Note dell’autrice: Il titolo “Aletheia” viene dal greco antico e significa “verità” o “rivelazione”, ma letteralmente si traduce come “non-dimenticanza” o “qualcosa di non-nascosto”; dato che la storia parla di una perdita di memoria, dove la “verità” deve essere raggiunta tramite la rievocazione di ricordi, mi sembrava un titolo adeguato.
Note della traduttrice: Questa storia in inglese è già completa, quindi il postaggio sarà abbastanza regolare - una volta alla settimana o giù di lì. Ho deciso di tradurla perché l'ho trovata veramente molto, molto carina, e l'autrice è stata davvero gentile a darmi il permesso *-* In tutto sono dieci capitoli, ma sono già a metà della traduzione per non rischiare spiacevoli ritardi (stiamo per entrare nella sessione estiva, sigh). Che altro dire, vi consiglio veramente di seguirla perché diventa sempre più bella di capitolo in capitolo! Buona lettura <3
Era un
giorno come tanti a Ikebukuro: faceva
caldissimo, le strade erano affollate, e un distributore automatico si
era
appena schiantato contro la fiancata di un edificio.
«Mi
stai almeno mirando,
Shizu-chan?» rise Izaya, balzando abilmente verso un
condominio lì vicino da un’altezza di quasi tre
metri. L’ex-barista quasi ringhiò mentre
l’altro ragazzo gli faceva
l’occhiolino e se la svignava, saltando senza sforzo di
finestra in finestra e
da un edificio all’altro. Ma Shizuo non aveva la minima
intenzione di lasciarselo
scappare, quella volta: avrebbe catturato la dannata pulce e gli
avrebbe spiegato
molto chiaramente quanto non era più il benvenuto in quel
quartire.
Sentire il
vento sul viso gli provocava una
gradevole sensazione mentre inseguiva Izaya; quest’ultimo era
abbastanza
lontano perché il suo caratteristico odore e la risata da
maniaco fossero più
tollerabili del solito, e il biondo stava perfino cominciando a godersi
l’adrenalina che pompava attraverso il suo corpo, spingendosi
all’apice del suo
potenziale. Poi però riuscì a raggiungere la
pulce; c’era meno gente, adesso, cosa per cui
Shizuo si sentiva vagamente grato, dato che urtare altre persone mentre
le
sorpassava lo aveva rallentato un po’, e la parte
più assennata del suo
cervello si sentiva in colpa per i pedoni leggermente disorientati che
si era
lasciato dietro per i marciapiedi della città.
Shizuo vide Izaya calarsi da un paio di piani d’altezza e atterrare perfettamente sull’asfalto davanti a lui. “Fottuto esibizionista”, pensò, sfruttando la pausa nei movimenti dell’altro ragazzo per riprendere fiato e compiere l’ultimo sforzo; era così vicino che le mani già gli si stringevano istintivamente a pugno, in attesa dello scontro che stava per ingaggiare.
Izaya
si ricompose e lanciò un’occhiata al mostro biondo
che sfrecciava verso di lui
e un’altra al suo orologio, prima di scappare via di nuovo.
Non rimase a lungo
con i piedi per terra, ma subito si arrampicò su un alto
muro di mattoni che
separava la città dalla linea ferroviaria, e
scavalcò senza problemi il filo
spinato che ne ricopriva la sommità. Shizuo
digrignò i denti mentre Izaya
scompariva dalla sua vista, avvertendo l’odio per la pulce
aumentare a
dismisura. Oltrepassò il muro senza prestare troppa
attenzione e si accorse
distrattamente che i suoi vestiti si erano impigliati sul filo spinato,
ma
perfino questo non riuscì a turbarlo in quel momento,
perché era successo qualcosa
di molto peggiore: aveva perso Izaya.
I suoi
occhi ambrati scandagliarono lo spazio
circostante alla ricerca di qualsiasi traccia della pulce, analizzando
ogni centimetro,
finché-
«Stai
cercando qualcuno, Shizu-chan?»
