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Autore: Dietrich    28/04/2016    2 recensioni
“Sai, perché...sì, insomma...‘Ai’ può voler dire ‘amore’, no?”
Mi spiazzò completamente, quella domanda. Interrompendo qualsiasi cosa stessi facendo, tornai ad osservarlo con tanto d’occhi, e sentii il calore serpeggiarmi in viso, colorandolo di rosso.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Momotarou Mikoshiba, Nitori Aiichirou, Rin Matsuoka, Sosuke Yamazaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Nitori-senpai, posso chiamarti Ai?”

Un giorno, mentre ripiegavamo i vestiti ritirati di fresco dalla lavanderia dei dormitori, Momotaro mi aveva posto questa insolita domanda. Incuriosito e anche un po’ divertito dal tono serio della sua voce, avevo alzato il capo e avevo ricambiato il suo sguardo.
“...Certo che puoi. Non credevo neanche ci fosse da chiederlo...dopo tutto, io sono stato il primo a chiamarti per nome, no? M o m o t a r o -kun” scandii il suo nome, sorridendogli e tornando a piegare una delle mie maglie scure con il logo della Samezuka.
“Mmh, ok” e anche se la questione poteva sembrarmi risolta così, mi ero sbagliato di grosso “Sai, perché...sì, insomma...‘Ai’ può voler dire ‘amore’, no?”
Mi spiazzò completamente, quella domanda. Interrompendo qualsiasi cosa stessi facendo, tornai ad osservarlo con tanto d’occhi, e sentii il calore serpeggiarmi in viso, colorandolo di rosso.
“I-il mio nome non si scrive con quel kanji, Momo-kun...”
“Lo so, però...il fatto è che io ho questa meeeeeeegagalattica cotta per te, senpai, e quindi associare il tuo nome all’amore mi sembra la cosa più logica da pensare, non credi?”
Il mio cervello ci mise un po’ a carburare quell’affermazione, forse troppo, poiché Momotaro fu più veloce di qualsiasi mio pensiero: allungò una mano, mi accarezzò il viso e lo avvicinò al suo, baciandomi.
Quello fu il mio primo bacio, in assoluto. Non ero mai stato baciato prima, né all’asilo per gioco, né alle medie perché avevo avuto la fidanzatina. Niente di niente. E non c’entrava nulla il fatto che in realtà a me piacessero i ragazzi (e Momotaro lo sapeva). Non ero mai stato neanche salvato da presunto affogamento con la respirazione bocca-a-bocca. Niente, zero baci per me.
Momotaro aveva così rubato il mio primo bacio e io glielo avevo lasciato fare; avevo poggiato di riflesso i palmi sul suo petto, ma non avevo opposto alcuna resistenza. Avevo tenuto gli occhi aperti sulle prime, osservando da vicino la sua pelle così abbronzata, ma poi, appena mi ero accorto che i suoi erano chiusi, l’avevo fatto anche io, chissà perché poi. Forse per educazione e rispetto di tutto il trasporto che stava mostrando in quel gesto? Probabilmente. Per l’enorme imbarazzo che mi travolgeva e mi faceva battere il cuore a mille? Sicuramente.
Ad occhi chiusi, avevo lasciato che le sue mani si spostassero alla base della mia schiena, poi sui miei fianchi, che le sue labbra si aprissero e che la sua lingua toccasse le mie per farle aprire a loro volta. Momotaro mi aveva baciato, alla francese per di più, per almeno un minuto buono, e io glielo avevo lasciato fare.
Mi aveva poi osservato, così da vicino, tutto sorridente, rosso come i suoi capelli e sembrava che il mondo fosse diventato un po’ più colorato proprio perché lui era così felice. Ci si può sentire felici di riflesso? Perché mi sentii così, in quel momento, tra le sue braccia, ed anche dopo, con il suo calore e il suo sapore addosso, salutandolo con un cenno mentre lo guardavo andarsene, rimandando qualsiasi discorso, qualsiasi chiarimento a data da destinarsi.
