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Autore: LadyLigeia07    28/04/2016    1 recensioni
Una storia d'amore e un mistero nella Londra vittoriana ai tempi del processo ad Oscar Wilde. Che cosa si nasconde nel passato del visconte Asami Ryuichi?
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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“L’amore che non osa pronunciare il proprio nome”

(The love that dare not speak its name)

-Fanfiction-

Note:

-Il titolo di quest’opera è tratto dalla poesia di Lord Alfred Douglas: “Two Loves”.

-Tutti i personaggi tratti dalla vita reale sono stati trattati con profondo rispetto.

-I personaggi: Asami Ryuichi, Takaba Akihito, Liu Feilong, Liu Yan Tsui, Mikhail Arbatov, Yoh; appartengono all’autrice Yamane Ayano (The Finder series).

-Fonti d’ispirazione sono state le seguenti opere di Oscar Wilde: “Il ritratto di Dorian Gray”, “L’usignolo e la rosa”; ed è stata menzionata/citata: “La Ballata del carcere di Reading”.

-È stata anche citata/menzionata la poesia di Baudelaire: “Il gatto” (I fiori del male).

-Un’altra fonte d’ispirazione è stata anche l’opera: “Un carnet de Bal” dell’autrice Nitta Youka.

-John Gray era un poeta e non un pittore.

-Il cognome “Westenra” è stato preso in prestito da un personaggio di “Dracula” - Bram Stoker.

-Per le fonti storiche ho usato Wikipedia.

 

V

Io non so se le Leggi sono giuste

o se le Leggi sono ingiuste;

tutto ciò che sappiamo noi che languiamo in un carcere

è che le mura sono troppo alte;

e che ogni giorno è lungo come un anno,

un anno i cui giorni sono lunghi.

(Da: “La Ballata del carcere di Reading”)

 

V

I know not whether Laws be right,

Or whether Laws be wrong;

All that we know who lie in gaol

Is that the wall is strong;

And that each day is like a year,

A year whose days are long.

(From: “The Ballad of Reading Gaol”)

 

I parte

 

Era il tardo pomeriggio di un giorno di primavera tanto splendido come non se ne vedeva uno così da tempo. Quell’uomo, dai bellissimi tratti orientali, guardava dalla finestra della sua camera e pensava, felice, a quanto era stato fortunato negli ultimi due anni della sua vita. Qualche volta, quando si trovava di umore meditabondo, riusciva a pensare con un misto di nostalgia e di amarezza alla persona che adesso gli permetteva di vivere con serenità. La sua mente tornava a quei giorni in cui aveva conosciuto casualmente quel nobiluomo giapponese che avrebbe cambiato per sempre il significato della sua vita: Una vita fatta di crudeltà, umiliazioni e privazioni. Era stato tutto un sogno? si chiedeva a volte nel buio della sua stanza prima di addormentarsi. Anche il quel momento, mentre riempiva d’acqua la vasca di ghisa smaltata nel suo bagno privato, si chiedeva se un giorno sarebbe riuscito a dimenticare quell’uomo. Quegli attimi di riflessione gli stappavano un sorriso amaro. Si chiedeva se quell’uomo sarebbe un giorno tornato da lui, per amarlo, come una volta, quando gli aveva promesso che si sarebbe preso cura di lui. Non poteva negare a se stesso di amarlo ancora.

Una volta che ebbe finito di riempire la vasca con dell’acqua tiepida, prese uno sgabello dalla cucina e lo trascinò in bagno. Quel giorno aveva voglia di assaggiare una prelibatezza tipicamente occidentale e prese dalla sua dispensa una bottiglia di assenzio dalla marca rinomata, e preparò la mistura secondo i saggi consigli degli scrittori del tempo: dentro una piccola coppa trasparente ci mise uno schizzo di assenzio, sopra la coppa mise un cucchiaio forato con una zolletta di zucchero e ci aggiunse qualche goccia di laudano da una bottiglietta che teneva nella cassetta dei medicinali della sua stanza da bagno. Fece scorrere attraverso il cucchiaio uno schizzo di acqua gelata che aveva portato in un bicchiere, ed infine aveva appoggiato il tutto sullo sgabello e si era tolto la sua vestaglia di seta. Un attimo prima d’immergersi nelle acque profumate con dei sali francesi, aveva mischiato con cura la bevanda dentro la coppa.

Una volta dentro la vasca, socchiuse gli occhi per ricordare meglio quei tempi andati che sarebbero rimasti per sempre nella sua memoria fino alla fine dei suoi giorni. Osservando la lampadina accesa che illuminava il suo bagno, si rese conto che la droga iniziava a fare il suo effetto. Era come immergersi in un lungo e lucido sogno ad occhi aperti, senza tempo e senza spazio. Le sensazioni diventavano eterne ed incommensurabili. Quel bellissimo uomo avrebbe desiderato che quell’esperienza non finisse mai. Per mezzo di essa egli avrebbe continuato ad immaginare e a sognare l’unico uomo che avrebbe amato per l’eternità.

***

Era un tiepido pomeriggio di primavera quando un giornalista di origine per metà inglese e per metà giapponese passeggiava lungo le rive del Tamigi e si rendeva conto di quanto amasse la città di Londra, nonostante le sue numerose contraddizioni ed i pregiudizi della sua gente. Nonostante fossero molti anni che viveva in quella città, non riusciva ancora ad abituarsi allo sguardo di curiosità delle persone: quando veniva presentato a qualcuno, indipendentemente dallo status sociale di quella persona, invariabilmente veniva guardato con diffidenza o dubbio. Alcune persone proprio non sapevano come rivolgersi a lui, era come se si chiedessero se fosse il caso di trattarlo come un gentiluomo inglese o di usare l’approccio poco conciliante che di solito si usa con uno straniero. Nonostante i tratti orientali del suo viso fossero ammorbiditi dall’eredità materna, non riusciva ad evitare di essere guardato almeno con curiosità e perfino, a volte, con poco rispetto.

Si ricordava ancora, quando viveva nella città di Tokyo in compagnia di sua madre e di suo padre nella sua casa natale, dei giorni felici della sua infanzia. I suoi genitori erano figli di ricchi mercanti e, nonostante le differenze razziali e culturali, si erano sposati per amore dando uno schiaffo ai pregiudizi dei propri parenti. Sua madre, Jane, si era adattata egregiamente ai costumi giapponesi e si comportava sempre in maniera decorosa con i parenti di suo marito e con gli amici di famiglia. Riusciva persino a portare un kimono con molta grazia ed a fare gli onori da padrona di casa preparando il tè per gli ospiti.

Quel giorno, lungo il Tamigi, Akihito ricordò i profumi ed il calore della sua casa durante le giornate di primavera, e non poté impedire che alcune lacrime inondassero i suoi occhi scuri ed un’espressione di tristezza incurvasse le sue labbra sottili. Forse era meglio, pensò, non cedere alla nostalgia.

Di lì a poco sarebbe dovuto tornare nella sua camera in affitto. Egli aveva affittato una camera ammobiliata in un classico quartiere della classe media presso la villetta dove viveva un notaio: Anthony Nelson. Egli, non avendo figli ed essendo rimasto vedovo alcuni anni prima, aveva deciso di affittare una stanza a uno studente o a un lavoratore che avesse un impiego confacente alle caratteristiche che egli considerava degne di una persona perbene. All’inizio, nonostante le raccomandazioni dei suoi datori di lavoro, il giovane aveva fatto fatica a trovare un luogo nel quale vivere.

