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Autore: SuzuyaChan    28/04/2016    4 recensioni
Dopo aver orchestrato un incidente ferroviario ai danni di Shizuo, Izaya va a trovarlo in ospedale e scopre che il suo arci nemico non si ricorda di lui. Decide quindi di tormentarlo proprio ora che si trova all’apice della sua vulnerabilità, ma per qualche strano motivo… non ci riesce.
«Presumo» continuò Shizuo, attirando l’attenzione di Izaya con il suo tono esitante «che noi due fossimo amici.»
[Traduzione della fanfiction di SuzuyaChan]
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Izaya Orihara, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: Lime, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia


 
Note dell’autrice: Il titolo “Aletheia” viene dal greco antico e significa “verità” o “rivelazione”, ma letteralmente si traduce come “non-dimenticanza” o “qualcosa di non-nascosto”; dato che la storia parla di una perdita di memoria, dove la “verità” deve essere raggiunta tramite la rievocazione di ricordi, mi sembrava un titolo adeguato. 
Note della traduttrice: Questa storia in inglese è già completa, quindi il postaggio sarà abbastanza regolare - una volta alla settimana o giù di lì. Ho deciso di tradurla perché l'ho trovata veramente molto, molto carina, e l'autrice è stata davvero gentile a darmi il permesso *-* In tutto sono dieci capitoli, ma sono già a metà della traduzione per non rischiare spiacevoli ritardi (stiamo per entrare nella sessione estiva, sigh). Che altro dire, vi consiglio veramente di seguirla perché diventa sempre più bella di capitolo in capitolo! Buona lettura <3


Prologo

Era un giorno come tanti a Ikebukuro: faceva caldissimo, le strade erano affollate, e un distributore automatico si era appena schiantato contro la fiancata di un edificio.

«Mi stai almeno mirando, Shizu-chan?» rise Izaya, balzando abilmente verso un condominio lì vicino da un’altezza di quasi tre metri. L’ex-barista quasi ringhiò mentre l’altro ragazzo gli faceva l’occhiolino e se la svignava, saltando senza sforzo di finestra in finestra e da un edificio all’altro. Ma Shizuo non aveva la minima intenzione di lasciarselo scappare, quella volta: avrebbe catturato la dannata pulce e gli avrebbe spiegato molto chiaramente quanto non era più il benvenuto in quel quartire.

Sentire il vento sul viso gli provocava una gradevole sensazione mentre inseguiva Izaya; quest’ultimo era abbastanza lontano perché il suo caratteristico odore e la risata da maniaco fossero più tollerabili del solito, e il biondo stava perfino cominciando a godersi l’adrenalina che pompava attraverso il suo corpo, spingendosi all’apice del suo potenziale. Poi però riuscì a raggiungere la pulce; c’era meno gente, adesso, cosa per cui Shizuo si sentiva vagamente grato, dato che urtare altre persone mentre le sorpassava lo aveva rallentato un po’, e la parte più assennata del suo cervello si sentiva in colpa per i pedoni leggermente disorientati che si era lasciato dietro per i marciapiedi della città.

Shizuo vide Izaya calarsi da un paio di piani d’altezza e atterrare perfettamente sull’asfalto davanti a lui. “Fottuto esibizionista”, pensò, sfruttando la pausa nei movimenti dell’altro ragazzo per riprendere fiato e compiere l’ultimo sforzo; era così vicino che le mani già gli si stringevano istintivamente a pugno, in attesa dello scontro che stava per ingaggiare.

Izaya si ricompose e lanciò un’occhiata al mostro biondo che sfrecciava verso di lui e un’altra al suo orologio, prima di scappare via di nuovo. Non rimase a lungo con i piedi per terra, ma subito si arrampicò su un alto muro di mattoni che separava la città dalla linea ferroviaria, e scavalcò senza problemi il filo spinato che ne ricopriva la sommità. Shizuo digrignò i denti mentre Izaya scompariva dalla sua vista, avvertendo l’odio per la pulce aumentare a dismisura. Oltrepassò il muro senza prestare troppa attenzione e si accorse distrattamente che i suoi vestiti si erano impigliati sul filo spinato, ma perfino questo non riuscì a turbarlo in quel momento, perché era successo qualcosa di molto peggiore: aveva perso Izaya.

