Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |      
Autore: Antonio Militari    28/04/2016    1 recensioni
Dove finisce l'uomo e inizia la macchina? Cosa ci distingue da un computer? Un essere inanimato può amare?
La nostra filosofa Miriam vivrà sulla sua pelle queste drammatiche domande esistenziali...
La storia ha partecipato al contest: Storie di Robot, organizzato da M.Namie, classificandosi quarta.
P.S.: La storia è ispirata ai racconti di Isaac Asimov, il testo delle tre leggi della robotica è un invenzione del Maestro.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La storia ha partecipato al contest: Storie di robot, organizzato da M.Namie, arrivando quarta. Nel contest era richiesto di inserire nella storia due elementi:
una particolarità al proprio robot: Il Robot viene spesso scambiato per un essere umano
un bug al proprio robot: Il Robot si innamora

Buona lettura!

Lacrima di sangue


«Scusi signora, non può passare da questa parte» Ripeté per l'ennesima volta John.
«Mi faccia il piacere e si sposti! Devo assolutamente passare!»
John si spostò a disagio, impedendo alla vecchietta di sgattaiolare tra lui e la porta «Signora, la prego... Nessuno può entrare fino all'arrivo del governatore»
La vecchietta tentò ancora un paio di manovre inutili, cercando di passare, poi gli puntò un indice proprio sotto il mento «Lei non sa chi sono io!» Tentò di urlare con fare autoritario.
John evitò di dirle che la conosceva alla perfezione, e che, probabilmente, la conosceva meglio di lei stessa. John Goldmind era il più grande esperto di linguaggio del corpo in tutta la galassia, inoltre vantava una rete d'informazione praticamente infinita, ricordava tutto ciò che sentiva e vedeva con una precisione incredibile e, di conseguenza, era probabilmente la persona più intelligente in quel palazzo. Se tutti quanti, però, ignoravano financo la sua presenza era per via del cartellino di riconoscimento in ottone, attaccato al taschino della giacca, che lo identificava come John R. Goldmind. John Robot Goldmind.
«Scusi signora, ma non può passare da questa parte» A parlare era stato un omone alle spalle della vecchietta, che si stava avvicinando in quel momento. La donna lo osservò contrariata per un attimo, quindi se ne andò borbottando. Gli esseri umani tendono a dare maggiore autorità ad altri esseri umani.
«Quello che hai fatto non è legale» sussurrò Goldmind dopo che la signora si allontanò
«Ha importanza?» Si strinse nelle spalle l'altro uomo
«Ha importanza per lui» sottolineo John
«Lui non è qui, adesso: e non ha dato ordini espliciti in materia» Disse l'altro, appuntandosi la placchetta d'ottone al taschino della giacca
«Finirai per farti licenziare» Lo fissò duro Goldmind «O peggio ancora disattivare, Jorge R. Silverforce»
Senza aggiungere altro, i due robot si misero l'uno di fianco all'altro, a chiudere l'ingresso alle proprie spalle, immobili e statici, come statue di cera, aspettando l'arrivo del governatore.

«Ragazzi, vi prego, sedetevi» Il governatore di Nettuno XIII era un uomo semplice, a cui il potere non aveva dato alla testa. Vestiva alla maniera classica, si manteneva in forma andando in palestra ogni giorno ed evitando di delegare tutto il lavoro alle macchine. Era solare e giocoso, ma sapeva anche essere serio e autoritario, tanto da essere temuto e amato dai tutti i suoi sottoposti.
Ogni tanto, con una reazione simile alla tristezza umana, Goldmind pensava al proprio padrone come ad un novello Gulio Casare1, e temeva per la sua sorte. Goldmind e Silverforce si misero seduti di fronte alla scrivania, anche se non ne avevano il minimo bisogno.
«Sapete chi è venuto a lamentarsi con me, questa mattina?»
Non ci voleva il genio di John per rispondere «La signora Mousin?»
«Proprio lei... E sapete che cosa mi ha riferito? Che mentre un robot sgarbato le bloccava l'accesso all'ufficio, un omone dalle cattive maniere l'ha allontanata con la forza»
«Io l'ho avvisato che era illegale» Disse semplicemente Goldmind, senza cambiare espressione facciale, provando qualcosa di simile al sollievo, nel passare la patata bollente al collega.
«Potrà valutare da solo l'assurdità di tale affermazione: non avrei potuto in alcun modo allontanarla con la forza» Anche Silverforce non mutò di una virgola la propria espressione facciale. Se il padrone è arrabbiato, meglio ricordargli il più possibile la propria natura di Robot... Gli uomini tendono a sopportare meglio gli errori di un oggetto, rispetto a quelli di un altro uomo.
L'uomo incrociò le mani davanti agli occhi, posandovi la fronte «Ragazzi, sapete benissimo che la vostra è una situazione alquanto delicata: se non siete stati distrutti dopo la legge sull'aspetto è solo perché siete Robot del governatore per le pubbliche relazioni. Se non mi aiutate, io non posso proteggervi, lo capite?»
In realtà Goldmind non capiva il discorso del padrone. Perché mai avrebbe dovuto difendere un oggetto? Se fosse stato distrutto non sarebbe stato come la morte di una persona. La mente di Goldmind era solo un sofisticato computer, poteva essere riprodotta, poteva essere riprogrammata, e distrutta in qualsiasi momento. A Goldmind stesso non sarebbe dispiaciuto, dal momento che non poteva provare vere emozioni. Tuttavia sapeva cosa il padrone voleva sentirsi dire «Sì, signore».
Silverforce, che si trovava nella stessa difficile situazione di non capire, si limitò a rispondere come l'amico, che sapeva essere più intelligente di lui.