Akihito lavorava presso il “Golden Herald”, un giornale che si occupava prevalentemente di fatti di cronaca e di resoconti di riunioni mondane. Il giornale, sebbene non di prestigio, aveva un buon picco di vendite nei giorni dopo un ballo di gala o dopo la prima teatrale di qualche opera importante. Questo gli aveva permesso di entrare in contatto con il bel mondo dell’alta società londinese. Sorrise nel ricordare la prima volta che aveva visto quell’uomo dall’aria così misteriosa e affascinante una notte durante il ballo dato nella casa di Lady Westenra in una delle zone migliori del West End.

Una volta da solo nella sua stanza ammobiliata, Akihito aprì la finestra della sua camera. Gli piaceva guardare fuori verso il tramonto nei giorni in cui riusciva a finire presto di lavorare. Rimase per un po’a guardare le case dei dintorni ed i loro piccoli giardini. Gli piaceva respirare l’aria carica dei profumi della primavera.

Poco dopo qualcuno suonò alla sua porta: era la cameriera del signor Nelson, Ida, essa aveva in mano il vassoio con la sua cena. Rimasto di nuovo da solo, il giovane disse a se stesso che la mattina seguente era uno dei giorni più importanti per la sua carriera di giornalista. Il giorno dopo si sarebbe tenuto il secondo processo che vedeva coinvolti lo scrittore irlandese Oscar Wilde ed il marchese di Queensberry. Con una grande mossa da parte del suo avvocato, il marchese era riuscito a rovesciare le sorti che lo vedevano come imputato nel caso di calunnia contro il famoso scrittore, adesso era Wilde che doveva difendersi dall’accusa di sodomia e atti contro la morale nell’atmosfera rigida dell’epoca vittoriana. Le mani del giornalista tremarono al pensiero di quello che l’artista avrebbe dovuto affrontare il giorno seguente. Il marchese era riuscito a stanare tutti i giovani che avevano intrattenuto una presunta relazione di tipo omosessuale con lo scrittore, ed il giovane giornalista temeva che qualcuno di essi si lasciasse sfuggire alcuni dei nomi dei loro clienti. Anche Alfred Taylor sarebbe stato portato davanti alla corte il giorno seguente per aver fatto della sua casa al numero 13 di Little College Street, un luogo di incontri tra uomini della buona società londinese e giovani marchettari di bel aspetto. Bastava che uno di quei giovani si lasciasse sfuggire il nome di una persona che Akihito conosceva intimamente, perché la vita del giovane dal cuore sincero e dalle belle speranze crollasse per sempre.

Quella notte, nel suo letto, Akihito continuava a muoversi senza riuscire a prendere sonno. Qualcuno gli aveva consigliato l’uso del laudano quando si trovava in quelle condizioni, ma lui sapeva che un simile rimedio poteva procurare una rapida assuefazione nelle persone che ne facevano uso, e non voleva ricorrervi. Quella notte, mentre sembrava che il sonno ristoratore non dovesse arrivare mai, il giovane si ricordò del viaggio che aveva compiuto verso il Vecchio Mondo a soli dieci anni. Fino a quel momento suo padre l’aveva fatto educare in casa con l’aiuto di un’istitutrice, come si addiceva ai giovani delle buone famiglie europee i cui costumi egli ammirava tanto. La sua maestra, una ragazza per metà cinese e per metà giapponese, gli aveva insegnato i rudimenti del cinese mandarino e qualcosa del dialetto cantonese. Questo gli si era rivelato molto utile, quando, una volta finiti gli studi, il giovane era andato alla ricerca di lavoro. Uno dei suoi primi incarichi l’ottenne andando a fare un’indagine in una delle fumerie d’oppio che si trovava in uno dei quartieri più disastrati della zona vicino al porto di Londra. Egli era rimasto inorridito nel vedere quella casa fatiscente dal soffitto basso in cui c’erano alcune persone sdraiate su dei materassi a terra, le quali sembravano essersi straniate dal mondo mentre fumavano dell’oppio usando lunghe pipe. I clienti erano per lo più operai delle fabbriche o marinai del porto. Akihito, comunque, fece fatica a capire quello che dicevano i gestori del posto. Probabilmente perché si trattava del dialetto cantonese, in genere una buona parte degli immigrati cinesi proveniva dalle zone in cui si parlava quel dialetto. Akihito uscì completamente frastornato da quell’esperienza. Non aveva mai fumato dell’oppio in vita sua e gli effetti erano quanto di più strano egli avesse mai provato.

Il giovane si girò dall’altra parte del letto e allungando il braccio accese la lampada che si trovava sul comodino alla sua sinistra. Guardò la sveglia: erano le due di notte. In quel momento il giovane si ricordò di quella vecchia abitudine di sua madre di contare le pecore quando non riusciva a dormire e sorrise.

Ricordava di quando circa due settimane dopo essere partito dal Giappone, la nave nella quale egli aveva compiuto il suo viaggio verso l’Europa attraccò nel porto di Londra. Il viaggio era stato lungo e pesante, ma molti momenti di cupa tristezza ancora lo attendevano. Si ritrovò da solo in uno dei collegi più prestigiosi della città sotto lo sguardo arcigno di gelidi insegnanti e lo sguardo incuriosito, e a volte poco amichevole, degli altri bambini. Aveva pianto numerosi notti nella stanza che condivideva con altri allievi, ingoiando le sue lacrime in silenzio e pensando, con infinita malinconia, ai suoi genitori e alla sua patria lontana.

A suo vantaggio, si può dire, il giovane aveva il fatto di non essere digiuno in inglese come molti altri studenti che arrivavano da terre lontane.

Suo padre aveva provveduto a procurargli una buona e solida istruzione, ma si era dimenticato, come molti altri padri, che non solo della propria istruzione vive un uomo, ma anche dell’affetto dei propri cari.

Una volta finiti gli studi, il giovane aveva fatto fatica a trovare un posto dove lo volessero assumere. Sebbene avesse incominciato come libero professionista, egli ambiva a trovare un lavoro stabile che gli permettesse di vivere decorosamente. Rispondendo alle sue lettere, suo padre gli aveva fatto capire che poteva contribuire a pagare la maggior parte delle sue spese. ‘Potresti permetterti un bell’appartamento in una delle zone più belle della città’, aveva scritto, ma Akihito aveva preferito declinare gentilmente quell’offerta. Voleva essere un uomo indipendente.

Nei numerosi colloqui di lavoro che fece quando cercava di sistemarsi attraverso la sua professione, il giovane era incappato in tutti i generi possibili e immaginabili di direttori di giornali. Alcuni appena lo vedevano gli dicevano che il posto era già stato dato a qualcun altro. Altri lo fissavano con impertinenza, c’era stato perfino uno che gli aveva chiesto che origini avessero i suoi genitori e se erano sposati quando lui era nato. Quelle interviste l’avevano ferito profondamente, finché non era incappato nel direttore del Golden Herald. L’uomo aveva capito dal curriculum del giovane che egli era in grado di parlare più di una lingua in maniera fluida e che aveva fatto un bel po’ di esperienza sul campo; aveva anche esaminato, con delicatezza, altre caratteristiche della sua persona: il modo consono nel vestire e l’aria rispettabile, e gli aveva subito offerto il posto vacante.

