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Autore: Iryael    07/04/2009    4 recensioni
Barcellona: una delle città più visitate dell’ultimo millennio, piena di storia, di negozi, di allegria.
Ma c’è un rovescio a questa faccia della medaglia: il Centro. Qui vengono portati bambini Esper da tutta Europa per addestrarli a diventare spie. Dai cinque ai sette anni vengono portati al Centro, ed a venticinque anni escono dal Centro con l’assortimento completo di tecniche utili al loro futuro lavoro.
A dispetto di quello che potrebbe sembrare, chi entra lì non viene traviato secondo una qualche religione interna al Centro. Semplicemente, una volta entrato, non si può uscire se non alla fine del corso.
Ma il corso è duro, e la voglia di fuggire da quella prigione mascherata da casa felice è tanta. Lo sa bene Sabrina, unica Esper con entrambi gli occhi viola. Per fuggire avrà bisogno dell’abilità di Martha, l’unica che, come lei, ha entrambi gli occhi color oro.
Ma il Centro ha occhi e orecchie ovunque, fuggire è un’impresa quasi impossibile...
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[Rieditata graficamente nel dicembre 2017]
Genere: Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Barcellona, una delle città più visitate dell’ultimo millennio.
Piena di storia, di negozi, di allegria.
 
Ma c’è un rovescio a questa faccia della medaglia: il Centro.
Qui vengono portati bambini Esper da tutta Europa per addestrarli a esercitare il proprio potere fino ai limiti estremi. Dai cinque ai sette anni vengono portati al Centro, ed a venticinque anni escono dal Centro con l’assortimento completo di tecniche utili al loro futuro lavoro, che il Centro si premurerà di trovare loro.
 
Ciascun Esper ha una abilità diversa dagli altri, non esistono due abilità uguali, e fanno tutte a capo a sei corsi: fuoco, terra, tuono, ghiaccio, aria, acqua. Solo le guardie di questo posto hanno tutte il potere della telecinesi, e non si sa il motivo di questa uniformità.
 
A dispetto di quello che potrebbe sembrare, chi entra lì non viene traviato secondo una qualche religione interna al Centro. Semplicemente, una volta entrato, non si può uscire se non alla fine del corso.
 
Ma il corso è duro, e la voglia di fuggire da quella prigione mascherata da casa felice è tanta.
Lo sa bene Sabrina, unica Esper con entrambi gli occhi viola.
Per fuggire avrà bisogno dell’abilità di Martha, l’unica che, come lei, ha entrambi gli occhi color oro.
 
Ma il Centro ha occhi e orecchie ovunque, fuggire è un’impresa quasi impossibile...
 
 
 
 
Game Over
 
 
 
 
Lei sapeva della mia abilità. Sapeva che posso cambiare il modo di vedere a mio piacimento.
Lo sapeva sebbene fosse stata una del Corso Terra, ed io una del Corso Tuono.
Non mi aveva detto il suo nome, mi era entrata in camera silenziosa come una gatta,
e mi aveva proposto la fuga.
Tentare di dissuaderla era stato del tutto inutile: era convinta che con l’ausilio
della mia abilità saremmo potute uscire. Anzi, aveva saputo risvegliare in me la voglia
di fuggire che mi si era ormai assopita, cosicché anch’io mi convincessi che potevamo farcela.
Allora programmammo la fuga alla sera del plenilunio.
Io, usando la visione notturna, l’avrei guidata attraverso il Centro e poi fuori. Lei, con la sua
capacità di inibire i sensi altrui, ci avrebbe protette dai cani e dagli inseguitori.
 
...
 
Ce l’avevamo quasi fatta, dannazione!
Eravamo quasi fuori, quando è scattata la trappola!
Cristo, ma perché non presta più attenzione a dove mette i piedi?!
 