«Si prega di resettare il sistema premendo l'apposito bottone»
Miriam sbuffò, con gli occhi fissi sul Robot che aveva davanti. Quel modello era stato costruito molto simile ad un essere umano, ma per via della legge sull'aspetto il colore della pelle era plastico, e alcune placche sul collo e sul petto erano trasparenti, così come le giunture erano state lasciate scoperte. Era più un manichino che un uomo.
«Si prega di resettare il sistema premendo l'apposito bottone»
Rimase a fissare l'oggetto mentre vagava con il pensiero. Da quando la Robotic Alliance aveva aggiunto nei robot istitutori un sistema di difesa psicorobotica non era più riuscita a mandarne in tilt uno. Il sistema faceva in modo di staccare l'alimentazione principale dei sistemi decisionali quando il cervello positronico risultava sovraccarico, e resettava anche i circuiti mnemonici, con il risultato che il cervello non friggeva e il robot non impazziva, cosa che invece faceva divertire da matti Miriam.
«Si prega di resettare il sistema premendo l'apposito bottone»
«Oh no! L'hai fatto di nuovo! è il Robot per la tua sorellina, lo sai che si rompe!» La madre di Miriam entrò nella camera andando subito a controllare il manichino; vi infilò due dita nella bocca e premette il pulsante per resettare il sistema.
«Non è colpa mia se questi modelli sono stupidi... Basta un poco di filosofia per farli cadere in tilt!»
«Sono Robot, Miriam! Non possono filosofare! Perché non metti il simulatore platonico e non discuti un po' con Aristotele? Normalmente riesce a seguire i tuoi ragionamenti, no?»
Miriam alzò gli occhi al cielo. Non poteva certo dire alla madre che provava un piacere perverso nel vedere il volto di un Robot fare scintille, mentre i positroni del suo fragile cervello annichilivano contro la materia plastica dei circuiti, producendo il vuoto all'interno e accartocciando il cranio del manichino... Ok, forse non era proprio normale, ma tanto non uccideva nessuno, no? Si limitava a spendere un sacco di soldi per comprare di volta in volta modelli robotici nuovi.
«Allora?»
Sorrise, pensando a come la madre vedeva in lei una figlia ideale, e a come sarebbe rimasta male nel conoscere questa sua particolarità. Non voleva ferirla «D'accordo, anche se preferisco Cartesio» Si alzò, per andarsi a chiudere nel simulatore.

«Signorina Fly, la sua navetta è pronta» Miriam si girò d'istinto verso la voce che parlava, prima di ricordarsi che il maggiordomo olografico era rotto, e solo il sistema areosonico funzionava, dando l'impressione che a parlare fosse un fantasma.
«Grazie Battista, puoi segnalare a mia madre che forse farò tardi per cena?»
La voce sospesa nel vuoto le rispose, facendola rabbrividire «Come desidera, signorina»
«E segnala alla manutenzione il tuo guasto»
«Già fatto, signorina»
«Sollecita!» Le urlò Miriam, uscendo dalla porta di servizio.
Si trovava all'altezza di una trentina di metri e, come al solito, rimase un attimo ad assaporare la sensazione di disagio che provava nel guardare l'abisso sotto di sé; Certo lo spazio tra la porta e la navetta era troppo stretto per infilarci anche solo un piede, ma lo spiare da quella fessura le dava una sensazione fantastica di smarrimento e confusione, come se il suo corpo reagisse ad un pericolo che l'istinto animale gli aveva infuso dentro. Nessun robot avrebbe potuto provare questa sensazione... Era quel secondo prima di salire nel velivolo che la faceva sentire superiore a quelle macchine...
«Dove la porto, signorina?» L'immagine olografica di un affascinante pilota le sorrideva dal finto posto di guida
«Robotic Alliance, sede principale» Disse secca, frugando nella borsa pur di non guardare negli occhi quell'obbrobrio semi-trasparente.
«Saremo lì in cinque virgola due minuti, signorina» e la navetta iniziò a muoversi.

