soprassalto, uno sgradevole senso di asma, di assenza d’aria e caddi a terra, quasi svenni.
Mi riebbi dopo un po’, il vento tornò a circolare e i polmoni mi si riempirono di ossigeno. Mi rimisi in piedi, andai a poggiarmi sugli alti tumuli e usandoli come aiuto per reggermi in piedi, iniziai ad avanzare, quando la mia mano, nel sorreggersi, non incontro più pietra e marmo, ma il vuoto; il vuoto di un loculo aperto.
Da quel che ricordavo, mai avevo visto abitacoli che non fossero vuoti o meglio, più che vuoti, coperti da lapidi. La cosa mi scosse al quanto. Continuai a camminare finchè finalmente, con gran sollievo tornai allo spiazzo dal quale ero venuto.
No. Non era quello lo spiazzo. Non era lui. Nel voltarmi verso il palazzo centrare, sul quale credevo essere salito, dietro di esso si ergevano tutti i complessi che vidi dal balcone, qualche ora fa. L’imponenza di quel luogo mi travolse di nuovo, come era potuto succedere ? dalla cima del mondo dal quale ero partito, come avevo fatto a schiantarmi sulla base di quella enorme piramide fatta di elementi sospesi e separati fra di loro ?
Stordito, ormai col cervello impantanato da tutta quella casualità così senza senso, barcollai fra le lapidi e i fori di pietra che mi circondavano.
Un altro gelido brivido mi turbò e buttò a terra, come se già non fossi così soggiogato da questo incubo. Alzai lo sguardo ed eccole, quelle ombre, ora le vedevo, tangibili davanti ai miei occhi. Ne fui terrorizzato, ma mi calmai quando notai nei loro movimenti la mia stessa fiacchezza, la mia stessa confusione e il mio stesso tormento. Tutte camminavano nelle più disperate direzioni, tastavano i tumuli e sembrava cercassero qualcosa mentre si avvicinavano ai fori vuoti. Cosa facevano non lo so, cosa cercavano era una dubbio ancor più intenso, finchè non capì. Una di queste ombre, un anziana signora che tremante e lenta mi sorpassò, si fermò nella figura rocciosa che si ergeva alla mia destra. Il secondo loculo partendo dal basso, con la mano ne accarezzò la parte superiore dove al passaggio delle dita ne uscì inciso in caratteri di luce, un nome di donna. L’ombra sorrise, avvertì in lei un senso di felicità e soddisfazione come eguale poteva essere quella di quando capisci d’aver trovato la pace dei sensi. La vidi che, con fatica, cercava di entrare nel foro; le andai veloce incontro cercando di fermarla, ma le mie mani le passarono a traverso, non potei fermarla, entrò nella sua tomba e una volta sistematasi, comparve ai suoi piedi la sua lapide. Prima che essa diventasse ermetica, sentii dire dalla vecchietta sommessamente: “questo è il mio posto”.  

Fine.
  
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