 
 
«Come ti chiami?»
«Sabrina»
La squadro un attimo, fino ad ora non ne ho avuto il tempo. Ha lunghi capelli corvini, simili ai miei, e occhi viola. Come me indossa la divisa del Centro, una gonna nera a pieghe e una camicetta bianca. Teoricamente ci sarebbe anche un nastro od un cravattino, ma nessuna lo ha messo.
«Martha»
Siamo sedute in uno dei vicoli del Bario Gotico, ansimanti per la corsa fatta finora. Ma sappiamo perfettamente che il Centro ci sta cercando, che i suoi cani stanno battendo palmo a palmo tutta Barcellona per riportarci là dentro.
Poco dopo, quasi li avessimo chiamati, sentiamo abbaiare. Sono versi rabbiosi, questi non sono davvero i cani di qualche abitante...non alle tre e mezzo del mattino. Mi alzo e tendo una mano a Sabrina. Lei la afferra e si fa tirare su. È piccina rispetto a me, mi arriva sì e no alle spalle.
Riprendiamo a correre. I vicoli si susseguono uno dopo l’altro alle nostre spalle. Corriamo come prede braccate, con il costante abbaiare dei cani alle spalle. Sono vicini.
A furia di correre siamo arrivati a Plaça del Rei.
Non possiamo nasconderci qui, è un vicolo cieco: ha un’unica entrata, che funge anche da uscita, ed è circondata dalle alte mura degli edifici. Ad uno sguardo veloce, noto una scultura cubica. In realtà ha solo tre lati del cubo, e risulta essere una piattaforma con due paraventi che coprono la visuale all’ingresso della piazza.
 
Potremmo tendere un’imboscata.
Lei sembra comprendere la strategia e si lascia guidare fino alla piattaforma. Ci sediamo un attimo dietro i due paraventi, il tempo necessario di impregnarli del nostro odore, prima di sgusciare fuori e nasconderci nell’ombra.
«Appena arrivano stendili»
«Va bene» sussurra lei. Poco dopo i latrati si fanno vicini. Vicinissimi: ecco i due cani e la guardia all’ingresso della Plaça. Li vedo nitidamente: la guardia ha una maschera in faccia, con una linea rossa al posto degli occhiali che la fa assomigliare a Robocop. Sono occhiali per la visione notturna, cazzo! Ma perché non li hanno dotati di torce? Di sicuro sarebbe stato più semplice capire dov’erano...
I cani hanno fiutato il nostro odore nella scultura, e stanno trascinando lì la guardia. Do una gomitata a Sabrina, che comincia a concentrarsi. Ha imparato bene a dominare la sua abilità, e sono sicura che non me la punterà addosso. Poco dopo posso vedere quelle creature voltarsi a destra e a manca, disorientate.
«Andiamo, non possono vederci né sentirci» mi dice.
«Odorarci?» chiedo, continuando a tenerli sott’occhio
«Nemmeno» mi risponde, chiaramente soddisfatta.
«Meglio. Andiamo» rispondo. Questo dialogo per monosillabi non mi piace un granché, ma non possiamo metterci a fare un discorso completo nelle nostre condizioni.
Lei si occupa dei cani, io della guardia. Un colpo secco alla base del collo e via, pronte a fuggire di nuovo. Per alcune ore questi tre non ci daranno fastidio.
 