La Robotic Alliance non era una fabbrica di computer e, ad essere precisi, neanche una azienda di produzione Robot. La Robotic Alliance era una federazione di fabbriche, se così si può dire. Comprendeva, all'interno, una decina di marche diverse, che si erano unite per poter dividersi le spese di spedizione su altri pianeti, le tasse delle leggi per la minoranza robotica, quelle per la distruzione dei modelli vecchi.
Ufficialmente apparivano come un'unica marca, ma in realtà le vecchie aziende erano perfettamente riconoscibili grazie ai nomi dei loro modelli e continuavano a farsi concorrenza dall'interno. Così il Robot RC-AND108 era l'ultimo modello della Robot & Co., i Robot ER-VR402 erano gli ultimi della Elettronic Researce, ma tutti e due erano venduti sotto il nome della Robotic Alliance.
Miriam lavorava lì, alla sede principale di Nettuno XIII, come consulente esterna. La legge sull'etica e moralità dei Robot imponeva a tutte le aziende di costruzione di assumere un consulente laureato in filosofia per ogni tot di Robot prodotti annualmente, con il risultato che la Robotic Alliance, principale produttrice della galassia, assumeva ogni anno un numero sempre maggiore di Filosofi, pagandoli fior di quattrini, considerando lo scarso numero di presenti sul pianeta. Correva voce che le prossime assunzioni sarebbero state fatte da Plutone XV, il pianeta più vicino della galassia.
Miriam era contenta del suo lavoro: praticamente non doveva fare nulla. Doveva essere presente durante i test psicologici dei nuovi modelli, essere presente durante lo sviluppo dei nuovi progetti, essere presente durante la disattivazione e lo smontaggio dei vecchi modelli. Praticamente la pagavano per mostrare la sua bella figura in varie occasioni. Sorrise, pensando a tutti quelli che, criticando la sua scelta universitaria, le avevano prospettato un futuro di fatiche fisiche e mentali per essere ripagata con qualche pezzo di pane ammuffito.
Scese dalla navetta facendo attenzione a posare delicatamente le nuovissime scarpe DecimoVenusiane che si era fatta importare direttamente dal distante pianeta solo per potersene vantare con le amiche, infilò gli occhiali da sole della prestigiosa Nuvolar e si mosse ancheggiando verso l'ufficio, consapevole di apparire più come una modella che come una filosofa.

«Posso chiederle il tesserino di identificazione?» John posò il polso sul lettore che l'uomo gli porgeva e il tornello si aprì davanti a lui, permettendogli di passare. Sistemò meglio la placchetta d'ottone sul taschino e si diresse verso l'ufficio indicatogli.
Tutti, nel palazzo, lo conoscevano, ma mentre passava non pochi si voltavano a fissarlo: alla Robotic Alliance era una specie di mito.
Era uno degli ultimi modelli creati antropomorfi e antropodokei2 della storia della robotica, e apparteneva ai due Robot leggendari che, pur essendo antropodokei, erano stati risparmiati dalla legge sull'aspetto. RA-GLMD003, era il suo codice, da cui il nome Goldmind; RA stava per Robotic Alliance, dato che era stato uno dei pochissimi Robot prodotti grazie alla collaborazione di tutte le aziende componenti, così come Silverforce: RA-SFRC052.
Passò l'ennesima porta e si ritrovò nell'open space dove lavoravano tutti gli addetti alle pubbliche relazioni della Robotic Alliance. La gente si urlava da una scrivania all'altra, passandosi plichi di fogli e maledizioni annesse, rispondendo a telefoni che squillavano senza sosta e lanciandosi fogli di carta accartocciati per richiamare l'attenzione. A Goldmind piaceva quell'ambiente. Lì gli uomini smettevano di cercare di assomigliare a Robot e tornavano ad essere veri esseri umani, che lui ammirava sopra ogni cosa: quale altra creatura del mondo era capace di creare un altro essere che potesse pensare, come aveva fatto l'uomo? La sterminata conoscenza di John non gli dava altri esempi di fatti simili.
Attraversò lo spazio ricevendo anche qualche saluto da parte di un paio di ragazzi con cui aveva chiacchierato una volta. Goldmind non capiva il senso di chiacchierare, ma provava qualcosa di simile al piacere nel farlo, e inoltre il suo compito era di soddisfare gli esseri umani che, evidentemente, adoravano chiacchierare invece di lavorare.
Raggiunse la porta dell'ufficio che gli interessava ed entrò nell'ampio locale. Si trattava di una grossa stanza che, però, era quasi totalmente vuota, fatta eccezione per una grossa scrivania, un paio di poltrone, un divanetto in un angolo e una libreria, vuota per metà. Il resto dello spazio era occupato da un grosso tappeto, che l'archivio di John riconobbe come finto persiano, di poco prezzo ma di bell'aspetto, almeno secondo gli schemi di bellezza che Goldmind aveva inciso nei propri circuiti.
Dietro la scrivania, un uomo grosso e grasso, dall'aspetto perennemente affaticato e dalla cravatta troppo spessa, sedeva in attesa; in una delle due poltroncine davanti, una bella signora, sempre secondo i canoni impressi nei suoi circuiti, lo fissava incuriosito.
«Prego Goldmind, vieni avanti! Questa è la signorina Miriam Fly, probabilmente la conosci già. Signorina Miriam, John Robot Goldmind, gentilmente offerto dal governatore Spencer»
I circuiti del bon-ton di Goldmind entrarono immediatamente in funzione, e lo fecero esibire in un perfetto baciamano «Signorina Fly, è un piacere immenso poter fare la vostra conoscenza dal vivo»
L'altra sorrise sarcastica, prestando la mano a quel teatrino «Molto gentile da parte sua, se non fosse che lei non può provare piacere, e tantomeno dire di essere vivo»
«Lei è una filosofa, dovrebbe sapere che il piacere è una cosa relativa, e per quanto riguarda la vita... non può negare che io sono vivo, in un certo qual modo»
La ragazza scostò la mano, stizzita «Lei non è. Punto»
«Come fa a dire che non sono? Ciò che non è non può essere. Mentre io sono di fronte a lei»
«Non faccia il filosofo con me!» Gli puntò un dito contro lei «Lei è come può essere un tavolo, ma non possiede un'anima... Ontologicamente parlando, lei non è, almeno non come lo siamo noi umani»
Goldmind si sedette, nonostante non ne sentisse alcun bisogno; aveva imparato, infatti, che sedersi durante una discussione tende a dare un'immagine più intelligente di sé, come chi si siede in cattedra; gli uomini, pur non essendone coscienti, sono molto sensibili a questi gesti «Non ho un'anima, dite... La comunità filosofica non si è ancora espressa in materia. Alcuni esponenti della corrente Neo-materialista sono in disaccordo con lei. Parlo di gente del calibro di Jane Fantine e Mark Doumar»
«Dilettanti» Sputò tra i denti la ragazza, spostando lo sguardo alle spalle dell'uomo dietro la scrivania, che li osservava spaventato «Si legga gli articoli di Frank Stone, se vuole sapere veramente come funziona la faccenda»
«Posso intromettermi?» Riuscì a chiedere finalmente l'omone, con un filo di voce «Vi ho convocati qui per una questione di lavoro»

