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Autore: Belarus    25/04/2016    2 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates; OC.
Note: Nuovo capitolo in arrivo prima del termine del mese e sono lieta di annunciare che tra un po’, di certo prima che questa storia giunga alle ultime battute, potrò tornare ad aggiornare con una frequenza più regole ed inferiore alla pubblicazione mensile. Fatta questa comunicazione di servizio, il capitolo è dedicato agli scontri finali della guerra di Myramera che vi ho sempre detto di non sottovalutare e che vi ripeto di tenere d’occhio perché sarà la chiave di volta per il termine della storia di Aya. Come annunciato nello scorso aggiornamento ho dato ampio spazio a Torao e ho chiuso, sì credo di poterlo dire, la sua saga a Daiba anche se c’è ancora una piccola, ma non irrilevante parte che ho da inserire e che è nata dalla scelta di Oda di inserire una certa figura tra gli Heart nell’opera originale. Non mi sbilancio oltre e rassicuro chi ha a cuore quella testa calda di Kidd: ha una parte di peso anche lui, una signora parte, leggetela e spargeteci un po’ di sano romanticismo mes amis!
Con questo, ringrazio come di rito i superstiti che ancora leggono, quei pochini che mi lasciano un commento spingendomi a tirare avanti e rifiutano la diserzione dilagante – che per inciso non incoraggia gli autori a scrivere sappiatelo! E lo dico essendo una che non ci tiene, lo sapete! –, chi si aggiunse scovando questa storia nei meandri loschi di EFP e chi passa soltanto. Siete importanti, per Aya e soprattutto per me, quindi sì, grazie!
Alla prossima miei prodi pirati della rete!






CAPITOLO XXXXXXVI






Qualcosa nei linamenti del viso di Yory s’incrinò pericolosamente all’avvertimento ringhiato da Diante, un’ombra di rabbia cieca gli attraversò lo sguardo scuro e Aya non poté fare a meno di riconoscere una somiglianza con quelle che a volte avevano rabbuiato le iridi di Kidd in alcune occasioni. Quella che in quel momento gli stava facendo serrare la presa attorno alle sue armi, che gli faceva stridere i denti tra loro come ad una bestia minacciata e gli aveva allargato il petto enorme in silenzio non era semplice rabbia, era la reazione di qualcuno che sentiva il proprio orgoglio calpestato. Era il risultato di quell’inesistente malessere sopito di cui i suoi antenati avrebbero dovuto soffrire per decidere di uccidere Momoe e che lui invece provava, covandolo e rafforzandolo sino ad odiare qualsiasi uomo gli capitasse innanzi. Si trattava di una rivalsa, di qualcosa che andava oltre la furia cieca e mutava sino a giustificarsi da sé, diventando più pericoloso di ogni altro genere di rabbia possibile. Le bastò un istante per riconoscerlo e si ritrovò ad aggrottare la fronte tra la polvere, provando pena nei suoi confronti e nei confronti di coloro che lo avevano seguito in quell’impresa folle.
«Continuate a farlo… voi uomini vi credete più intelligenti, grandi e temibili di quanto non siate, ma la verità è che senza i vostri inganni e le vostre manipolazioni non valete nemmeno quanto un fastidioso formicaio. Ottocento anni fa i miei antenati subirono gli attacchi delle vostre navi, di migliaia di cannoni e fucili, non fu quello però a farli allontanare come voi tanto vantate. Furono le vostre offese, le vostre accuse, il vostro tradimento a spingerli a ritirarsi nell’angolo più remoto dell’isola e patire scioccamente sofferenze che non gli spettavano in nome del loro onore per un crimine che voi avevate architettato per pugnalarli!» sputò greve guardando Diante e il resto dei presenti dall’alto dei suoi metri.
Colpita dalle sue ultime parole sbarrò le iridi ambrate sorpresa e le fu di colpo chiaro di aver sospettato giustamente delle carenze della storia raccontatale, anche se Yory aveva lasciato intendere altro.
Era chiaro che qualcuno per lui e i suoi compagni aveva voluto volontariamente allontanare i loro antenati da Myramera, ma Re Boro non aveva mai accennato a scontri tra i giganti e gli abitanti all’epoca sino a quell’incidente anticipato dall’arrivo della nave con a bordo gli emissari degli altri regni.
Si lasciò sfuggire un respiro pesante nell’abbassare lo sguardo a terra e si morse il labbro, chiedendosi perché non le fosse venuto in mente prima dato che per venti lunghissimi anni aveva vissuto a Marijoa.
«Mentre tu te ne stai qui a minacciarmi come la formica che sei, i miei compagni avranno già preso il vostro porto e questa volta nessuno di noi sarà disposto ad andar via prima di aver ripagato degnamente l’onore che voi avete infangato e quando avremo finito di voi e del vostro grande regno che noi abbiamo creato non resteranno che tracce sotto le nostre scarpe!» urlò furibondo, tornando a sollevare l’arma su Diante.
La vide piombargli addosso con tanta forza da spingerla indietro di qualche passo ancor prima che avesse raggiunto il suolo, ma Diante rimase immobile scrocchiando le spalle per un secondo per poi sollevarle per parare il colpo una volta ancora.
«Kekkai!» urlò di rimando, incrociando nuovamente gli avambracci divenuti tanto rigidi da contrastare il colpo.
Rapita da quei gesti che continuavano a sembrarle incredibili lo osservò piegare le ginocchia per attutire la pressione e tornare a distenderle con un ringhio, mentre liberava un braccio per ribattere all’affondo con un pugno del pieno della lama scura di Yory. Il suono del metallo che veniva battuto le giunse alle orecchie cupo e il gigante rialzò la spada, accusando una spinta che in teoria non avrebbe nemmeno dovuto avvertire. Approfittando di quel gesto il capo delle guardie di confine si aggrappò all’elsa riuscendo a saltare abbastanza in alto da roteare velocemente su se stesso e sparire nel vuoto, come assorbito dall’aria stessa che respirava.
«Signorina presto! È pericoloso!» la richiamò Tito, afferrandola per una spalla per farla allontanare.
Senza pensarci due volte lo assecondò nella corsa verso la scalinata del propileo, sino a raggiungere l’ombra del colonnato tra file di guardie cittadine armate e pronte ad esplodere nuovi colpi con gli enormi cannoni.
«Come ci riesce?» domandò una volta che fu in cima, tornando a voltarsi verso lo scontro.
Yory continuava a menare colpi apparentemente nel nulla, ma era ovvio che così non fosse. Aya aveva impiegato del tempo per capirlo, alla fine però un po’ per averlo pagato sulla propria pelle un po’ per quella sensazione che l’aveva tenuta allerta anche in prigione aveva dedotto che Diante non sparisse davvero nel nulla.
Doveva essere senza dubbio l’artificio di un frutto del diavolo, ma non si trattava di invisibilità, bensì di uno strano mimetismo. Con un po’ d’attenzione si riusciva persino ad intuire dove si trovasse quando ne faceva uso, la velocità dei movimenti però finiva per far venire il mal di testa e in ogni caso, dopo aver visto Kidd dare corpo a tonnellate di metallo e Law tagliare a pezzi nemici senza ucciderli Aya non se ne meravigliava come avrebbe fatto in passato. Era il modo in cui Diante combatteva che la incuriosiva, perché era ovvio che il suo frutto non avesse implicazioni nella sua capacità di respingere gli affondi di un gigante.
«Haki. Ha imparato ad utilizzarlo in ogni sua forma. La Marina è venuta spesso a chiedergli di arruolarsi, ma non ha mai voluto accettare perché farlo avrebbe significato lasciare questo paese… neanche lui però può combattere una guerra da solo, quindi adesso per piacere stia lontana.» spiegò, facendole un cenno di raccomandazione con il capo alla fine che rimase sospeso.
Qualcosa alle spalle di Aya parve calamitare la sua attenzione e lei si girò appena in tempo per vedere un manipolo di abitanti di Egle armati correre nello spiazzo oltre l’accesso alla città.