Ripercorriamo Carrer del Veguer a ritroso e torniamo al vicolo che porta alla Catedral, la cattedrale gotica, il punto di partenza del Bario Gotico. Non si sentono rumori, ed io non vedo niente di strano per alcuni minuti, poi si sentono di nuovo i latrati rabbiosi. Provengono dalla piazza della catterdale, a cui noi siamo molto vicine. Ci fermiamo sul posto e mi guardo intorno: alla nostra destra c’è un vicolo angusto, alla nostra sinistra un cancello, che ci permetterebbe di accedere ad una piazza mediante il passaggio sotto un arco e la scavalcata di un secondo cancello.
Faccio uno sforzo e la aiuto ad arrampicarsi sul cancello, che è abbastanza lavorato da consentirci un passaggio comodo.
Sentiamo i latrati avvicinarsi velocemente: ci hanno sentito.
Svelte, scavalchiamo il secondo cancello e ci nascondiamo dietro al muro.
Ma i cani ci hanno fiutato, è tardi per nascondersi, ed anche qui l’unica via per uscire è il passaggio per cui siamo entrate.
TLA-CLACK!
Questa è la sicura di un’arma da fuoco. Poco ma sicuro, ci uccideranno nel caso in cui riescano a prenderci. I cani abbaiano furiosamente, la guardia si avvicina al cancello e poco dopo la serratura scatta, si ode chiaramente. Le ante si aprono cigolando pesantemente. Ci scambiamo un’occhiata, spaventate. La guardia si avvicina al secondo cancello, possiamo sentirne i passi lenti e ritmici prodotti dagli stivali sul selciato.
Ci sono diverse macchine parcheggiate, qui: sgusciamo dietro la più vicina in un disperato tentativo di nasconderci. Per Sabrina è una volata, per me è più difficile perché sono più grande. Anche il secondo cancello cigola, significa che è stato aperto. Passo alla visione a rilevamento di calore e trasmetto quello che vedo alla mia compare: i cani stanno arrivando, la guardia li segue lentamente.
La vedo concentrarsi. Poco dopo i cani si fermano e cominciano a guaire, disorientati dall’attacco di Sabrina, mentre la guardia avanza nella nostra direzione con sicurezza.
«Non ci riesco!» mi sussurra, impaurita
«Provaci ancora!» sussurro anch’io, continuando a seguire i movimenti della guardia. È a due macchine di distanza, le sta sollevando ad una ad una per stanarci.
«Sembra immune, non ci riesco!»
La calma con cui si muove la guardia, unita al tono allarmato di Sabrina, mi spaventa. Sento il caratteristico nodo attanagliarmi la bocca dello stomaco.
«Facciamo il giro, seguimi» la prendo per mano e ci muoviamo verso la macchina di fianco, allontanandoci dalla guardia. Un piccolo sforzo e passiamo dietro alla macchina successiva.
Adesso siamo nell’angolo, non ci resta che passare dietro alle macchine del lato più lungo e dietro ad altre del lato opposto a quello da cui siamo partite e tornare al cancello, uscire e correre come il vento.
 
Facile, eh?
 
Non nego di avere paura, e di essere tesa come una corda di violino. E se ci scoprisse? Sono davvero proiettili normali, quelli che ha caricato in canna, o sono soporiferi? Preferirei la seconda, ma ho un 90% di probabilità che sia la prima. Sabrina, poi, è terrea in volto da tanto che è agitata.
Passiamo oltre, una macchina dopo l’altra, un vuoto dopo l’altro stando attente che non ci scopra. Intanto il nostro avversario continua, imperterrito, ad alzare una macchina dietro l’altra, non potendo più contare sul fiuto delle sue bestioline. Arriviamo in fondo alla seconda parete che sembriamo sfinite solo per la tensione. Invece ci aspetta l’ultima parete, ma è così fitta di macchine che costeggiarla è molto più facile. Arriviamo all’angolo e ci fermiamo. Dobbiamo pianificare bene le cose: l’ultimo tratto, quello che porta al cancello, è completamente scoperto.
«Che facciamo?»
«Non possiamo correre fino al cancello?» mi chiede
«È rischioso»
«Sì, ma non possiamo fare altrimenti» mi dice. È vero, non possiamo fare altrimenti. Annuisco, mentre un campanile – probabilmente quello della Catedral – batte le quattro.
«Al mio tre. Uno...»
Controllo dov’è la guardia. È quasi all’altro angolo del lato dove siamo.
«Due...»
Ecco, ha cominciato a sollevare le macchine di questo lato.
«Tre»
Veloci, scattiamo in avanti. Una decina di metri ci separano dal cancello. La guardia si gira, lasciando cadere la macchina. Veloce come un furetto, punta la sua arma.
BANG!
Il colpo ha colpito il punto in cui prima c’era la vita di Sabrina.
BANG!
Cinque metri ci separano dal cancello. Non mi volto a vedere che fa la guardia
BANG! BANG!
Un colpo va a vuoto, davanti a me, l’altro mi ferisce di striscio al braccio. Veramente di striscio: brucia tantissimo, ma non fa male.
BANG!
Guadagno il cancello, con Sabrina alle spalle. Ci tuffiamo nel vicolo, dirigendoci verso la Catedral. Pochi metri dopo sbuchiamo nella piazza della cattedrale.
La guardia ci segue, correndo come un fulmine, ma non spara. Che abbia finito i colpi? Non è possibile, ne ha sparati cinque. Significa che ne ha almeno uno in canna.
Prendiamo a sinistra, attraversando velocemente la piazza, e ci lanciamo in una via a caso, che sbuca ne Las Ramblas.
Fosse giorno Las Ramblas sarebbe piena di vita e sarebbe facile nascondersi, ma alle quattro del mattino è letteralmente deserta, popolata solo da pochi sparuti barboni. Corriamo verso sinistra, verso la Rambla de Mar. Sentiamo la guardia blaterare qualcosa, probabilmente parla alla radio con qualcun altro dei loro sulla nostra posizione.
Davanti a noi si alza il Colom, l’immenso pilastro con in cima una statua di Colombo che guarda il mare. Ci impieghiamo un po’ a raggiungerlo, sempre con la guardia alle calcagna, e ci lanciamo ad attraversare la rotatoria che lo circonda. Il piazzale che ci si presenta davanti è rettangolare: di fronte a noi c’è il mare, a sinistra la Rambla de Mar ed a destra la continuazione del piazzale verso altri edifici.
Prendiamo a sinistra.
I nostri passi diventano improvvisamente rumorosi, quando cominciamo a correre sull’assito della Rambla de Mar, che non è altro che un immenso pontile che si allunga per un centinaio di metri nel porto. È composto da due tronconi separati, uniti da un ponte che all’occorrenza si apre per far passare le barche a vela ora ferme nell’insenatura alla nostra sinistra. Poco dopo si sente il rumore di altri passi sulla Rambla de Mar. Noto con orrore che la guardia non è più sola. Adesso sono in due.
 
