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Autore: Hermione Weasley    23/04/2016    1 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 29
~

 

Il paese gli sembrava dieci volte più piccolo di quando l'aveva lasciato, come se il tempo e la distanza avessero accorciato le misure e ristretto le case, le strade, persino il pozzo e la fontana.

Non aveva idea del perché si fosse deciso ad uscire finalmente da villa Coulson per immergersi nella vita del villaggio. Probabilmente per una semplice questione di curiosità.

Ma adesso che le occhiate indecifrabili degli abitanti che conosceva uno ad uno lo seguivano lungo la via, gli parve di aver commesso un grave errore di valutazione. Forse non era cambiato niente e per loro era rimasto lo straccione benedetto dal Signore che era asceso al rango di nobiluomo senza nessuna capacità particolare dalla sua e che per di più aveva attentato alla vita di uno dei migliori ufficiali del regno.

Il vento improvvisamente più fresco lo fece rabbrividire. Si sforzò di non pensare all'estate che si sarebbe presto trasformata in pallido autunno, agli sguardi criptici di uomini, donne, bambini. Li salutò però, talvolta con un cenno della mano, altre con un mezzo inchino.

In fin dei conti perché avrebbe dovuto importargli? Sapeva cos'era successo, conosceva la verità e la sua coscienza era tutto sommato a posto. Quello che pensavano gli altri non gli interessava. Tentò di convincersene perché gli suonava ragionevole, ma era più facile a dirsi che a farsi.

Si soffermò nel bel mezzo della via principale, guardandosi avanti e alle spalle, vedendo le teste dei curiosi rientrare frettolosamente in casa come tartarughe che si rifugiano nel loro guscio al minimo segnale di pericolo.

Avevano paura di lui. Non era sicuro che fosse un male considerato che quando se n'era andato da lì l'avevano accusato di essere il figlio del demonio in combutta con una strega malefica. Il miglioramento c'era ed era sensibile, bastava prenderne atto e farselo bastare.

“Sir Barton!” Tornò a fronteggiare il fondo della via, in prossimità della fontana, individuando una figura che si muoveva rapida in sua direzione.

Simone. C'era il bambino più grande al suo fianco – che, a differenza del villaggio, era cresciuto invece che rimpicciolirsi – e quello più piccolo stretto tra le braccia.

“Sir Barton!” Ripeté, come per paura di vederlo fuggire senza aspettare di sentire cos'avesse da dire.

Le andò incontro per accorciarle le fatiche e stava ancora pensando ad un modo per esordire quando il figlio maggiore della donna gli si agganciò ad una gamba, cogliendolo alla sprovvista.

Il primo pensiero fu chiedersi se non stesse tentando di staccargliela o di fargli del male per punirlo di una colpa non meglio identificata; ma poi capì che lo stava... abbracciando. Lo stomaco gli si contorse bruscamente senza alcun preavviso e un piacevole calore – a cui cominciava ad abituarsi un po' troppo ultimamente – gli si propagò per il petto, facendogli riaffiorare un sorriso sulle labbra.

“Ehi,” li accolse così, scompigliando i capelli folti e spessi del ragazzino e lanciando un'occhiata carica di inesprimibile gratitudine in direzione di Simone.

“Sapevamo che eravate tornato, ma venirvi a trovare alla villa sarebbe stato inappropriato,” spiegò la donna, come per scusarsi di quel saluto in ritardo. Il bimbo più piccolo le stava accoccolato col capo sul petto e lo osservava con occhioni calmi, pigri e curiosi al tempo stesso.

“Non dite sciocchezze. Potete salire alla villa quando vi pare e piace, a lord Phillip non dispiacerà.”

Simone sorrise, ma Clint capì che non aveva la benché minima intenzione di prenderlo in parola. Gli volevano bene, questo ormai doveva riconoscerlo e accettarlo, ma neanche l'affetto più sincero poteva colmare i netti confini che separavano i nobili dai popolani, i ricchi dai poveri.

“Non abbiamo creduto alle accuse neppure per un secondo,” riprese la donna.

“Mai!” Il ragazzino, che intanto l'aveva lasciato andare, dette voce alla sua indignazione.

“E quando hanno cominciato a distribuire quegli orribili volantini per tutto il paese...,” Simone scosse la testa, il fantasma della collera che doveva aver provato in quei giorni ad aleggiarle sul bel viso scuro.