«Cosa fate qui?! Tornate ai luoghi di raccolta immediatamente!» li rimproverò allarmato, mollando la presa su di lei per muovere un passo verso di loro, mentre il suono dello scontro non accennava a diminuire.
«Non ne abbiamo alcuna intenzione! Lotteremo per il nostro paese e lo difenderemo!» strepitò deciso qualcuno dalla folla.
«Sì! Se Hime-sama non si nasconde allora non lo faremo neanche noi!» diede manforte un altro, sollevando un forcone in aria con un tale impeto da farselo quasi sfuggire di mano.
Nel sentire nominare Ide Tito tirò indietro il capo confuso, appena prima che il resto dei soldati improvvisati si voltasse verso destra, rivolgendosi ad un punto preciso in cui, benché nella loro ottica così non fosse, Ide stava a tutti gli effetti nascosta.
«Ci penseremo noi Hime-sama! Li rimanderemo indietro si fidi!» la rassicurarono in coro, rivolgedole gesti d’incoraggiamento che le strapparono un mezzo sorriso e la obbligarono ad uscire dall’ombra del colonnato per ricambiare con un saluto titubante il coraggio che stavano dimostrando.
«Cosa…?» balbettò sconvolto Tito, guardandola con un tale terrorizzato stupore da non riuscire a proferire altro, mentre il resto dei cittadini gli sciamava attorno prendendo posizione come poteva in mezzo ai soldati.
Con molta probabilità dovevano averla vista correre per la città nel tentativo di raggiungere Aya e pensato che si stesse recando valorosamente in prima linea. Si trattava di un fraintendimento a tutti gli effetti, ma era felice che quel singolo gesto seppur male interpretato li avesse spinti a prendere coscienza delle loro responsabilità, anche se Tito – a giudicare dal silenzio tetro – non doveva essere della sua stessa opinione.
Le sfuggì un sorriso orgoglioso nel vederli lì tanto decisi, tuttavia dovette presto tornare a fare i conti con la tragica realtà cui stava cercando di porre rimedio quando Diante cozzò con i piedi su uno dei muri di cinta.
«Non puoi tenere a bada tutti moscerino, è oltre la tua portata! Uomini, entrate in città e reclamate quello che è nostro!» ordinò nefasto Yory, facendo forza sull’elsa della spada per obbligare il proprio nemico a rimanere inerme.
Il resto dei giganti che lo avevano seguito e che sino a quel momento si erano limitati ad attaccare le guardie all’entrata tonò un assenso immediato, scavalcando la linea creata dalla spada del loro capo sul terreno per rompere gli schieramenti di cannoni e soldati invadendo in pochi passi Egle.
«Fuoco! Fuoco!» sbraitò con ogni briciolo d’ossigeno nei polmoni Tito, riuscendo solo quando già si trovavano in quello che era territorio della capitale.
Scostandosi per evitare di venire calpestata tra il polverone creato dalle armi e dai piedi degli abitanti di Moundhill, intravide Diante tentare di liberarsi dalla costrizione cui Yory lo aveva obbligato prima di perderlo di vista alla caduta di una enorme figura rabbiosa per merito delle spropositate catene forgiate per bloccarli. Semplici uomini e soldati lo circondarono come poterono, ma uno dei suoi compagni sollevò un’accetta dal manico intagliato per aiutarlo, colpendo nel terreno come un bambino intenzionato ad uccidere davvero degli insetti e senza nessuno a trattenere le catene, il gigante tornò presto a rialzarsi. Ebbe una fugace visione di quella enorme matassa di ferro che roteava in cielo per poi ricadere sul terreno trascinando via armi e gente, prima che intorno a lei Egle si dissolvesse mutando in una distesa sconfinata di alberi.
«Aokigahara!» sentì pronunciare alla voce di Diante e si volse a guardarlo, scoprendo Yory mollare la presa stordito da quell’artificio incomprensibile finendo per rendersi vulnerabile.
Approfittando di quel secondo di distrazione il moro tornò a spingersi verso il suo petto con un balzo e nonostante il vuoto l’avesse inghiottito ancora una volta, Aya non ebbe alcun dubbio che il pugno che investì il naso del gigante facendolo barcollare indietro con un fiotto di sangue fosse opera sua. Inclemente continuò a colpirlo spingendolo metri più indietro ed incoraggiati da quel gesto il resto dei soldati tornò ad attaccare, convincendo persino Aya a muoversi.
Non era abbastanza forte da tenere a bada un gigante – faticava ancora persino con i marines – e non aveva armi da usare, anche se avendole non si sarebbe comunque decisa a sfruttarle, però sapeva di non poter rimanere lì a guardare. Non aveva ancora perso la speranza di mettere fine a quella guerra, se Yory non voleva darle retta allora avrebbe trovato qualcun altro disposto a farlo al suo posto.
«Ide, andiamo forza!» stabilì convinta, andandole in contro.
«No… Diante…» bofonchiò come rapita, seguendolo con lo sguardo benché non si fosse ancora mostrato.
«Se la caverà, ma noi non possiamo rimanere qui. Parlare con Yory è inutile, è accecato dalla rabbia e non darà retta a nessuno, è con Rolf che devo parlare e tu devi aiutarmi. Ho bisogno di un lumacofono o di qualcosa che trasmetta in tutto il Regno, sai dirmi dove trovare qualcosa del genere?» la riscosse, afferrandola per le spalle.
Anche lei in qualche modo aveva provato un genere d’apprensione simile al suo nei confronti di Kidd all’inizio, c’erano state volte in cui si era quasi convinta che se avesse smesso di fissarlo qualcuno della Marina o dei suoi nemici sarebbe riuscito a buttarlo giù, poi con il tempo aveva capito. Non poteva parlare anche per Ide, ma per sé stessa sì e le era diventato chiaro che Kidd, esattamente come Diante o Law, non avevano nulla di simile a loro sotto quell’aspetto. Erano in grado di badare a loro stessi alla perfezione e abbastanza forti da far fronte alle difficoltà senza doversi ingegnare per sopravvivere, vegliarli era un gesto inutile.
«L’assemblea, lì ci sono dei lumacofoni per le comunicazioni ufficiali.» rispose dopo qualche secondo, mentre il mare di falsi alberi creato dal moro svaniva lentamente.
«Bene, allora sbrighiamoci su!» s’affrettò, agguantandola per un polso affinché si convincesse ad accompagnarla prima che la situazione precipitasse.
Correndo tra il polverone creato dalla battaglia riuscirono a raggiungere lo spiazzo ormai tornato visibile all’entrata di Egle, ma la voce di Yory le raggiunse comunque, mentre una delle catene scagliate dai cannoni fischiava in aria come una frusta finendo per abbattere a poche decine di metri da loro un paio di abitazioni.
«Scappare è inutile ormai, avrete quello di cui ci avete accusato ottocento anni fa!» lo sentì minacciare Aya e bloccata da quell’attacco sin troppo vicino si girò incrociando per qualche secondo il suo sguardo prima che
Diante riprendesse a colpirlo sull’enorme scudo di ferro levigato. In quel breve istante ebbe la spiacevole impressione che quella minaccia fosse rivolta a loro esattamente come l’attacco e una piccola conferma gli giunse nel vederlo intestardirsi nell’avanzare proprio verso la loro direzione. Tornò con una scusa masticata tra i denti ad afferrare Ide per il polso e riprese a correre, cercando di farsi strada come poteva tra la folla di cittadini intenti ad andare in soccorso delle guardie di confine e il caos di chi era caduto nel panico vedendo il resto dei compagni di Yory avanzare per le vie, schiacciando sotto i propri piedi ciò che avevano costruito e che per anni era stata la loro vita. Districandosi tra le strade fece mente locale cercando d’intercettare il percorso compiuto insieme a Perifante sino alla piazza principale, ricordando dai suoi racconti che l’assemblea in cui venivano tenuti i processi si trovasse nei paraggi.
«Aya rallenta, non ce la faccio! Vuoi che mi rompa una gamba?!» lamentò Ide, incespicando sui propri piedi, mentre lei insisteva nel guardarsi attorno senza smettere di correre un istante.