Ma porca zoccola! Mai che ce ne vada una dritta, eh?!
 
«Senti, perché non li affrontiamo?» mi propone, ad un certo punto.
«Ma sei impazzita??? Così ci faremo uccidere!»
«Non è detto. Una guardia è immune, ma l’altra la sto inibendo senza che se ne accorga» mi dice, stando bene attenta che non ci sentano.
Ormai siamo al ponte: metà della Rambla de Mar è andata.
«Come vorresti affrontarla, l’altra?» chiedo, con un tono abbastanza affannato. È parecchio che corriamo, ormai i polmoni bruciano ed i polpacci sono prossimi a piantarmi in asso. Non mi risponde. Con la coda dell’occhio la vedo concentrata: sta inibendo la seconda guardia. Poco dopo, infatti, la vedo perdere l’equilibrio e cadere inerme sull’assito del ponte, mentre noi ormai siamo a metà del secondo troncone. Davanti a noi, il mare. Dietro, la guardia che non ci ha mollato un attimo dal Bario Gotico. Finalmente Sabrina mi risponde.
«Strategia 2-3-6, ovviamente»
«La conosco» rispondo, impostando la visione notturna. Mi da sicurezza vederla così determinata.
«Via!»
Ci separiamo: io corro verso destra, e lei verso sinistra compiendo un semicerchio che dovrebbe terminare in corrispondenza del nostro bersaglio. La guardia spiana la pistola e la punta prima su Sabrina, poi su di me, poi torna a puntarla su Sabrina.
BANG!
Punta alle gambe, ma fortunatamente la manca.
 
Mi viene da pensare che quella ragazza ha più culo che anima, dannazione!
 