Proprio quel giorno infatti era iniziata la Golden Week e tutti noi studenti ci stavamo preparando a lasciare i dormitori del campus e tornare a casa per goderci quelle vacanze.
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“Ai, se non ti vanno quelle patatine, puoi sempre darle a me”
“C-cosa? Chi? Come?”
Rin mi osservò dall’altro lato del tavolo con fare perplesso, indicando il piatto di patatine fritte che giaceva, non toccato, di fronte a me. Finalmente era arrivato il sabato che tanto avevo atteso, quello in cui dopo tanto avrei rivisto Rin e Sousuke, i miei senpai che si erano diplomati appena un anno prima. Ci eravamo dati appuntamento in un fast-food del centro, ma io sembravo non essere di molta compagnia.
“Perdonami, Rin-senpai...sì, se vuoi puoi averle” passai il contenitore di cartone con le patatine che avevo davanti verso l’altro lato del tavolo, ma l’espressione di Rin non accennò a cambiare. Mi feci ancora più rosso, perché sapevo di essermi imbarazzato già da prima, da quando il senpai mi aveva chiamato in quel modo. E anche se era normalissimo, anche se l’aveva sempre fatto, ormai quell’Ai mi faceva tornare alla fatidica mattina in cui, tra una domanda e un’altra, Momotaro mi aveva baciato.
“Se vuoi puoi avere le mie” intervenne Sousuke, rivolgendosi a Rin e passandogli anche le sue, di patatine.
“Al diavolo le patatine” sbottò Rin, muovendo una mano per scacciare la questione ‘patatine’ dai nostri discorsi, “C’è qualcosa che non va in te, Ai, e sinceramente non mi piace vederti così”
“Così come?” aveva chiesto nuovamente Sousuke, che ancora una volta fu zittito dal ragazzo seduto al suo fianco.
“Ai non sta bene, Sousuke, è palese” continuò Rin, indicandomi e facendomi diventare ancora più rosso. Finalmente, anche gli occhi dell’altro senpai si fissarono su di me, e la cosa non mi piacque affatto. E non per il fatto che, solitamente, gli sguardi del senpai gelavano chiunque non fosse Rin; ma proprio perché essendo lì con un Rin da pochi giorni tornato dall’Australia per godersi anche lui la pausa primaverile, le attenzioni di Sousuke non potevano non essere che per lui.
Li ammiravo, tantissimo: amici per anni, innamorati probabilmente per altrettanti ma finalmente capaci di ammetterlo l’un l’altro da pochissimo, per poi vedersi costretti per forza di cose a vivere una relazione a distanza – questi erano i miei senpai e mai avrei smesso di ammirare il loro coraggio e la loro relazione.
Per tanto tempo avevo in realtà invidiato Sousuke, che amava e veniva ricambiato da Rin; per anni infatti la mia cotta non corrisposta per il mio ex-compagno di stanza mi aveva fatto soffrire, ma la gelosia si era presto tramutata in rispetto, proprio quando Sousuke mi aveva spinto a non mollare e mi aveva aiutato a migliorare nel nuoto. Era il mio eroe, al pari di Rin: l’uno in riabilitazione mentre studiava per diventare istruttore di nuoto, l’altro in Australia ad allenarsi per diventare il prossimo campione olimpionico giapponese.
Ora, se così potevo dirlo, erano diventati anche i miei mentori, poiché solo con loro potevo parlare di ciò che era accaduto con Momotaro; e se sulle prime mi ero sentito insicuro, poiché quella era stata organizzata come un’uscita senza pretese, per divertirci insieme dopo tanto tempo che non ci si vedeva, l’intuito di Rin mi stava infine invitando a vuotare il sacco.
Così, sotto gli sguardi incuriositi dei due, con l’imbarazzo che cresceva dentro, emisi un sospiro affranto e abbassai scoraggiato le spalle, pronto a sputare il rospo.