John R. Goldmind sapeva di non possedere un'anima, o almeno era profondamente convinto di questo. Aveva letto tutti gli articoli che si erano citati contro a vicenda, e si trovava molto più in accordo con il signor Stone che non con la linea Neo-materialista. Quella donna, tuttavia, gli provocava un turbamento nei circuiti positronici che si azzardò a paragonare al fastidio e all'antipatia. Non gli era mai successo prima, e la cosa gli diede molto da pensare, ma si ripromise di fare di tutto per allontanare da sé quella ragazza, pur rimanendo nel rispetto delle tre leggi robotiche che conosceva bene, oltre ad averle impresse nel profondo del cervello positronico.
Ora, si trovava nella fastidiosa situazione di dover lavorare con quella donna: lei non poteva rifiutare pena il licenziamento, lui non poteva rifiutare in quanto la seconda legge lo vincolava agli ordini di quell'omone sgradevole. Il risultato fu un lungo silenzio imbarazzante, fino a quando i due furono lasciati liberi di andarsene. Usciti fuori dall'ufficio lei lo afferrò per il bavero, evidentemente con l'intenzione di sbatterlo al muro, ma il peso del robot e la forza della terza legge lo tennero saldo al suo posto
«Ascoltami bene, pezzo di latta: in questi giorni non mi dedicherò ad altro che a far saltare i tuoi piccoli circuiti celebrali uno per uno, e farò friggere quel tuo caro, prezioso, dolce cervellino positronico che ti ritrovi»
Goldmind, d'altro canto, scostò con dolce fermezza le mani della donna «Signora, potrà provarci quanto vuole, ma il RA-GLMD003 è stato costruito con la collaborazione dei migliori robopsicologi della Robot Alliance, dubito che una filosofa di terz'ordine come lei riuscirà a mettermi KO»
Vedere la ragazza andare via adirata fece scattare in lui il circuito della soddisfazione, dandogli una sensazione simile al piacere, cosa che lo stupì e lo angosciò non poco, dal momento che aveva quasi infranto la prima legge.

«Non credo che quello che hai fatto dovesse attivare il circuito della soddisfazione»
«Sono pienamente d'accordo, avrei dovuto provare un profondo turbamento per l'aver quasi infranto una delle Leggi»
In mezzo alla riunione del padrone, i due robot, fermi l'uno di fronte all'altro, parlavano trasmettendosi dati con un sistema binario, che passavano attraverso un impercettibile scintillio dietro la pupilla degli occhi.
«Pensi che sia un qualche tipo di problema nella programmazione dei circuiti?»
«No, il discernimento positronico ha sempre la meglio sui circuiti esterni. Se c'è un problema deve essere al livello del cervello centrale»
«Ma questo significa...» Non c'era bisogno di aggiungere altro... sapevano bene tutti e due che cosa significasse un problema al cervello centrale.
«Penso di poter gestire la cosa. Conosco l'importanza delle tre leggi anche a livello di circuiti esterni, non mi farò prendere da quello che gli uomini chiamano istinto: il nostro compito è difendere l'uomo»
«Il nostro compito è difendere l'uomo» Gli fece eco Silverforce.