“Qualcuno vi ha infastidito?” Era quello che gli premeva sapere, perché Simone e i suoi bambini non erano mai stati ben inseriti nella comunità e Clint si era dovuto arrendere alla semplice evidenza che tutte le volte che la situazione si inaspriva, erano sempre i diversi a pagarne le conseguenze.

“I gendarmi sono venuti a cercarvi in casa nostra,” gli rivelò. Si stava sforzando di suonare casuale per non farlo sentire responsabile di quell'imprevedibile contraccolpo.

“Mi-”

“No.” Gli aveva poggiato una mano sul braccio per impedirgli di continuare. “Hanno messo tutto in disordine, ma non più di quello,” lo rassicurò. “Alcune donne del lavatoio sono arrivate per testimoniare che eravate stato visto uscire dal bosco nella direzione opposta al villaggio.”

“Bè, mi dispiace,” riuscì a dirle comunque, anche se l'idea che qualcuno avesse intercesso per loro nonostante la diffidenza lo consolava. “Come ve la siete cavata?”

“Bene,” Simone annuì con veemenza come per rafforzare la sua convinzione. “Lady Bishop si è presa cura di noi, prima che...”

Il pensiero di Kate gli annacquò per un attimo il cervello.

“Ho sentito dire che l'hanno spedita in convento,” si ritrovò a formulare con una certa riluttanza. Era quello che gli aveva raccontato la cuoca ancora in servizio a villa Coulson.

“Con quello che stava succedendo era probabilmente la scelta migliore,” disse Simone. “Questi non sono tempi per bambini, fanciulle o uomini per bene.”

Una risata amara premeva per risalirgli su per la gola mentre si chiedeva se Kate avrebbe odiato di più dover sposare un vecchio ciccione che non aveva mai visto prima o maritarsi direttamente con Cristo e vivere tutta la vita nella reclusione più totale. Fosse stato in lei avrebbe scelto di gettarsi in un burrone, piuttosto.

“Quando se n'è andata, gli altri ci hanno dato una mano,” asserì Simone attirando a sé il primogenito per tenerselo vicino. “Ci sono brave persone anche qua in mezzo,” disse, “solo che alle volte non sanno di esserlo. Basta ricordarglielo.”

Clint ricambiò il suo sorriso e si sentì stranamente pacificato; la sensazione sarebbe stata ancora più netta se avesse avuto la certezza che Kate stesse bene, che non la stavano costringendo a fare proprio niente contro il suo volere. Formulò l'intenzione di andarla a cercare nel caso non si fossero avute notizie più precise: dopotutto, anche se era ancora troppo giovane, la ragazza aveva un dono quando si trattava del tiro con l'arco e lo Scudo avrebbe sempre avuto bisogno di nuove energie. Dopo aver conosciuto lady Carter, Maria Hill e scoperto la vera natura del legame che univa lady Melinda a lord Phillip, sapeva che per una donna c'erano altre opzioni oltre la fede nuziale e il soggolo.

A distrarlo dalle intenzioni che gli si sovrapponevano rapide davanti agli occhi, arrivò una musica distante. Non seppe dire se fosse sempre stata lì e se ne fosse accorto solo in quel momento, o se fosse appena cominciata.

“Non ricordavo fosse giorno di festa,” commentò.

“Non lo è,” Simone stava guardando nella direzione da cui proveniva la musica. “La signorina Barbara si sposa.”

“Se ne andrà, la signorina Barbara?” Chiese in apprensione il figlio maggiore, guardando la madre da sotto in su.

“No, resterà qui insieme al signor Hunter, ricordi?”

L'immagine di Bobbi gli si impose bruscamente all'attenzione. La ripensò nella tinozza mentre si faceva il bagno e gli chiedeva se aveva intenzioni serie nei suoi confronti. Anche dopo tutto quello che era successo, una parte di lui era rimasta convinta che non si sarebbe sposata sul serio con un uomo qualunque. Non si era nemmeno chiesto se avesse voglia di rivederla, se fosse intenzionato ad andarla a trovare, eppure adesso provava un bizzarro, remoto fastidio nell'apprendere che si era sposata proprio quel giorno.

“Come mai così tardi?” Si sentì chiedere, la voce innaturalmente impostata.

“Volevano aspettare che la situazione si risolvesse,” spiegò Simone, puntandogli addosso i suoi occhi neri. “Girava voce che avrebbero arruolato tutti gli uomini.”