“I-io... E-essere chiamato ‘Ai’ m-mi mette in imbarazzo, ecco”
“E da quando in qua, di grazia” interloquì piatto Rin, incrociando le braccia al petto, con quel fare di quando era pronto a farmi la ramanzina per l’ennesima sciocchezza che avevo fatto o detto; mi mancavano davvero quei gesti, ma non era quello il momento di lasciarmi andare sul viale dei ricordi.
“Da q-quando mi è stato fatto notare...che...Ai significa anche amore! Ecco, l’ho detto!”
“Ma il tuo nome non si scrive così” osservò Sousuke, palesemente interdetto da tutto quel discorso.
“Lo so! Ma l’assonanza c’è...ed ecco, sì, ora la cosa mi crea disagio”
“È una stupidaggine bella e buona, Ai” fu la sentenza di Rin, seguito a ruota dal cenno d’assenso del suo ragazzo.
“Senpai!” il tono lamentoso della mia voce suonò fastidioso persino alle mie orecchie, ma non sapevo proprio come fare. La questione non poteva essere liquidata così, non a quel modo.
“Scusami ma...chi è stato quel genio che ha partorito un’idiozia del genere?” insistette allora Rin, alzando un sopracciglio contrariato.
“...Momo-kun”
“Pfh” lo sbuffo che sapeva di risata da parte di Sousuke non passò inosservata alle mie orecchie, ma l’occhiataccia di rimprovero che stavo per lanciargli fu deviata dalla voce e dalle parole con cui subito mi rispose Rin.
“Beh, finalmente l’ha detto anche a te! È da più di un anno ormai che stressa tutti quanti con questa storia, su quanto il tuo nome sia ‘l’amore’! Gioco di parole compreso”
Sconcertato e reso del tutto senza parole da quella rivelazione, un’infinità di domande iniziò ad affacciarsi alla mia mente, creando più confusione di quanta già non ce ne fosse: cosa voleva dire quel sollievo e quell’ilarità da parte dei senpai? Inoltre, da più di un anno?! A chi aveva detto cosa? Cosa voleva dire che il mio nome era “l’amore, gioco di parole compreso”? Che Momotaro avesse detto anche loro, esplicitamente, che quel voler vedere l’amore nel mio nome significasse volerlo rendere reale anche nella nostra relazione, diventando...più che amici?
“Houston, abbiamo un problema. Qui terra chiama Ai. Sei tra noi?”
“Hai di nuovo visto uno di quei tuoi film sullo spazio e gli alieni, Sousuke?”
“Non darmi del nerd, quando ancora ti vedi drama coreani strappalacrime e poi mi chiami su Skype singhiozzando per parlarne”
“TACI, non è questo il momento...pensiamo ad Ai!”
I loro borbottii complici e gli accenni a voler continuare quel discorso con me in realtà mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall’altro. Senza rispondere, mi alzai in piedi e osservai i senpai dall’alto, che perplessi mi guardavano come se uno spettro mi avesse appena posseduto.
“Devo andare. È urgente. È stato fantastico rivedervi, senpai. Ci sentiamo presto, ciao”
Non diedi loro neanche il tempo di trattenermi: lasciai la mia parte del conto sul tavolo e volai via, diretto verso la stazione dei treni, verso una via che ormai conoscevo a memoria, per quante volte quell’anno mi ero recato lì per recuperare un certo membro della mia squadra dalle grinfie del fratello o della sorella e portarlo di peso agli allenamenti, per quante volte durante le vacanze di Natale e dell’anno nuovo mi era stato dato appuntamento lì con lui per passare un po’ di tempo insieme, fare i compiti e parlare di quanto amassimo entrambi il nuoto e la nostra squadra.
