Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: Danya    27/04/2016    8 recensioni
Taruto arrossì per lo slancio e borbottò qualcosa. Purin lo sentì trafficare con le tasche e ne uscì una caramella avvolta in una carta colorata ma consunta dal tempo. Prese l’oggettino tra le dita: la caramella era diventata durissima, col tempo.
-Ho finito le caramelle.
OS partecipante al contest http://www.freeforumzone.com/d/11255124/All-the-songs-make-sense-Tokyo-Mew-Mew-contest/discussione.aspx
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Purin Fon/Paddy, Sorpresa, Taruto Ikisatashi/Tart
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questo contest mi ha uccisa.
Prima con la scelta della citazione, poi per il contenuto.
Non so se siete stupiti (ma chi ti filaaa ndtutti!) <_<…. Dicevo, non so se siete stupiti dal fatto che non è una Paitasu. Quelli li faccio soffrire già abbastanza altrove e… mi andava di scrivere di Taruto e Purin.
L’unica OTP ad accordare tutto il fandom, credo! =) E io, giustamente, la rovino xD
Beh, io onestamente non riesco più a correggerla e a sistemarla perché… perché sono stata stronza T^T Me lo dico da sola XD
Ma è stato anche divertente e anche se non credo sia una delle mie OS più riuscite, sono contenta di aver partecipato ^^

 
 
  “All I ask is, if this is my last night with you,
hold me like I’m more than just a friend, give me a memory I can use.”
 (Adele – All I ask) 

 
I suoi dodici anni Purin li avrebbe ricordati per sempre, perché era diventata una Tokyo Mew Mew, una paladina della Terra.
La biondina strinse una carta di caramella, guardando tristemente il pacco vuoto: erano passate poche ore dalla battaglia finale contro Deep Blu e Taruto e i suoi due compari erano andati via e lei era subito corsa a casa a controllare che i suoi fratellini stessero bene. Aveva sistemato casa, mezza devastata dalle varie esplosioni causate da Deep Blu, ma fortunatamente abitava lontana da quel tempio e quindi era stato danneggiato solo una parte del dojo. Mise giù il pacchetto di caramelle. Le aveva trovate in tasca e… le era sembrata una buona idea darle a Taruto.
“Chissà se loro hanno le caramelle…?” si era sempre domandata come una sciocca. Se l’avessero sentita le ragazze, l’avrebbero rimproverata: non era una buona idea fraternizzare con un alieno. Forse solo Retasu l’avrebbe appoggiata ma neanche l’amica dai capelli verdi era un buon sostegno per quella sua piccola battaglia.
Respirò a pieni poloni, dandosi due pizzicotti sulle guance: “Tornerà. L’ha promesso!”.
 
2 anni dopo.
 
Purin guardò con gli occhi sbarrati quella figura longilinea, i capelli castani e ribelli, lo sguardo color oro…
-Taru-Taru… - si era portata le mani alle labbra e lui aveva sorriso.
- Ehilà scimmia!
Le gambe si erano mosse da sole, avvolgendogli il collo robusto e si strinse al corpo del ragazzo alieno.
-Sei tornato!
Taruto arrossì per lo slancio e borbottò qualcosa. Purin lo sentì trafficare con le tasche e ne uscì una caramella avvolta in una carta colorata ma consunta dal tempo. Prese l’oggettino tra le dita: la caramella era diventata durissima, col tempo.
-Ho finito le caramelle.
Purin alzò lo sguardo su Taruto: aveva messo su una strana espressione, quasi un broncio e teneva lo sguardo da tutt’altra parte. Le guance erano rosee e si schiariva la gola con nervosismo in continuazione.
Purin avrebbe voluto fare molte cose: avrebbe voluto fargli tante domande, chiedergli se fosse solo, cosa ci facesse sulla Terra… ma lo prese per mano e disse solo: - Vieni, in casa ne ho alcune che sono la fine del mondo!
Taruto rimase fermo, tirandola appena a sé: la guardò con gli occhi leggermente velati di tristezza e la gola di Purin si serrò.
-Io… non starò molto. Qualche giorno. Ho dei permessi speciali, ma… - si interruppe quando Purin gli sfiorò la bocca con la propria.
- Sono felice di vederti, Taru-Taru.
 
