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Autore: PervincaViola    24/04/2016    2 recensioni
«Siamo in un sogno, vero?» gli chiede, troppo sopraffatta per aggiungere altro.
«Perché dovremmo esserlo?»
«Perché tu sei morto. E i morti non tornano indietro».

{Jenny/Julian ♥}
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nothing really dies as long as it's not forgotten




Che succederebbe se un giorno qualcuno incidesse di nuovo il nome di Julian su quella verga runica?”

Sotto il cielo azzurrissimo della Pennsylvania, quando Michael aveva espresso a voce alta quello scomodo quesito, una recondita parte di lei si era posta la medesima domanda, senza riuscire ad afferrare una risposta che non la costringesse a guardarsi dentro. Ora, quasi un anno dopo, con la verga della vita stretta fra le dita, Jenny lo sa: nulla, semplicemente nulla è accaduto. Riscrivere il suo nome con accanto il simbolo della runa Perth, rinascita, è stato inutile. Eppure Julian gliel'aveva bisbigliato, quasi sorridendo, quando i diamanti liquidi che componevano il suo nome erano colati al suolo come sangue: la legge non può essere cambiata. E Julian, riflette Jenny con amarezza, lasciando cadere la verga, era stato un principe delle tenebre sino all'ultimo, capriccioso e menzognero: nonostante la sua promessa, i suoi sogni sono rimasti vuoti. Lui non è mai tornato.