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“Momooooooo! Scendi, c’è Nitori-kun!” la voce tonante di Mikoshiba-senpai risuonò per tutta l’abitazione, prima di regalarmi uno dei suoi soliti sorrisi pieni di energia, una pacca sulla spalla che rischiò di farmi capitombolare per terra, e un saluto gioioso mentre usciva di casa. Ero stato fortunato ad incrociarlo mentre si recava fuori casa per andare a quello che lui stesso aveva definito “un appuntamento suuuuuuuper-segreto!” – sicuramente con la sorella di Rin, Gou – e mi aveva fatto subito entrare, chiamando a gran voce suo fratello, che se ne dormiva della grossa. Riposino pomeridiano, l’aveva definito. No, è Momotaro che è pigro, avrei voluto rispondere io. Ma il senpai se ne era andato, lasciandomi lì, solo nel salotto, in una casa altrimenti vuota se non per un Momotaro che, capelli rossi arruffatissimi, sbadiglio pronto e mano a grattarsi la pancia sotto un’infantile t-shirt con baby lontra stilizzata, si accingeva a salutarmi.
“Senpaaaaai...che ci fai qui?” con il tono impastato dai rimasugli del sonno, Momotaro si stropicciò un occhio prima di raggiungermi sul divano dove il maggiore dei Mikoshiba mi aveva fatto accomodare.
“Da quanto tempo?!” chiesi, e il mio tono fu così acuto da farlo svegliare del tutto e sobbalzare sui cuscini del sofà, colto totalmente di sorpresa.
“C-cosa, come, cheeee? Senpai, da quanto tempo cos-”
“TUTTI, tutti lo sanno, ci scommetto! Rin-senpai mi ha detto che è da più di un anno che vai dicendo in giro questa fesseria!”
“Rin-senpai?? Cosa c’entra Rin-senpai...e cosa avrei detto io?!”
“Lo sai bene! La stessa cosa che hai detto a me prima che iniziasse la Golden Week! Scommetto che tutti a scuola lo sanno e non vedevi l’ora di rendere partecipe anche a me di chissà qualche tua nuova fissa, giusto perché l’imbarazzo per il mio stesso nome mi mancava alla lista di cose che mi stressano quotidianamente e...”
“Smettila, Ai”
Il cambio di tono di Momotaro mi portò immediatamente al silenzio. Rosso in viso per l’agitazione e l’imbarazzo, finalmente posai gli occhi su di lui e rividi quell’espressione seria con cui anche quel famoso giorno mi aveva guardato.
“Mi fai soffrire se pensi che il fatto che tu mi piaccia sia una fesseria. Parli come se il bacio che ti ho dato sia solo uno scherzo, una delle mie solite buffonate, ma non è così e speravo l’avessi capito, quel giorno”
Non avevo mai visto Momotaro così, e sinceramente una parte dentro di me stava prendendo a calci il mio cervello per essere stato io ad aver creato quel dolore che ora vedevo nei suoi occhi, sempre così dannatamente sinceri. Mi straziava il cuore, ecco cosa mi stava facendo, e nonostante la mia parte razionale mi stesse dicendo che alla fine quello era Momo-kun – che sarebbe tornato a sorridere a breve, che probabilmente avremmo potuto risolvere tutto con una risata e ‘amici come prima’ – l’altra sapeva che non era così.
Non si baciano gli amici a quel modo. In realtà, non si baciano gli amici (in bocca) e basta, ma con Momotaro non era mai stata solo amicizia ed entrambi lo sapevamo. Ci eravamo avvicinati tantissimo in quell’anno passato senza Rin, senza Sousuke, senza Mikoshiba-senpai; sia grazie alla squadra, sia grazie alla stanza che condividevamo ai dormitori della Samezuka. Mi era stato vicino ogni volta che fare il capitano era stato troppo duro per me, e io lo avevo aiutato così tante volte con lo studio, con la voglia di essere qualcuno al di fuori della famiglia, non più all’ombra di suo fratello. C’eravamo stati, per entrambi, e le cose andavano alla grande; era comodo essere amico di Momotaro a quel modo, ma evidentemente per lui non era più così. Aveva voluto cambiare le cose, e ci era riuscito, alla grande.