I suoi occhi ambrati scandagliarono lo spazio circostante alla ricerca di qualsiasi traccia della pulce, analizzando ogni centimetro, finché-

«Stai cercando qualcuno, Shizu-chan?»

L’ex-barista perse il controllo. Si scaraventò alla cieca verso quella voce fin troppo familiare, contenendo la sua furia quel poco che gli bastava per muoversi.

Izaya sapeva esattamente quanto doveva mandare in bestia Shizuo per fargli perdere cognizione di tutto ciò che lo circondava; avrebbe anche ammesso di essere un po’ lusingato dall’incredibile concentrazione con cui il biondo lo braccava, una concentrazione così assoluta da impedirgli perfino di accorgersi che il treno si stava avvicinando.

O almeno, non se ne accorse finché non si schiantò dritto contro di lui.

 

Capitolo 1

Shizuo si svegliò al rumore provocato da qualcuno che tentava (fallendo miseramente) di rimanere in silenzio. Sentì la testa pesante mentre provava ad alzarla, e sbatté le ciglia più volte sforzandosi di aprire gli occhi: i contorni sfocati di un gruppetto di persone si fecero mano a mano sempre più delineati, finché non si ritrovò faccia a faccia con una piccola stanza stipata di estranei. Guardò ognuno di loro, completamente sbigottito. L’ambiente era luminoso, con un paio di sedie e di tavoli disposti ad angolo attorno al letto in cui si trovava. Si mise a sedere, con la testa che gli pulsava sgradevolmente, ed estrasse i tubicini collegati a svariate parti del suo corpo; dunque era in ospedale. La stanza piombò subito nel silenzio e Shizuo percepì quegli occhi sconosciuti che puntavano dritti su di lui.

«Che c’è?» domandò, consapevole che il suo tono fosse più aggressivo del necessario, ma senza abbastanza energie per preoccuparsene troppo.

«Volevamo solo vedere come stavi…» disse un uomo in camice bianco, e fece un paio di passi avanti, prima di decidere che preferiva mantenere le distanze e tornare indietro. Shizuo lo studiò per un momento mentre il tizio, a metà tra il nervoso e l’eccitato, si sistemava gli occhiali sul naso.

Si accigliò. «Sei un dottore?»

Non riusciva a capire perché altrimenti quel tipo avrebbe dovuto indossare un camice da laboratorio, ma qualcosa nel suo modo di comportarsi era stranamente sbagliato per un dottore. Questa volta il silenzio fu assoluto e sentì la stanza riempirsi solo di mormorii imbarazzati. Quell’atteggiamento cominciava a farlo incazzare.

«Allora?» incalzò.

L’uomo lanciò un’occhiata disperata alla persona alla sua destra, una donna che indossava una tuta da motociclista nera e aderente e che aveva ancora il casco in testa. Lei alzò le spalle prima di tirare fuori un palmare, digitare qualcosa e poi mostrarglielo.

Shizuo ansimò leggermente: cosa si stavano dicendo che non volevano fargli sapere, a tal punto da scriverlo su un palmare pur di nasconderglielo?

L’uomo con il camice bianco annuì e si voltò di nuovo verso di lui.

«Sono un dottore, anche se non di questo ospedale» cominciò, per poi interrompersi come se non fosse sicuro di come andare avanti. La donna con il casco gli strinse il braccio in un gesto rassicurante e lui continuò «Shi… Heiwajima-san, ti ricordi cosa è successo prima che ti risvegliassi qui?» Shizuo provò a pensarci, ma la testa gli faceva ancora male e i ricordi non riaffioravano con facilità, così scosse il capo «Capisco. Ora potresti dirmi se riconosci qualcuno in questa stanza?»