“Dio santissimo, chi è che racconta panzane simili?”

“Il parroco diceva di ricevere lettere ed informazioni direttamente dalla capitale,” scosse il capo, scettica. “Il signor Hunter non voleva andarsene e rischiare di lasciarla vedova una seconda volta.”

Annuì appena e restò per un attimo a guardare il fondo della strada dove alcuni bambini erano usciti a giocare con dei rami secchi.

Buffo come si fosse aspettato – anzi, come avesse sperato – di trovare le cose cambiate e adesso che c'era proprio nel mezzo, a tutti quei mutamenti, non era sicuro che gli piacessero. Forse era solo questione di sicurezze che sentiva venirgli meno, la rassicurante costanza di relazioni stabili eppure non impegnative, o magari aveva commesso un grave errore di sottovalutazione.

“Perché non venite a cena da noi questa sera?” Propose Simone per riscuoterlo dal torpore in cui era sprofondato. “Non potremo offrirvi niente di eccezionale, ma ci farebbe molto piacere.”

“Certo,” annuì senza esitazioni, sorridendo in direzione del ragazzino che si era appena prodigato in una teatralissima dimostrazione di trionfo.

“Va bene, allora a stasera.” La donna si congedò in tutta fretta, trascinando via il primogenito che continuava a guardare indietro verso di lui, salutandolo con ampi gesti.

Aspettò di vederli sparire dalla propria visuale prima di riprendere a scendere lungo la strada lasciandosi guidare dalla musica che gli solleticava l'orecchio sano.

“Bentornato, sir Barton!” La moglie dell'ortolano si era fermata a metà strada con una cassa colma di pomodori verdi, cogliendolo alla sprovvista.

“Salve,” si affrettò a rispondere.

“Buongiorno, signor Barton. Non è una magnifica giornata?” Anche il panettiere aveva messo il naso fuori dalla finestra aperta del negozio.

“Smettila di importunarlo, Oliver,” la vecchia sorella dell'uomo gli era comparsa di fianco sul davanzale. “Non dategli retta, signor Coulson. Buona giornata!”

“Guardate chi si rivede, il figlio di lord Phillip!” Il barbiere fermo sulla soglia della sua bottega.

“Bentornato, signore! Che ne dite di un mazzo di fiori per vostra madre?” La fioraia che agitava tulipani e garofani come un'ossessa.

I saluti si moltiplicarono e Clint fece fatica a rispondere a tutti, a snocciolare frasi di circostanza per gente che non gli aveva mai realmente rivolto la parola senza che la diffidenza la facesse da padrone. Era come se l'attenzione rivoltagli da Simone avesse innescato una reazione a catena, come se avessero trattenuto il fiato in attesa di scoprire se fosse ancora indegno della loro fiducia e, dopo aver capito di poterlo considerare affidabile, si erano lanciati nella mischia per fargli una buona impressione. Non gli importava che tutte quelle carinerie fossero dettate dal timore che lord Phillip incuteva alla sua gente, gli fece piacere. Perché in fin dei conti l'autorità dei Coulson non era mai stata messa in discussione, ma la maggior parte degli abitanti del villaggio non si era mai comunque preoccupata di ingraziarsi Clint in alcun modo.

E invece, adesso, l'idea che la famiglia fosse stata in grado di riconquistare il suo posto nella regione dopo le incredibili peripezie trascorse, che avesse combattuto fianco a fianco col re, che addirittura l'avesse visto morire, cambiava le cose. Gli eventi avevano generato un rinnovato rispetto. Poco importava che la quasi totalità delle notizie che credevano di avere fosse inaccurata, lacunosa o più frequentemente inventata.

Per una volta tanto la superstizione era dalla sua.

 

*

 

Schivò una frotta di bambini urlanti e sporchi di terra per raggiungere il recinto che circondava il piccolo giardinetto in cui si stavano svolgendo le celebrazioni.

Un singolo tavolo imbandito con una lunga tovaglia bianca – che Clint sapeva far parte del corredo di Bobbi per le sue prime nozze – era stato posizionato al centro dello spiazzo erboso; file di bandierine colorate si arcuavano tra gli striminziti alberelli da frutto, impennandosi in prossimità delle finestre del primo piano in modo un tantino comico. Almeno un quarto degli invitati stava ballando scompostamente accanto al vialetto d'ingresso, muovendosi a tempo con la musica allegra e furibonda che un terzetto di suonatori scalcagnati stava suonando; gli altri erano seduti a tavola, impegnati a bere, mangiare, chiacchierare; tutt'intorno bambini impazziti e coinvolti in giochi che Clint non conosceva, oppure a star dietro alle galline e alle caprette che si erano mescolate alla festa.

