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Autore: _Carol_    25/04/2016    2 recensioni
Il ragazzo solo sognava ogni giorno cose che si trovavano troppo lontane.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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One more time

Il ragazzo solo sognava ogni giorno cose che si trovavano troppo lontane.

Chiuse gli occhi, respirò, li riaprì, rendendosi conto che quel suo sogno sarebbe rimasto per sempre un'utopia.
Distese le braccia in avanti, indagando minuziosamente persino i solchi fra le sue dita per evitare di sentire le voci che continuano a riecheggiare nella sua testa. Chinò il capo, scrutando con attenzione le cangianti sfumature della sua chitarra: le sue sottili dita andarono  a sfiorare le flebili corde del tanto amato strumento, passando più volte sopra quei fili.
Perché. Perché.
Non dovrebbe andare così, eppure non voleva mai arrendersi. Non accennava a mollare quell’ultimo briciolo di speranza al quale si era aggrappato.

Il ragazzo solo aveva sempre sogni distorti.


«Non ancora-!» il giovane digrignò i denti, accentuando il tono della sua disperazione così che tutti gli altri potessero percepirlo.
«Leon, cosa c’è che non va?» una voce dal tono gentile si rivolse a lui, pacata e cristallina.
«Rabi, uh- ho sbagliato questa parte…»
«Di nuovo.»
Di fronte alle parole del francese il ragazzo si ammutolì di colpo, come se messo faccia a faccia con una realtà che non voleva vivere, una realtà più dolorosa di un pugnale trafitto dritto nel petto. Non era la prima volta che sembrava avere difficoltà con quella precisa parte, e le prove degli I
B procedevano ormai a rilento. “Necessito di una nuova canzone” come disse Kumakocho, “non potete farci aspettare ancora a lungo!” I loro fan aspettavano un nuovo singolo da mesi, un nuovo pezzo che per ora non potevano ancora offrire.
E la colpa era solo sua. Se non continuasse a sbagliare, allora tutto sarebbe stato già pronto giorni fa’.
Era colpa sua. Colpa sua. Colpa sua. Solo e soltanto colpa sua. Non poteva fare nulla per la sua band a parte provocare ulteriori danni. Sarebbe stato meglio se… se…
«Leon.» il richiamo di Noah lo fece tornare in sé e lo portò ad alzare il capo e girarsi dalla sua parte. «Non ascoltare Lucas, anche lui non scherza quando si parla di errori.»
Lucas non si trovava particolarmente d’accordo con quell’affermazione.
«Perciò,» proseguì l’americano. «non buttarti giù, mh? Non abbiamo una data di scadenza, non stressarti troppo.»
Leon sorrise, con quel suo tipico bagliore che illuminava persino i luoghi più bui, persino i cuori più sofferenti, e fu abbastanza per rimettere in sesto il resto della band. Leon era sempre così allegro, luminoso, senza pensieri, perciò vederlo in quello stato non poteva non suscitare preoccupazione all’interno del gruppo.
In tutta risposta, Noah ricambiò quel sorriso, lasciandogli l’ultima parola.
«Ancora una volta!»


“Ancora una volta, ancora una volta,
fatemi provare ancora una volta” era quello che continuava a dire, ma nessuno coglieva mai il significato dietro quelle parole.
“Ancora una volta, solo un’altra volta”,
ma il traguardo era sempre troppo lontano, e i sensi di colpa pesavano ogni giorno di più sulle sue spalle.
“Ancora una volta”, ma nulla cambiò.
Lasciando scorrere le lacrime più brillanti dalle sue iridi, non provando a fermarle neanche per un secondo, ripensava a dove esattamente avesse sbagliato; ma non trovando risposta, continuava a vivere nel suo piccolo mondo fatto di false speranze.
Il povero, povero ragazzo abbandonato. Se avesse trovato uno scrigno, forse ne sarebbe uscito fuori un tesoro?
Non scherziamo, solo bugie potevano giacere al suo interno.


~


 Il ragazzo solo faceva del suo meglio, era solo troppo lontano il premio che richiamava.