Borbottando una risposta neanche troppo convinta proseguì sino a ritrovare la via che conduceva al centro della capitale del Regno e la percorse trascinandosi quasi Ide dietro, per raggiungere dopo una decina di minuti la piazza completamente piena di cittadini e soldati armati e strepitanti frasi d’ogni tipo. Qualcuno intercettò Ide rivolgendole saluti, rassicurazioni o parole allarmate nel vederla lì, ma Aya proseguì tra la calca svoltando tra due edifici e trovandosi di fronte i due membri dell’equipaggio finalmente liberi dalle manette che aveva lasciato alla Tsutenkaku un’ora prima.
«Ehi tu! Si può sapere cosa-» tentò di berciare uno di loro vedendosela arrivare addosso.
«Non ho tempo ora gomen, trovatevi un posto sicuro!» consigliò oltrepassandoli, mentre Ide si voltava a guardarli ad occhi sgranati.
«Sono evasi anche loro?!» strepitò acuta, tra gli improperi di entrambi i mozzi.
«Con chi credi di avere a che fare?! Trovatelo tu un posto in cui stare, magari lontano dalla nav-ah!» provò ad insultarla quello che l’aveva minacciata in prigione, finendo per soffocarsi con le sue stesse parole quando il terreno cominciò a tremare e alcuni giganti fecero capolino tra gli edifici.
Sentì Ide abbandonarsi ad un lamento di terrore nel vedere quelle enormi figure avanzare tanto in fretta, ma si ripeté mentalmente di non lasciarsi contaggiare dal panico e velocizzò come poteva il passo, divorando gli ultimi metri di strada per scorgere finalmente un imponente struttura dalle pareti chiare davanti alla quale faceva bella mostra la più grande bilancia nera che avesse mai visto nella sua vita.
«Quella è l’assemblea giusto?» chiese a voce alta, sentendo il terreno continuare con insistenza a tremare.
«Haii, si entra da quella porta.» confermò Ide con il fiato corto, spingendola a trascinarla quasi di peso su per i gradini per passare all’ombra della bilancia dai piatti vuoti.
Mollando la presa sul polso dell’altra trovò le porte sbarrate e vi poggiò le mani sopra per spalancarle, tuttavia l’abitudine prese di colpo il sopravvento e quasi d’istinto bussò due volte, fermandosi ad aspettare.
«Sul serio? C’è una guerra, vuoi trattare con una tribù di giganti, mi trascini per la città e aspetti che qualcuno ti apra una porta? Davvero?!» le domandò sconvolta Ide tenendosi il fianco, spingendola a storcere per un secondo il naso riflettendoci prima che qualcuno aprisse sorprendentemente la porta dell’assemblea.
Con un cesto da frutta come elmo in testa e con viso convinto Perifante spalancò entrambi gli uscii di scatto come fosse pronto ad affrontare personalmente a passo di carica chiunque si fosse trovato all’esterno, finendo per sbarrare gli occhi per metà nascosti dagli occhialini rotondi alla vista di entrambe sulla soglia.
«Aya? Hime-sama cosa ci fa qui? Dovreste essere alla Tsutenkaku, al sicuro!» rammentò con ovvietà ad entrambe, prima che s’intrufolassero all’interno trovandosi davanti all’intero corpo di membri dell’assemblea.
Per un secondo rapita dalla vista dell’enorme sala a gradoni su cui i custodi delle leggi di Myramera si erano riuniti per orgoglio rifiutandosi di andare altrove come il resto degli abitanti, si guardò attorno con ammirazione studiando i soffitti coperti da grate, la ciotola dai bordi lavorati su cui stavano impilate delle biglie nere grandi quanto delle mele e le tavole di pietra che riempivano le pareti con ogni divieto stabilito nei secoli dal tribunale.
«È colpa di quella poco di buono! L’ha rapita per chiedere un riscatto approfittando del caos cittadino!» berciò Eto dal proprio posto, battendo un pugno sul banco di fronte che la ridestò spingendola a rimproverarsi per le stupide distrazioni in quel momento tanto delicato.
«Mi servirebbe un lumacofono, devo parlare con qualcuno al porto.» domandò a Perifante, ignorando l’accusa che le era appena stata rivolta.
«Non provare a fare la carina, non abbocca nessuno qui!» insistette a strepitare Eto, forse offeso dal non essere stato degnato nemmeno di un’occhiata veloce.
«Laggiù ce n’è uno cara.» acconsentì l’altro, indicandole un trasmettitore addormentato su un tavolo accanto alla ciotola per le votazioni comunitarie.
«Smetti di aiutarla vecchio idiota!» sbraitò Eto rivolgendosi direttamente a Perifante, ma nessuno parve dargli una volta ancora ascolto quando lei raggiunse il lumacofono mettendolo in funzione.
«Mi sentite? C’è qualcuno dall’altra parte?» chiamò con apprensione, tenendolo in mano.
L’animale per qualche secondo rimase a guardarla in silenzio poi qualcosa nella sua espressione immobile mutò, aprì la bocca emettendo un sibilo confuso che presto si trasformò nei suoni caotici della battaglia e qualcuno dalla parte opposta si convinse a risponderle con voce preoccupata.
«Qui è il porto, non possiamo aiutarvi se è quello che volete. Facciamo quel che possiamo, Re Boro li sta rallentando!» raccontò suo malgrado, mentre improperi e ordini da entrambi gli schieramenti si accavallavano tra loro mischiandosi al suono del mare che scrosciava contro il porto e le chiglie delle navi messe alla fonda.
«Mio padre sta combattendo?» mormorò Ide con apprensione e Aya non poté proprio ignorarla vedendole tremare lo sguardo al solo pensiero.
«Sta bene?» s’informò per lei, spingendo il lumacofono ad esibire un breve sorriso.
«Il Re è in gamba, ma la situazione è critica purtroppo.» comunicò tornando serio e tutti nella sala, benché quello non fosse proprio una conferma, tirarono un sospiro di sollievo.
«Rolf, il capo dei giganti, è lì?» domandò finalmente e dalla parte opposta, lontano chilometri, l’uomo con cui stava parlando dovette scuotere il capo informandola che del gigante al porto non vi era ancora alcuna traccia fortunatamente.
Aya tuttavia udì quella risposta quasi come un sussurro, mentre uno strano boato scuoteva le pareti dell’assemblea. Il pavimento di lastroni bianchi tremò come se un vero terremoto stesse cominciando ad affiorare proprio sotto l’edificio e la ciotola carica di biglie si schiantò al suolo rompendosi in centinaia di pezzi, i membri del tribunale ancora sui gradoni si aggrapparono ai banconi di legno per non cadere e il lumacofono le sfuggì di mano, cadendo poco più in là quando il tetto venne strappato in due come fosse stato un semplice foglio dalle gigantesche mani di quello che Aya riconobbe come Yory.
«Ti ho trovata piccola formichina, vieni qui! Ti farò dono di una fine degna di essere ricordata!» sogghignò dopo una veloce occhiata, puntando Ide con la medesima ombra negli occhi di poco prima.
A quelle parole l’altra retrocedette tremante, mentre Perifante si allontanava dal suo fianco per correre in cima alle gradinate e Aya la vide voltarsi verso di sé, proprio quando il secondo in comando della Kurokaze affondava il braccio all’interno dell’assemblea per afferrarla.
«Perché ce l’ha con me? Sei stata tu a farlo arrabbiare!» l’accusò terrorizzata guardandola e lei finalmente capì perché le parole che gli aveva sentito urlare all’entrata della città le erano parse dirette a loro.
«Sei la principessa di Myramera, vuole che tu abbia la stessa sorte di Momoe.» svelò una volta ricollegati i pezzi, ma le sue parole strapparono alla principessa appena un verso sconfortato prima che crollasse a terra.
Nessuno dei giganti aveva fatto del male a quel ragazzo che più di tutti secondo le cronache vi aveva stretto amicizia, eppure ne erano stati accusati e per secoli avevano patito fame e sofferenze portando sulle spalle il peso di un crimine non commesso oltre all’onta per la fiducia tradita. Yory lo aveva detto chiaramente e adesso, vedendo Ide, la sua mente e quel dolore che aveva accumulato nei decenni dovevano aver deciso che un giusto modo per ripagare delle offese di Myramera fosse quello di infliggere ad Ide ciò che a Momoe loro non avevano mai fatto se non nell’immaginario comune di quella gente.