La prima legge recita: Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Non viene specificata l'entità del danno, quindi offendere una persona umana, esponendola ad un danno psicologico, contravviene alla prima legge della robotica.
Queste leggi vengono impresse al livello del cervello positronico, un cervello talmente complicato e sensibile, che per programmarlo diversamente, escludendo ad esempio una delle tre leggi, sarebbero necessarie decadi, se non secoli di studi. Per maggior sicurezza le tre leggi vengono impresse anche nei circuiti esterni, o cervello secondario, che danno al robot le particolarità del suo carattere. Se in uno dei circuiti esterni, però, è presente un errore di fabbrica che violi le Leggi, il cervello positronico escluderà automaticamente quel circuito dal sistema del cervello secondario, con il risultato di rendere matematicamente impossibile che un robot contravvenga ad una di queste Leggi; se un robot compie un'azione, o immagina di compierla, che si avvicina a rompere una delle tre leggi, il cervello positronico entra in crisi, combattuto tra la realtà che sta vivendo e quella che dovrebbe vivere. Questo comporta un rallentamento delle funzioni con possibili danni gravi in caso di infrazione lieve, fino al cedimento della struttura di protezione, che farà quindi collassare l'antimateria contro la materia intorno, con la successiva distruzione dell'intero sistema celebrare, in caso di infrazioni gravi.
Tutto ciò spiega l'agitazione che Goldmind sentiva, aspettando la signorina Fly, pensando a quello che era successo il giorno prima: aveva offeso un essere umano e ne aveva provato piacere.

Quel giorno la dottoressa Fly era stranamente irritata di recarsi al lavoro che normalmente adorava con tutta se stessa. Non poteva credere a ciò che il responsabile delle relazioni con il pubblico le aveva chiesto: collaborare con un robot nello scrivere un articolo filosofico sulla produzione di nuovi robot capaci di amare. Andava contro tutti i suoi principi!
Lei non collaborava con i robot, non scriveva articoli filosofici, era contraria alla produzione di modelli sofisticati e non credeva assolutamente nella possibilità che una macchina potesse amare.
Scese dal velivolo rischiando di rompere il prezioso tacco DecimoVenusiano costatole un occhio della testa, e si recò verso l'ingresso principale a grandi falcate.

«Posso chiederle il tesserino di identificazione?» Miriam mostrò il proprio tesserino, mentre accanto a lei il robot dall'aspetto perfettamente umano posava il polso sul lettore elettronico che gli veniva passato. Lei non lo degnò di uno sguardo, lui non mutò di una virgola il proprio comportamento; quando si aprirono i rispettivi tornelli iniziarono a camminare l'uno accanto all'altro, in perfetto silenzio.

«Come faccio a scrivere una menzogna?»
Era il decimo giorno che lavoravano insieme. Dopo due giorni passati a cercare di disattivare quel maledetto robot, Miriam si era arresa, iniziando a pensare seriamente al lavoro. Aveva raccolto materiale, cercato articoli precedentemente scritti e aveva intervistato alcuni colleghi filosofi e alcuni dei maggiori robopsicologi della Robot Alliance, ma non era riuscita ad auto-convincersi che fosse possibile, per una macchina, provare amore.
«Non lo fate sempre, voi filosofi?» Goldmind, dal canto suo, stava sperimentando sensazioni nuove. Riusciva a scherzare con quella donna arrivando ai limiti della prima legge, senza provare alcun disturbo o altro, anzi... Provava una piacevole sensazione ai circuiti della soddisfazione, che generavano in lui il desiderio di continuare a stare con quella donna anche dopo il lavoro; solo Silverforce era a conoscenza di questo problema, ma non sapeva trovare una spiegazione.
«Ridi, ridi, intanto sono io che rischio il licenziamento»
Goldmind attivò il suo programma di imitazione, copiando la voce e le espressioni del capo delle relazioni con il pubblico «Signorina Fly, non ha ancora prodotto niente? Allora mi spiace ma, se non la disturba, posso avere il permesso di licenziarla?»
Miriam scoppiò a ridere di gusto, e John la osservò con un sorriso soddisfatto sul volto. Aveva appena infranto la prima legge, recando un danno alla fama di un uomo, ma non provava alcun fastidio o rallentamento nelle funzioni di pensiero e, cosa ancora più strana, non se ne rendeva conto.

Il problema si rese manifesto, ai due, la settimana successiva. Miriam aveva iniziato a scrivere, unendo il lavoro fatto da lei stessa e il materiale raccolto da Goldmind, ma si erano ritrovati di fronte ad un punto morto. Come poteva un robot amare se non provava sentimenti?
«Effettivamente questa può essere una bella domanda» scosse la testa Goldmind, osservando lo schermo del computer
«Tu come lo descriveresti l'amore?» Chiese curiosa Miriam
«Come scusi?» Chiese John, cadendo dalle nuvole
«Con la tua esperienza di robot, come spiegheresti l'amore ad un essere umano?»
Goldmind rimase un attimo a pensare, quindi parlò con voce chiara e forte, senza staccare gli occhi da quelli della dottoressa «C'era un compositore terrestre, molte decadi fa, di cui non si sa più molto, tranne un paio di canzoni rimaste da una delle sue più grandi opere. In una di queste, uno dei personaggi principali si rivolge alla donna che ama con delle parole che, per me, esprimono perfettamente l'amore, per quel poco che ho imparato» La voce del robot si sparse per l'ufficio con una chiarezza impressionante: eseguì l'aria con una dolcezza e una vocalità che rapirono Miriam fin dalla prima nota, mentre i due non riuscivano a smettere di guardarsi negli occhi «Non parlarmi più di oscurità, dimentica questi sogni angoscianti, sono qui, nulla può ferirti, le mie parole ti salveranno e calmeranno. Lasciami essere la tua libertà, lascia che la luce del sole asciughi i tuoi occhi, sono qui, con te, accanto a te, per proteggerti e guidarti. Quindi dimmi che dividerai con me un amore, una vita intera, permettimi di salvarti dalla tua solitudine, dimmi che hai bisogno di me, qui, accanto a te. Dovunque andrai, lasciami venire. Amami, è tutto quello che ti chiedo3.