Verso le tre del mattino, Akihito riuscì a prendere sonno. Poco prima di addormentarsi gli si presentarono alla mente alcune immagini della festa che si era tenuta in casa di Lady Westenra. Il pavimento del salotto sembrava essere stato lucidato a nuovo ed un lampadario di cristallo pendeva dal soffitto. Gli uomini e le donne erano vestiti con grande eleganza. I signori portavano finissimi completi oscuri, cravattini bianchi e panciotti dello stesso colore. Le giacche avevano la coda e le camicie erano bianche con i polsini ornati da gemelli d’oro. Le signore indossavano vestiti di seta dalle tinte pastello le cui falde erano tese con delle crinoline. Portavano pettinature elaborate e fiori e nastri tra i capelli. Esse avevano tra le mani i loro carnet da ballo ed i loro ventagli fatti di piume di struzzo con il manico di madreperla.

Quella sera si era presentato alla festa dopo che, nei giorni precedenti, il direttore del suo giornale gli aveva consegnato l’invito ricevuto dalle mani di Lady Westenra, una ricca nobildonna di mezza età. Il giovane era arrivato quella sera puntualmente. Davanti alla porta era apparsa la padrona di casa accompagnata dalla cameriera che aveva il compito di prendere in consegna i soprabiti, i cappelli ed i bastoni da passeggio degli invitati alla festa.

La signora gli sorrise e l’accompagnò lungo il corridoio che portava alla sala da ballo. Ella indossava un vestito color pesca ed una vistosa collana d’oro. Lungo il corridoio gli parlò del più e del meno, gli disse, con un ampio sorriso: “Spero, signor Takaba, che scriverà un bell’articolo per il suo giornale su questa mia piccola riunione. Oggi abbiamo la visita del figlio di un conte venuto dall’estero”, e subito dopo, usando in maniera delicata il suo ventaglio per indicare un angolo della grande sala, continuò: “Vede quell’uomo alto e biondo che sta discorrendo con quel gentiluomo dai tratti orientali? È proprio lui, il figlio maggiore del conte Arbatov, Mikhail.” Akihito, di riflesso, guardò subito in quella direzione e vide due giovani con le loro coppe in mano che parlavano. L’uomo dai “tratti orientali” sembrava un visconte giapponese di cui aveva sentito parlare nelle cronache mondane di altri giornali. Egli era un uomo vestito con un gusto squisito e che dimostrava meno dei suoi trentacinque anni. Il nobiluomo non si era ancora accorto che la padrona di casa si stava avvicinando nella loro direzione e aveva continuato il suo discorso con il figlio del conte russo. All’improvviso, aveva messo una mano nella tasca della sua giacca per estrarre un astuccio di argento che conteneva dei biglietti da visita. Con un gesto molto elegante prese uno di questi e lo consegnò al nobile russo. Lady Westenra arrivò tutta sorrisi in quel momento e, congiungendo le mani, chiese scusa per l’interruzione e presentò ai due giovani il giornalista del Golden Herald.

Akihito, sorrise di nuovo ricordando il suo primo impatto con il visconte Ryuichi Asami. Poco dopo si addormentò.

Il giorno dopo, il giovane dovette alzarsi controvoglia mentre la sveglia squillava a più non posso perché doveva recarsi nella sala di corte dove si sarebbe tenuto il secondo processo che vedeva coinvolto Oscar Wilde, questa volta nella parte dell’accusato.

Akihito arrivò trafelato nella sala dove si sarebbe svolto il processo. Egli aveva un posto assegnato nei banchi destinati ai giornalisti e una volta che gli indicarono il suo posto si girò a guardare una persona che lui conosceva, si trattava del giornalista di origini canadesi Robert Ross, suo amico, e lo salutò con un cenno del capo, alla maniera inglese.

La difesa di Wilde era stata assegnata all’avvocato Clarke, lo stesso che aveva condotto l’accusa contro il marchese di Queensberry. Wilde era rimasto detenuto nel carcere di Bow Street, non gli era stata concessa la libertà provvisoria. Il pubblico ministero incaricato dell’accusa, Charles Gill, si prese la briga di leggere davanti alla giuria e al pubblico che assisteva al processo, i versi di una poesia composta da Lord Alfred Douglas quando il giovane era ancora uno studente di Oxford, ed a un certo punto si rivolse a Wilde per chiedergli: Che cosa vuol dire ‘l’amore che non osa pronunciare il suo nome’? La risposta dello scrittore arrivò senza esitazioni: “L’amore che non osa dire il suo nome in questo secolo, è il grande affetto di un uomo anziano nei confronti di un giovane, lo stesso che esisteva tra Davide e Gionata, e che Platone mise alla base stessa della sua filosofia, lo stesso che si può trovare nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare…non c’è nulla di innaturale in tutto ciò.”

Il pubblico applaudì di fronte alla risposta dello scrittore. Akihito, seduto con il suo taccuino e la sua penna stilografica in mano, avrebbe voluto piangere. Il signor Oscar e lui, come molti altri, avevano lo stesso giro di amicizie, egli sapeva che lo scrittore trattava di proteggersi da accuse infamanti, da una possibile punizione indegna di un paese civile, ma lui sapeva come stavano veramente le cose. Lo sapeva da quel giorno in cui aveva iniziato una relazione molto intima e particolare con il visconte Asami. Loro conoscevano che cosa c’era tra Oscar Wilde ed il giovane Alfred Douglas, nel loro giro di amicizie non era un segreto per nessuno. Uno degli amici più intimi dello scrittore era stato il giornalista Robert Ross ed in seguito il pittore John Gray. Lo stesso Asami si era fatto fare un ritratto da quest’ultimo, il quale ornava una delle pareti del suo appartamento nel quartiere di Chelsea. Qualche volta, quando Akihito andava a fargli visita, rimaneva senza parole di fronte alla capacità che aveva avuto l’artista di estrapolare dagli indecifrabili lineamenti del suo raffinato amante la luce speciale che questo aveva nei suoi occhi. Tante volte Akihito aveva pensato a che cosa si potesse nascondere dietro a quello sguardo a volte misterioso e glaciale. Qual era il segreto che si nascondeva nel cuore di quell’uomo? si era chiesto tante volte. Sapeva molto poco del suo passato e della sua famiglia. Il visconte era rimasto per affari nella città di Londra e gli piaceva vivere lì, ma a parte questi piccoli particolari, il giovane giornalista ne sapeva ben poco.

Akihito non voleva piangere, mentre sentiva come a uno a uno i ragazzi che lo scrittore aveva frequentato in passato, venivano interrogati dal pubblico ministero. Vennero passati al setaccio le lettere che il marchese di Queensberry aveva conservato e nelle quali si parlava di come questo avesse cercato di mettere in guardia il figlio dalla sua amicizia con Wilde. Questo giocò molto in favore del padre, il quale aveva sempre avuto la fama di essere un uomo poco comprensivo, e perfino crudele, con i membri della sua famiglia.

La giuria decise solo per la non colpevolezza di uno dei ragazzi ascoltati. Visto che, alla fine, non si era giunti ad alcuna conclusione, il vice procuratore Lockwood chiese un nuovo processo.