Quando si sogna, è come trovarsi a metà strada fra due mondi, in qualche modo inconsapevolmente consci di qualcosa oltre il velo della realtà; e quello in cui si trova è senza dubbio un sogno: da dietro le palpebre serrate, nella sua stanza, Jenny ne riconosce la consistenza di carta e illusione. Tutt'intorno alla sua figura lumeggia un caleidoscopio di colori tenui e accecanti, in un vortice così variopinto da far male agli occhi; è un non-luogo, un posto che non esiste, e se Jenny avesse dovuto immaginare un limbo certamente sarebbe stato diverso.
E poi, di fronte a lei, c'è lui. La sua bellezza è rimasta pressoché identica, non sbiadita come al momento della sua morte, un incendio lontano riflesso nel ghiaccio, bensì di nuovo sensuale e pericolosa e prorompente come argento vivo – unicamente ultraterrena. Incatenando lo sguardo con quello di lui, Jenny trattiene il fiato e ha un tuffo al cuore: non ha mai dimenticato i suoi occhi, teneri e affamati, del colore luminoso del cielo appena prima dell'alba, circondati da ciglia così folte e nere da appesantire le palpebre. Se scrivere il nome di Julian sulla verga della vita è servito per farlo entrare nei suoi sogni, Jenny non ha dubbi che ne sia valsa la pena anche per il suo solo sguardo.
«Jenny» si sente chiamare d'improvviso, con dolcezza, con la sicurezza di un dio in un mondo di mortali, e immediatamente le si attorcigliano le viscere – nessuno ha mai pronunciato il suo nome alla stessa maniera, neppure Tom. È in questo momento che Jenny riscopre tutte le dimenticate sfumature della voce di Julian, simile al fruscio del vento, all'acqua che scorre su sentieri inumati, talmente primordiale da farla rabbrividire.
«Siamo in un sogno, vero?» gli chiede, chiudendo istintivamente gli occhi, troppo sopraffatta per aggiungere altro – la presenza di lui vanifica la realtà.
Dal canto suo, Julian appare sinceramente confuso, e inclina la testa di lato, cercando di capire. «Perché dovremmo esserlo?»
«Perché tu sei morto». Il sorriso di Jenny s'imbeve di tristezza, mentre i suoi occhi verdi rimangono chiusi. «E i morti non tornano indietro».
La risata di Julian la coglie impreparata, così vicina che il suono cristallino pare riecheggiarle nella mente, simile ad acqua che gorgoglia sulla roccia.
«Oh, Jenny... Mi stai dicendo che non l'hai capito?» dice, quasi divertito dalla sua ingenuità; dita gelide e forti, e tuttavia delicate, afferrano le sue mani e quel contatto inaspettato la costringe a riaprire gli occhi, scoprendolo ad appena un passo da lei – la sua vicinanza minaccia di farle venire le vertigini. «Hai ricomposto il mio nome, mi hai riportato indietro».
Jenny ha l'impressione che il mondo prenda a ruotarle vorticosamente attorno. «Pensavo non avesse funzionato...» boccheggia, e di colpo la trafigge il peso di ciò che ha fatto: ha condotto fuori dalle tenebre un Uomo Ombra, disumano, incomprensibile e talmente vivo da sembrare circondato di elettricità, o fuoco ancestrale. Un fuoco che brucia persino nei suoi occhi ferini, gli occhi di un lupo, mentre le circonda la vita con un braccio, spingendola con incredibile tenerezza contro di sé, contro il petto tonico che era divenuto per lei tanto familiare. I suoi polpastrelli freddi salgono a sfiorarle la fronte, affondano lievi nei suoi capelli biondi come miele al sole.
«Perché hai inciso nuovamente il mio nome sulla verga della vita?» la sua voce le scorre morbida sulla pelle, simile a velluto, porgendole la domanda che Jenny più temeva, eppure che sapeva sarebbe arrivata.
«Io...» Perché l'ho fatto? Forse perché la vita era divenuta insopportabilmente ordinaria e tranquilla, persino noiosa, dopo tutto ciò che aveva vissuto grazie a – o, piuttosto, a causa di – Julian. Julian che, affascinante e volubile com'era, alla fine del gioco semplicemente se n'era andato, svanito in ombra e fumo, ricordandole che c'era ancora tutta una vita da vivere e lasciandole un vuoto nel cuore che Tom – il perfetto, dolce Tom – non aveva saputo colmare. Un demone talmente innamorato da costringerla a lanciare i dadi in tre giochi proibiti, da squarciare il velo fra due mondi e avvincerla a sé con un giuramento da lei infranto, da rinunciare volontariamente a lei nell'ultima partita, un demone che l'aveva cambiata senza che neppure se ne rendesse conto. Tu sei luce per me, mi attiri come il fuoco attira le falene, le aveva detto una volta, ma solamente ora che le sente dentro di sé, sotto la pelle, Jenny comprende il vero significato di quelle parole.
«Sei morto per salvarmi» butta lì come risposta, stordita per la valanga di pensieri che l'hanno colpita a tradimento, e questa è solo una parte di verità.
«Ti amavo, avrei fatto qualunque cosa per te. Ti ho sempre amata, lo sai» alza le spalle Julian, con una semplicità disarmante per una creatura dell'oscurità come lui; asserzioni che lei non comprendeva e da cui fuggiva, in un continuo e squilibrato inseguimento tra cacciatore e preda. La differenza, adesso, è tutta nel fatto che è stata lei a concedergli un'insperata seconda occasione.
«Continui ad amarmi?» non riesce a impedirsi di chiedergli Jenny; pazzo d'amore, si era definito Julian stesso, e la scintilla azzurra che ne rischiara lo sguardo le suggerisce che nulla è cambiato. Sono io, ad essere cambiata.
«Ancora non lo sai?» ribatte lui, quasi ferito dalla sua domanda, e non c'è bisogno di altra risposta: per lui parlano le sue dita, scese a lambirle il collo scoperto, e i suoi occhi che le divorano le labbra. «Perché mi hai fatto rinascere, Jenny?» insiste, chinandosi in avanti e sfiorandole la clavicola con la punta del naso, depositando tanti, piccoli baci lungo la linea della giugulare.
Jenny esita: come spiegargli che solo con la sua morte era giunta alla consapevolezza di essere arrivata ad amarlo, nonostante tutto? Come spiegargli, con sole parole, che tutto in lui la terrorizzava e l'attraeva disperatamente, poiché Julian era ed è un ossimoro vivente – sogno e incubo, veleno e cura, crudele e innamorato. Le parole, capisce, semplicemente non sono abbastanza.
Allora Jenny afferra la mano che le stringeva la vita, intreccia le dita con le sue, affinché percepisca il leggerissimo anello che le fascia l'anulare, prima emblema di fuoco di quella che sarebbe dovuta essere schiavitù, tutto il resto rifiuto, e scelgo te, e poi simbolo dell'ultimo lascito di Julian, io sono l'unico padrone di me stesso.
«Porti ancora l'anello» nota lui, sollevando leggermente un angolo della bocca, e ne sembra sorpreso. E poi tutto diventa confuso, perché lei lo sta baciando e davanti al suo bacio non esiste né passato né futuro.
Tra le braccia di Julian, Jenny trema; gli cinge il collo con le braccia, le sue dita si aggrappano alla camicia di seta nera, giocano con le setose ciocche color neve. Julian la bacia con la delicatezza del crepuscolo, con il languore del tramonto, e la sensazione è quella di volare, o di affogare in acque profonde. I suoi baci sono sempre stati così intensi e appassionati da farle quasi perdere i sensi e, se non fosse per la sua solida stretta, le sue ginocchia avrebbero già ceduto da tempo.
Jenny ha l'impressione di liquefarsi e modellarsi sotto le dita dell'Uomo Ombra: la mano gelida di lui le carezza viso e collo, l'altro braccio la sostiene per i fianchi senza alcuno sforzo – ovunque la tocchi, la pelle brucia di ghiaccio e fuoco.
«Ti amo» gli sussurra per la prima volta tra i baci, nei brevi istanti nei quali può prendere fiato, sciogliendo le loro labbra – se potesse, vivrebbe per l'eternità dello stesso respiro di Julian. «Hagalaz» bisbiglia Jenny, disegnando con dita tremanti il simbolo runico sulla sua pelle di luna, e sa che lui capirà.
«La runa della verità» continua infatti per lei con voce roca; Hagalaz, la runa che incarna la decisione di vivere la propria vera vita e di lasciar andare il passato.
«Non sei un sogno, vero?» soffia infine lei sulle sue labbra, gli occhi lucidi fissi in quelli di Julian, cobalto liquido di tenerezza, vorace di passione. Non può essere un sogno: le sensazioni sono troppo reali, troppo vivide, e il blu abissale delle sue iridi è troppo profondo e insondabile perché possa essere pura proiezione della sua mente.
Julian scuote la testa, la sua voce stinge nell'oscurità. «Apri gli occhi, Jenny».