Gli entro in scivolata sulle caviglie, l’uomo non se lo aspetta, visto che è impegnato a cercare di fermare Sabrina. Probabilmente ha capito che è lei la più pericolosa. Ad ogni modo, l’uomo mi cade addosso ed io non ho i riflessi sufficientemente pronti per rotolare via, così comincia la zuffa, che ci porta vicini al bordo del pontile. A questo punto cerca di immobilizzarmi tenendomi le braccia a terra, riesco a ribaltare la situazione prima che puntelli tutto il suo peso sulle mie braccia, ma lui fa lo stesso ed io torno ad avere la schiena contro l’assito. I miei occhi vagano ovunque alla ricerca di una via di fuga. A meno di un metro alla mia sinistra c’è il mare. Potrei buttarmi giù con lui...
«Ti ho pr...»
La guardia non può finire la frase: Sabrina ha recuperato la pistola dell’altro e lo ha colpito alla nuca con il calcio dell’arma. La guardia mi cade addosso, e non mi faccio problemi a buttarlo in acqua.
«Grazie, Sabrina. Mi hai salvato»
Lei mi sorride, poi mi tende la mano e mi aiuta a rialzarmi.
«Il bastardo mi ha colpito. Di striscio, ma mi ha colpito» mi dice
«Ce la fai a camminare?»
«Tranquilla, non morirò» mi risponde. Annuisco e torniamo sui nostri passi, fino alla Rambla.
«Dove dobbiamo andare?»
«Casa Milà, David ci aspetta lì» mi risponde con allegria.
«Dove???»
Cristo, Casa Milà è lontanissima! Bisogna attraversare tutta Las Ramblas, oltrepassare Plaça de Catalunya e prendere il Passeig de Gràcia per almeno un altro chilometro e mezzo!
Chissà che faccia ho, Sabrina mi guarda ed attacca a ridere.
«Ma cosa ridi!» sbotto «Casa Milà è praticamente dall’altra parte della città, siamo braccate e tu mi dici così?!»
«Finora ce la siamo cavate con poco, mi pare» risponde. In effetti ce la siamo cavate eludendo tre guardie e mettendone quattro al tappeto, ricavando tagli e lividi pressoché dappertutto. Con una fortuna sfacciata, avevamo evitato una quantità impressionante di proiettili.
«Finora. Ma non siamo al top della forma, e non possiamo avere tanto culo in continuazione»
Mi guarda in modo strano...ma non si rende conto della situazione?!
«Andiamo» mi dice, e attende che io la prenda per mano e ricominci a correre, guidandola per la città immersa nel buio.
Io la guido e lei mi difende, questi sono i patti. E, ovviamente, alla fine mi porta con sé.
 
Fino a metà de Las Ramblas va tutto bene, nessuno si fa più vivo.
Corriamo nell’ombra dei palazzi o dei portici, temendo le vie laterali ed evitando la corsia centrale, dedicata ai pedoni, perché sarà sicuramente lì che ci cercheranno. Passiamo anche il Teatro Grec con relativa calma.
«Vieni Sa...» non finisco la frase. Qualcosa proveniente da una delle vie di destra mi ha colpito violentemente al fianco, scaraventandomi in mezzo alla strada. Sento rumori di uno scontro mentre cerco di tornare a vedere: quel colpo mi ha praticamente tolto la vista, facendomi coprire tutto con un velo di puntini blu e rossi. Mi rialzo tenendomi il fianco. Fa male, ogni movimento è una sinfonia di dolore. Vedo Sabrina in difficoltà, bloccata dalla guardia che adesso le punta un fucile. Io sono alle spalle della guardia, che non mi sente arrivare, troppo presa dalla Esper che strilla. Gli assesto un gancio in pieno viso, facendolo cadere. Per Sabrina è un piacere finire il lavoro, mentre io mi tengo sulle ginocchia: sono rimasta senza fiato quando ho tirato il gancio...il fianco mi fa veramente male. Sabrina se ne accorge.
«Ce la fai?»
«See» mi esce, tra un ansimo e l’altro. Voleva essere un “sì”, ma vabbé...tanto lo ha capito comunque. Dopo un ultimo respiro, più profondo degli altri, riprendiamo a correre «Lo hai steso?»
«Non lo so, non sono riuscita a vederlo»
 
Bene...un potenziale nemico ancora sveglio era quanto meglio potessimo chiedere...
 