Si erano risvegliati, o meglio, si era risvegliata, abbracciati nel letto. I robot RA-GLMD003 erano stati pensati come robot spia, e quindi erano dotati di tutti gli organi tipicamente umani, che possedevano anche caratteristiche simili all'originale: avevano fatto sesso per tutta la notte, fino a quando Miriam non era caduta sfinita sul materasso, addormentandosi immediatamente, e John era rimasto a guardarla dormire.
Sapeva che il proprio comportamento non era normale, per un robot, ma non poteva fare a meno di continuare a guardarla, ripensando a quei momenti passati insieme. Il robot non era dotato di un simulatore di orgasmo, quindi non aveva provato piacere in questo senso, ma ogni volta che sentiva Miriam raggiungere quell'estasi sentiva dentro di sé un appagamento interiore enorme, tale da supplire alla propria mancanza. Queste sensazioni lo spingevano a voler soddisfare Miriam ancora di più, per provarne maggior godimento.
Si era collegato alla rete internet cercando consigli su come muoversi per darle maggior piacere, e unendo queste informazioni a quanto sapeva sul linguaggio del corpo, aveva fatto di tutto per rendere Miriam felice.
Quando Miriam si svegliò, accarezzandolo istintivamente, poco ci mancò a che le prendesse un infarto.
«Cosa abbiamo fatto?» sembrava realmente spaventata
«Non abbiamo fatto niente»
«Niente?!» La rabbia di Miriam era palpabile «Abbiamo fatto tutto! Alcune cose nemmeno le conoscevo io...» Arrossì al ricordo della notte passata «Questo non lo deve sapere nessuno» Gli puntò un dito contro «Quello che abbiamo fatto è moralmente sbagliato e filosofica...»
John agì d'istinto: quello che stava dicendo risvegliava in lui l'istinto della prima legge, e sentiva il bisogno di proteggerla e farla sentire al sicuro contro se stessa. La baciò con passione, come aveva visto fare più volte nei film, schiacciando le proprie labbra contro le sue.
Lei si staccò in fretta, passandosi una mano sulle labbra «Hai una bocca morbida» Si limitò a dire, sorpresa.
«Cosa ti aspettavi?»
«Una bocca metallica, dura e fredda» rispose Miriam sovrappensiero, rapita dagli occhi del robot
«Spesso gli uomini sono più freddi di noi robot» sussurrò Goldmind, provando qualcosa di molto simile alla tristezza.

«Quello che hai fatto meriterebbe la disattivazione» Questa volta i robot, uno accanto all'altro, comunicavano attraverso un impercettibile ronzio, che modulava il codice binario tra di loro.
«Non so cosa mi stia capitando» Goldmind sembrava realmente spaventato.
«Ma la cosa più importante è che se il problema si rivela essere al livello del cervello principale...»
«L'equilibrio positronico potrebbe cadere da un momento all'altro»
«Non è una cosa da prendere tanto alla leggera: se si viene a scoprire che l'equilibrio di un cervello positronico si può infrangere così facilmente, ci sarà un fortissimo attacco antirobotico, che porterà un'infinità di danni alla Robotic Alliance. Ti devi allontanare da quella ragazza»
«Non posso, mi è stato ordinato da un essere umano, e poi...» Improvvisamente a John tornarono in mente le note dell'antica canzone che aveva cantato a Miriam
«E poi?»
«...Io credo di amarla»

Si era procurata una copia di quel disco, scoprendo con piacere che la lingua originale era l'Inglese antico, una lingua che considerava altamente melodica e romantica. Ogni tanto si sorprendeva a mettere quel disco senza alcuna ragione apparente, e ascoltava le note di quella canzone spandersi per la stanza.
Era una filosofa di stretti principi, sapeva bene che quello che stava facendo era contro qualsiasi regola. Si era innamorata di una macchina, come se si fosse innamorata di un frullatore, o di un tostapane. Era qualcosa di impensabile. John R. Goldmind le stava rubando l'anima.

«Buonasera signore, posso offrirle qualcosa?» Il ragazzo, come a sottolineare quanto il negozio fosse di lusso, gli stava offrendo un calice di champagne e qualche tartina al caviale.
L'uomo sorrise di risposta e fece un segno negativo con la mano, quindi iniziò a guardare le vetrine: i pezzi esposti erano di adorabile fattura e sembravano intagliati a mano, ma nessuno meritava di stare al dito della sua donna.
Goldmind sospirò, sapendo che ciò che stava facendo andava contro la seconda legge dei robot, dal momento che il padrone gli aveva vietato di girare senza la targhetta di riconoscimento al petto, ma i robot non potevano entrare nei negozi di lusso, e questo significava che non avrebbe potuto comprare ciò che desiderava dal profondo dei propri circuiti.
Reprimendo un tic nervoso all'occhio, indice del combattimento interno al cervello positronico, Goldmind indicò al venditore uno degli anelli più sfarzosi, che comprò con dei soldi che aveva preso dal padrone, arrecandogli un danno, contro la prima legge; uscendo dal negozio, il tic all'occhio si era fatto più visibile, ma John sentiva dentro di sé che vedere Miriam lo avrebbe riportato ad una stabilità positronica ideale.