Jenny socchiude piano le palpebre, mentre un respiro caldo, vicino a lei, sfiora una ciocca d'oro, facendola rabbrividire. La prima immagine che s'insinua fra le sue ciglia sono gli occhi di Julian: occhi di un blu impossibile, blu come una fiamma ossidrica, blu come il cielo infinito di una mattina di maggio, e capelli del colore del gelo e dell'inverno, della foschia più impenetrabile. Ogni cosa di lui suggerisce che non appartiene al suo mondo, legato a doppio filo ad un universo più antico del tempo stesso, e la sua avvenenza è così languida e istintiva da rendere persino la sua stanza ordinata ed ordinaria un luogo sospeso.
Jenny abbassa lo sguardo: a metà strada tra i loro occhi, poggiata sul guanciale, indugia una rosa d'argento, lavorata con la finezza più squisita nelle profonde miniere dei Dokkalfar, gli elfi oscuri del folklore tedesco. Sorridendo lievemente, allunga una mano a toccarne i petali morbidi e freddi, e con un movimento fluido e spontaneo li accosta alla propria guancia, in un eco del gesto compiuto nel regno lunare dell'Erkling, nella Foresta Nera dell'infanzia di Audrey.
La voce di Julian arriva armoniosa al suo orecchio da quella che sembra un'altra vita. «Hai gli occhi verde dorato» mormora lieve.
Sai che hai gli occhi scuri come cipressi? Significa che non sei felice. Quando sei contenta diventano più chiari, di un verde dorato. Jenny continua a sorridere, perché Julian non aggiunge altro, ma lei sa che ha capito, e lo bacia senza rimorsi; poiché una volta il suo cuore era appartenuto a Tom, Jenny lo ricorda, ma questo prima di Julian: Julian che è stato molte più cose di quante ne potrà mai immaginare.
E mentre lo bacia e stringe lo stelo delicato di quella rosa d'argento, la quieta oscurità della camera si riempie di un unico sussurro: «Sei mia».




Angolino della Vì:
Ho letto questa saga circa 3-4 anni fa e non pensavo ci avrei mai scritto qualcosa sopra, visto che è piuttosto vecchiotta (ho scoperto che la prima edizione è addirittura del 1994)! Qualche giorno fa, però, mentre cercavo Madame Bovary mi è ricapitato l'ultimo volume fra le mani e mi sono detta che volevo scrivere un finale alternativo; prima di tutto per me, dato che ero delusissima dalla scelta di Jenny e dalla morte di Julian. Come si fa a stare con Tom quando c'è qualcuno come Julian, mi chiedo io ~
Per cui niente, spero che le poche anime che ogni tanto circolano su questa sezione abbiano colto i vari riferimenti ai libri (anche il titolo è preso dall'ultimo dialogo con Julian) e che, soprattutto, vi sia piaciuta :3


   
 
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