Contro natura
Aracne sorride come fa
sempre, come sorride alle altre fanciulle, alle donne esperte e
capaci, a se stessa mentre esercita la sua arte. È un misto di
modestia, orgoglio e imbarazzo quello che le illumina il volto. Il
sorriso di chi conosce le proprie abilità e non sempre ama
mostrarle.
La ragazza ride fiera
della sua opera, a tal punto ben fatta da sfiorare la perfezione
degli dèi.
È una scena d'Olimpo
quella che sta rifinendo, aggiungendo dettagli secondo il suo gusto.
«È stata Atena la tua
maestra, fanciulla?» domanda la ninfa che l'accompagna, senza
distogliere gli occhi dalla tela, senza vedere il solito sorriso di
Aracne tinteggiarsi di disappunto.
Prende tempo, Aracne, e
sembra che rifletta sulla risposta da dare; invece sta
razionalizzando una fitta di frustrazione e sta cancellando la
smorfia sgraziata che le ha appena disegnato le labbra.
«No. Questo è il mio
talento. La dea dagli occhi lucenti non ha mai interferito.»
Sorride di nuovo
normalmente mentre aggiunge: «In una gara sono certa che la
supererei.»
La ninfa non guarda più
la tela, ma sposta l'attenzione su Aracne che ride al vento che le
intreccia i capelli. Negli occhi ha il timore, sulla bocca
un'ammonizione tardiva che resta taciuta.
L'unico rumore che spezza
l'improvviso silenzio è il verso sinistro di una civetta dal
piumaggio brillante che s'invola celere.
Atena non si aspettava di
doversi ricredere sulla resa della fanciulla che ora si stringe nel
peplo e la osserva nel tentativo di capire i suoi pensieri. O i suoi
sentimenti, ma il cuore della dea è freddo, statico, rigido.
Gli occhi splendenti
passano in rassegna ogni filo, ogni nodo, ogni tratto della tela. È
quasi irrazionale il modo in cui ella si convince sempre di più che
debba esserci un errore. Ancor più atipica è la scelta di creare
con la sua mente un'imperfezione nella struttura delle scene d'amore
rappresentate.
Il vaglio della ragione,
tuttavia, non dà scampo alla realtà: la tela di Aracne è bella, è
perfetta, è degna non di un'umana, ma della protettrice stessa
dell'arte.
La consapevolezza le fa
spostare lo sguardo sulla sua opera per non trovare differenza con
l'altra.
Aracne ancora non si
muove, paralizzata dalla curiosità, fiera di essere inattaccabile.
Atena la fissa negli occhi e vi legge la vittoria.
È questo il momento in
cui il cuore della dea si scalda.
Ora Atena conosce
l'invidia.
Scaglia l'elmo con furia
contro la tela di Aracne, assaporando il rumore dei fili strappati,
lo stupore che sostituisce la curiosità dagli occhi della fanciulla,
e non si preoccupa di non sembrare brutta quando, nell'impeto, gonfia
le guance¹.
Ora Atena conosce la
vergogna.
«Sei maledetta, Aracne.»
avverte, di nuovo calma. «Ragno.»
Gli occhi ormai composti
di Aracne continuano a guardarla con meraviglia: la fanciulla non si
è ancora accorta del prodigio.
«Si nasconde?» osa
Aracne.
La civetta, candidamente,
tace.
«Atena t'invia a
controllare l'opera, forse? Ella non ne ricava guadagno.»
«Aracne, dovresti
tessere la tua tela, non trame di infondate verità.»
Gli occhi del ragno
riflettono l'ultimo intenso sole, addossandosi sfumature guizzanti,
irrisorie.
«Riferisci: questa bella
mia arte verrà distrutta dagli umani. Il suo volere si compie
costantemente. Ti sembra verità infondata?»
«Mi sembra un'attitudine
ordinaria: l'uomo è distruttore delle cose della natura.»
«Assumi che, avendomi
fatto questo, la dea sia... contro natura?»
La civetta freme nel
piumaggio lucido.
«Non sei più dialettica
di me, vedo. Penerò anche per questo, nottola?»
L'uccello la occhieggia
penetrante prima d'alzarsi in volo contro il sole quasi tramontato².
Note:
[1] Riferimento
all'incontro tra il dio Pan e Atena, nel quale la dea, suonando il
flauto di Pan, inorridisce nel vedere le sue guance deformate, tanto
da scagliare via lo strumento.
[2]:
Tributo alla filosofia hegeliana. La nottola di Minerva è, infatti,
una metafora che Hegel usa per descrivere l'unico strumento che
l'uomo ha per capire la realtà, cioè la filosofia, che, però,
giunge in suo soccorso troppo tardi, quando ormai l'Assoluto ha
modificato i suoi connotati e le sue connessioni; allo stesso modo,
l'uccello sacro ad Atena si alza in volo solo quando la giornata è
terminata, ossia al crepuscolo.
Angolo
dell'autrice. Se questo titolo non vi è nuovo,
è comprensibile:
ho pubblicato qualche mese solo l'ultima parte di questa storia che
avevo in mente. In onore del giornalino scolastico del mio Liceo che
dà spazio
anche a lavori di narrativa accanto ai tradizionali articoli, ho
deciso di rivisitare l'argomento del testo cercando di dare uno
sguardo anche a ciò che è accaduto prima della
trasformazione e a come Atena si sia fatta preda delle emozioni
nonostante la sua natura.
Questo è ciò che è venuto fuori e ho deciso di
ricondividerlo con
la sezione!
Grazie
di cuore a tutti coloro che hanno deciso di aprire questa storia, a
coloro che l'hanno letta e a coloro che vorranno passare per lasciare
un commento!
Alla
prossima,
Menade Danzante