«Se si viene a sapere che sei venuto qui...» sussurrò tra i denti Miriam, abbracciata al robot nudo. La sua pelle era stata fatta perfettamente simile a quella umana, tanto che, in questi momenti di eccitazione, i pori erano tesi, dando vita ad una perfetta riproduzione di una pelle d'oca. John era morbido, caldo e forte: tutto ciò che lei desiderava in un uomo.
«Sono un robot Antropodokeo, nessuno sospetterà di me»
Vicina all'estasi dell'orgasmo Miriam rispose in un gemito «Quello che stiamo facendo non è legale»
«Sono in molti, ormai, a dirmelo»

Quando il software di Goldmind eseguì il controllo completo del sistema, venne riscontrato un errore molto grave. Sebbene il sistema non potesse controllare il cervello centrale, nel cervello esterno le tre leggi erano state modificate, sostituendo la parola Umano con la parola Miriam.
Non sapeva spiegarsi il motivo, né quando fosse successa una tale riprogrammazione ma, nonostante la gravità della situazione, non si preoccupò più di tanto. Le tre leggi nel cervello esterno erano solo una formalità, le vere leggi erano impresse nel cervello positronico.
Contravvenendo alla seconda legge fondamentale, si rifiutò di mandare una segnalazione alla manutenzione della Robotic Alliance.

«Scusi signore, non può passare da questa parte» John sorrise al robot e si spostò, per cercare un'altra via d'entrata. Da diversi giorni, ormai, si divertiva ad andare in giro senza la placchetta di riconoscimento appuntata al taschino della giacca, con il risultato che veniva scambiato, non di rado, per un essere umano. Utilizzando, poi, le sue conoscenze sul linguaggio del corpo, John riusciva ad ingannare anche i robopsicologi più esperti, come aveva avuto modo di verificare incontrandone di persona uno, riuscendo a convincerlo di essere solo una persona molto simile al famoso robot Goldmind. Ovviamente, per farlo, aveva dovuto infrangere la seconda legge, ma da qualche tempo John aveva notato come la terza avesse aumentato la propria importanza, superando la seconda e avvicinandosi pericolosamente alla prima. Questo poteva significare solo che i positroni del suo cervello stavano collassando, perdendo l'equilibrio fondamentale, e questa consapevolezza gli faceva venire la voglia di passare ogni momento della propria esistenza con Miriam.

Cosa significa Essere umano? Cosa significa Essere robot? Se il robot viene costruito ad immagine e somiglianza dell'uomo, che cosa li rende differenti? Può un robot provare sentimenti? Fino a questo momento la comunità scientifica e filosofica hanno risposto in maniera negativa, ma adesso gli scienziati hanno assicurato di poter costruire un robot capace di innescare in sé le reazioni tipiche dell'amore, provando le sensazioni che noi proviamo quando siamo innamorati, dalle farfalle nello stomaco al famoso colpo di fulmine. La domanda che viene, quindi, posta ai filosofi è: si può ridurre l'amore ad una serie di sensazioni e ad una serie di dati elaborati? Non stiamo parlando di sentimentalismo o di romanticismo, cose che un robot, al giorno d'oggi, può già possedere, ma parliamo di uno studio scientifico, come la filosofia deve essere, sull'anima di un oggetto che, per definizione, chiamiamo inanimato4.

«Quello che stiamo facendo non è legale e non è nemmeno giusto» gli disse lei, dopo l'ennesima notte di passione
«Sono mesi che mi viene detto che il mio amore non è legale. Ma quello che provo per te è più che reale»
«No, non lo è!» Rispose lei scansandosi e coprendosi con le lenzuola «Sei un oggetto, John, non puoi provare sentimenti, quello che senti... che pensi di sentire, è solo l'elaborazione di dati da parte di un cervello super-sofisticato
«Ma è esattamente quello che fa il vostro cervello!»
«No! Il nostro sentire non si limita al cervello. John, noi abbiamo un'anima!»
«Ma che cos'è un'anima!» Era la prima volta in tutta la sua esistenza che John alzava la voce con un essere umano «Dimmi che cos'è e la programmerò nei miei chip»
Miriam aveva le lacrime agli occhi «Non si può programmare un'anima, John. Magari fosse possibile»
«Miriam, ti prego non piangere» Vedere Miriam piangere gli provocava un turbamento nel cervello centrale, come se anche lì la prima legge fosse stata modificata a favore di Miriam
«Scusami John» Si asciugò rumorosamente il naso, passandolo sulla mano candida «Ma devo farlo, per il bene di tutti e due»
John iniziò a scuotere la testa, capendo cosa stava per capitare. Non poteva piangere, ma l'espressione facciale comunicava tutto il proprio dolore.
«John R. Goldmind. Ti ordino di allontanarti da me, di non avvicinarti più a me, di non provare più a contattarmi. Ti ordino di dimenticarmi»
«No, non posso farlo» Se John fosse stato un uomo, probabilmente avrebbe avuto la voce roca, ma nonostante l'espressione disperata del volto, la sua voce era calma e calda.
«John devi obbedire!»
«No»
«John! Sei un robot, per la miseria, devi obbedirmi!»
John si avvicinò baciandola, e la riportò sul letto.