10 anno dopo.
 
Rivederlo ogni anno le faceva bene al cuore e al contempo le diede una gastrite assurda: come le tante altre volte sarebbe rimasto per poco sulla Terra, a causa delle sue missioni e del suo lavoro. Più o meno l’andava a trovare una volta all’anno ma non bastava mai. Come avrebbe potuto?
Si artigliò alla sua maglia, stringendolo forte: mancavano poche ore.
-Non andare…-  pigolò –Io… io…- era stato un sentimento nato col tempo. Poco alla volta. Non le era neanche sembrato troppo strano, anzi, era stata la cosa più naturale del mondo.
Taruto la strinse nel suo abbraccio, arrossendo. Deglutì.
Le parole morivano in gola, avrebbe voluto dire tanto e niente, eppure non… non riusciva.
I suoi fratelli glielo avevano detto: era meglio non dare speranze, né a se stesso, né a lei, ma lui tornava sulla Terra apposta, ogni santissima volta, per vederla. Era come una calamita, come un Pianeta attratto dalla gravità del sole: impossibile resistere.
La scostò appena da sé e Purin chiuse gli occhi.
Taruto le poggiò un bacio sulle labbra, avvertendo subito l’aria incendiarsi nei polmoni.
Doveva dirglielo… doveva essere sincero.
-Io… non so quando tornerò più. Le cose si stanno facendo difficile, su Gea. Molti pianeti ci hanno dichiarato guerra e noi stiamo cercando nuove rotte commerciali… probabilmente non passerò da qui per molto tempo.
Purin annuì, triste.
Si strinse nel caldo e confortevole abbraccio di Taruto: -Almeno questa notte resta qui. – mormorò e Taruto dovette faticare parecchio per capire se avesse udito o meno quelle parole.
Non avevano mai passato quel sottile limite. Solo piccoli baci rubati, qualche carezza, ma Taruto si era sempre imposto un certo self-control perché una vocina nella sua testa gli diceva che non sarebbe stato giusto toccare la felicità con mano e poi sprofondare di nuovo.
Avrebbe dovuto dirle quanto le fosse affezionato, quanto fosse felice di averla vicina, quanto amasse quel suo carattere allegro e solare e quanto adorasse sentirsi chiamare con quello stupido nomignolo.
Quella sera si strinsero l’una fra le braccia dell’altro: Purin tremava appena ma lo guardava con i grandi occhi nocciola sempre coraggiosi e attenti e sorrideva, sospirando il suo nome.
Nessuno lo avrebbe mai chiamato con tanta dolcezza e irriverenza nello stesso tempo.
Il mattino dopo partì, abbracciandola.
-Tornerò. – le promise, abbracciandola per la decina volta nell’arco di pochi minuti.
-Lo so! - trillò lei, sorridendo –Mantieni sempre le promesse.
Lui la guardò e aprì la bocca per parlare e Purin, vedendolo tanto rosso, gli sfiorò la guancia: - Non sei obbligato a dire niente, Taru-Taru.
Lui annuì, rosso e a disagio, stringendola a sé.
 
Fu l’ultima volta che si videro.
 
5 anni dopo.
 
Purin esalò per l’ultima volta. Il suo volto si distese in un attimo e avvertì una mano stringere la sua, con tenerezza e tepore.
-Ma io… non posso venire, mamma. – mormorò con gli occhi semichiusi.
La madre le sorrideva gentile, porgendole una mano che Purin strinse comunque.
-Mamma, sai che Himawari è stupenda? Vorrei almeno salutarla…
Chi la vide in quel momento avrebbe detto stesse vaneggiando in cinese.
- Himawari… fai la brava, va bene?
-Sì. – singhiozzò una figurella accanto a sé.  
-Un giorno. Un giorno, forse. Himawari. Abbraccialo e bacialo da parte mia. – mormorò ancora.
Il volto di Purin si distese in un sorriso adorabile, arricciato e Retasu, Ichigo, le ragazze e i fratelli odiarono il rumore dei macchinari che emisero quel fischio fastidioso che ferì le orecchie loro, le anime.
Era tutto sbagliato.
 