Le dita di Yory si allungarono su di lei nel tentativo di prenderla per darle ciò che nella sua follia meritava, tuttavia finirono per serrarsi attorno al nulla con un urlo inquietante nel momento in cui la corona d’inferriate che Aya aveva ammirato nel tetto gli si chiuse come una tenaglia sull’avambraccio. Dolorante lo ritrasse per istinto verso di sé finendo per affondarli ancor più nella carne e tra i suoi lamenti inumani, Aya riprese il lumacofono che l’era caduto approfittando della difesa temporanea che Perifante doveva aver prontamene garantito loro alla vista del gigante. Vi trafficò per qualche secondo con le mani che tremavano, cercando di fare in modo che trasmettesse al resto dei lumacofoni del regno e solo quando l’animale emise un breve sibilo simile a quello di una comunicazione avviata provò a parlare.
«Rolf! Rolf! Se riesci a sentirmi devi mettere fine a tutto questo! Mi sbagliavo, la guerra è colpa del Governo e dei Draghi Celesti! È inutile continuare a combattere! Sono stati i rappresentanti della coalizione per la guerra e forse i fratelli di Momoe. Il Governo ha sempre avuto il compito di garantire l’equilibrio mondiale e un regno come questo, con un’intera tribù di giganti come potenziale esercito avrebbe inevitabilmente spostato l’ago della bilancia dalla vostra parte in qualsiasi scontro futuro. Non potevano controllare ciò che Myramera e i vostri antenati erano, così hanno deciso che fosse molto più saggio rompere la vostra alleanza per rendere tutti più vulnerabili. Momoe forse si sarà opposto perché non voleva fossero cacciati dall’isola e… non è stata la gente di Myramera né voi, ma se continuate così finirete per odiarvi davvero e combattervi sarà inevitabile. Non ce n’è ragione, dovete smetterla. Subito!» urlò cercando di sovrastrare il caos che si era creato.
Dovette tuttavia fermarsi alla vista delle grate che venivano estirpate via dal tetto come erbacce dal braccio libero di Yory e una parte delle macerie che vi erano rimaste aggrappate gli crollò vicino, spingendola a scansarsi. Il lumacofono le scivolò una volta ancora di mano finendo inerme al suolo senza alcuna voglia di riattivarsi e si abbandonò ad un lamento esasperato per la perdita dell’unica opportunità che avesse avuto lì.
«Chiamarlo e raccontargli altre bugie non servirà! È a me che dovete rendere conto e delle vostre inutili chiacchiere non m’importa!» latrò rabbioso Yory, liberandosi della tenaglia che gli aveva ferito il braccio.
Ad occhi sbarrati fissò la mano di Yory scendere di nuovo all’interno dell’assemblea aprendone con gesti impietosi le pareti affinché vi fosse più spazio. Tra le macerie che crollavano e la polvere che li avvolgeva rendendogli difficile persino respirare vide le dita del gigante perdere ancora un’ultima volta la presa quando qualcosa lo colpì alla tempia, intercettò Diante con una spalla coperta di sangue insistere nell’affrontarlo nonostante il suo aspetto non fosse dei migliori e la voce di Perifante la raggiunse come uno schiaffo.
«Portala via Aya, non deve farle del male!» la pregò con il volto impolverato e la fronte sudata, spingendo Ide affinché le andasse accanto.
«Dovete uscire anche voi...» la sentì mormorare frastornata nel momento in cui Diante riuscì ad allontanare la figura del vice della Kurokaze a qualche decina di metri di distanza dall’edificio.
«Siamo stati eletti per custodire le leggi del Regno e lo faremo finché ne avremo la forza e la volontà! Siamo solo dei vecchi senza alcun valore, ma quelle e ciò che lei rappresenta Hime-sama valgono più delle nostre decrepite vite.» spiegò quasi con un po’ di tenerezza nel tono, accennando alle tavole su cui era stata incisa la giustizia di Myramera e ora minacciavano di venire completamente distrutte.
«Decrepito ci sarai tu.» lo rimbeccò con voce incerta Eto andandogli accanto insieme al resto del consiglio.
«Sei più vecchio di me, piantala di berciare inutilmente.» lo zittì l’altro e ad Aya si strinse il cuore nel vederli.
Nessuno di loro meritava quella stupida guerra né i suoi risvolti, quel paese non meritava di venire distrutto da un rancore inutile causato da sciocchi giochi di potere che avrebbero dovuto garantire l’equilibrio mondiale e invece rischiavano di disintegrare con le loro menzogne vite innocenti. La Marina e il Governo vantavano di compiere le proprie azioni in nome della giustizia, eppure in molte delle loro decisioni da quando viaggiava Aya non ne aveva riconosciuta alcuna. Perifante e gli uomini dell’assemblea erano disposti a rimanere lì per proteggere un ideale che avrebbe garantito a Myramera di sopravvivere al futuro, erano disposti a sacrificare le loro vite in nome di un futuro che forse non avrebbero potuto vedere con i loro occhi e in quello lei scorgeva più giustizia e generosità di quanta ne avrebbe mai potuta immaginare.
«Andiamo Ide.» stabilì con un cenno del capo, tornando ad afferrarla per il polso pur di non perderla.
Non era in suo potere fermare quella guerra da sola, ma avrebbe fatto di tutto perché Myramera avesse almeno un altro giorno della sua eterna primavera pensò correndo fuori dal palazzo avvolto dalla polvere. Riuscì tuttavia a percorrere solo una decina di metri prima che Yory fosse di nuovo davanti a loro con la spada sollevata.



L’aveva sentita. Eccome se l’aveva sentita e il sangue aveva cominciato a ribollirgli nelle vene. Aveva impiegato più di un’ora con i suoi uomini per raggiungere quella città, aveva trovato quei due idioti spariti nel nulla, ma non lei. Non aveva né aveva avuto alcuna intenzione di recitare il ruolo del salvatore, del benefattore che corre in aiuto di chi è in difficoltà, non era nella sua natura e nessuno si era mai preso la briga di riservare quella grazia a lui. Era andato lì per principio, per difendere ciò che ai più forse non sembrava meritevole d’esser protetto e che tuttavia per Kidd era indispensabile in quel mare, la dignità, dove a nessuno importava della sua misera taglia né della fatica fatta per arrivarci. Avrebbe preferito di gran lunga tornarsene indietro, ma quei lumacofoni avevano cominciato a trasmettere la voce di Aya tra il caos degli scontri e dentro di lui era scattato qualcosa, come una fottuta molla capace di mandare fuori uso un intero ingranaggio. Se fosse per caricarsela sulle spalle e trascinarla via di peso o per mollarle quel famigerato pugno promessole più di un anno addietro che la cercava, ancora non lo sapeva nemmeno Kidd. L’unica cosa di cui era certo era il fatto di non essere intenzionato a ritrovarla cadavere per colpa della sua parlantina e delle iniziative che si metteva in quella sua stupida testa scarmigliata.
«Da dove trasmettono quegli affari?» pretese di sapere da uno dei soldati che avevano provato a fermarlo, strattonandolo per il bordo della divisa accartocciata.
L’uomo, con la lingua impastata di sangue e l’aspetto di chi si mantiene vigile solo per uno scherzo del destino, ricambiò l’occhiataccia con sguardo altrettanto convinto nonostante non riuscisse più a muovere un solo dito, ostinandosi a non emettere nemmeno un respiro di troppo per rispondere. Con le tempie che già pulsavano e i muscoli tesi per il nervosismo, gli assestò un calcio nel pieno dello sterno lasciando che ricadesse con un tonfo a terra ed il fiato mozzo, tornando a guardarsi attorno.
«Dannati idioti, non ce n’è uno che parli.» ringhiò scocciato, tra cittadini e guardie che correvano ovunque nel tentativo di arginare l’avanzata dei giganti ormai inutilmente.