L’ex-barista
perse il controllo. Si
scaraventò alla cieca verso quella voce fin troppo
familiare, contenendo la sua
furia quel poco che gli bastava per muoversi.
Izaya
sapeva esattamente quanto doveva
mandare in bestia Shizuo per fargli perdere cognizione di tutto
ciò che lo
circondava; avrebbe anche ammesso di essere un po’ lusingato
dall’incredibile
concentrazione con cui il biondo lo braccava, una concentrazione
così assoluta da
impedirgli perfino di accorgersi che il treno si stava avvicinando.
O almeno,
non se ne accorse finché non si
schiantò dritto contro di lui.
Shizuo si
svegliò al rumore provocato da
qualcuno che tentava (fallendo miseramente) di rimanere in silenzio.
Sentì la
testa pesante mentre provava ad alzarla, e sbatté le ciglia
più volte
sforzandosi di aprire gli occhi: i contorni sfocati di un gruppetto di
persone
si fecero mano a mano sempre più delineati,
finché non si ritrovò faccia a
faccia con una piccola stanza stipata di estranei. Guardò
ognuno di loro,
completamente sbigottito. L’ambiente era luminoso, con un
paio di sedie e di
tavoli disposti ad angolo attorno al letto in cui si trovava. Si mise a
sedere,
con la testa che gli pulsava sgradevolmente, ed estrasse i tubicini
collegati a
svariate parti del suo corpo; dunque era in ospedale. La stanza
piombò subito
nel silenzio e Shizuo percepì quegli occhi sconosciuti che
puntavano dritti su
di lui.
«Che
c’è?» domandò, consapevole
che il suo
tono fosse più aggressivo del necessario, ma senza
abbastanza energie per
preoccuparsene troppo.
«Volevamo solo vedere come stavi…» disse un uomo in camice bianco, e fece un paio di passi avanti, prima di decidere che preferiva mantenere le distanze e tornare indietro. Shizuo lo studiò per un momento mentre il tizio, a metà tra il nervoso e l’eccitato, si sistemava gli occhiali sul naso.
Si
accigliò.
Non
riusciva a capire perché altrimenti quel
tipo avrebbe dovuto indossare un camice da laboratorio, ma qualcosa nel
suo
modo di comportarsi era stranamente sbagliato per un dottore. Questa
volta il
silenzio fu assoluto e sentì la stanza riempirsi solo di
mormorii imbarazzati.
Quell’atteggiamento cominciava a farlo incazzare.
«Allora?»
incalzò.
L’uomo
lanciò un’occhiata disperata alla
persona alla sua destra, una donna che indossava una tuta da
motociclista nera
e aderente e che aveva ancora il casco in testa. Lei alzò le
spalle prima di
tirare fuori un palmare, digitare qualcosa e poi mostrarglielo.
Shizuo
ansimò leggermente: cosa si stavano
dicendo che non volevano fargli sapere, a tal punto da scriverlo su un
palmare
pur di nasconderglielo?
L’uomo
con il camice bianco annuì e si voltò
di nuovo verso di lui.
«Sono
un dottore, anche se non di questo
ospedale» cominciò, per poi interrompersi come se
non fosse sicuro di come
andare avanti. La donna con il casco gli strinse il braccio in un gesto
rassicurante e lui continuò «Shi…
Heiwajima-san, ti ricordi cosa è successo
prima che ti risvegliassi qui?» Shizuo provò a
pensarci, ma la testa gli faceva
ancora male e i ricordi non riaffioravano con facilità,
così scosse il capo «Capisco.
Ora potresti dirmi se riconosci qualcuno in questa stanza?»
Shizuo
sapeva già che non c’era nessuno che
conoscesse, ma comunque guardò tutti più
attentamente e rimase colpito da quel miscuglio
di persone che gli sembrava fin troppo variegato. A parte il dottore e
la sua
amica, c’era un uomo di colore alto e di grossa stazza, che
indossava qualcosa
che presumeva fosse un’uniforme da chef; un uomo
più piccolo, con rasta
castani; e un ragazzo dai capelli scuri che sembrava completamente
privo di
qualsiasi emozione. Lo vide inclinare un po’ la testa,
lasciando che la luce ricadesse
sui suoi lineamenti, e Shizuo cominciò a parlare a bassa
voce.