Bobbi indossava un abito a scacchi di un blu-grigio che faceva risaltare l'azzurro intenso dei suoi occhi. In testa portava una ghirlanda di fiori che rischiava di caderle tutte le volte che il marito le faceva fare una piroetta su se stessa.

Nessuno si curò di lui perché i vicini andavano e venivano per portare i loro auguri alla coppietta felice praticamente senza sosta.

Il fastidio che aveva provato nell'apprendere la notizia da Simone evaporò come neve al sole. Bobbi sembrava felice e Clint si sentì sollevato di non essere altro che uno spettatore; perché quel quadretto, per quando idilliaco e ameno, non faceva per lui e probabilmente non avrebbe fatto per lui in nessuna circostanza.

Solo il senso della misura di quanto le cose fossero davvero cambiate lo destabilizzava un poco. La consapevolezza che la vita era andata avanti anche senza di lui lo rassicurava e infastidiva al tempo stesso. Eppure era questo che aveva desiderato prima di lasciare la capitale. Di veder rispecchiato il mutamento che sentiva essere avvenuto dentro di lui in ciò che lo circondava.

La coppia formata dagli sposi si separò: Hunter era tornato vicino al tavolo per bere e ridere ad una qualche battuta; Bobbi invece si era fermata e stava guardando nella sua direzione. Clint si sentì come irrigidire, ma cercò di non darlo a vedere.

Lei gli fece cenno di aggirare la casa e di incontrarla sul retro, il tutto senza lasciar cadere l'espressione estasiata e divertita della sposina novella. Distolse lo sguardo un attimo dopo, come se niente l'avesse turbata.

Clint obbedì e si fece trovare accanto alla porticina aperta che, in prospettiva, collegava il soggiorno, alla cucina, al giardino. Bobbi emerse dall'ombra fresca dell'interno, ancora più bella adesso che la vedeva da vicino.

“Ehi, straniero,” lo apostrofò con un mezzo sorriso. Nonostante tutto era serena.

“Signora Hunter,” ricambiò.

“Ho sentito che eri tornato, ma non credevo che saresti venuto fin qui.”

“Passavo di qua,” ammise. “Simone mi ha detto che ti sposavi oggi.”

“Se volevi interrompere la cerimonia, sei arrivato tardi,” lo prese in giro con quel suo solito sguardo sprezzante e divertito insieme.

“Interrompere la cerimonia? Non mi andava di farmi spezzare l'osso del collo per rappresaglia.”

“Hunter ti avrebbe al massimo spezzato un dito... un braccio magari.”

“A dir la verità mi riferivo a te.”

Vide i suoi occhi illuminarsi di una luce diversa, più allegra e sincera, come se un velo le fosse stato strappato dal viso per permettergli di vederla davvero. Si guardarono in silenzio senza dire niente, quasi prendendo atto della parola fine che una mano invisibile andava tracciando sotto la loro storia. Probabilmente nessuno dei due aveva realmente pensato che la relazione sarebbe ripresa dal punto in cui l'avevano lasciata, ma neanche avevano avuto modo di chiuderla. Chiuderla davvero, una volta per tutte.

“Qualcuno ci ha già pensato, vedo,” fu lei a parlare di nuovo, alludendo ai lividi e alle cicatrici che ancora si portava dietro.

“Sono state settimane piuttosto movimentate.” Praticamente un eufemismo.

“Temevo che non saresti più tornato,” ammise.

“Mi diventi sentimentale sul più bello?”

“Ti sarebbe piaciuto che lo fossi stata prima?” Gli ritorse contro, raddrizzando immediatamente il tiro.

“No,” scosse il capo, sbuffando una risata. “E' stato divertente finché è durato.”

“Lo è stato,” confermò, forse con l'ombra di un rimpianto ad oscurarle l'espressione. Ma durò solo il tempo di un battito di ciglia. “Promettimi che non ti ostinerai a rimanere da solo.”