Shizuo sapeva già che non c’era nessuno che conoscesse, ma comunque guardò tutti più attentamente e rimase colpito da quel miscuglio di persone che gli sembrava fin troppo variegato. A parte il dottore e la sua amica, c’era un uomo di colore alto e di grossa stazza, che indossava qualcosa che presumeva fosse un’uniforme da chef; un uomo più piccolo, con rasta castani; e un ragazzo dai capelli scuri che sembrava completamente privo di qualsiasi emozione. Lo vide inclinare un po’ la testa, lasciando che la luce ricadesse sui suoi lineamenti, e Shizuo cominciò a parlare a bassa voce.

«Lui» disse, indicando il ragazzo.

Il viso del dottore si rilassò in un leggero sorriso, ma il biondo intuì che aveva ancora qualche riserva. «E chi è?» chiese.

«Hanehima Yuuhei-san» replicò Shizuo, che aveva visto le sue pubblicità sui grandi schermi televisivi nel centro di Ikebukuro «È un attore» aggiunse poi per buona misura. Per la seconda volta il disagio nella stanza divenne palpabile, e di rimando Shizuo avvertì la propria rabbia aumentare di secondo in secondo. Cosa stava succedendo, precisamente? Si era svegliato in un ospedale, non aveva idea di come ci era arrivato, né di cosa c’era che non andava in lui, era circondato da un gruppo di stramboidi, inclusi una star del cinema e un dottore con un terribile modo di trattare i pazienti, e si stava davvero incazzando. Si udì un forte scricchiolio metallico e Shizuo si girò per vedere l’asta della flebo deformarsi tra le sue mani. Sospirò e la lasciò cadere, non sentendosi affatto dispiaciuto mentre tutti gli altri trasalivano per il rumore.

La motociclista si fece avanti, digitando qualcosa sul suo palmare prima di mostrarglielo.

[Ciao Heiwajima-san, sono Celty.]

[Dobbiamo parlarti di una cosa, ma non è facile.]

[Nemmeno noi lo capiamo bene, quindi per favore sii paziente.]

Mentre Celty digitava il messaggio successivo, ci fu un leggero tramestio dietro la porta e subito dopo entrò un gruppetto di cui Shizuo, a malincuore, identificò tutti i componenti – nonostante avrebbe preferito non riconoscere due certe persone.

«Kadota? Togusa?» disse, scegliendo di ignorare Karisawa e Yumasaki che gironzolavano lì dietro – ma apprezzando che fossero molto più silenziosi del solito. I due uomini sorrisero nella sua direzione, annuendo leggermente.

«Come ti senti?» domandò Kadota, accostando al letto una delle sedie libere per accomodarsi.

Shizuo fece spallucce.

«Sono stato meglio» rispose; in quel momento notò il frenetico scambio di messaggi e sussurri tra il dottore e Celty, e gettò loro uno sguardo di rimprovero «Che c’è?»

La motociclista si voltò verso di lui e gli porse il palmare.

[Sai chi sono queste persone?]

«Certo che lo so, non siamo amici intimi ma ci vediamo in giro, di tanto in tanto.»

 [Eppure sei sicuro di non conoscere noi.]

Lui si accigliò; pensava di averglielo già spiegato.

«No, a parte l’attore» sospirò, indicando Hanehima con un gesto vago della mano.

«L’attore?» chiese Kadota, ovviamente disorientato da quello scambio di frasi, dato che aveva sentito solo metà della conversazione «Intendi tuo fratello?»

Shizuo raggelò. Cosa intendeva con “fratello”? Il biondo si passò le dita tra i capelli; aveva la sgradevole sensazione di aver dimenticato qualcosa di molto importante, più importante perfino del motivo per cui era finito lì. Quando provò a concentrarsi nel dettaglio sulla sua vita, si sentì… confuso. Come se la sua memoria fosse un vecchio film in stop motion dalle immagini sgranate. Gemette, coprendosi gli occhi con le mani e spingendo finché le luci non esplosero di fronte alle sue palpebre. Poi avvertì un leggero colpetto sulla spalla e abbassò le mani per vedere il palmare di Celty.

