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Autore: Menade Danzante    28/04/2016    2 recensioni
[Storia revisionata e ampliata]
Della fenomenologia dei sentimenti nella dea della Ragione.
Di come Aracne fu una donna, una vincitrice e poi un ragno.
Di come la natura può cambiare i suoi significati.
Dal testo: «No. Questo è il mio talento. La dea dagli occhi lucenti non ha mai interferito.»
Sorride di nuovo normalmente mentre aggiunge: «In una gara sono certa che la supererei.»
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Atena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Contro natura





Aracne sorride come fa sempre, come sorride alle altre fanciulle, alle donne esperte e capaci, a se stessa mentre esercita la sua arte. È un misto di modestia, orgoglio e imbarazzo quello che le illumina il volto. Il sorriso di chi conosce le proprie abilità e non sempre ama mostrarle.
La ragazza ride fiera della sua opera, a tal punto ben fatta da sfiorare la perfezione degli dèi.
È una scena d'Olimpo quella che sta rifinendo, aggiungendo dettagli secondo il suo gusto.
«È stata Atena la tua maestra, fanciulla?» domanda la ninfa che l'accompagna, senza distogliere gli occhi dalla tela, senza vedere il solito sorriso di Aracne tinteggiarsi di disappunto.
Prende tempo, Aracne, e sembra che rifletta sulla risposta da dare; invece sta razionalizzando una fitta di frustrazione e sta cancellando la smorfia sgraziata che le ha appena disegnato le labbra.
«No. Questo è il mio talento. La dea dagli occhi lucenti non ha mai interferito.»
Sorride di nuovo normalmente mentre aggiunge: «In una gara sono certa che la supererei.»
La ninfa non guarda più la tela, ma sposta l'attenzione su Aracne che ride al vento che le intreccia i capelli. Negli occhi ha il timore, sulla bocca un'ammonizione tardiva che resta taciuta.
L'unico rumore che spezza l'improvviso silenzio è il verso sinistro di una civetta dal piumaggio brillante che s'invola celere.


Atena non si aspettava di doversi ricredere sulla resa della fanciulla che ora si stringe nel peplo e la osserva nel tentativo di capire i suoi pensieri. O i suoi sentimenti, ma il cuore della dea è freddo, statico, rigido.
Gli occhi splendenti passano in rassegna ogni filo, ogni nodo, ogni tratto della tela. È quasi irrazionale il modo in cui ella si convince sempre di più che debba esserci un errore. Ancor più atipica è la scelta di creare con la sua mente un'imperfezione nella struttura delle scene d'amore rappresentate.
Il vaglio della ragione, tuttavia, non dà scampo alla realtà: la tela di Aracne è bella, è perfetta, è degna non di un'umana, ma della protettrice stessa dell'arte.
La consapevolezza le fa spostare lo sguardo sulla sua opera per non trovare differenza con l'altra.
Aracne ancora non si muove, paralizzata dalla curiosità, fiera di essere inattaccabile. Atena la fissa negli occhi e vi legge la vittoria.
È questo il momento in cui il cuore della dea si scalda.
Ora Atena conosce l'invidia.
Scaglia l'elmo con furia contro la tela di Aracne, assaporando il rumore dei fili strappati, lo stupore che sostituisce la curiosità dagli occhi della fanciulla, e non si preoccupa di non sembrare brutta quando, nell'impeto, gonfia le guance¹.
Ora Atena conosce la vergogna.
«Sei maledetta, Aracne.» avverte, di nuovo calma. «Ragno
Gli occhi ormai composti di Aracne continuano a guardarla con meraviglia: la fanciulla non si è ancora accorta del prodigio.


«Si nasconde?» osa Aracne.
La civetta, candidamente, tace.
«Atena t'invia a controllare l'opera, forse? Ella non ne ricava guadagno.»
«Aracne, dovresti tessere la tua tela, non trame di infondate verità.»
Gli occhi del ragno riflettono l'ultimo intenso sole, addossandosi sfumature guizzanti, irrisorie.
«Riferisci: questa bella mia arte verrà distrutta dagli umani. Il suo volere si compie costantemente. Ti sembra verità infondata?»
«Mi sembra un'attitudine ordinaria: l'uomo è distruttore delle cose della natura.»
«Assumi che, avendomi fatto questo, la dea sia... contro natura
La civetta freme nel piumaggio lucido.
«Non sei più dialettica di me, vedo. Penerò anche per questo, nottola
L'uccello la occhieggia penetrante prima d'alzarsi in volo contro il sole quasi tramontato².







Note:

[1] Riferimento all'incontro tra il dio Pan e Atena, nel quale la dea, suonando il flauto di Pan, inorridisce nel vedere le sue guance deformate, tanto da scagliare via lo strumento.
[2]: Tributo alla filosofia hegeliana. La nottola di Minerva è, infatti, una metafora che Hegel usa per descrivere l'unico strumento che l'uomo ha per capire la realtà, cioè la filosofia, che, però, giunge in suo soccorso troppo tardi, quando ormai l'Assoluto ha modificato i suoi connotati e le sue connessioni; allo stesso modo, l'uccello sacro ad Atena si alza in volo solo quando la giornata è terminata, ossia al crepuscolo.




Angolo dell'autrice. Se questo titolo non vi è nuovo, è comprensibile: ho pubblicato qualche mese solo l'ultima parte di questa storia che avevo in mente. In onore del giornalino scolastico del mio Liceo che dà spazio anche a lavori di narrativa accanto ai tradizionali articoli, ho deciso di rivisitare l'argomento del testo cercando di dare uno sguardo anche a ciò che è accaduto prima della trasformazione e a come Atena si sia fatta preda delle emozioni nonostante la sua natura. Questo è ciò che è venuto fuori e ho deciso di ricondividerlo con la sezione!
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno deciso di aprire questa storia, a coloro che l'hanno letta e a coloro che vorranno passare per lasciare un commento!
Alla prossima,

Menade Danzante

   
 
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