“Non sono solo,” rispose con pacatezza. No, se c'era una cosa che aveva imparato negli ultimi tempi era che non era affatto solo. Che c'erano persone che a lui ci tenevano, che gli volevano bene, vicine e lontane, che volessero ammetterlo a loro stesse oppure no. Avrebbe voluto raccontarle di Barney, ma non disse nulla.

“Lo sai cos'intendo,” lo redarguì.

“Lo so, ma forse tutto questo non fa per me.”

“Immagino significhi che non sposerai la nipote di lord Coulson.”

“No,” scosse il capo e si sforzò di non ridere. Gli sembrò assurdo come una cosa che tanto a lungo e tanto intensamente aveva governato i suoi pensieri si fosse ridimensionata fino al punto di sparire del tutto. Dimenticata per sempre.

“Che c'è di divertente?”

“Nulla,” si affrettò a puntualizzare. Non poteva dirle che era stata solo una prova per testare la sua fedeltà alla famiglia. Sarebbe suonato... stupido.

“Sei diverso,” constatò Bobbi dopo aver scrutato attentamente nei suoi occhi, quasi stesse cercando di risolvere un quesito particolarmente complicato.

“Bè stamattina mi sono fatto la barba dopo un secolo. Sembravo il vecchio Logan nei suoi periodi peggiori,” l'immagine dell'ubriacone del villaggio gli permise di distrarsi, ma Bobbi non era d'accordo.

“Diverso in senso positivo,” insisté, intrecciando le braccia al petto. “Forse un giorno smetterai di fare battute non appena la conversazione si fa troppo impegnata per i tuoi gusti.”

“Forse,” convenne, senza dar segno di essersela presa. “Ma non è questo il giorno.”

“Chiaramente no.”

“Mi mancherà la tua espressione da istitutrice inviperita,” confessò spassionatamente, sorridendo per farle capire che stava scherzando... ma non troppo.

“Di te non mi mancherà un bel niente.”

“Oh, andiamo! La prestanza fisica, la brillantezza delle mie battute, i miei polpacci da scalatore...”

“I tuoi che?”

“Penso di avere dei bei polpacci.” Lo stava facendo di nuovo, allontanare il discorso da lidi troppo pericolosi e infidi.

“Magari troverai la donna che li apprezzerà come meritano.”

“Magari sì.”

Bobbi scosse il capo come avrebbe fatto davanti ad un bambino che proprio non vuole imparare la lezione, uno studente incorreggibile.

“Spero che tu sia felice, Clint,” si era rifatta seria. Lasciò che si sporgesse verso di lui per baciarlo su una guancia. “Lo spero davvero.”

“Spero che tu lo sia con Hunter,” ricambiò con sincerità.

“Grazie.” La guardò voltarsi verso l'interno della casa e proiettarsi oltre col pensiero, fino al riquadro verde del giardino in cui continuavano a muoversi gli invitati. “Adesso devo andare.”

“Non ti trattengo.”

“Ci vediamo in giro.”

“Ci vediamo in giro,” le fece eco mentre la seguiva con lo sguardo.

La vide sparire nella cornice luminosa di quegli ultimi giorni d'estate, la ghirlanda di fiori a cingerle la testa.

 

***

 

“Dobbiamo stare qui ancora per molto?” Il piede continuava a tamburellargli con insistenza sul tappeto, quasi dotato di vita propria. Si stava annoiando a morte e, in mancanza di opzioni, questo era il modo in cui il suo corpo aveva deciso di dimostrarglielo.

“Sta' calmo, Clint,” lord Phillip alzò a malapena lo sguardo dal libro che stava leggendo seduto comodamente in poltrona, “ci siamo passati tutti.”

“Non ho niente in contrario alle tendenze masochistiche altrui,” raddrizzò la schiena che gli faceva male a forza di tenerla rigida e tesa, “ma non accetto che mi si impongano.”

“Dopo tutto quello che hai passato ti sembra questa la cosa peggiore che hai mai dovuto fare?” Indovinò l'ombra di un sorriso sul volto di lord Phillip.

“E' sicuramente tra le prime tre,” si ostinò perché ne era più che convinto. Il colletto della camicia gli aveva irritato tutta la pelle, mettendogli addosso un'irrefrenabile voglia di grattarsi.

“Avevi detto che eri disposto a farlo, a patto che non ti facessi indossare la parrucca,” gli rammentò.