“Il punto è che l’ho capito, fin troppo, e la cosa mi ha messo addosso una paura tale che non so cosa mi abbia trattenuto dal fuggire via a gambe levate mentre mi stavi baciando”
“Io lo so: so baciare così bene che tutta la paura è andata subito via, giusto?”
Rivedere il sorriso tornare ad illuminargli il volto, come quel giorno, con quella luce che rende tutto più colorato e più bello, spinse anche  le mie labbra a piegarsi e a sorridergli. Santo cielo, come riusciva ad essere così sciocco, così lui, anche in uno momento serio come quello? Avrei voluto schiaffeggiarlo, ma sapevo che non mi stava sminuendo e potevo leggergli negli occhi ancora sorridenti che la serietà non lo aveva lasciato del tutto. Si zittì e aspettò che continuassi, perché sapeva che, quando entravo nel pallone a causa delle mie infinite paranoie, diventavo logorroico peggio di lui.
“Forse...sì, un po’ te lo concedo” risi anche io, mentre i suoi occhi si socchiudevano a causa del suo sorriso che aumentava a dismisura; dannazione, mi stava venendo voglia di baciarlo e non ero riuscito ancora a spiegarmi, a chiarire a lui e a me stesso cos’è che mi aveva spinto a presentarmi a casa sua urlante e a dirgli tutte quelle cose che avevano rischiato di spezzargli il cuore. Glielo dovevo.
“La paura però c’è ancora, Momo-kun...e probabilmente, visto che mi conosci, sai che non se ne andrà mai via del tutto”
“Lo so, ma so anche come rassicurarti, ogni volta...quello che non capisco è perché hai iniziato a gridarmi addosso e cosa c’entri Rin-senpai” il suo sguardo era calmo ora, ma smarrito e interrogativo mentre mi osservava dall’altro capo del divano.
“Perdonami...mi sono agitato senza motivo. Ho pensato – erroneamente, ora lo so – che fossi andato in giro a dire a tutti cosa provassi per me, e l’idea che io fossi stato l’ultimo a saperlo non mi è piaciuta per niente”
“In realtà non lo sa ancora nessuno...”
“Rin e Sousuke lo sanno”
“Mmh...forse è vero. Dire che il tuo nome mi fa pensare all’amore deve avermi tradito, eh...”
“Direi proprio! Lo sai che adesso ogni volta che chiunque mi chiama Ai mi mette in imbarazzo?? È colpa tua!”
“E perché? Ho detto solo la verità! Ho detto che il tuo nome per me significa amore ed è così che continuerò a pensarla ogni volta che ti vedrò e lo pronuncerò” deciso, come a voler mettere il punto alla discussione, Momotaro incrociò le braccia al petto e annuì alle proprie parole.
“M-momotaro-kun! P-piantala! Non posso continuare ad arrossire e ad imbarazzarmi ogni volta che qualcuno mi chiama per nome! Perciò, mettiamo fine a questa storia”
“Vuoi dire che...non posso pensare a te come alla persona di cui mi sono innamorato?”
Il suo tono di nuovo macchiato di tristezza mi aveva ammutolito, ma non tanto quanto i suoi occhi da cucciolo indifeso e le parole che gli erano uscite di bocca con quella totale naturalezza che gli invidiavo da morire. Come faceva? Com’era capace d’affermare senza esitazione cose del genere di fronte alla persona della quale diceva d’essere innamorato? Io non avrei mai potuto farcela, o almeno credevo.
“Non ho detto questo”
“E allora cosa vuoi dire? Posso sperare, sì o no, che quel bacio per te abbia significato qualcosa, qualcosa di DAVVERO importante?”