«Lui» disse, indicando il ragazzo.
Il viso
del dottore si rilassò in un leggero sorriso, ma il biondo
intuì che aveva ancora
qualche riserva.
«Hanehima
Yuuhei-san» replicò Shizuo, che
aveva visto le sue pubblicità sui grandi schermi televisivi
nel centro di
Ikebukuro «È un attore» aggiunse poi per
buona misura. Per la seconda volta il
disagio nella stanza divenne palpabile, e di rimando Shizuo
avvertì la propria rabbia
aumentare di secondo in secondo. Cosa stava succedendo, precisamente?
Si era
svegliato in un ospedale, non aveva idea di come ci era arrivato,
né di cosa
c’era che non andava in lui, era circondato da un gruppo di
stramboidi, inclusi
una star del cinema e un dottore con un terribile modo di trattare i
pazienti,
e si stava davvero incazzando. Si udì un forte scricchiolio
metallico e Shizuo
si girò per vedere l’asta della flebo deformarsi
tra le sue mani. Sospirò e la
lasciò cadere, non sentendosi affatto dispiaciuto mentre
tutti gli altri
trasalivano per il rumore.
La
motociclista si fece avanti, digitando
qualcosa sul suo palmare prima di mostrarglielo.
[Ciao
Heiwajima-san, sono Celty.]
[Dobbiamo
parlarti di una cosa, ma non è facile.]
[Nemmeno
noi
lo capiamo bene, quindi per favore sii paziente.]
Mentre
Celty digitava il messaggio
successivo, ci fu un leggero tramestio dietro la porta e subito dopo
entrò un gruppetto
di cui Shizuo, a malincuore, identificò tutti i componenti
– nonostante avrebbe
preferito non riconoscere due certe persone.
«Kadota?
Togusa?» disse, scegliendo di
ignorare Karisawa e Yumasaki che gironzolavano lì dietro
– ma apprezzando che
fossero molto più silenziosi del solito. I due uomini
sorrisero nella sua
direzione, annuendo leggermente.
«Come
ti senti?» domandò Kadota, accostando
al letto una delle sedie libere per accomodarsi.
Shizuo fece
spallucce.
«Sono
stato meglio» rispose; in quel momento
notò il frenetico scambio di messaggi e sussurri tra il
dottore e Celty, e
gettò loro uno sguardo di rimprovero «Che
c’è?»
La
motociclista si voltò verso di lui e gli
porse il palmare.
[Sai chi
sono queste persone?]
«Certo
che lo so, non siamo amici intimi ma
ci vediamo in giro, di tanto in tanto.»
[Eppure sei sicuro di non
conoscere noi.]
Lui si
accigliò; pensava di averglielo già
spiegato.
«No,
a parte l’attore» sospirò, indicando
Hanehima con un gesto vago della mano.
«L’attore?»
chiese Kadota, ovviamente
disorientato da quello scambio di frasi, dato che aveva sentito solo
metà della
conversazione «Intendi tuo fratello?»
Shizuo
raggelò. Cosa intendeva con “fratello”?
Il biondo si passò le dita
tra i capelli; aveva la sgradevole sensazione di aver dimenticato
qualcosa di
molto importante, più importante perfino del motivo per cui
era finito lì.
Quando provò a concentrarsi nel dettaglio sulla sua vita, si
sentì… confuso.
Come se la sua memoria fosse un vecchio film in stop motion dalle
immagini
sgranate. Gemette, coprendosi gli occhi con le mani e spingendo
finché le luci
non esplosero di fronte alle sue palpebre. Poi avvertì un
leggero colpetto sulla
spalla e abbassò le mani per vedere il palmare di Celty.
[È
questo di
cui volevamo parlarti.]