Non sapendo cosa ribattere né Wire né i quattro uomini che erano ancora con lui rimasero in silenzio e Kidd sentì l’irritazione aumentare per quella stasi inutile.
Se non l’avesse trovata per primo quella stupida avrebbe dovuto fare i conti con Yory o qualcuno dei suoi e considerando che, seppur nell’ultimo anno avesse fatto qualche progresso rispetto al disastro che era prima, ancora non fosse in grado di combattere in maniera decente poteva anche considerarla morta sotto un piede.
«Ho sentito la voce della tua bestiolina Komo! Ciò che dice è vero?» lo richiamò la voce di Rolf da lontano e
Kidd serrò la mandibola trattenendo una delle peggiori bestemmie che la sua lingua stesse mai per produrre.
«Chiedilo a lei, sempre che si riesca a trovarla.» sbottò suo malgrado, sentendo il terreno tremargli sotto le suole degli stivali per la corsa dei giganti di Moundhill.
«Allora cerchiamola, perché non ho intenzione di combattere il nemico sbagliato. È una vergogna che non posso tollerare!» tonò greve, rivolgendo un cenno a Dente Blu.
Con incredibile resistenza nonostante la taglia spropositata persino per un gigante, lo vide voltarsi subito e tornare indietro forse per avvertire il resto dei compagni che erano andati con loro sin lì e che Kidd aveva superato all’entrata della città a causa della resistenza degli abitanti. Lo seguì con lo sguardo di sfuggita finché non fu lontano dal suo campo visivo e la sua attenzione fu subito calamitata da qualcos’altro, mentre i cannoni che parevano sbucare come funghi in ogni angolo delle strade cominciavano già a sputare catene verso Rolf. Decine di metri più su l’affilata ascia a due lame del capitano della Kurokaze roteò per neutralizzare un paio di attacchi e presto Kidd finì per spostarsi da sotto la sua ingombrante ombra facendosi strada tra il polverone che continuava a gonfiarsi all’interno della capitale. Con entrambe le mani sollevate in corrispondenza delle spalle arrestò innervosito a mezz’aria ogni colpo esploso nell’arco di un centinaio di metri dalla propria figura, creando un flebile istante di pesante silenzio, prima di contrarre e distendere il palmo ricacciandoli indietro con maggiore potenza. Urla ed esplosioni lo raggiunsero non appena le armi ebbero svolto il loro compito e gli occhi di Rolf lo puntarono glaciali, non vi badò che per un secondo riprendendo a divorare metri con la fronte aggrottata con l’unica intenzione di trovare il luogo da cui trasmettevano quei bavosi animali finché quel qualcosa che aveva attirato la sua attenzione, da una delle strade principali, non gli sfrecciò di fronte come l’ennesimo proiettile finendo per rovinare contro un edificio.
«Cosa diavolo era?» domandò di getto, girandosi a fissare il punto in cui era caduto.
Ci volle qualche secondo perché nella polvere causata dalla caduta qualcosa si muovesse e altrettanto affinché la figura di Diante ne venisse fuori, con il fiato corto e il corpo per metà coperto di sangue rappreso.
«Tu.» lo apostrofò non appena si fu rimesso in piedi e lo vide esibirsi in una smorfia di rabbia per il solo incontro, per poi voltarsi come lui ad osservare la gigantesca figura di Yory farsi largo di fronte a loro.
A Kidd occorse un po’ per capacitarsi di ciò che stava succedendo, mentre Diante raccoglieva le forze per scattare in avanti e Wire sgranava gli occhi più di quanto gli avesse mai visto fare in vita sua, si ritrovò comunque a ghignare nel constatare quanto quella maledetta seccatrice avesse la pellaccia dura. In mezzo a quel frastuono intollerabile Aya proseguì in quella che pareva una fuga, trasciandosi dietro una ragazzina bionda già in preda al panico, sino a superare il capo delle guardie del paese. Yory abbassò svelto su di loro il proprio scudo grigio e prima ancora che potesse gravare sulle loro teste, Diante ci saltò sopra sparendo nel nulla per poi ricomparire metri più su, accanto ad una delle spalle ammaccate del gigante per colpirlo con il pugno più efficace che avesse visto usare a qualcuno dopo quell’insopportabile arrogante di Mugiwara. L’enorme figura barcollò di lato per la perdita improvvisa d’equilibrio, ma riuscì a non cadere, nemmeno quando un nuovo colpo alla tempia sanguinante gli cacciò la testa di lato strappandogli un ringhio.
«Adesso basta moscerino! Sono stanco di vederti ronzarmi attorno!» latrò furioso, scuotendo infastidito il capo per rivolgere il proprio scudo su di lui con una tale forza da rompere le sue difese e farlo precipitare nel mezzo della strada con un boato.
La ragazzina che Aya si tirava dietro emise un urlo talmente stridulo vedendolo piombare tra polvere e macerie da non sembrare nemmeno possibile fosse stato prodotto da un essere umano e si liberò della presa attorno al suo polso, quasi ruzzolando sui propri piedi per accovacciarsi accanto all’altro con le braccia aperte e il fiato ormai mozzo. Rimasta indietro, Kidd fissò quell’insopportabile donna girarsi a fronteggiare il gigante e sollevò la mano con un’imprecazione, richiamando a sé abbastanza metallo in quell’effimero istante da riuscire a pararglielo di fronte per evitare che Yory riuscisse a schiacciarla come aveva fatto con l’altro.
«Yory fermo, è dalla nostra parte!» sbraitò Rolf, accorso in quel momento, divorando i metri che li separavano per sollevare l’ascia a due lame.
La sua arma e quella del vice, innervosito oltre modo dal non essere riuscito nel proprio intento, cozzarono tra loro in un suono stridulo che provocò qualche scintilla momentanea e Aya sgusciò via da in mezzo ai loro piedi per allontanarsi di qualche metro. Vedendola Yory serrò i denti bianchissimi in quello che a Kidd parve il ringhio di una belva rabbiosa e Rolf aggrottò la fronte, facendo scivolare le lame tra loro per retrocedere.
«Ti ho cercato dappertutto! Ti prego dimmi che hai sentito!» s’auspicò Aya molto più in là quasi urlando.
Tutti l’avevano sentita all’interno del paese, persino in una situazione come quella, quando nessuno le dava retta, riusciva ad aprire la bocca per farsi ascoltare che lo si volesse o no.
«Inutili parole…» s’intromise Yory, squadrandola con un tale disgusto da farle serrare i denti con serietà.
«Cosa dici?! Se è vero ciò che ha scoperto per tutto questo tempo noi abbiamo sbagliato!» fece presente Rolf, serrando con maggior vigore la mano sull’ascia.
«Abbiamo fatto ciò che è giusto. Cosa importa chi ha ucciso quel ragazzino? Il motivo per cui siamo stati traditi? La loro razza ci ha colpiti alle spalle, noi che abbiamo il potere di schiacciarli con un dito siamo stati relegati su una scogliera a patire fame e freddo, mentre loro vivevano beati altrove ignorando le nostre sofferenze.» sputò fuori astioso, esibendosi in una smorfia di un tale disgusto da far scattare in piedi Diante nonostante fosse quasi allo stremo.
Intuendo forse quale fosse la piega presa ormai dalla conversazione e in generale il motivo scatenante di quell’ostinazione da parte del proprio vice, Rolf lo fissò severo per qualche istante prima di piegare il capo biondo cenere per sospirare pesantemente.
«Siamo venuti qui perché avevano preso gli uomini di Komo, ma nessuna di queste persone ha fatto a noi del male, ciò che ci spinge a non avvicinarli è il rispetto nei confronti dei nostri antenati. Parlerò con il loro Re per scoprire se la bestiolina dice il vero, nel frattempo questa guerra finisce ora.» stabilì fronteggiandolo e a quelle parole Kidd vide chiaramente la rabbia di Yory montare come una burrasca.