Finalmente mettiamo piede in Plaça de Catalunya. Il cielo comincia a schiarire, saranno le cinque ormai. Passiamo oltre l’Hard Rock Cafe, le cui bandiere sembrano guardarci male mentre passiamo.
In sostanza, aggiriamo la piazza evitando accuratamente di attraversarla a causa di parecchi latrati poco rassicuranti. Metro dopo metro, guadagnamo strada verso la tanto bramata libertà.
Adesso qualcuno comincia a farsi vivo, qualche operaio che, vedendoci, pensa male di noi, o qualche panettiere. Ma nessuno ci rivolge più di qualche occhiata veloce. Arriviamo sotto El Corte Ingles, il centro commerciale più grande di tutta la città. Nove piani dove fare acquisti nella più totale libertà...ma questo a noi non interessa. Costeggiamo l’immenso edificio di pietra a vista e ci apprestiamo ad entrare nel Passeig de Gràcia, quando alla nostra destra sentiamo un cane abbaiare furiosamente. Ci voltiamo verso quella via: una guardia con un cane – il cane che sta abbaiando, quel maledetto – ci corre incontro, parlando alla radio.
Senza pensarci due volte, afferro Sabrina per il polso e la trascino correndo per il Passeig de Gràcia. Un coro di abbaiamenti arriva dalle nostre spalle, accompagnato da un numero imprecisato di stivali che battono aritmicamente sul selciato.
Stavolta ho davvero paura: sento l’adrenalina scorrere a fiumi dai reni, mentre il mio corpo reagisce a qualche istinto animale non meglio identificato. Sono passata automaticamente alla visione a rilevamento di calore, sperando di individuare con abbastanza anticipo le persone che intralciano il nostro cammino.
Una selva di proiettili si riversa su di noi: entro nella prima traversa a destra per cercare di disorientare le guardie. Sabrina mi segue senza fare storie, ma ha il respiro affannato.
«Tutto bene?»
«La spalla...sono ferita...» mi risponde. Non posso fermarmi, ma penso automaticamente che l’abbiano centrata ad una spalla.
«Per favore, stringi i denti! Ci siamo quasi!» dico. Ho il respiro corto anch’io...se non mi fermo al più presto mi si svilupperà un rogo nei polmoni! Per non parlare del fianco, che pizzica da morire. Se riuscissi a campare fino all’indomani, sicuramente potrei trovarci una chiazza viola grande quanto la mia faccia.
Prendo la prima traversa a sinistra, mantenendomi parallela la Passeig de Gràcia. Le guardie sono sempre alle nostre calcagna, sempre più vicine a noi. Non sparano, perché?
BANG! BANG!
BANG!
Non importa, come non detto.
BANG! BANG!
La spalla brucia, il fianco duole, la schiena fa male...ma io devo raggiungere Casa Milà.
Due incroci dopo un proiettile mi passa a mezzo centimetro dal viso: una guardia mi sta mirando. Ha capito che Sabrina ormai è innocua, che a malapena corre per via della ferita alla gamba e di quella alla spalla (e probabilmente anche di qualche altra di cui non sono a conoscenza), e che io posso ancora costituire un pericolo. Mi tuffo nuovamente nella via di destra e poi ancora nella via alla mia sinistra, riducendo così gli inseguitori.
«Sabrina...Sabrina, preparati indicarmi il luogo dell’incontro!» questo carrer è deserto, possiamo scambiare due parole.
«La via di Casa Milà...vai fino in fondo, alla casa di colore rosso. Oltrepassala: c’è una rientranza a sinistra. Arriva lì e guarda in alto...» la sua voce è stanca. Troppo. Quanto sangue ha perso?
«Dai, Sabrina, resisti! Ci siamo, ormai!» trascinarla è sempre più difficile, però. Ignoro il dolore al fianco, che non mi ha abbandonato per un solo istante, ignoro i polmoni in fiamme, i polpacci ormai a pezzi: vedo casa Milà. Prendo a destra, la via è quella ma la casa rossa è in fondo, e devo svoltare a destra. Sono davvero quasi arrivata, mi mancano una cinquantina di metri.
Ho solo cinquanta metri tra me e la libertà.
Ecco che rientrano in scena le guardie. Stavolta, però, vedo che sono molte – almeno una ventina – e sono pronte a fare fuoco, con le loro armi spianate.
Ho paura, il cuore mi batte all’impazzata nel petto. Se riesco a mantenere una certa velocità, è solo per l’adrenalina che sto scaricando.
Inoltre Sabrina è al limite estremo, non posso chiederle di inibire tante guardie in quelle condizioni. Le guardie mi stanno raggiungendo, macinando metro dopo metro la distanza che ho così faticosamente messo tra me e loro.
Il nodo dello stomaco è più che mai stretto, mentre vengo invasa dal terrore di non farcela, di non raggiungere in tempo il luogo.
 
Cristo, che situazione di merda.
 