“Bè, è chiaro che non sapevo che cosa mi aspettasse,” stabilì. E' vero, gli aveva promesso che si sarebbe sottoposto alla tortura, se proprio l'avrebbe reso felice – il che, secondo lui, apriva scenari piuttosto inquietanti su cosa rendesse lord Phillip felice.

“Persino Leopold si è lamentato meno di te,” gli ricordò l'uomo, decidendosi infine a chiudere il libro e a tenere il segno con un dito incastrato tra le pagine.

“Per forza, l'ha fatto con lady Jemma. Si sostenevano a vicenda.”

“Avresti preferito farlo con qualcun altro?”

“E con chi? Col nuovo maggiordomo?” L'aveva preso in simpatia, Bates, ma non al punto da condividere con lui quella disgrazia.

Lord Phillip si era messo a ridere senza neppure preoccuparsi di nasconderlo.

“Sarebbe stato un bel rompicapo da lasciar risolvere ai posteri,” commentò. “E poi stai bene vestito così.”

“Sembro un divano con le scarpe,” puntualizzò. E poi gli prudevano parti del corpo che neanche ricordava d'avere!

“Un bel divano con delle scarpe niente male,” lo corresse.

“Non stai migliorando la situazione.”

“Io dico di sì: Clarisse lo trova divertente. Vero Clarisse?”

La donna, minuta e coi capelli grigi, riemerse da dietro la tela sistemata sul cavalletto, così come aveva fatto infinite volte nelle ultime... tre ore. Aveva le mani sporche di carboncino e freghi neri anche sul mento e sulle guance, dove si era inavvertitamente toccata nei momenti di concentrazione maggiore. Ogni tanto faceva un passo indietro per avere una visuale d'insieme del quadro che stava preparando con tanta – troppa – perizia per i dettagli e per la luce che filtrava dalla finestra aperta alle spalle di Clint. Il quale posava con la stessa spontaneità con cui una gallina avrebbe tentato di prendere il volo.

“Molto divertente, signore,” convenne la pittrice, ma con un'espressione talmente seria e una voce così monotona che stavolta fu il turno di Clint di trattenere una risata. Magari Clarisse non conosceva il significato della parola divertente.

Qualcuno bussò alla porta distraendo sia la donna che lord Phillip e Clint ne approfittò per grattarsi la pancia al di sopra dei millemila strati di vestiti che gli avevano fatto indossare. Farsi fare un ritratto era un conto, avere l'aspetto di un coglione che si è messo addosso tutti gli abiti che ha nell'armadio era un altro. Si sentiva gonfio come un pallone e sul punto di esplodere... o morire per colpa del prurito. Ma lord Phillip si era impuntato e non accettava proprio l'idea che nel salotto che usavano la sera dopo cena ci fossero i ritratti di tutti, ma non il suo. Clint era stato l'ultimo membro della famiglia a cedere alle sue insistenze.

“Signore, è arrivata una lettera per lei,” annunciò Bates, porgendo a lord Phillip il vassoio d'argento su cui era poggiata la missiva insieme ad un tagliacarte.

“Vi ringrazio, Bates,” disse e lo congedò con un cenno del capo, prendendo in consegna lettera e stiletto. “Puoi andare.”

“Signore, c'è una visita per il signor Barton-Coulson.”

Clint alzò gli occhi al soffitto con tanta foga che gli sembrò quasi di poter scorgere il fondo del suo cranio. Alla confusione della gente che non sapeva se chiamarlo Barton o Coulson c'era ormai abituato – nessuna delle due opzioni gli dispiaceva – ma l'ostinazione di Bates a riferirglisi come Barton-Coulson, proprio non la sopportava. All'inizio l'aveva trovato divertente, ma adesso... gli faceva venire l'orticaria.

“Oh grazie al cielo,” l'irritazione, però, non gli impedì di ringraziare per quel provvidenziale contrattempo.

“Posso dire a lady Bishop di tornare in un secondo momento,” si offrì il maggiordomo.

“Come?” Clint si sentì come punto sul vivo da un abito ben più ruvido di quello che aveva attualmente addosso – il che era praticamente un miracolo.

“Posso dire a lady Bish-”

“No, quello l'ho capito!” Scese dal piedistallo su cui l'avevano piazzato per posare e uscì dalla stanza inseguito dallo sguardo perplesso e muto di Clarisse, da quello divertito di lord Phillip, e da Bates che gli si mise fisicamente alle costole.