Anche se temporaneamente libero, lo scrittore correva davvero il rischio di venire condannato. Alcuni dei suoi amici gli consigliarono di riparare, temporaneamente, all’estero. Intanto i teatri della città di Londra toglievano dai loro cartelloni il nome di Wilde. Tanti amici gli girarono le spalle e solo in pochi gli rimasero fedeli.

Durante il mese di maggio del’95 arrivò la sentenza definitiva. Il giudice Wills separò il processo dello scrittore da quello di Alfred Taylor. La giuria si espresse per la colpevolezza di Wilde. Il giudice emise la sentenza dopo aver detto che “Persone capaci di compiere simili cose sono chiaramente sorde ad ogni sentimento di vergogna. Questo è il peggior processo che io abbia mai presieduto”, e diede il massimo della pena: due anni di reclusione per entrambi gli imputati. Le persone in sala reagirono e insultarono lo scrittore. Wilde, visibilmente sconvolto e sul punto di svenire, venne praticamente trascinato via dalle guardie.

Akihito vide le lacrime sul viso di Robert Ross quella volta. Egli era stato uno dei pochi tra i presenti che si era alzato, nel momento in cui lo scrittore era passato davanti a lui, e si era tolto il cappello in segno di riconoscenza, affetto e rispetto.

Qualche tempo dopo, Akihito venne a sapere che Alfred Taylor era riuscito a fuggire negli Stati Uniti e che Wilde era stato trasferito nel carcere di Reading dove avrebbe scontato la maggior parte della pena inflittagli.

Il giorno seguente, il direttore del Golden Herald, Abbott Neill, chiese ad Akihito di procurarsi un appuntamento con Robert Ross e di andare a sentire il suo parere riguardo la sentenza dello scrittore. Akihito ottenne un appuntamento per il giorno seguente e si recò nella casa di Ross nella zona di Piccadilly verso le dieci del mattino.

Robert Ross lo ricevette in veste da camera, una cosa abbastanza inconsueta da parte sua, essendo egli di solito molto formale quando doveva rilasciare interviste. Una volta nel suo studio, Ross gli chiese se aveva intenzione di scrivere tutto quello che lui gli avrebbe detto. Akihito aveva considerato la questione del tutto fuori discussione. Rassicurò Ross che avrebbe solo scritto le cose che lui gli avrebbe autorizzato.

Il giornalista canadese era molto nervoso. Una volta che fece accomodare il suo ospite su una delle poltrone del suo studio, gli chiese se sapeva bene dei rischi ai quali molti di loro erano andati incontro in quei giorni. Akihito sapeva di che cosa stava parlando. Era stata una fortuna per tutti che alcuni dei ragazzi di Alfred Taylor si fossero rifiutati di testimoniare. Era un mondo a parte il loro, un mondo che sarebbe apparso indegno alla maggior parte dei beneducati inglesi. Uno dei ragazzi, Sean Stevens, aveva conosciuto Wilde attraverso John Gray, per il quale aveva posato come modello per alcuni dei suoi quadri. Quel ragazzo era ben conosciuto nel loro giro. Anche Ross aveva frequentato in passato la casa di Taylor e molti dei suoi conoscenti e amici avevano avuto appuntamenti da quelle parti: Lo stesso visconte Asami e il figlio del conte russo, Mikhail, facevano parte di quell’esclusivo circolo. Mikhail Arbatov, però, era stato il più furbo di tutti. Appena aveva sentito che aria tirava, già da prima dell’inizio del primo processo, si era fatto preparare le valigie ed era partito per un viaggio “di affari” a San Pietroburgo, chissà quando sarebbe tornato, semmai lo avrebbe fatto.

Akihito rimase allibito nel sentire Robbie Ross inveire contro Alfred Douglas. Lui, che di solito gli era parso così controllato. La sua avversione verso quel ragazzo era autentica e profonda. Attribuiva a lui tutti i mali e le disgrazie che gli erano capitate a Wilde dall’inizio della loro relazione. Egli era, agli occhi di Ross, solo un ragazzo viziato ed egoista che aveva trascinato lo scrittore verso quell’ orribile farsa del primo processo. L’artista non avrebbe mai dovuto intentare la causa per calunnia contro il marchese di Queensberry, era stata una follia sin dall’inizio, sapendo che cosa rischiava Oscar se si venivano a sapere i suoi giri. Cose personali e disdicevoli per la buona società vittoriana e che nulla avevano a che fare con le sue qualità artistiche e che si sapeva che potevano danneggiarlo irrimediabilmente. Con lo sguardo ancora costernato, Ross si rivolse al giovane giornalista:

“Dimmi che cosa dovrei fare io adesso? Per molto tempo si parlerà ancora di questa storia e non vorrei che prima o poi toccasse a qualcun altro di noi. Lo capisci, vero?”

Akihito capiva tutto perfettamente. Sapeva delle esperienze degli altri e del suo stesso amante presso i postriboli di soli uomini, ma si era sempre rifiutato di chiedere al visconte giapponese qualcosa riguardo a quelle esperienze. Akihito, per coloro che lo conoscevano, era una sorta di raro esemplare di onestà e purezza di pensiero. Forse era questo che aveva fatto provare al visconte Asami attrazione per lui. Qualche volta il giovane aveva pensato a questo. Si ricordava ancora della prima volta che era stato nell’appartamento dell’uomo. Egli lo aveva ricevuto con una coppa di buon vino e l’aveva fatto accomodare in salotto su un divano foderato di raso ricamato. Lo aveva guardato negli occhi prima di baciarlo e gli aveva detto: “Hai degli occhi infinitamente dolci e sinceri.” Questa affermazione l’aveva sconvolto profondamente. Il giovane non era abituato a ricevere gli elogi di un altro uomo e gli era anche sembrato che quello spontaneo apprezzamento nascondesse una sorta di malinconia, forse un triste e vecchio ricordo. Da quel momento, il giovane si sarebbe sentito prigioniero di quell’amore che non sarebbe riuscito a combattere e del quale non avrebbe mai potuto fare parola con nessuno, perché considerato proibito dalla società di quel tempo.

Quel pomeriggio, nel suo ufficio, Akihito scrisse l’articolo con i particolari della storia che Ross gli aveva autorizzato a scrivere. Londra era stata letteralmente subissata di articoli giornalistici che parlavano dello scrittore, dello scandalo, della condanna e della fine dell’estetismo come movimento artistico.

Hall Caine, scrittore e drammaturgo, rivoltosi a Coulson Kernahan, poeta, aveva commentato che si trattava di una tragedia per la storia della letteratura.

Verso sera, Akihito prese il suo cappello ed il suo bastone dall’attaccapanni che si trovava nel corridoio dell’ufficio del giornale, e si diresse verso casa. Il suo bastone era l’invidia dei suoi colleghi di lavoro. Esso aveva una bellissima impugnatura fatta di argento. Sorrise al ricordo delle circostanze che gli avevano permesso di entrare in possesso di quell’oggetto.

Alla fine del ballo che era stato dato da Lady Westenra nella sua villa, la cameriera gli aveva portato i suoi oggetti personali. Solo quando era già a casa, il giovane si era reso conto che quel bastone non era il suo. Nel disegno era somigliante, ma esso era fatto di un legno più fine e con una bellissima impugnatura di argento lavorato.