Però ci riesco: sono alla casa rossa, la oltrepasso con il cuore in gola, mentre un proiettile mi trafigge il braccio vicino all’ascella, facendomi sentire qualcosa come un dolore acuto, misto a bruciore e stanchezza. Che siano proiettili trattati in qualche modo?
Ho oltrepassato la casa rossa, alla mia sinistra.
Cerco con gli occhi la rientranza.
C’è! Eccola! Siamo salve!
Guardo in alto, e...
«Ma che...»
A mezz’aria, ad un metro d’altezza, c’è una sorta di finestra aperta. Un varco turbinante dal quale esce un ragazzo dai capelli rossi e gli occhi in due tonalità diverse d’azzurro.
 
Un Esper! Dio, finalmente un amico!
 
«David!» Sabrina lo riconosce...menomale, è lui l’amico fidato che ci avrebbe portato in una vita nuova. Mi volto verso le guardie: sono a meno di quindici metri da me. Afferro Sabrina e la sollevo, passandola a David, che la prende con delicatezza e la deposita oltre il varco, non vedo dove.
Adesso è il mio turno, devo fare solo un piccolissimo sforzo.
David mi tende una mano, io lo afferro sul polso, in modo che la presa sia più solida.
Faccio per entrare nel turbine.
A causa del rumore provocato dal varco non sento rumori, non mi accorgo bene di quanto mi circonda.
«Attenta!»
Un dolore straziante, più di quello del colpo, mi sorprende al fianco sinistro.
Sento un sapore metallico ed amaro arrivarmi in bocca dallo stomaco.
 
Un secondo dolore, simile al primo, alla gamba destra ed un terzo ancor più forte mi prende alla sinistra.
Il freddo comincia ad entrarmi in corpo prendendo il posto di quel qualcosa caldo che mi sta ricoprendo la pelle...credo che sia sangue.
 
Poi è il turno della spalla destra.
Non riesco a vedere più nulla: davanti agli occhi ho solo una cascata di stelle rosse e blu, che aumentano mano a mano che il dolore cresce.
 
 
 
Ho come un flash di quel momento, quasi mi stessi osservando dall’esterno: le gambe non mi reggono più, sto cadendo all’indietro, e quando riverso la testa all’indietro vedo le guardie ad armi spianate a pochi metri da noi. Ma non cado...rimango ferma a mezz’aria, sorretta da mani forti.
Mani calde, in quella spirale fredda come il ghiaccio che mi è entrata fin nelle ossa.
Mani che mi trascinano verso l’alto, verso il portale
I miei occhi non sono più di quella bella tonalità oro lucido ma stanno diventando opachi, lo so, lo sento.
Voci che mi dicono di stringere i denti e non arrendermi, non ora, non ad un passo dalla libertà.
Risate ed una voce semi-rotta dal pianto che mi chiama, che cerca di parlarmi, che mi dice di rimanere sveglia, che presto saremo libere e che avrò tutto il tempo della vecchiaia per morire...
 
 
 
Morire...
 
...è dunque questo il Game Over?
 
È stare sospesi da qualche parte, con i sensi inibiti
e la mente che si svuota piano piano?
 
È sentire caldo e freddo, dolore ed insoddisfazione?
 
È veramente...così...?
 
Oppure...?

 

 

 

 

 


Ciao! Eccomi qui con questa One Shot nata da un sogno.
Può sembrare stupido o insensato, o forse scontato nella trama, ma mi ha colpito ed ho sentito l’impulso di scriverlo.
Ed eccolo qui, al tuo cospetto.
Vorrei sapere cosa ne pensi, perché non ho mai provato a trascrivere un sogno ed ho cercato di mantenerlo in ogni dettaglio, dai pensieri della protagonista alle azioni, a quello che si trasmettono le ragazze nei brevi scambi di parole.
 
Perciò ti faccio la domanda di rito: lasceresti un commentino?
 
Iryael
 
PS: originariamente questa fic l’avevo postata nella sezione “originali”, ma mi sono resa conto che è più appropriata questa sezione. Ringrazio chiunque l’avesse letta quando era nell’altra sezione, e Shinichi e Angel Texas Ranger per i loro commenti.

 

   
 
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