“Aspettate, signore, non potete entrare non annunciato!”

“E' tutto a posto, Bates!”

Ma non lo era affatto perché finirono per ingaggiare una vera e propria corsa al piano di sotto e giù per le scale, dove una figura ammantata di lilla lo stava aspettando.

“Kate!” Esclamò non appena la vide, costringendola ad alzare lo sguardo in sua direzione.

“Clint!” Esplose lei in risposta, muovendosi per incontrarlo a metà strada, ancora sui gradini coperti di velluto rosso.

Si abbracciarono senza pensarci due volte mentre Bates, affannato e rosso in volto, si fermava loro di fianco sistemandosi la parrucca in testa.

“Lady Bishop, sir Barton-Coulson.” Fece un mezzo inchino e solo quando fu sicuro di aver espletato le sue funzioni così come il protocollo imponeva si defilò borbottando ingiurie che Clint – fortunatamente – non poté sentire.

“Come stai?” Clint la lasciò andare quando la stretta cominciò a farsi imbarazzante (come diavolo gli era venuto in mente di abbracciarla? Gliel'avrebbe rinfacciato almeno per il resto del secolo).

“Sto bene, ma tu che cavolo hai addosso?” Sorrideva e le veniva da ridere perché si era accorta di com'era vestito.

“Lord Phillip vuole avere un mio ritratto,” spiegò sinteticamente.

“Oooh, ne voglio assolutamente una copia.”

“Per far cosa?”

“Per prenderti in giro,” decretò come se quella fosse l'unica risposta possibile.

Scesero fino in fondo alle scale e Clint l'invitò a sedersi su uno dei lunghi divani addossati alle pareti dell'ingresso, dove i visitatori aspettavano prima di essere ricevuti.

“A proposito,” riprese Kate, cercando qualcosa nella borsetta a sacchetto che le pendeva da un polso, in tinta col resto dell'abito. “Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere averne una copia.”

Scartò l'involucro che gli aveva porto, ritrovandosi per le mani uno dei volantini che informavano della taglia sulla sua testa, debitamente incastonato in una cornice d'argento. Detestava quel disegno: gli avevano fatto un naso tutto sbagliato e non sembrava neppure lui.

“Ma che pensiero gentile,” sentenziò con un sorriso volutamente tirato. “Non avresti dovuto.”

“Figurati. Ci ho già riso su abbastanza, adesso è il tuo turno,” convenne. “Sembri un tubero...”

“Ti ringrazio moltissimo.”

“... e a vederti adesso mi sembra più fedele di quanto pensassi, lo sai?”

“Sul serio, non dovevi. Fermati finché sei in tempo.”

Kate rise e Clint non poté fare a meno di sentirsi di buon umore.

“Credevo fossi ancora bloccata in quel convento vicino al fiume,” le disse, rifacendosi un po' più serio.

“Lo ero,” il suo sguardo esprimeva tutto il disgusto che la sistemazione le aveva causato, “ma poi lord Phillip a scritto a mio padre e... ta-daaa!”

“Lord Phillip?” Non gli aveva detto nulla.

“Lo ha convinto di avere un buon partito a cui darmi in sposa, sai... dopo che la congiura ha tolto di mezzo almeno un terzo degli aristocratici in cerca di moglie.”

“Ma lord Phillip non ha...”

“... non ho un partito da farle sposare,” confermò lord Phillip appena comparso in cima alle scale. “Ma lord Derek non lo sa,” aggiunse con un sorriso, sistemandosi il libro che stava leggendo sotto braccio. “Dovreste rimanere per cena, lady Bishop.” Non attese una risposta prima di deviare per il soggiorno e sparire dal loro campo visivo.

Kate lo seguì con lo sguardo e infine tornò di nuovo su Clint.

“Lo adoro,” dichiarò spassionatamente.

“Mettiti in fila, è già sposato,” la mise in guardia.

“Ah-ah, molto divertente.” Si sistemò la gonna ampia che si era fatta ancora più gonfia ora che si era messa a sedere. “Hai un sacco di cose da raccontarmi.”

“Troppe.”

“Prima di tutto chi ha pensato che fosse un buona idea metterti addosso quella roba?”

“Se vuoi estorcermi qualche informazione dovrai comportarti bene.”

“Più facile a dirsi che a farsi.”