[È questo di cui volevamo parlarti.]

[Prima di venire qui hai avuto un incidente.]

[Sei stato colpito da un treno.]

«Sono stato…cosa?» domandò Shizuo, stravolto dallo stupore. Però, rifletté, se qualcuno doveva essere colpito da un treno e sopravvivere, era destino che si trattasse di lui.

«Ah, ci sei arrivato» disse il dottore, venendo avanti per accostarsi a Celty «Sì, sei stato colpito da un treno. I dottori hanno detto di non aver mai visto qualcuno rompersi così tante ossa e sopravvivere!» ridacchiò, prima che la motociclista lo colpisse nelle costole, e si voltò a guardarla con aria di rimprovero – senza sembrare molto dispiaciuto per la propria mancanza di tatto «Comunque» continuò, strofinandosi leggermente il fianco «Nonostante il tuo corpo si stia riprendendo bene, pare esserci qualche problema di memoria. Come ha fatto notare Kadota-san, l’attore che hai riconosciuto in realtà è tuo fratello “Hewajima Kasuka”. Io sono Kishitani Shinra e questa è Celty, la mia adorabile fidanzata – quindi non guardarla troppo, è mia!» Incassò un’altra gomitata nelle costole dalla motociclista, che si girò verso il biondo con aria di scusa.

 [Perdonalo.]                                                                                                    

[Siamo tuoi amici! E anche loro lo sono] digitò, indicando le persone che dovevano ancora presentarsi.

[Lui è Simon, lavora al Russia Sushi. Ti ricordi il Russia Sushi?]

Shizuo annuì; i suoi ricordi su quel posto non erano del tutto chiari, ma gli sembrava di esserci andato almeno un paio di volte.

[Ottimo! L’altro è Tanaka Tom-San, il tuo datore di lavoro. Sei un riscossore di debiti.]

Shizuo annuì ancora e la ringrazio, poi cadde di nuovo il silenzio. Kadota e Togusa se ne andarono, probabilmente capendo che quella era una situazione di cui poteva occuparsi senza il loro gruppo – metà del quale stava ora piagnucolando perché tutta quella storia ricordava molto la fanfiction che stavano leggendo.

«Quindi siamo amici?» la sua voce si sollevò alla fine, trasformando l’affermazione in una domanda «Kishitani-sensei-»

 [Chiamalo Shinra.]

Shizuo annuì «Shinra, perché mi sono scordato solo di voi? Perché riesco a ricordarmi del gruppo di Kadota?»

Il dottore rimase un momento in silenzio, riflettendo sulla domanda.

«Non posso dirlo con sicurezza, ma sembra avere a che fare con l’intensità della relazione. Quelli che consideri amici – cioè a cui sei vicino – non riesci a ricordarli, gli altri invece sì.» Shinra continuò a parlare dello spazio di archiviazione della memoria emotiva e della posizione dei diversi tipi di memoria nei vari lobi cerebrali, ma Shizuo a quel punto aveva già smesso di ascoltare. Tutto ciò che gli interessava era che i suoi ricordi delle persone di cui si fidava erano scomparsi. Non c’era rimasto nessuno sulla terra che potesse considerare amico; tutti loro per lui erano degli estranei.

 [Stai bene?]

Il biondo alzò le spalle; più che altro era scioccato.

[Vuoi stare un po’ da solo?]

Shizuo annuì e Celty costrinse gli altri a sgombrare; beh, almeno lei lo conosceva bene, anche se lui non sapeva niente di lei. Riappoggiò la testa al soffice cuscino dell’ospedale e provò a metabolizzare tutto quello che gli era appena stato riferito.

A un certo punto, perso nei suoi pensieri, il biondo si era addormentato, e più tardi si svegliò scoprendo che la stanza era ancora vuota – se non si contava il ragazzo che stava entrando dalla finestra, ovviamente.

   
 
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