Il giorno dopo fece arrivare un messaggio a casa della nobile signora nel quale parlava dell’equivoco. La sera stessa, la domestica del signor Nelson gli portò nella sua camera una busta con un messaggio ed un biglietto da visita. Spiegò che era stato un gentiluomo a portarlo quel pomeriggio. Akihito si stupì nel leggere un messaggio scritto in giapponese. Il biglietto da visita era scritto, invece, in inglese. Si trattava del visconte Ryuichi Asami. Sul messaggio egli si scusava di essersi rivolto a lui usando la lingua del suo paese natale. “Spero che per Lei questo non rappresenti un problema,” aveva scritto.

Sul messaggio faceva presente al giovane che, per via di un errore, la cameriera di Lady Westenra aveva scambiato i loro bastoni da passeggio. Verso la fine del messaggio egli lo informava che, se per il giovane non era un problema, poteva tenersi il suo bastone. “Tanto io ho il suo, e mi sembra molto bello,” aveva scritto. Alla fine lo salutava cordialmente e lo invitava a rispondere al suo messaggio e di inviarglielo presso il suo indirizzo nel quartiere di Chelsea.

In quel momento Akihito non seppe cosa fare. Secondo le sue abitudini, sarebbe stato più consono rispondere al visconte di persona. Prese un foglio di carta ed scrisse un breve messaggio al nobiluomo in cui lo ringraziava, innanzitutto, per la sua gentilezza e per la sua offerta, e nel quale gli chiedeva, anche, il piacere di riservargli alcuni minuti del suo tempo in modo da poter ringraziarlo di persona. Subito dopo, il giovane giornalista mise il messaggio dentro una busta, scese al piano di sotto, prese il suo cappello dall’attaccapanni vicino all’entrata e uscì in strada.

Con passo leggero s’incamminò verso l’ufficio postale più vicino dove gli comunicarono che il suo messaggio sarebbe stato consegnato al destinatario il giorno seguente. Akihito non se la sentiva di presentarsi nella casa di un aristocratico senza previo invito e aveva deciso di usare il servizio postale per fare arrivare quel breve messaggio al visconte e ottenere, in cambio, un invito formale.

La risposta non si fece attendere e dopo un paio di giorni gli arrivò una lettera del visconte nella quale egli lo informava che sarebbe stato un piacere rivederlo, ma che invece del suo appartamento sarebbe stato molto più gradevole se si trovavano presso il “Savoy” per cena il successivo venerdì. “Cosa ne pensa Lei?” aveva scritto il visconte.

Per Akihito sarebbe stato senz’altro un piacere, ma subito si sentì a disagio nel ricordare che per recarsi al ballo di Lady Westenra aveva dovuto noleggiare un abito da cerimonia adatto all’occasione. Forse avrebbe potuto fare lo stesso per recarsi nel famoso ristorante. Il giovane si morse le labbra per cercare di non ricordare lo stato pietoso delle sue finanze ultimamente.

Il giorno fissato, venerdì, il giovane si era presentato puntuale all’appuntamento. Si era fatto prestare un abito elegante da un suo collega di lavoro che ne aveva un paio nel suo armadio, quegli indumenti gli consentivano di tirarsi fuori dai guai quando, casualmente, riceveva inviti del genere.

La sala era gremita di gente, e un cameriere, con un gesto cortese, lo condusse davanti al tavolo che aveva prenotato il visconte. Egli era lì che lo aspettava, e subito si mise in piedi per riceverlo e dargli la mano. Gli sorrise. I suoi gesti avevano qualcosa di galante e di enigmatico nello stesso tempo. Aveva i capelli oscuri pettinati all’indietro e portava le basette. Egli aveva, inoltre, una bella figura che gli permetteva di portare qualsiasi abito con disinvolta eleganza.

Quella sera, al letto, il giovane giornalista ricordò, con una buona dose di affetto sincero, quella prima cena al “Savoy” in compagnia del visconte.

L’Hotel Savoy, con il suo annesso ristorante, era stato il primo albergo di lusso aperto a Londra e si trovava presso la zona di Westminster. Akihito chiuse gli occhi mentre ricordava gli argomenti di cui aveva parlato con il nobiluomo e le cose squisite che avevano degustato in quel posto. Solo verso la fine del loro incontro, il giovane si sorprese nell’apprendere che il visconte voleva che uscissero insieme altre volte. Quella volta aveva accettato, con riluttanza, che il nobiluomo si accollasse tutte le spese della cena. Comunque, Ryuichi Asami, aveva un modo di porsi molto particolare che faceva che il suo interlocutore non potesse fare a meno di accettare le sue proposte, a volte anche di condividere i suoi punti di vista. Egli sapeva essere persuasivo senza risultare antipatico o impudente. Akihito era rimasto affascinato da lui, dalla sua conversazione e dal suo innegabile fascino personale. In modo naturale e piacevole il visconte gli chiese di poter vederlo altre volte…e di occuparsi lui delle spese. “Ultimamente non so bene cosa fare con il mio tempo libero e preferisco impiegarlo incontrando le persone che mi stanno simpatiche e che, naturalmente, vogliono starmi a sentire,” disse con un sorriso smagliante.

Nel fondo Akihito si vergognava un po’di aver accettato quegli inviti senza aver contribuito alle spese con un singolo penny, ma ormai era tardi per darsi pensiero. Al primo invito erano seguiti altri inviti al “Savoy”, alcune volte pranzi al Café Royal e gite fuori città. Il tutto era stato l’inizio di una grande storia d’amore. Anche se Akihito sapeva molto poco della vita del visconte e degli affari di cui si occupava, egli non poteva negare a se stesso di essere ormai coinvolto a tal punto in quella relazione da non poter concepire la sua stessa vita senza di lui.

***

Alla viglia della prima Guerra dell’oppio, il consumo nel Celeste Impero era dilagato fino agli strati più infimi della società, diventando un’epidemia sociale. Un tempo erano stati gli esponenti delle élite culturali e politiche a richiedere l’oppio e a farne uso, ma col tempo perfino la parte meridionale dell’impero era diventata, in gran parte, dipendente dalla droga. I lavoratori che svolgevano i lavori più umili lo usavano per alleviare le fatiche della vita quotidiana. Gli interventi governativi che cercarono di mettere un argine al dilagare di questa infezione sociale, furono tardivi. La sconfitta nella prima Guerra dell’Oppio aprì definitivamente le porte all’uso popolare e massiccio della sostanza nella Cina profonda. La coltivazione locale esplose ed spinse i contadini, che temevano delle ritorsioni, ad spacciarla per un prodotto straniero.

Il trattato di Nanchino, che portò a termine la prima Guerra dell’oppio nel 1842, assicurava al Regno Unito l’apertura di alcuni porti, tra cui Canton e Shangai, il libero accesso dell’oppio nelle province del sud con basse tasse doganali, e decretava la consegna dell’isola di Hong Kong all’impero inglese. Essa divenne una Colonia della corona Britannica con la fondazione di Victoria City, avvenuta l’anno seguente.