5 anni dopo.
 
La Terra era diventata un pianeta caldissimo. Non lo tollerava.
Si asciugò il sudore sulla fronte e sospirò: almeno avrebbe rivisto la sua Purin. Sorrise, grattandosi il leggero velo di barba che gli era cresciuta sul volto.
Era sicuramente diventata bellissima, magari più forte, anche.
Taruto apparve dentro il dojo di Purin e subito sentì un calcio arrivargli alle ginocchia, con forza. Si piegò, trattenendo una parolaccia per il dolore e guardò dietro di sé: una bambina dai corti capelli color paglia lo guardò con sfida.
-Sensei! Un ladro! Un ladro! - urlò la bambina.
Taruto aggrottò la fronte: che diamine…?
In quel momento una porta scorrevole si aprì e comparve un umano che Taruto non vedeva da più di vent’anni: Yuebin, il fidanzato cinese di Purin di quando era bambina.
L’uomo aveva capelli striati di grigio, una folta barba e appena posò lo sguardo su Taruto sgranò gli occhi.
-Himawari. Non è un ladro. Va a finire i tuoi compiti, poi devi pulire il dojo.
La bambina guardò storto Taruto, occhi castani grandi decorati con pagliuzze dorate, ma fece un inchino al suo maestro e scomparve ubbidiente.
Taruto avvertì una stretta allo stomaco. Se Yuebin era lì, forse Purin…lo aveva sposato?
Si mise in piedi, notando con piacere che superava di una spanna l’uomo: - Purin?
L’umano sorrise tristemente: - Me lo aveva detto che saresti tornato.
 
Taruto non sentì niente. Yuebin aveva parlato per parecchi minuti davanti a una piccola lapide.
Erano andati dietro il dojo, in un piccolo giardino e sotto un albero di ciliegio non ancora fiorito, c’era un altarino commemorativo.
L’umano parlava ma Taruto sentiva il sangue pulsare nelle orecchie, emettendo un fischio fastidioso.
-Un incidente. Una macchia l’ha presa in pieno… Himawari era ancora piccola. È successo cinque anni fa.
Taruto accarezzò la foto di Purin: era coi capelli a caschetto, biondi e gli occhi grandi e sorridenti:
 - Mi spiace. – mormorò Yuebin, sincero.
Taruto strinse gli i pugni con rabbia.
-La bambina… è…? - mormorò. Almeno era contento di sapere che Purin si fosse fatta una vita, che per un po’ era stata felice.
In tutta risposta, Yuebin scosse il capo: - No. E’ come te. Sa volare e sa far crescere delle piante. – indicò una piccola rosa gialla –L’ha fatta lei.
L’uomo che Taruto era diventato impiegò molto tempo a capire quelle parole.
Quella bambina…?
-Sei sicuro? – mormorò scioccamente.
Yuebin si concesse un sorriso debole e spento: - Purin ha sempre detto che saresti tornato. Lo ha ripetuto tante volte. La bambina… lo sa. Sa chi sei ma non credo ti abbia riconosciuto.
 
Taruto urlò. Si era allontanato da quella piccola lapide che gli aveva strappato almeno dieci anni di vita.
Troppe emozioni in una volta che non era capace di gestire: rabbia, frustrazione, senso di colpa. Odiava Purin per essere andata via e odiava se stesso per non esserci stato. Aveva avuto la possibilità di andarsene dalla sua terra per stare con lei, ma aveva preso un’altra decisione che aveva fatto male a lui e a lei.  Non le aveva mai detto… quanto le volesse bene… quanto…
Erano sempre stati troppo giovani e ingenui per quel sentimento. In cuor suo sperava di poterla andare a trovare, magari questa volta l’avrebbe portata con sé…
“Idiota. Sono un idiota.”.
Purin non c’era e lui non le avrebbe mai detto “Ti amo.”.
E quella bambina.
Hima… come diamine si chiamava…
Si era rifugiato sul tetto del dojo, una mano tra i capelli e il volto cereo.
Vide la bambina sgambettare fuori dal dojo sotto di lui e mettersi qualcosa sulle spalle e correre fuori sulla strada. La seguì con lo sguardo fino a che non la perse di vista.
 