 «Leon, la tua faccia…»
Chaoyang si rivolse timidamente a lui, notando i numerosi cerotti sul suo viso e sulle sue braccia. “Certe cose non potevano non risultare evidenti”, si trovò a pensare.
«Mh-hm!» annuì energicamente, così da rassicurarlo. «Ho solo preso una brutta caduta!» replicò, celando del falso imbarazzo dietro una lieve risata. Sapeva che non si trattava di quello, lo sapeva benissimo, ma non poteva permettersi di far preoccupare i suoi amici. Se gliene fosse importato.
«E una sola caduta ti avrebbe provocato tutte quelle ferite?»
Rabbrividì.
«Ho detto che è stata una brutta caduta!» sbuffò, facendo ingrandire man mano il suo castello di bugie. «Diamine, Lucas! Smettila di contraddirmi!»
Lucas non rispose. Rimase lì, a guardarlo con i suoi freddi occhi cremisi, squadrandolo con la stessa precisione di un mirino di un fucile da cecchino. Quel suo silenzio riusciva a terrorizzarlo più di mille minacce.
«Come stai ora?» Chaoyang ruppe l’immacolato silenzio che si era creato nella sala prove, e l’inglese non poteva che esserne sollevato. Socchiuse gli occhi, pensando bene a cosa dire: poteva essere il momento giusto per sfogarsi, per liberarsi di quelle voci nella sua testa, per smetterla di brancolare nel buio. Desiderava tanto chiedere aiuto, ma aveva paura di urlarlo al mondo.
«Sto bene.» si lasciò sfuggire un sospiro. Peccato che quelle parole sarebbero scappate via col vento. Il ragazzo gli rivolse all’inizio un’espressione confusa, ma dopo qualche secondo inglobò quella frase come se nulla fosse.
«Bene, allora per oggi ho finito.»
Noah si alzò dalla sua sedia, poggiando affianco ad essa la sua chitarra. Il suo tono era sereno, e i suoi movimenti diventavano sempre più aggraziati. Rabi poggiò le sue bacchette sulla batteria, sfoggiando un sopracciglio inarcato nei confronti dell’americano.
«Devi incontrarlo di nuovo?»
Lui.
«Sono soltanto consulti. I Fire Fenix hanno bisogno di alcuni consigli, da come mi ha detto.»
No.
Il russo annuì. «Non fare tardi, mi raccomando.»
No. No.
Il giovane annuì, controllando attentamente che non mancasse nulla all’interno della borsa presa in precedenza: dentro erano presenti soltanto numerosi fogli contenenti note di qualche genere, probabilmente idee che potevano essere utili all’altro gruppo.
«Io vado!»
Faceva male. Così male. Fin troppo male. Leon sentì il mondo crollargli addosso nell’esatto istante in cui l’altro uscì dalla stanza, lasciando dietro di sé solo il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle. Non gli importava che l’altro passasse del tempo con un’altra band, assolutamente, il vero problema era che l’altro passasse del tempo con lui. Provava sempre a fare del suo meglio per attirare la sua attenzione, ma ogni volta lui aveva sempre la meglio.
Il raggiante biondino degli FooF. Chissà cosa mai aveva di così speciale da essere sempre migliore di lui in tutto: lui così raggiante, così talentuoso, così- perfetto almeno ai suoi occhi, tanto perfetto da essere capace di strappargli via tutto ciò a cui teneva. A cominciare da Noah. Ma chi era mai Noah per lui, prima di tutto? Un amico? Una vera e propria anima gemella, al di là dei nomignoli che si affibbiavano ogni volta? O che altro?
Urlando l’una sopra l’altra, le voci nella sua testa tornarono a fargli del male.
“Non sarai mai come lui.”
«Leon.»
“Arrenditi e basta.”
«Leon?»
“Non hai nessuna speranza.”
«Leon!»
Il ragazzo sobbalzò, rendendosi conto solo in quel momento che il suo compagno lo stava chiamando.
«Lucas! Mi dispiace, mi ero un attimo distratto!» ridacchiò innocentemente, ma per qualche motivo, non riuscì ad ingannare nessun altro della band.
«Allora, ancora una volta!»