[Prima di
venire qui hai avuto un incidente.]
[Sei stato
colpito da un treno.]
«Sono
stato…cosa?» domandò Shizuo, stravolto
dallo
stupore. Però, rifletté, se qualcuno doveva
essere colpito da un treno e
sopravvivere, era destino che si trattasse di lui.
«Ah,
ci sei arrivato» disse il dottore,
venendo avanti per accostarsi a Celty «Sì, sei
stato colpito da un treno. I
dottori hanno detto di non aver mai visto qualcuno rompersi
così tante ossa e
sopravvivere!» ridacchiò, prima che la
motociclista lo colpisse nelle costole,
e si voltò a guardarla con aria di rimprovero –
senza sembrare molto dispiaciuto
per la propria mancanza di tatto «Comunque»
continuò, strofinandosi leggermente il
fianco «Nonostante il tuo corpo si stia riprendendo bene,
pare esserci qualche
problema di memoria. Come ha fatto notare Kadota-san,
l’attore che hai
riconosciuto in realtà è tuo fratello
“Hewajima Kasuka”. Io sono Kishitani
Shinra e questa è Celty, la mia adorabile fidanzata
– quindi non guardarla
troppo, è mia!» Incassò
un’altra gomitata nelle costole dalla motociclista, che
si girò verso il biondo con aria di scusa.
[Perdonalo.]
[Siamo tuoi
amici! E anche loro lo sono]
digitò,
indicando le persone che dovevano ancora presentarsi.
[Lui è Simon, lavora al Russia Sushi. Ti ricordi il Russia Sushi?]
Shizuo
annuì; i suoi ricordi su quel posto
non erano del tutto chiari, ma gli sembrava di esserci andato almeno un
paio di
volte.
[Ottimo!
L’altro è Tanaka Tom-San, il tuo datore di lavoro.
Sei un riscossore di
debiti.]
Shizuo
annuì ancora e la ringrazio, poi cadde
di nuovo il silenzio. Kadota e Togusa se ne andarono, probabilmente
capendo che
quella era una situazione di cui poteva occuparsi senza il loro gruppo
– metà
del quale stava ora piagnucolando perché tutta quella storia
ricordava molto la
fanfiction che stavano leggendo.
«Quindi
siamo amici?» la sua voce si sollevò
alla fine, trasformando l’affermazione in una domanda
«Kishitani-sensei-»
[Chiamalo Shinra.]
Shizuo
annuì «Shinra, perché mi sono scordato
solo di voi? Perché riesco a ricordarmi del gruppo di
Kadota?»
Il dottore
rimase un momento in silenzio,
riflettendo sulla domanda.
«Non
posso dirlo con sicurezza, ma sembra
avere a che fare con l’intensità della relazione.
Quelli che consideri amici – cioè
a cui sei vicino – non riesci a ricordarli, gli altri invece
sì.» Shinra
continuò a parlare dello spazio di archiviazione della
memoria emotiva e della
posizione dei diversi tipi di memoria nei vari lobi cerebrali, ma
Shizuo a quel
punto aveva già smesso di ascoltare. Tutto ciò
che gli interessava era che i
suoi ricordi delle persone di cui si fidava erano scomparsi. Non
c’era rimasto
nessuno sulla terra che potesse considerare amico; tutti loro per lui
erano
degli estranei.
[Stai bene?]
Il biondo
alzò le spalle; più che altro era
scioccato.
[Vuoi stare
un po’ da solo?]
Shizuo
annuì e Celty costrinse gli altri a
sgombrare; beh, almeno lei lo conosceva bene, anche se lui non sapeva
niente di
lei. Riappoggiò la testa al soffice cuscino
dell’ospedale e provò a
metabolizzare tutto quello che gli era appena stato riferito.
A un certo
punto, perso nei suoi pensieri, il
biondo si era addormentato, e più tardi si
svegliò scoprendo che la stanza era
ancora vuota – se non si contava il ragazzo che stava
entrando dalla finestra, ovviamente.