«Tu parli di rispetto. Tu che li hai fatti entrare a Moundhill, tu che hai organizzato un banchetto per loro, che li tratti da tuoi pari e hai calpestato l’orgoglio della nostra gente! Tu Rolf non meriti di difendere il loro onore, tu non meriti di essere a capo del villaggio, non meriti niente!» esplose in un urlo con le tempie che pulsavano visibilmente e i muscoli tesi per la rabbia cieca, scattando in avanti per colpirlo.
L’urto metallico tra le loro lame assordo per dei lunghi secondi chiunque si trovasse nel raggio di un centinaio di metri, generando persino uno spostamento d’aria capace di sollevare una volta ancora cumuli di polvere. Entrambi finirono per creare un profondo solco nel terreno già martoriato a causa della resistenza tra le armi e Kidd li studiò con sguardo serio, ignorando l’avanzata di Wire per recuperare quella cocciuta donna che ancora se ne stava immobile dietro di loro ad osservarli.
«Sei un mio compagno, siamo cresciuti insieme. Non costringermi a farti del male Yory.» lo avvertì freddo Rolf, ma ciò che ricevette fu soltanto una risata amara più offensiva di un pugno in pieno stomaco.
«Metterò fine a questo regno con o senza di te.» ribatté quello, spingendolo con amarezza a liberare le armi dal loro incastro momentaneo per tornare a farle cozzare con maggior vigore.
Aveva avuto dal primo momento la sensazione che quel tipo fosse qualcuno di cui non potersi fidare e quella medesima idea gli era rimasta nella mente anche vedendolo parlare con l’altro gigante. Aveva rispetto per chi sostiene le proprie opinioni e non si era mai voluto circondare a bordo di uomini che lo adulassero o leccassero la terra su cui camminava solo per compiacerlo. Killer passava metà delle sue giornate blaterando cosa dovesse o non dovesse fare, ma l’essere schietti era una cosa, il non aver rispetto un’altra e avere compagni che covano rancore o hanno una tale stima di te equivaleva ad una condanna a morte.
«Wire lasciami, Wire per piacere.» sentì lamentare e staccò lo sguardo sottile dai due per puntarlo su Aya, mentre recalcitrante sgusciava via dalla presa dell’altro.
«Hai già fatto abbastanza.» la rimproverò piatto quello, riacciuffandola in un tira e molla a dir poco ridicolo.
«No invece. Hai sentito Rolf? Parlerà con Re Boro e la situazione si sistemerà, ma se nessuno degli altri ne è a conoscenza continueranno a combattere ed è inutile! Qualcuno deve dirglielo.» insistette ostinata.
«Non tu. Siamo pirati, non aiutiamo la gente. Non sono affari che ci riguardano.» fece presente spossato Wire, tentando di portarsela dietro.
«Voi forse no, ma me sì! Ho un dovere nei loro confronti, è la mia gente, non posso andarmene e lasciarli da soli… lo so, non ho la forza per sistemare tutto da sola, non sono brava a combattere né in qualsiasi altra cosa, ma... non voglio girare le spalle ed ignorarli come ha sempre fatto mio padre! Non sono come lui, non voglio esserlo!» stabilì esasperata, liberandosi una volta ancora della presa per serrare i pugni.
Stranito da quelle frasi sconnesse Kidd la fissò con sguardo serio, cercando di capire il perché di tanta risolutezza.
Gli era capitato da quando si erano incontrati di vederle delle volte esercitare pazienza contro voglia, magari trattenendosi dal comportarsi in una determinata maniera perché inappropriata e quando era successo non aveva potuto contenere le risate per quegli sforzi tanto assurdi. Da quei momenti e da molte altre azioni aveva appreso che quella donna aveva tutto fuorché un animo buono, per quanto fosse cresciuta sotto una campana di vetro, a differenza di tutto il resto, aveva però una percezione ben precisa di ciò che si dovesse fare e soprattutto di ciò che invece andasse fatto concretamente. Quelli non erano i capricci di qualcuno che cerca di guadagnarsi il favore della gente di un paese per apparire migliore di quanto fosse in realtà, non era nemmeno la paura di assomigliare a chi le aveva rovinato la vita, quella era volontà e in quella Kidd non trovava nulla per cui ridere o potersi arrabbiare.
“Mia madre non sapeva niente di cosa significhi avere qualcuno che distrugge le cose che ti stanno a cuore…” ricordò di averle sentito dire sul ponte della sua nave dopo essere rimasta una settimana a frignare dentro la stiva e fece scattare la mascella con un basso grugnito, come a schiarirsi la voce.
«Nessuno di noi ti parerà il culo, questo ficcatelo in testa.» gracchiò brusco, spingendo Wire a voltarsi sorpreso dalla decisione di lasciarla fare dopo averla cercata tanto.
«Nessuno vi ha chiesto di farlo.» replicò Aya, ricambiando l’occhiata con un abbozzo di sorriso che gli strappò un ghigno indecifrabile.
Era anche per quel modo di ribattere nelle conversazioni pressando i nervi di Kidd sino al limite oltre cui non era consigliabile avventurarsi per poi farsi indietro che aveva accettato di farla salire a bordo.
Rimasero per un breve secondo a guardarsi tra il caos provocato dallo scontro dei due giganti poco lontano, finché lei non decise che fosse abbastanza e gli diede le spalle, raggiungendo la ragazzina e Diante lungo la strada dissestata.
«Devi avvisare la guardia cittadina e il Re affinché smettano di attaccare per piacere, io proverò a parlare con i compagni di Rolf sperando che gli diano retta.»
«Parlerò con Tito e Re Boro, ma sia chiaro che se uno di loro proverà di nuovo ad attaccare non accetterò nessun’altra tregua.»
«Non accadrà più nulla tranquillo. Ide andiamo, tu vieni con me così non rimarrai sola.»
La fissò in silenzio allontanarsi sino a sparire dalla sua vista e una strana, quanto squallida, sensazione gli attraversò la schiena, mentre si girava anche lui per dare un’ultima occhiata a Rolf e Yory presi dal loro scontro.
Non l’avrebbe vista schiacciata sotto un piede, forse non l’avrebbe più vista e basta e per quanto in quegli anni avesse fatto tanto la signorina educata non si era presa nemmeno la briga di un saluto, neanche la soddisfazione di un rimprovero o una frecciatina. Se n’era andata la dannata, si ritrovò a pensare e gli uscì un’imprecazione.
«Capitano-» tentò Wire.
«Va a cercare Killer, prima o poi qualcuno di questi idioti chiamerà la Marina e non ho voglia di trovarmi davanti una flotta con la nave ancora rotta.» troncò scocciato senza voler sentire altro, allungando il passo per tornarsene da dove era arrivato adesso che non aveva più nessuno da raccattare.
Una serie di colpi di cannone esplose nelle vicinanze scagliando reti di catene nel cielo sporco sopra Myramera e un’enorme figura con cotta di maglia e testa rasata gli comparì davanti dopo qualche centinaio di metri, menando fendenti alla rinfusa con una mazza chiodata. Vide il gigante attaccato da più fronti assestare un colpo a poca distanza da sé e gli altri nel tentativo di schiacciarli come stava tentando di fare con il resto degli abitanti ed impassibile sollevò lo sguardo su di lui, mentre madido di sudore cercava di intimorirlo con un’occhiata.
Tregua o no, affari personali o meno, in quel momento aveva solo voglia di menare le mani per scaricare i nervi e quel bestione aveva fatto abbastanza per non guadagnarsi la sua indifferenza.



Il calcio giunse una volta ancora inaspettato, ma riuscì comunque a procurargli un conato di sangue quando s’infranse contro le sue costole fluttuanti premendo sino ai polmoni affaticati. Scivolò sul fianco opposto ad occhi chiusi tastando d’istinto la parte lesa con i polpastrelli per controllare che non subisse danni gravi, anche se in quelle condizioni ormai sperare di non averne era un’illusione cui non sentiva di poter credere nemmeno Law.