“Ancora una volta, ancora una volta”
Nonostante il dolore non cessasse, nonostante tutto diventasse sempre più difficile, lui non si arrendeva.
“Ancora una volta, ancora una volta”
 Tessendo la sua misera tela di menzogne, uno “sto bene” dopo l’altro, continuava a scalare la collina dalla quale sapeva sarebbe sempre caduto.
“Ancora una volta”, ma tutto sembrava inutile.
Le ferite che non si arginavano, la lama che continuava inevitabilmente a sporcarsi, le bende che non accennavano a sparire, il peccato scarlatto che scorreva senza freni. Dipingendo ogni rosa bianca con il rosso più acceso, continuava a decomporsi ogni giorno di più.
Il povero, povero ragazzo solo. Non importava quanto urlasse, quanto si disperasse, sarebbe sempre rimasto ignorato.
Era proprio un ragazzo solo.


~

«…ta…»
Sospirò pesantemente, concentrando la sua attenzione nel punto sfiorato dal coltello. Era buio pesto, quindi era difficile incappare in altre eccessive distrazioni.
Non ne era convinto. Non lo era mai stato. Ma sapeva che quello era l’unico modo per soffocare la sua sofferenza, per sentirsi davvero vivo, per provare qualcosa che non fosse  tristezza. Si sentiva così vuoto, incapace, un’esistenza senza nessun significato particolare. Piatto, doveva essere quello il termine adatto.
Si distese di fianco sul letto, mantenendo un’andatura piuttosto vacillante.
«Ancora… una… volta…»
Superando ancora una volta la linea tra sanità e pazzia, lasciò viaggiare la punta dell’arma su gran parte del braccio, partendo dal polso, e rimase lì ad ammirare il frutto del suo egoismo colare fuori da quella ferita, mostrandogli il più meraviglioso e temibile di tutti i colori.
Andava bene. Andava tutto bene.
Sorrise lievemente, lasciando assumere un’espressione distorta ai suoi lineamenti. Non ne era affatto convinto, ma non riusciva a smettere. Rimase a fissare quel fiume creatosi sul suo braccio per qualche minuto, realizzando cosa avesse appena fatto, realizzando che lo aveva fatto di nuovo, ma i suoi occhi spenti non si mossero di un millimetro dalla scena.
“Non è abbastanza, lo sai.”
Si morse il labro inferiore, ancora dolorante per quel suo gesto, ma subito dopo la sua mano aveva già impugnato nuovamente l’arma del delitto.
Almeno, avrebbe dovuto.