Himawari aveva sempre desiderato imparare le tecniche segrete come sua madre. Ormai aveva l’età giusta, eppure sensei Yuebin non la riteneva ancora pronta.
Lei però avrebbe stupito il suo sensei, i suoi zii e suo nonno!
Per l’ennesima volta cadde dal pallone grande a strisce bianche e rosse e imprecò tra i denti.
Era andata su una collinetta a poche fermate di bus da casa per allenarsi in tutta tranquillità.
Stare in equilibrio sul pallone, però, era complesso. Ricordava sua madre che le dava dimostrazioni mentre riusciva a gestire non solo l’equilibrio su di esso, ma anche i piatti cinesi che vorticavano sulla sua testa, con l’agilità che l’aveva contraddistinta sempre.
Quando Himawari pensava alla mamma, non era mai triste. Sentiva solo uno strano nodo alla gola che scompariva subito appena ricordava il volto sorridente e la risata sciocca della mamma che la vezzeggiava e si complimentava con lei per ogni passetto fatto.
La mamma adorava i fiori. Quando Himawari era piccola e la mamma non era ancora morta, le chiedeva di far sbocciare questo o quel fiore e lei era contenta di farlo. Andava quasi ogni giorno alla tomba a far sbocciare un fiore nuovo e profumato ma quel giorno non era ancora andata a causa del tizio apparso nel corridoio di casa.
Quando lo aveva visto, Himawari aveva avvertito una strana sensazione ma era passata subito dopo il richiamo del maestro che l’aveva scacciata. Li aveva seguiti, però da lontano e aveva visto l’uomo diventare di sale davanti alla tomba della madre e accarezzare con le dita la fotografia. Si era sentita gelosissima.
“Quel tipo…”
 
Taruto stava cercando da ore. Yuebin gli aveva dato qualche suggerimento e dopo aver camminato (volare avrebbe rischiato di attirare l’attenzione), trovò la bambina.
Era nel piccolo spiazzo e aveva gonfiato una palla enorme, rossa e bianca. Saliva su di essa e provava a stare su per qualche secondo in più, contando tra i denti serrati e finendo sistematicamente a terra.
-Ahia!
Himawari si accarezzò il fondoschiena, dolorante e tirò su col naso.
-Sei proprio una mocciosa.
La voce dura di Taruto fece trasalire la bambina, che si girò verso di lui, squadrandolo male.
Aveva due occhietti visti e ostili.
-Che cosa stai cercando di fare, esattamente? - ripeté acidamente.
Lei si mise in piedi con un colpo di reni: - Io dominerò la tecnica della mia famiglia! - disse con calore Himawari –Stai disturbando il mio allenamento. Vattene enjin (*).
Sulla fronte di Taruto guizzò una vena: - Gaki (**).
La bimba divenne rossissima in viso: - Non sono una mocciosa!
-Oh sì, invece. – Taruto le poggiò una mano tra i capelli biondi, frizionandoli forte.
La bimba si lamentò e dimenò sotto la mano grande e calda e provò a dargli un calcio. Taruto parò il colpo, afferrando la caviglia della bimba, tenendola in quella posizione scomoda e la mollò a terra.
-Non sai neanche dare un calcio. Altro che stare in equilibrio sul pallone. Stupida scimmietta.
La bambina lo guardò ferita nell’orgoglio: - Ma che ne sai tu!
Taruto la fissò indecifrabile per parecchi attimi, tanto che la bambina si sentì in soggezione.
-Tu…- Himawari riprese a parlare –Tu sei… Taruto?
Lui annuì, dopo un attimo di esitazione e sentendo il cuore mancare un colpo nel petto.
-La mamma me lo aveva detto che saresti venuto. – Himawari si mise diritta, osservandolo sempre con un misto di soggezione e spregio che a Taruto parve familiare.
“Lo stesso modo che avevo io di fare…”
-Cosa altro ti ha detto tua madre?
-Che ti voleva molto bene. – mormorò Himawari. La bimba abbassò lo sguardo: improvvisamente le venne da piangere –Che…che eri un grande amico. E che sapevi…. Fare quello che faccio io.
La piccina levitò appena da terra, come a dimostrare le sue parole.
-Sì, le so fare.
Himawari tirò su col naso.
 