Anche Clarisse, con tutti i suoi strumenti racchiusi in una valigetta di legno, li stava raggiungendo nell'ingresso in compagnia di Bates. Li salutò con un profondo e muto inchino prima di defilarsi dalla porta d'ingresso.

“Perché non lasci che mi metta qualcosa di più comodo e ti raggiunga in cucina?”

“Va bene,” convenne Kate. “Ma non presentarti nudo.”

“Che c'entra?” Gli venne da ridere.

“Non lo so, volevo solo metterti in guardia,” puntualizzò rimettendosi dritta. “Ti trovo bene, lo sai?”

“Certo che mi trovi bene. Sono bellissimo anche se vestito da barone di Pompadour.”

Kate gli lanciò un'occhiata improbabile mentre si allontanava in direzione delle cucine, come a sottolineare il suo disaccordo per una nozione tanto assurda.

“Ah, Clint?” Lo richiamò ormai in procinto di spostarsi nell'altra stanza, “sono contenta che tu sia tornato.”

“Anch'io.”

Gli fece una linguaccia prima di sparire dal suo campo visivo.

 

***

 

Si era svegliato nel bel mezzo della notte senza nessun motivo apparente. Aveva fissato la sommità del baldacchino ed era sceso dal letto come se il suo corpo già conoscesse le sue intenzioni, anche se la mente non ne era ancora stata messa al corrente.

Attraverso le finestre, aveva intravisto gli alberi smossi dal vento autunnale mentre usciva dalla camera a piedi nudi. Si era mosso alla cieca nell'intrico familiare di stanze e corridoi, recuperando un candelabro su cui sopravvivevano ancora un paio di candele ormai ridotte all'osso.

Si era riscoperto sulle scalette che conducevano alla soffitta e, prima che se ne potesse rendere davvero conto, era stato circondato dagli occhi vitrei degli uccelli impagliati ammassati tra le cianfrusaglie abbandonate sotto il tetto della villa, bloccati nei loro voli impossibili.

Aveva notato come la polvere si fosse fatta più spessa rispetto all'ultima volta che era stato là dentro, quando aveva promesso al falco che sarebbe stato gli occhi di entrambi, fuori nel mondo.

Le azioni che si erano susseguite erano stati rapide, metodiche, sicure, quasi fosse stato un sonnambulo mosso dall'incoscienza, proprio come un burattino legato a fili invisibili.

Eppure era presente, era cosciente e il bisogno di fare quello che doveva fare era diventato impellente.

Gli ci erano voluti tre viaggi per trasportare le carcasse imbalsamate dei volatili fin sul tetto della villa; almeno mezz'ora per accatastarli nello spiazzo sospeso nel buio della notte. Con le pietre abbandonate in un angolo del tetto – i detriti di un lavoro di ristrutturazione mai portato a termine – aveva creato un circolo attorno al cumulo che aveva preso forma sotto i suoi occhi, sotto le stelle che lo osservavano perplesse dal cielo.

E adesso era fermo davanti a quell'ammasso di corpi inerti, il candelabro pesante stretto tra le mani e le fiammelle delle candele smosse dal vento che odorava di pioggia. Il desiderio che l'aveva portato fin lì, che aveva dettato l'ordine delle operazioni, si concretizzò improvvisamente davanti ai suoi occhi.

Avrebbe concesso al falco di volare per l'ultima volta, di raggiungere il cielo, l'unico luogo a cui fosse mai realmente appartenuto.

Dette fuoco alla catasta prima che il vento potesse spengere i mozziconi e restò ad osservare il fuoco che si appiccava alle carcasse piumate, inghiottendole con avidità sempre maggiore. Il calore delle fiamme gli raggiunse le guance, controllato e confortante.

Fece un passo indietro e si mise seduto a terra, osservando la colonna di fumo che si alzava mescolandosi alla volta del cielo smaltata di nero. Guardò i corpi che si assottigliavano sempre di più, la cenere delle loro ali vorticare nell'aria, ascendere ad altezze sconfinate e prendere il volo, finalmente trascinate dal vento.

Sorrise e sperò che Barney, ovunque fosse, potesse vedere quello che stava vedendo lui.







Note: il penultimo capitolo è decisamente da vedere in parallelo con il 28, dedicato a Natasha.
Il resto credo si spieghi da sé! Ringrazio chi legge e la sociabeta Eli (:
Al prossimo (e ultimo) capitolo!
(◡‿◡✿)
  
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