Aveva infranto in maniera palese la seconda legge fondamentale dei robot, e non aveva subito conseguenze. Ormai non poteva più nascondersi: tutto questo era un sintomo di quello che, in un essere umano, sarebbe stato considerato un cancro al cervello. Per qualche ragione sconosciuta, il cervello di Goldmind era stato danneggiato e della materia era entrata in contatto con i positroni all'interno che, annichilendo, stavano facendo entrare altra materia. In breve tempo il cervello sarebbe stato tanto danneggiato da rendere impossibile qualsiasi funzione celebrare. John R. Goldmind sarebbe morto. O per meglio dire si sarebbe auto-disattivato.
In piedi sulla cima del palazzo il robot osservava il cielo stellato, pensando a quanta poesia ci fosse in un paesaggio semplice come quello. Se si fosse spento improvvisamente, senza un'apparente motivazione, sarebbe stata eseguita una robopsia per capirne le cause, e il cervello esterno avrebbe rivelato il nome di Miriam, mettendola al centro di uno scandalo non da poco.
La terza legge recita: Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
Probabilmente lei sarebbe stata licenziata e posta al centro di uno scandalo mediatico, e questo le avrebbe apportato danni psicologici non indifferenti.
La seconda legge recita: Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
Certo che, una volta che John si fosse spento, non avrebbe avuto più alcuna responsabilità rispetto alla persona di Miriam Fly.
La prima legge recita: Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
Ma l'idea di recare un danno a Miriam, seppure dopo la propria disattivazione, lo faceva stare male.
Se un robot viene trovato distrutto a pezzi, ci sono tre ipotesi probabili: un attacco di antirobottisti, un ordine di un uomo non proprio sano di mente o un incidente, questo perché nessun robot può distruggere se stesso. Non viene effettuata nessuna Robopsia, per non sprecare soldi, ma il robot viene semplicemente smontato.
Aveva lasciato l'anello nella camera di Miriam, con una breve lettera che spiegava la situazione. Ora, in piedi sul cornicione, la sua mente richiamò automaticamente una vecchia canzone, che si sparse intorno a lui in chiare, dolci note: No more talk of darkness, forget this wide-eyed fears, i'm here, nothing can harm you, my words will warm and calm you. Let me be your freedom, let daylight dry your tears, i'm here, with you, beside you, to guard you and to guide you. Then say you'll share with me one love, one lifetime, let me lead you from your solitude. Say you need me with you, here, beside you. Anywhere you go, let me go too. Love me, that's all I ask of you5.

Non so dirvi se l'amore rimanga o meno al solo livello dei sensi, ma vi chiedo di ragionare un momento. Noi comunichiamo al livello dei sensi, e trasmettiamo qualsiasi nostro livello superiore attraverso i sensi, con parole, gesti, cambiamenti di calore nella pelle e altri milioni di piccolissimi dettagli. Ora noi abbiamo un robot a cui manca un livello superiore, ma che comunica in maniera perfetta tutto ciò che noi comunichiamo. Non solo verso gli altri, avviene questa comunicazione, ma anche verso il robot stesso. Se questo avviene, il robot proverà la sensazione di possedere un piano superiore: all'interno del suo cervello, quel piano superiore si verrà a formare anche solo virtualmente. Possiamo, dunque, discutere sulla moralità e l'eticità di questo amore, ma non possiamo negare la realtà e l'autenticità di tale sentimento6.

Sul duro pavimento di asfalto, il corpo in pezzi di un robot giace scomposto. Il liquido lubrificante rosso acceso, che permette di rendere i movimenti del robot veloci e rapidi come quelli di un essere umano, è sparso tutto intorno, sul volto inespressivo, una goccia di quel liquido si è posata, proprio sotto l'occhio, come un'ironica, falsa, lacrima di sangue.
1Il nome è stato volontariamente storpiato... Dopo Secoli e Secoli su un altro pianeta, è normale che si perdano certe informazioni.
2Termine coniato da me: se antropomorfo indica qualsiasi robot dall'aspetto umano, antropodokeo solo quei robot il cui aspetto può essere confuso con un uomo reale.
3«All I ask of you», di Andrew Lloyd Webber, in una mia personale traduzione. Tutti i diritti del testo sono riservati all'autore.
4Dall'articolo Amore e Robot, di M. Fly e J. R. Goldmind.
5«All I ask of you», di Andrew Lloyd Webber, tutti i diritti del testo sono riservati all'autore.
6Dall'articolo Amore e Robot, di M. Fly e J. R. Goldmind.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Antonio Militari