-Himawari sai, Taru-Taru sa fare tante cose.
 
-Un giorno sono sicura te le insegnerà.
 
-Un girasole! Anche lui lo sapeva fare!
 
-Ti voglio bene, Himawari. E sono sicura che anche lui te ne vorrebbe!
 
-… perché non sei più tornato?
Taruto irrigidì la schiena: - Dove… vivo io ci sono stati dei problemi. Viaggiare costa molto.
-… la mamma… - Himawari alzò il capo, mostrando il viso rosso e bagnato di lacrime -…la mamma… ha detto… mi ha detto che… che ti manda un bacio e un saluto. Mi ha detto di farlo io stessa quando ti avrei rivisto, ma… ma io…- tirò su col naso -… io ti odio.
Taruto non rispose. Le poggiò una mano sulla testa, accarezzandole i ciuffi scompigliati e la bimba si appoggiò alla sua vita, singhiozzando forte.
-La mamma ti saluta e ti manda un bacio. – disse, alzando la voce e stringendo le braccia intorno alla vita di Taruto.
Avevano parlato parecchio. Taruto non le chiese di essere chiamato papà né lei lo fece mai.
Taruto parlò della sua gente, Himawari della scuola.
Parlarono tanto di Purin.
-Andrai via, vero? - domandò d’un tratto la bimba.
Lui annuì solamente e lei divenne cupa: - Tornerai?
Taruto annuì.
-Bene. Quando tornerai saprò stare sul pallone… e far crescere un albero intero! - disse, aprendo le braccia.  –Taru-Taru!
Lui la fissò per parecchi secondi.
Quella bambina era un miscuglio perfetto.
C’era tanto di Purin e tanto di lui.
C’era tanto che non avrebbe scoperto, tanto che aveva visto.
-Himawari. – la chiamò con un tono un po’ duro.
-Sì?
Sorrise lievemente e lo stomaco si serrò dolorosamente : -Sei proprio una scimmietta.
 
Qualche giorno dopo…
 
Himawari si portò un ciuffo dietro le orecchie: -L’amico tuo è partito, mamma. – disse rivolta alla foto di Purin che sorrideva –E’ proprio come me lo avevi descritto. Forse un po’ più strano. - accarezzò la lapide.
-Ora vado. – disse dopo un po’ di silenzio –Oppure il sensei mi punirà ancora. A domani, mamma.
 
La bimba non si era accorta di essere osservata. Taruto uscì dall’ombra e si sedette davanti alla tomba.
-Ciao.
Poggiò una mano sulla terra e spuntò un piccolo girasole: - Hai scelto proprio un nome buffo, per quella peste. – accarezzò i petali del fiore (***)
-Mi spiace non… avertelo mai detto. Farlo ora sarebbe stupido. – sentì che l’aria si era fatta pesante e caldissima tanto da bruciargli la gola e il naso.
-Ti…ho sempre voluto bene. Poi ti ho amato. –accarezzò ancora il fiore –Tornerò.
E si materializzò via.
 
Note:
(*) ok, secondo il traduttore sarebbe “vecchiaccio”. Mi sembrava carino che la figlia avesse la pessima abitudine di Taruto xD
(**) mocciosetta xD
(***) Himawari vuol dire… girasole *sdeng* Che originalità ^^”
 
 
Lo so che è un clichè.
Lui sta via e lei è rimasta incinta. Brava Danya per l’originalità XD
Però ammetto che per loro non vedo mai il finale triste. Non del tutto, almeno…e la storia si è formata da sé =3
Bene,  buona fortuna a tutti i partecipanti… io preparo i fazzoletti per le altre storie del contest ç_ç
Un bacio,
Danya
   
 
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