Certo poteva provare ad arginarli, fare del proprio meglio affinché non lo riducessero ad un ammasso di carne ed evitare magari il peggio, la sua mente però era congelata e non solo metaforicamente. Avrebbe potuto resistere ad un po’ di neve in altre circostanze, rinchiudersi nel giaccone scuro e tenere duro, ma quella era una situazione che era sfuggita al suo controllo ormai da troppo tempo e non poteva aspettarsi altro scorgendo tra le palpebre ammaccate quella figura lontana seduta su uno dei muretti ancora intatti del Rainbow Bridge ghignare. Come avesse fatto Donquijote Doflamingo ad intuire i suoi scopi e muoversi per fermarlo prima che potesse attuarli era qualcosa che lo aveva gettato nel panico e persino peggiore era stata la sua reazione nel vederlo scaraventare oltre i piloni quelle altre due figure che lì non avrebbero dovuto trovarsi tanto quanto lui. Non era normale ciò che era accaduto, qualcosa in Law gli suggeriva che non poteva in alcun modo esserlo, eppure quel dubbio non era stato abbastanza per soffocare il dolore e il senso di colpa.
«Quanto tu sia determinato, la stima che fanno di te gli altri, le belle parole, non contano nulla nel momento in cui ci si trova a fare i conti con le proprie peggiori paure. Quando quel momento arriva i casi sono solo due: o sei abbastanza coraggioso da affrontarle, correre il rischio di andare in contro alle sofferenze che comportano o ti tiri indietro e vieni consumato.» spiegò roca da qualche parte lì vicino la voce che continuava a perseguitarlo e Trafalgar aprì gli occhi stanchi, fissando con sguardo appannato la neve cadergli accanto.
Sapeva perfettamente cosa fosse in grado di fare la paura a un uomo, nessuno meglio di lui forse poteva dirlo. Aveva visto e rivedeva ancora nei propri incubi la sua città natale cadere in rovina, la casa in cui era nato inzupparsi del sangue della sua famiglia, l’ospedale consumarsi nelle sue stesse ceneri, vedeva se stesso appena bambino scivolare tra i morti e diventarne parte integrante, sentiva l’oppressione di una malattia ormai sconfitta affliggerlo ad ogni minimo malessere e colpi di pistola esplodere frantumando l’ultimo appiglio di una vita già a pezzi. Trafalgar Law era stato inghiottito dalla paura molti anni prima che quella voce parlasse, ne era stato corroso finchè di lui non era rimasta che un’ombra e quando la speranza era tornata a tendergli la mano, quel mostro seduto sul Rainbow Bridge a ghignare gliel’aveva strappata. Evidentemente però il terrore e la sofferenza non erano stati abbastanza, si era armato di loro crescendo, aveva fatto in modo che diventassero suoi alleati contro altri nemici più umani – anche se solo all’apparenza –.
«Dicevano che eri in grado d’ingannare la morte, di manipolare a tuo piacimento i dolori dei tuoi nemici e sinceramente mi aspettavo di più da te Chirugo, invece te ne stai lì, a terra con gli occhi sbarrati e sembri spaventato.» insistette a deriderlo quella voce, mentre gli si avvicinava con passo pesante.
Non era mai stato capace di beffare la morte, il suo frutto lo aveva fatto e comunque troppo tardi perché Law potesse imparare ad usarlo per salvare ciò di cui davvero gli era sempre e solo importato. Negli anni, inattesi, che erano poi venuti aveva fatto in modo che quegli eventi non si ripetessero e aveva sacrificato il resto della vita che non avrebbe dovuto avere per provare a portare un po’ di giustizia in quel mondo che ne era privo. L’inutilià di tutti quegli sforzi, le privazioni, la sua cieca fedeltà a quel proposito, adesso che si trovava sbattuto tra la neve a patire una sorte non migliore di quella che gli sarebbe dovuta spettare, era però tutto ciò cui riusciva a pensare in quel momento. Si era sinceramente aspettato molto di più da se stesso lui per primo.
«Senchō si alzi!» urlarono i suoi uomini giungendo alle sue orecchie come un mormorio ovattato, mentre Jelles Rokk gli si accovacciava sul torace per una nuova scarica di pugni in pieno viso.
Bloccato nei movimenti del collo dalla sua mano e in quelli del resto del corpo dal peso, avvertì lo zigomo scricchiolare al primo affondo del tekko e la sua mente ebbe l’ennesimo istante di blocco. Quando le sinapsi ripresero il proprio dovere si sommarono dolori al lobo occipitale, alle vertebre cervicali forzate dai continui urti, al setto nasale e persino alla mandibola sull’orlo di una prossima frattura. Sollevò le mani dalla neve serrandole sul polso trasparente del suo avversario e mentre quello cercava di liberarsene si sforzò di contrarre gli addominali percuotendolo allo sterno. Riuscì a svincolarsi dal suo blocco quel tanto che bastava per riempire i polmoni dell’aria fredda di Daiba, intercettando di sfuggita Bepo e Jean Bart lanciarsi sull’uomo-pesce per fargli recuperare almeno un briciolo di energia.
Era arrabbiato con se stesso, per quella improvvisa incapacità e per dover assistere agli sforzi del suo equipaggio pur sapendo che poco avrebbero potuto fare contro quell’assurda coalizione che si era formata. Non sarebbe dovuto essere tutto così difficile, quella gente – se non si teneva in considerazione Doflamingo – aveva risorse molto meno efficaci delle sue, erano nemici gestibili che era riuscito a controllare sino a che il suo corpo non aveva avuto quel tracollo inspiegabile. Nelle sue ricerche per recuperare Bepo, Trafalgar aveva badato bene nel dosare le energie affinché non si presentasse quella situazione, eppure in quel momento si trovava carponi con ogni brandello di se stesso a sperare in una tregua. I muscoli tremavano perdendo tensione dopo appena qualche secondo, faticava a respirare, conati gli risalivano sino in gola, la sua mente aveva smesso di funzionare come consueto barcollando nella confusione sempre più spesso e a giudicare dal ritmo cardiaco rischiava persino un blocco per la tachicardia.
Con le iridi piantate nel candore della neve, si tastò il petto avviando in quella breve tregua un check-up autonomo per tentare con quel barlume di senno di porre un freno alla degenerazione cui stava andando in contro irreparabilmente, ma l’udito gli fece sollevare il viso di scatto nel sentire un sibilo sin troppo familiare.
«Fufufu.» sghignazzò Doflamingo, senza scomodarsi nemmeno dalla propria seduta.
Lo fissava in silenzio da dietro le sue eccentriche lenti, pensando forse a quanto patetico fosse in quel momento e Trafalgar non riuscì a sopportare quella vista nemmeno per qualche secondo scattando in piedi con una tale convinzione da dimenticare i dolori. Il fatto che li avesse ignorati per orgoglio non implicava però che non esistessero e una scossa alla testa lo colse non appena si fu rimesso ritto, talmente forte da non fargli avvertire la presenza di Rokk nuovamente alle sue spalle. Il braccio dell’uomo-pesce scivolò sotto il suo collo repentino, qualcosa esplose nelle vicinanze facendo tremare il ponte innevato e Law perse la presa sulla kikoku.
«Potrei spezzarti le ossa, lo sai? Ma non lo farò, non ancora. Voglio che tu ti penta di averci sfidati e quando avrai perso tutto ti ridurrò ad un cumulo di cibo per pesci.» lo minacciò, soffiandogli con l’alito che puzzava di tabacco nell’orecchio, ma la flebile attenzione di Trafalgar decise di propria iniziativa di spostarsi altrove.
Chiuse gli occhi, tornò a riaprirli appannati con il respiro mozzo e osservò due uomini della Marina agitarsi sul bilico di uno dei parapetti già distrutti del Rainbow Bridge chiedendosi per un secondo quando fossero arrivati.
«Non voglio tornarci, lasciatemi… non voglio tornare in quella città!» stabilì in un ringhio qualcuno nel vuoto ed entrambi caddero inghiottiti dalla neve, mentre Aya risaliva sul ponte superandoli per allontanarsi.
«È chiusa…» mormorò con voce rotta Law nel vederla e Jelles Rokk alle sue spalle cacciò fuori una smorfia.
«Che cazzo hai detto bastardo?!» domandò rabbioso, evidentemente innervosito dalla sua poca presenza.