La porta si aprì ad un tratto. Un suono secco, forte, deciso, come se fosse assolutamente voluto.
Era Lucas, con il fiato corto, come reduce di una lunga corsa. Leon lasciò cadere il suo coltello dallo stupore, mentre allo stesso tempo cercava di nascondere il delitto che aveva appena compiuto.
«Cosa stai-»
«Leon!»
Alle sue spalle, Rabi e Chaoyang arrivarono nel suo stesso stato. I loro volti esprimevano evidente preoccupazione, ma l’inglese non riusciva a capire ancora per quale motivo.
Lucas si avvicinò a lui, uno sguardo minaccioso che avrebbe intimorito anche il più spietato dei criminali.
«E’ inutile nasconderlo, ormai.»
Leon sgranò gli occhi, aprendo e chiudendo ripetutamente la bocca come se volesse ricorrere delle parole che non accennavano a uscire. Prima o poi sarebbe tutto venuto alla luce, avrebbe dovuto immaginarlo, ma il confronto con la realtà era sempre più amaro del previsto.
«Mi d-»
Slap.
I gemiti di sorpresa dei tre ragazzi si diffusero in tutta la camera, riempiendo per un momento ogni spazio vuoto creato dalla tensione. La sua guancia faceva ancora male, e la mano dell’altro sentiva ancora il contatto con essa. Poteva pur sembrare una persona scorbutica, ma per quanto sembrava odiarlo, Lucas non si era mai permesso di alzare le mani nei suoi confronti, o in quelli di qualsiasi altro membro. Stava per alzarsi e rispondergli a tono, quando alzando gli occhi si ritrovò dinanzi a qualcosa a cui mai aveva pensato di poter assistere.
«Lucas…»
Silenzio.
«… Lucas, stai piangendo?»
Sentendo ciò, uno sconvolto Chaoyang si portò le mani dinanzi alle labbra, sentendosi quasi sul punto di piangere insieme a lui: Rabi gli strinse le spalle, cercando di confortarlo. In tutta risposta, l’altro digrignò i denti, strinse i pugni, non riuscendo più a controllare i fiori della sua disperazione che continuavano a cadere da quel campo arido che erano i suoi occhi.
«Sei un’idiota.»
L’intera stanza sussultò al solo udire la voce del francese assumere un suono più rotto, triste, in preda alle lacrime.
«Tu non hai idea-» tirò su col naso. «Tu non hai idea di quanto hai fatto preoccupare tutti noi. Nessuno escluso.»
Leon rimase in silenzio, tentando di frenare il pianto scaturito da quello dell’altro. Non aveva idea, appunto, dei problemi che aveva causato al suo gruppo per via del suo egoismo, e il senso di colpa tornò a corromperlo lentamente.
«Leon, ti vogliamo bene.»
Il suo sguardo stupito si spostò sul corpo del russo che aveva appena proferito parola.
«Leon, per favore non farti del male!»
Chaoyang.
«Ragazzi…»
Improvvisamente, uno strano calore sembrò avvolgere dopo tanto tempo il suo cuore. Si alzò finalmente dal letto con l’intenzione di abbracciarli, di ringraziarli uno alla volta per il loro aiuto, ma-
«LEON!»
L’urlo era chiaro e deciso. Noah fece il suo ingresso battendo il pugno sul legno della porta, tenendo nell’altra mano una valigetta che a prima vista avrebbe dovuto contenere varie fasciature e medicinali: del sudore crollava dalla sua fronte, le sue gote avevano assunto un colorito purpureo e non smetteva di ansimare. Tutti si girarono verso di lui, sollevati dal suo arrivo: il ragazzo solo si portò le mani dinanzi al petto.
«Noah…»
Immediatamente dopo aver sentito il ragazzo pronunciare il suo nome, l’americano alzò lo sguardo verso di lui: lo fissò con uno sguardo gelido, lasciando il kit di pronto soccorso nelle mani di Rabi. Si avvicinò rapidamente a lui, e l’altro ebbe l’istinto di coprirsi il volto, intimorito da un altro possibile colpo.
Ma le braccia di Noah andarono a cingere il corpo dell’altro, e la mano a sfiorare i suoi soffici capelli. Leon sentì tutto l’affetto e l’amore del mondo in quel gesto, e avrebbe potuto rimanere tra le sue braccia per sempre.
«Non ti stai stancando di fare questo?» l’altro sospirò nel suo orecchio, continuando ad accarezzare la sua chioma color pesca. «Non hai più bisogno di soffrire così, Leon. D’ora in poi allontaneremo tutte le cose che ti faranno del male.»
Il resto degli I
B continuava a fissarli con un sorriso rilassato sulle loro labbra, e Leon si sentiva tremare in quella stretta. Sarebbe- sarebbe passato. Tutto sarebbe passato, non aveva più bisogno di farsi del male, perché adesso c’erano i suoi amici. Ci sono sempre stati, ma quei pensieri lo avevano accecato a tal punto da non accorgersene prima.
Chiuse gli occhi, e non riuscì più a trattenere i sentimenti che aveva nascosto fino ad allora.


Il ragazzo solo non doveva più combattere da solo le sue paure.


 

 

im sorry leon

OKAY UHM era da tanto che non scrivevo qualcosa TB H e quindi. Uhm. Mi sembrava giusto riprendere a scrivere dopo tanto tempo di blocco e! Anche se non sono particolarmente sicura di quello che ho scritto lmao well… uh,,,, yea i’ll just put this here. uhm
Anyway, Leon being a depressed child BC E’ UN MIO HEADCANON e ho un sacco di robe angst su di lui so. sì. ecco. questo.
Nello scrivere sono stata particolarmente ispirata da Rolling Girl, specialmente da una cover inglese! E’ stato bello scrivere sentendo quella canzone, credo proprio sia il ritmo di questa fic? kinda. Wwww
COMUNQUE OKAY BASTA i mgoing n spero non sia così terribile vi prego è da un anno che non scrivo e in caso, lasciate pure una recensione ye
Buh-bye~

_Carol_

  
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