La prima guerra dell’oppio espose per intero le carenze dell'apparato militare cinese e aprì il paese alla penetrazione commerciale europea. Nel decennio 1850-60 la Cina si trovò ad affrontare una crisi interna di vaste proporzioni e un nuovo sciagurato scontro con la Gran Bretagna. Il conflitto, conosciuto come la seconda Guerra dell’Oppio, cominciò nel ‘56, in seguito all’attacco di una nave inglese nel porto di Canton, e finì nel ‘60, con una nuova resa della Cina, che fu costretta a firmare il trattato di Tianjin nel 1858 e quello di Pechino nel 1860. In base al primo trattato, la Cina, oltre a dover pagare una sanzione più pesante rispetto a quella versata a seguito della Prima Guerra dell’Oppio, dovette aprire altri porti e concedere il libero transito sul territorio ai commercianti stranieri. Con il trattato di Pechino, le forze occidentali ottennero esenzioni doganali ed il libero accesso delle loro navi alla rete fluviale cinese.

Sulle coste cinesi c’era una costante movimentazione di merci che avevano come luogo i porti di: Canton, Amoy, Fuzhou, Ningbo e Shanghai. In vista all’orizzonte c’erano sempre navi e vascelli pieni d’oppio. La colonia britannica di Hong Kong divenne il paradiso dell’oppio.

Nel 1860, dopo la sconfitta della Cina nella Seconda Guerra dell’Oppio, la penisola di Kowloon e l’isola di Stonecutter si aggiunsero, a seguito della Convenzione di Pechino, ai possedimenti della Gran Bretagna.

Alcuni anni dopo…

In seguito alla notizia dell’improvvisa morte del loro padre, due fratelli dovettero prendere la decisione di abbandonare la casa paterna e di partire, protetti dall’oscurità della notte, in una nave che salpava dal porto più vicino. Un viaggio che avrebbe loro permesso di sfuggire allo stesso destino del loro padre, un commerciante di tessuti che aveva ficcato troppo il naso negli affari della malavita locale. Il suo corpo senza vita era stato trovato un paio di giorni prima- con due colpi alla testa- sulle strade di Kowloon.

Il viaggio fu lungo e penoso. I fratelli non erano abituati a condividere il proprio spazio comune con gente di ogni risma e di ogni strato sociale. La notte in cui erano partiti avevano appena fatto in tempo a prendere un po’di denaro, i loro documenti ed i loro effetti personali, prima di inoltrarsi nella notte alla ricerca di qualche mezzo di trasporto che consentisse loro di arrivare al porto da dove sarebbe partita una nave verso la Gran Bretagna.

Il fratello maggiore, Yan Tsui, aveva dovuto, in pratica, trascinare il fratello più giovane, Feilong, fuori dalla loro casa. Quest’ultimo aveva ricevuto un duro colpo dall’improvvisa notizia della morte del padre. Era così confuso in quei giorni che chiese perfino a suo fratello il permesso di recarsi nella piazza del mercato più vicina, dove un suo amico d’infanzia, Yoh, collaborava coi suoi genitori nella gestione di un piccolo chiosco dove si vendevano cibi e bevande. Come unica risposta il fratello più grande l’aveva tirato dai capelli. “Sei impazzito, per caso?” aveva detto. “Non abbiamo tempo da perdere, e tu stai qui a pensare a quei buoni a nulla dei tuoi amici!”

Le punizioni del fratello maggiore erano molto severe e Feilong, quella volta, aveva evitato di opporsi alla sua volontà. Si era sentito, comunque, profondamente dispiaciuto di non poter salutare uno dei pochi amici e confidenti che aveva avuto nella sua vita.

La traversata dell’oceano durò circa due settimane e, un giorno di maggio, entrambi i fratelli arrivarono al porto di Londra. Era un giorno grigio e cupo, nonostante fosse già primavera, e Feilong dovette reprimere il desiderio di piangere al ricordo della sua città natale, della sua bellezza e dei suoi paesaggi. Il posto dove erano arrivati sembrava fatto di cemento e fango. In aggiunta, essi dovettero alloggiare in un piccolo e fatiscente appartamento dalle parti di Camden Town, insieme ad alcuni parenti che vivevano a Londra da qualche anno.

Furono anni molto difficili per il giovane Feilong, anni che egli preferì, in futuro, evitare di ricordare. Suo fratello aveva aperto una fumeria d’oppio in un luogo vicino al porto, un posto tremendo dove s’incontravano tutti gli esemplari di quella bassa umanità che viveva di traffico e malaffare. La prima volta che il fratello minore cercò di protestare per come Yan Tsui cercava di condurre le loro vite, si beccò un sonoro schiaffo e un invito a non interferire nei suoi affari se non voleva finire per strada mezzo morto di fame. Feilong aveva, a quel tempo, un grande timore di suo fratello e della povertà.

Feilong, sulle prime, non riusciva a spiegarsi come mai suo fratello non si facesse alcuno scrupolo nel mettersi a fare affari con quella sostanza che aveva provocato, indirettamente, la morte del loro padre. Pillole a base d’oppio e laudano si vendevano senza problemi per le vie di Londra, anche se il loro uso era consigliato a coloro che soffrivano di qualche disturbo medico. Yan Tsui aveva i suoi giri d’affari che poco avevano a che fare con l’uso appropriato dell’oppio come medicinale. Nella loro fumeria, l’oppio non veniva negato proprio a nessuno, nemmeno alle persone con evidenti sintomi di dipendenza. Yan Tsui non tollerava alcuna opposizione e presto si fece un nome nell’ambiente della malavita locale. Dopo un po’di tempo, l’uomo scoprì che avere le mani in pasta nello sfruttamento di essere umani poteva essere altrettanto redditizio.

Il quartiere di Whitechapel era uno dei più malfamati di Londra. C’era da aver paura a mettere piede da quelle parti a qualsiasi ora del giorno o della notte. Pochi anni prima erano stati commessi degli omicidi a danno di alcune prostitute del luogo, una serie di omicidi di cui non si era mai saputo chi fosse il responsabile. 

Yan Tsui non si fece problemi ad aderire a quel tipo di traffico ed in breve tempo si fece un nome come “guardiano” di alcune prostitute alle quali chiedeva un contributo in denaro in cambio della sua protezione. Ovviamente, le malcapitate non avevano nessun diritto di reclamare per il tipo di clienti con il quale l’uomo prendeva degli accordi. Se protestavano o facevano troppi capricci, come diceva lui, c’erano dure punizioni in arrivo. Egli non aveva alcuna pietà per le donne o per i bambini.

Feilong era rimasto inorridito nell’apprendere che classe di uomo fosse diventato suo fratello, nonostante conoscesse poco dei suoi giri d’affari. Quel poco che sapeva gli era stato riferito da alcuni dei suoi conoscenti. Di fronte a suo fratello egli si sentiva ancora, per molti versi, il ragazzo impaurito ed immaturo che suo fratello aveva trascinato fuori dalla loro casa a Hong Kong. A quel tempo il giovane aveva appena diciassette anni.

Gli anni erano passati più veloci per il giovane di quanto egli avesse voluto. Nonostante fosse a Londra da circa quattro anni, Feilong non aveva dimenticato parte dei suoi costumi, come portare un certo tipo di abbigliamento e tenere i capelli lunghi fino alle spalle. Suo fratello, invece, dopo i primi successi nei suoi affari, aveva incominciato a vestirsi alla maniera inglese.