«… la ferita… è chiusa A-ya.» insistette a dire, quando lei ebbe superato Doflamingo sparendo senza degnarli di uno sguardo e un ghigno gli salì alle labbra tumefatte.
Come aveva fatto a non capirlo? Come aveva potuto lui farsi ingannare sino a quel punto?
Abbassò le braccia, tenute sino a quel momento aggrappate a quelle dell’uomo-pesce nel tentativo di liberarsi, rilassandosi in quel contatto tanto spiacevole e trasse un profondo respiro raccimolando le forze.
«Gamma knife.» biascicò improvviso ad occhi chiusi, allungando in un gesto repentino la mano dietro di sé.
Ancora stranito dalle frasi che aveva sentito uscirgli di bocca, Rokk si accorse in ritardo dell’attacco scansandosi dalla sua figura con un balzo che si rivelò del tutto inutile quando l’accumulo di raggi gli affondò nel fianco trasparente. Dalla gola annerita dal tabacco sgorgò un verso soffocato e Law lo fissò un po’ meno allucinato di poco prima, mentre strabuzzava lo sguardo e si cortoceva su se stesso, crollando in ginocchio con le mani tremanti nel vano tentativo di capire perché stesse provando quell’insostenibile dolore pur non avendo un graffio lì dove era stato colpito. In piedi di fronte a lui, Trafalgar diede definitivamente le spalle alla peggiore delle sue allucinazioni benché quella si fosse mossa e tornò ad avviare il proprio check-up individuando, adesso che aveva compreso tutto, il vero problema alla base degli scompensi improvvisi.
«È bizzarro che qualcuno come te dica qualcosa di sensato e sarebbe crudele non darti almeno questo merito. Avevi ragione, la vita è piena di situazioni che ti mettono con le spalle al muro, nella maggior parte dei casi però siamo noi a decidere di rimanerci bloccati o di buttarlo giù. Irukanji… se non fossi stato così ottuso, ci saresti riuscito, ma era una dote sprecata su di te.» soppesò distaccato scrutandolo con fredda indifferenza, mentre si accasciava ormai esanime sul terreno che via via si liberava dalla neve.
Che Jelles Rokk avesse avuto un parente di tipo squalo nella sua genealogia da uomo-pesce era piuttosto evidente dalla costituzione, meno lo era che avesse ereditato qualcosa da una medusa di quel genere anche se la trasparenza occasionale avrebbe potuto farlo sospettare. Trafalgar ricordava di aver letto di loro e del loro veleno su un libro da bambino, ma non avrebbe mai pensato che esistessero uomini-pesce di una tale tipologia né tantomeno d’imbattersi in uno di loro intenzionato ad avvelenarlo. Si era reso conto dei sintomi solo vedendo quella testolina rossa comparirgli di nuovo davanti sul ponte, con la schiena intatta quando poche decine di minuti prima le aveva sentito chiedere aiuto affinché le ricucisse la ferita. Avrebbe certo potuto arrivarci prendendo atto del resto delle allucinazioni, ma il veleno era già in circolo e la sua mente era meno attendibile del consueto se non a tratti.
Ancora intento nel porre rimedio ai danni causati al suo organismo, intercettò con la vista di molto migliorata il Maggiore mancato Bados sollevare di getto la propria arma e aprì una room, scambiandosi di posto quel tanto che bastava per recuperare la propria kikoku. Un paio di proiettili lo raggiunsero a pochi centimetri dal viso, prima che potesse invertirne la direzione scagliandoglieli contro e obbligandolo a scivolare tra le macerie in un’ultima rimostranza per cui Law tornò a provare un briciolo di piacere seppur soffocato dalla stanchezza. Quando finalmente, con non poche difficoltà e qualche graffio spiacevole sulla pelle, riuscì a togliergli di mano la pistola d’argento e poggiargli la kikoku sul petto, lo sentì sospirare avvilito con sguardo alto e piegò il capo.
«Volevo fare il marines, non il pirata, ma non ho mai avuto una volontà di ferro, non con mia moglie poi.» ciarlò rammaricato e Law si domandò perché stesse raccontando quella storia a lui cui non importava affatto.
«Vuoi davvero prenderti quest’isola per farne un tuo territorio?» continuò cambiando totalmente discorso.
«Non sono ancora così disperato da cercare un posto in cui consumarmi.» negò sarcastico, fissandolo con un abozzo di ghigno malconcio.
Lo vide sorridere sinceramente per quella risposta ed annuire a capo chino.
«A volte capita di credere a cose che si sanno impossibili, è un vizio degli uomini…» borbottò quasi a volersi giustificare per qualcos’altro oltre all’aver abboccato a quella scemenza e Trafalgar allargò appena lo sguardo plumbeo, incuriosito dall’ammissione di colpa e dalla resa dell’unico su quel ponte per cui avesse provato interesse.
Per un po’ titubante rimase a guardarlo cercando di decifrare la natura di quelle parole senza dover chiedere, ma non riuscì a scorgere nulla che potesse aiutarlo in quell’impresa. Le voci dei suoi uomini si accalcarono di colpo vittoriose, mentre l’ultimo dei loro avversari retrocedeva in preda al panico sul Rainbow Bridge ormai distrutto dagli scontri, ma Trafalgar non ebbe il tempo di vederlo ancora in volto né di domandarsi quale fine concedere al triste Maggiore mancato. Il ponte esplose un’ultima volta sotto i suoi piedi, sgretolandosi come creta nel vuoto che lo separava dal terreno e trascinandolo giù senza più la forza di sostituirsi anche soltanto ad un granello di polvere.


















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Note dell’autrice:
Quando ho deciso di inserire in questa storia un po’ di folclore giapponese ho seriamente temuto che alla fine avrei finito per non avere abbastanza elementi o comunque per averne da non poter utilizzare. Adesso, che posso anche dire d’essere sulla via giusta per terminare la mia prima long, sono lieta di non trovarmi in quella spiacevole situazione e mi auguro, confidando in quegli adorabili zuccherini che ancora leggono, che lo stesso entusiasmo o quasi lo abbiate anche voi!

- Kekkai: Ho già scritto di questa barriera in un’altra nota dei capitoli precedenti, non ripeto quindi di cosa si tratti, ma ho voluto inserirla nuovamente per farvi notare – soprattutto in funzione di ciò che Tito dirà di Diante in una battuta seguente – che corrisponde quasi esattamente al “Tekkai” una delle tecniche Rokushiki utilizzate dagli agenti del Governo e della Marina.
- Aokigahara: Letteralmente significa “Mare di alberi” e oltre ad essere una delle tecniche del frutto Ango Ango mangiato da Diante è anche il nome di una foresta realmente esistente in Giappone, meglio nota come Jukai. Si trova ai piedi del monte Fuji e per il silenzio e la quiete che la contraddistinguono gli abitanti delle zone limitrofe credono sia popolata di spiriti più o meno benevoli.
- Irukanji: Si tratta di una specie di medusa dalle dimensioni microscopiche che è diffusa nell’emisfero australe, ma che in passato fu documentato migrare in estate verso le coste meridionali del Giappone e del Vietnam. Le sue dimensioni ridotte ne hanno fatto una delle più pericolose al mondo proprio perché difficile da individuare, il suo morso urticante inoltre, che a differenza della maggior parte delle altre meduse è urticante anche nell’esaombrella, attiva una sindrome definita appunto “Irukanji” che può essere letale nell’arco di poche ore e che non è preceduta da alcun sintomo evidente. Ciò che prova Law nel POV, ossia nausea, emicrania, forti allucinazioni, crampi e debolezza, sono gli effetti da avvelenamento causati da questa medusa che è come lui stesso spiega una delle componenti genetiche di Rokk.
- Bados: Trafalgar sentendo la sua ultima frase afferma di avere l’impressione che si stia riferendo a qualcosa che non riguarda la situazione in cui si trova. Se avete letto con attenzione i capitoli precedenti avrete intuito che si tratta del suo rapporto con la moglie – che ha una poco morale relazione con Drummond – e dell’incerta paternità dei figli, se non l’avete fatto… beh, adesso ve l’ho chiarito mi auguro.




  
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