“Momotaro-kun, non fare domande sciocche, è piuttosto ovvio che anche per me quel bacio abbia significato qualcosa, altrimenti non sarei venuto fin dentro casa tua per dirti che non voglio che tutti sappiano cosa c’è tra noi quando non lo sappiamo neanche noi”
“Ma io lo so che c’è tra noi”
“Lo sai adesso che io sono qui a dirti che va bene se sei innamorato di me. Che va bene se mi baci. Che va bene se mi chiami ‘Ai’ pensando all’amore, che va bene se ora ti avvicini a me e mi abbracci e mi fai calmare, perché sto per urlare dall’imbarazzo e vorrei baciarti come quel giorno, ma non ho il coraggio di fare niente di tutto ciò perché-”
Ai, sta zitto” furono le sue ultime parole, e riuscii a vedere solo il suo sorriso illuminare tutto il mio campo visivo prima di chiudere gli occhi e farmi abbracciare, baciare, tenere stretto, come quel giorno e ancora di più.
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“Sono sollevato dal fatto che tu e Momo abbiate risolto”
“Beh...”
“Perché avete risolto, vero?”
“Sì, Rin-senpai, ma c’è un’altra infinità di problemi ora di cui sento di dovermi occupare, e già fare il capitano mi stressa abbastanza...”
“Avere una relazione con il proprio compagno di stanza è sempre difficile”
“Non è vero Ai, non dargli retta, è vivere con Rin che è difficile. E anche vivere con Momo, presumo”
“Sousuke, io ti-”
“Ho ragione io Rin, e lo sai”
“Senpai, non è questo il punto! Lui è...è Momo!”
“Lo sappiamo...e ti capiamo”
Un sospiro, e la video-chiamata intercontinentale con l’Australia si chiude, dopo un altro po’ di convenevoli e Sousuke che continua a stuzzicare Rin, ignorandomi bellamente nonostante mi abbiano chiamato loro. Mentre prego di non diventare mai quel tipo di coppia con Momotaro, chiudo il portatile e mi incammino lungo il corridoio diretto alla zona delle camere, facendo meno rumore possibile visto che è notte fonda.
Una volta nella mia stanza, ad accogliermi ci sono due muscolose braccia abbronzate che mi cingono fin quasi a non farmi respirare, prima di lasciarmi e salutarmi con un bacio.
“Come stanno i senpai? Sousuke-senpai lo capisce l’inglese? Ma quindi si è trasferito anche lui definitivamente in Australia?”
“Momo-kun...una domanda alla volta!”
“In realtà, non mi importa davvero. Voglio soltanto baciarti e convincerti a dormire con me nel letto di sotto...”
“M-momo-kun...s-smettila! Lo sai che il letto è stretto, stiamo scomodi e domani c’è allenamento”
“Lo capisco dal tuo tono che non dici sul serio e che dormire con me ti piace, molto anche”
“No, non mi piace dormire con te. Ti giri sempre, mi dai calci, parli nel sonno, sbavi...”
“Ehi! Sei ingiusto!”
“A me piace fare altro con te. Nel letto. Possibilmente più grande di quello lì. In un posto che non siano i dormitori della scuola”
“...Ai-senpai se mi dici queste cose poi non so se riesco a trattenermi”
“Chiamo Mikoshiba-senpai per un allenamento speciale se non togli quella mano dal mio sedere”
“Cosa?! No, no, no! Non è giusto! Chissà quante volte i senpai avranno fatto cosacce nella loro camera, perché non possiamo farle anche-...!”
“Perché dopodomani è sabato, giorno di riposo da scuola e allenamenti, e potremo finalmente fare tutte le cosacce che vuoi in santa pace”
Il suo sorriso vale più di mille parole, mentre mi bacia sempre come fosse la prima volta, mi dà la buona notte e se ne torna nel suo letto, promettendomi di non darmi tregua non appena il sabato arriverà. Sinceramente, anche se faccio finta di lamentarmene, non vedo l’ora.

   
 
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