Un giorno Yan Tsui arrivò a casa con la grande notizia che era riuscito ad accumulare abbastanza denaro da permettersi di trasferire i suoi affari in una zona migliore della città. Egli aveva acquistato una piccola proprietà nel quartiere di Soho. Già, verso la metà del XIX secolo, le famiglie più facoltose di quella zona si erano allontanate per andare a vivere nelle zone più limitrofi, e la zona di Soho era diventata un luogo di ritrovo con piccoli teatri, sale musicali e bordelli. Una parte della loro nuova proprietà era stata destinata a diventare una fumeria d’oppio, con arredi più consoni al tipo di persone che Yan Tsui intendeva ricevere. Egli voleva aprire una sorta di locale per un circolo esclusivo di persone: intellettuali, scrittori famosi, attori, e personaggi simili.

Il nuovo posto venne arredato prendendo spunto dalle fumerie d’oppio in voga durante gli anni in cui, nelle principali città cinesi, il piacere di fumare quella sostanza era riservato ad una certa élite. Il locale venne allestito con paraventi e tende rosse, eleganti divani, materassi ricoperti di seta. Pipe lunghe e dal disegno elaboratissimo venivano offerte agli ospiti. Una lunga sala era stata divisa in più scomparti dove ogni ospite poteva indulgere in quel piacere con il massimo della privacy. I pavimenti erano tutti ricoperti di tappeti persiani e lunghi candelabri con le loro candele profumate ornavano la sala disposti in comodi tavolini al centro. Gli ospiti potevano anche bere del buon tè se lo desideravano. Yan Tsui era contento di aver investito il suo denaro in un’attività così redditizia. I successi non si fecero aspettare.

Malgrado il fratello maggiore avesse tenuto il giovane Feilong quasi recluso in casa per tutti quegli anni, adesso gli chiese di collaborare appieno con l’attività che permetteva loro di vivere agevolmente. Il fratello minore aveva il compito di ricevere e di far accomodare gli ospiti. Egli portava sempre camicie di seta ricamata, e il suo portamento e la sua ambigua bellezza non tardarono in suscitare i primi sguardi d’interesse tra i numerosi avventori del locale.

Yan Tsui, in disparte, seguiva con gli occhi le mosse del fratello e degli ospiti. In quei momenti pensava che era stata una fortuna che quel ragazzo non avesse ancora disonorato la famiglia, con quella faccia da ragazzina che si ritrovava avrebbe potuto avere un enorme successo se si fosse deciso a fare uso delle grazie che madre natura gli aveva donato.

Lo sguardo accigliato del fratello seguiva il giovane dappertutto. Anche nelle loro stanze private, nei momenti in cui dovevano turnarsi per andare a riposarsi. Feilong non riusciva a spiegarsi il motivo dello sguardo severo del fratello, dopotutto stava facendo tutto quello che gli veniva richiesto.

Una di quelle notti, dopo le solite lunghe ore di lavoro, Yan Tsui si era avviato verso la sua stanza dopo aver salutato l’ultimo cliente. Mentre passava dal corridoio, si accorse che la porta della camera di suo fratello era semiaperta, e udì qualcosa che gli sembrò un gemito soffocato. Subito, immaginandosi il peggio, aprì la porta di colpo. Dentro suo fratello riposava comodamente nel suo letto, vicino a lui non c’era nessuno. Era una calda notte estiva e il giovane Feilong era appena coperto da un lenzuolo e da una camicia da notte dal tessuto molto sottile. Yan Tsui immaginò che il giovane si fosse mosso nel sonno, forse addirittura che stesse sognando quando aveva emesso quel gemito.

Il suo sguardo vagò lungo le pieghe di quel corpo sottile, si fermò lungo l’arco dei fianchi e procedette a nord, dove si fermò sulla pelle nuda di quel giovane petto esposto dall’indumento aperto.

In quel momento Yan Tsui pensò che se il giovane non aveva ancora disonorato la famiglia era stato per miracolo. Ricordò i suoi giovani compagni di scuola, in particolare quel suo amico Yoh, che qualche volta si era pure fermato a dormire a casa loro. In quel momento immaginò i due adolescenti come se li ricordava una volta, qualche anno prima. Subito dopo, la sua mente cedette all’impulso primitivo e la sua fantasia incominciò a suggerirgli il modo in cui i due ragazzi avrebbero potuto intrattenersi nelle notti calde e solitarie di Kowloon. Immaginò Yoh mentre accarezzava il morbido petto del fratello e portava le sue dita al suo bel viso e gli accarezzava le labbra. Nulla poté evitare che il Yan Tsui avesse un’erezione mentre seguiva le immagini che la sua mente gli suggeriva. Immaginò il proprio fratello mentre si abbandonava lascivamente alle carezze dell’altro ragazzo e che, per ricambiarlo del suo tocco gentile, gli toccava con agile mano il membro indurito. Yoh lo guidava sapientemente. Possibile che il proprio fratello potesse essere così scostumato? si chiese Yan Tsui, poco prima di ritirarsi nella stanza da bagno per poter masturbarsi con tranquillità. Maledisse se stesso per il desiderio che provava, ma soprattutto maledisse il proprio fratello perché gli faceva provare quel desiderio incestuoso e contro natura.

Le cose non migliorarono nei giorni seguenti. Con sguardo vigile, Yan Tsui continuava a seguire le mosse di suo fratello al lavoro, nell’attesa che il giovane commettesse un errore e gli offrisse una scusa per mettergli le mani addosso. Feilong non riusciva a spiegarsi l’improvvisa aggressività del fratello, i suoi rimproveri continui e la sua totale mancanza di tatto nel riferirsi a qualcuno dei loro clienti. Feilong s’intratteneva qualche volta a parlare con i clienti più assidui, alcuni erano oltremodo gentili con lui.

Una volta, dopo che uno di quei clienti speciali era andato via e entrambi i fratelli stavano chiudendo il negozio- era un giorno infrasettimanale e di solito in quei giorni chiudevano presto-, Yan Tsui si era avvicinato a Feilong, dopo che il giovane era andato nella sua camera per mettersi a letto.

“Come mai mi trovo sempre tra i piedi quel tizio lì? Ormai è la seconda volta che lo vedo questa settimana e la settimana scorsa è venuto quattro volte. Com’è possibile?” Feilong si girò a guardarlo sorpreso:

“Dovresti essere contento che ci siano dei clienti così affezionati al tuo locale. Non mi avevi detto che bisognava tenersi cara la clientela?”

Yan Tsui gli si avvicinò con la rabbia dipinta sul viso per via di una risposta che egli giudicò come un’insolenza. Senza alcun preavviso gli diede un forte schiaffo:

“Di che cosa stavate parlando oggi, eh? Cosa ti sei fatto fare da quell’uomo per farlo affezionare al nostro locale? Hai fatto qualcosa di sconveniente, per caso? Parla!”

Il fratello minore era rimasto sbalordito dopo che aveva ricevuto quel colpo inaspettato e, sul momento, non seppe cosa rispondere. Solo accarezzò la sua guancia gonfia e fissò suo fratello con uno sguardo carico di biasimo.

“Non guardarmi con quella faccia. Chissà cosa hai combinato con quel tizio di nascosto da qualche parte, per quello che me lo ritrovo sempre in giro. Che cosa ti ha fatto fare?”

“Ma si può sapere di che cosa diavolo stai parlando? Io non ho mai fatto nulla. Con chi credi di avere a che fare?” Ormai il fratello minore aveva perso la pazienza.

Yan Tsui, con gli occhi che esprimevano una rabbia che non poteva controllare, prese suo fratello per i capelli con un gesto violento e avvicinò il suo viso ai suoi occhi per guardarlo bene. Yan Tsui si era sempre chiesto come faceva il fratello minore ad avere quei lineamenti fini e dolci, quasi femminei. La loro madre non era mai stata una donna dalla notevole bellezza e nemmeno il loro padre, il defunto signor Liu.

“Ti avverto, e questo sarà il mio primo e ultimo avvertimento: Se ti sorprendo a fare con qualcuno delle cose sporche e sconvenienti, la pagherai molto cara!”

In seguito, con uno spintone, aveva lasciato andare via il fratello. Dopo era uscito dalla sua stanza sbattendo la porta. Feilong era confuso. “Che cosa gli sarà mai successo?” si era chiesto mentre si metteva a posto i lunghi capelli. ‘Razza di pazzo’, aveva pensato, ‘mi ha fatto male davvero’.

Feilong sapeva che suo fratello faceva un notevole uso d’oppio e per un attimo attribuì alla sostanza l’umore altalenante di Yan Tsui in quei giorni. Solo di rado il fratello più giovane aveva fumato quella cosa. Non voleva finire come altri clienti del locale, i quali, ormai, non ne potevano fare a meno. Anche quell’impresario teatrale, il signor Lelouch, che di solito si tratteneva a parlare con lui, non riusciva più a fare a meno di quella roba. Non si spiegava cosa aveva visto Yan Tsui nel loro atteggiamento per pensare così male di loro.

Una volta che il giovane si era messo la camicia da notte e si era infilato nel letto, aveva chiuso gli occhi cercando di non pensare a quanto era appena successo. La situazione l’aveva turbato non poco.

I giorni passavano e Yan Tsui usava qualsiasi scusa per rimproverare il fratello. Ce l’aveva con lui perché attribuiva alla sua avvenenza la colpa dei desideri che provava. Qualche volta, di notte, era andato a guardare attraverso la serratura della stanza del fratello. Yan Tsui diceva a se stesso che solo lo sorvegliava per essere sicuro che il giovane non disonorasse la famiglia facendosi portare al letto da qualcuno, ma la realtà era un’altra: Voleva vedere il fratello muoversi nel sonno, quasi del tutto nudo. A volte guardava dalla serratura della stanza da bagno mentre il giovane era immerso nell’acqua della vasca. Yan Tsui non si rendeva conto che tutto gli stava sfuggendo di mano.

Chissà per quanto tempo sarebbe andata avanti quella situazione prima di degenerare apertamente nella molestia sessuale, quando verso la fine dell’anno ’92, capitò da quelle parti il visconte giapponese Ryuichi Asami.

***

Era un bellissimo giorno di primavera nel giardino di Nan Lian che si trova sul Diamond Hill di Kowloon. Si tratta di uno dei posti più belli al mondo per chi sa apprezzare la vera bellezza. Il giovane udì chiaramente il canto di un usignolo e, alzando gli occhi verso il cielo, vide volare il piccolo uccello dal grigio e modesto piumaggio. Il ragazzo ebbe l’impressione di essere lì per la prima volta, come quando era bambino e si era fatto portare da quelle parti da sua madre, un giorno di primavera quando aveva cinque anni, prima che la donna morisse di una malattia sconosciuta ancora in giovane età.

Il presente ed il passato si fusero in un unico istante e il giovane rivisse, come in un sogno, quel giorno di primavera, come se fosse il primo, e forse l’ultimo della sua esistenza.

La vita del giovane era stata piena di tristi avvenimenti: la morte dei suoi genitori, un fratello maggiore violento e abusivo e un amore non corrisposto. Poteva anche esserci dell’altro?

Vide l’uccellino svolazzare di qui e di là, lo sentì emettere il suo canto melodioso dalla sua minuscola gola. Il giovane chiuse gli occhi e gli parve di essere diventato quel piccolo uccello che vive in maniera istintiva, senza pensare al domani.

In quella visione si ritrovò mutato in un usignolo dal magico canto. Egli inseguiva un sogno, forse il sogno della felicità. Vide un uomo molto distinto alla finestra di una casa con un bel parco ornato di grandi alberi e cespugli di rose. L’uomo, un nobile dai tratti orientali molto elegante, sorrise alla vista della piccola creatura. Egli era affacciato alla finestra del suo salotto e da lì guardava i cespugli di rose che si trovavano appena sotto il davanzale.

Quell’uomo sospirò nel ricordare che, per qualche strano motivo, non aveva visto ancora fiorire le rose nel suo giardino. Egli si protese in avanti per accarezzare le foglie lanceolate di un piccolo arbusto di rose lì vicino e disse: “Quanto vorrei vedere delle belle rose nel mio giardino!”

L’uccellino, sentendo il suo dispiacere ed essendo rimasto affascinato dal bell’uomo, si era avvicinato al cespuglio di rose sotto la finestra e aveva chiesto ad esso se c’era un modo per farlo fiorire. “Si,” aveva risposto il rosaio, “devi darmi calore attraverso il sangue del tuo cuore per una notte intera!” L’uccellino era rimasto sorpreso nel sentire quell’arbusto chiedere un sacrificio del genere, ma il rosaio aveva continuato: “È l’unico modo, altrimenti non potrò più dare dei fiori a nessuno e questo giardino rimarrà senza quei colori che lo facevano così speciale agli occhi del padrone,” poi aggiunse con tristezza: “Quest’anno l’inverno è stato troppo lungo.”

Gli occhi dell’uccellino fissarono l’uomo attraverso la finestra. Era un uomo di straordinaria bellezza e dai modi ricercati. Il suo fascino sarebbe stato sufficiente per ammaliare chiunque, anche un altro uomo come lui… oppure un piccolo e modesto usignolo primaverile.

“Forse, se non attraverso il mio canto, riuscirò a trovare un altro modo perché quest’uomo si ricordi di me per sempre,” disse il piccolo essere.

Il rosaio esclamò: “Se tu farai questo sacrificio, io tornerò a fiorire ogni primavera da oggi in avanti, per sempre.”

Quella notte l’uccellino si strinse ai rami del rosaio. Egli si strinse con forza, sentendo come, dolorosamente, le spine acuminate dell’arbusto trafiggevano il suo esile corpo. L’agonia fu lunga, ma il suo sacrificio fu ripagato allo spuntare del sole da una splendente rosa di un bel colore scarlatto. I suoi piccoli occhi fecero in tempo a guardare soddisfatti il bel fiore prima di chiudersi per sempre. Sui cespugli di rose dei dintorni incominciarono a spuntare le prime gemme.

Il gentiluomo dai modi affascinanti si affacciò alla sua finestra per sentire l’aria mattutina e scorse la rosa rossa e il piccolo uccellino morto ai piedi dell’arbusto. Gli dispiacque per l’uccellino morto e non ebbe il coraggio di tagliare quella rosa dalla spudorata bellezza. Essa era bella come la giovinezza, il suo colore rifletteva lo splendore dei tramonti primaverili. Nei giorni seguenti, il gentiluomo rimase stupito nel vedere che, poco a poco, nel suo giardino spuntavano le rose più belle che egli avesse mai visto. Alcune erano di quel seducente colore scarlatto che aveva il primo fiore, altre erano di un rosso scuro, dalla cupa e arcana bellezza. Da quel giorno il suo giardino divenne uno dei più ammirati dei dintorni.

 

   
 
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