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Autore: Spartaco    29/04/2016    0 recensioni
Qualcosa si mosse nell’ombra. “Hohoho” rise Jack, una risata abbondante come abbondante era il premio che si aspettava “Come sai che Jack è passato di qua?” aggiunse con la sua voce stridula. River ebbe solo il tempo di aprire la bocca per rispondere, ma venne preceduta da lui stesso: “perché sono tutti morti!”.
Con un gesto accese la sega e, ridendo, irruppe nella stanza successiva.

Un gruppo di ragazzi si butta in un'avventura ai confini del soprannaturale.
Imprigionati in una misteriosa casa dalla quale sembra impossibile uscire, si ritroveranno non solo a dover risolvere il mistero, ma anche a confrontarsi con se stessi e le proprie paure.
Riusciranno a sopravvivere alla notte e a trovare in loro il coraggio di cambiare?
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPISODIO 1 – Hello Monster

Nonostante fosse primavera inoltrata il sole quella mattina era basso sull’orizzonte, ed una luce fredda inondava la città. Il palazzo abbandonato ricordava i vecchi condomini newyorkesi, un parallelepipedo di mattoni che una volta erano stati rossi ed ora erano anneriti dall’inquinamento. Le scale antincendio si arrotolavano sul fianco sinistro dell’edificio, che faceva angolo tra una strada principale ed uno stretto vicolo polveroso. All’interno il silenzio fu interrotto dai passi pesanti di Jack che scendeva a balzelloni l’ultima rampa di scale che conduceva al secondo piano, trasportando una sega elettrica. Dietro di lui lo seguiva River, guardandosi indietro per controllare che nessuno li stesse seguendo. I due attraversarono una grande stanza vuota, dal pavimento di vecchie piastrelle marrone chiaro si sollevavano granuli di polvere resi ancora più visibili dai fasci di luce che penetravano dalle finestre. Si avvicinarono alla porta scura e sbirciarono dal rettangolo di vetro blindato la stanza adiacente. Qualcosa si mosse nell’ombra. “Hohoho” rise Jack, una risata abbondante come abbondante era il premio che si aspettava “Come sai che Jack è passato di qua?” aggiunse con la sua voce stridula. River ebbe solo il tempo di aprire la bocca per rispondere, ma venne preceduta da lui stesso: “perché sono tutti morti!”.

Con un gesto accese la sega e, ridendo, irruppe nella stanza successiva.

 

 

“AAAAH! Di nuovo una tempesta!” esclamò Kit, a metà tra lo scocciato ed il divertito. Si rifugiò con River in un pub poco distante mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere pesanti. ”Appena in tempo!” River adorava i temporali, poteva stare a guardarli per ore. Era affascinata dalla potenza del vento e dal vorticare delle nubi, e stare in un posto buio ed accogliente mentre fuori pioveva le dava un senso di soddisfazione. Si sedettero ad un tavolino rotondo accanto al bancone ed ordinarono due pumpkin spice latte e dei muffin, i più cioccolatosi del menù. Nonostante il clima, nel pub c’era un’atmosfera festosa e rumorosa, gruppi di ragazzi giocavano a freccette o a biliardo. Una voce si stagliava però sopra le altre, un ragazzo seduto al bancone, poco distante da loro, strepitò: “mi ha rubato la birra!! Era mia la birra!!” si mosse però con troppa enfasi sul seggiolino, che suo malgrado gli fece fare un giro di 180 gradi, ed i suoi occhi azzurri incontrarono lo sguardo di River e Kit. Ancora instabile dopo l’inaspettato tour, cercando di aggrapparsi al bancone soggiunse calmo: “Era mia la birra.”. River e Kit risero così forte che quasi il latte gli entrò nel naso. Era un ragazzo sorridente, più o meno della loro età, indossava una felpa grigia troppo grande per lui ed un basco. Aveva un accenno di barba e dei buchi alle orecchie larghi qualche millimetro, probabilmente ciò che rimaneva di dilatatori ormai tolti. “Ciao, io sono Sean, ma mi chiamano Jack.” “Questo qua è tutto un programma” pensò Kit, guardandolo con sospetto. River invece era interessata e divertita da tutto ciò che si poteva definire strambo, e Jack (o Sean?) sembrava l’essere più curioso che avesse mai visto. Dopo aver recuperato l’equilibrio con un movimento fluido, si alzò e si diresse verso l’uscita, fermandosi per un secondo a guardare il tavolo da biliardo, come se stesse pensando a qualcosa. Prese poi una delle stecche e colpì una palla, fallendo miseramente la buca. “Questo era un colpo … DA CAMPIONI!!!!” esclamò, e mettendo le mani in tasca uscì sotto la pioggia.

 

 

Ken si appoggiò al bancone della cucina, sorseggiando una tazza di caffè americano bollente. Asciugando con la mano le gocce di caffè che gli erano cadute sulla folta barba, si guardò intorno. La sua nuova casa era finalmente sgombra dagli scatoloni del trasloco, era pulita e luminosa grazie alla vetrata che dava sul giardino, sulla parete davanti a lui. Era a piedi nudi e indossava ancora il pigiama nonostante fosse metà pomeriggio, aveva passato tutta la giornata a cercare di sistemare tutto il contenuto degli scatoloni negli armadi, maledicendosi per aver comprato così tanta roba con il suo ultimo aumento di stipendio. Lucy, il suo cucciolo di corgi color miele, passò trotterellando davanti a lui ed iniziò a scodinzolare ed abbaiare dirigendosi verso la porta di ingresso. “Chi arriva? Oh chi sta arrivando?” chiese Ken in motherese, fatto abbastanza curioso per un ragazzone muscoloso e barbuto di un metro e novanta. In quel momento bussarono alla porta e Ken, sorridendo per l’eccitazione di Lucy, disse senza pensarci “è aperto!”. “Oooh ma ciao! Io non credo di poterti fare uscire però” il visitatore era nascosto dalla porta, tenuta socchiusa per non permettere a Lucy di uscire in giardino, e cercava di occupare tutto lo spazio restante con le sue stesse gambe. “No, infatti” rispose Ken, avviandosi verso la porta per scoprire chi fosse venuto a trovarlo. “Hey Ken! Che bello vederti!” dalla porta si affacciò un giovane entusiasta, non molto alto ma ben piantato.  Ken ebbe la prontezza di trasformare il suo sospiro di sconforto in un “heeeey come procede?”. “Non hai più risposto alle mie chiamate” rispose l’altro ragazzo con un sorriso titubante. Ken pensò in fretta ad una spiegazione plausibile e con una risata nervosa rispose: “Ah sai ho cambiato numero, nuova casa nuovo numero”. Il visitatore sembrava confortato e, riguadagnata l’allegria, propose a Ken un giro in città. “Oh santa cacca” pensò Ken, “Mmmh, mi dispiace, ma ho tante cose da fare sai, con il trasloco…” “Posso aiutarti?” “No, no, grazie, non vorrei disturbarti!” disse Ken, riuscendo a stento a muovere le labbra per mantenere il suo sorriso di cortesia, mentre chiudeva lentamente la porta. “è stato bello vederti, ho ancora il tuo numero e ti farò uno squillo appena possibile! Ciao Mark! Ciao. Ciao.” Finalmente riuscì a chiudere la porta.  “In che cosa mi sono cacciato” si disse Ken. I due si erano incontrati un paio di settimane prima ad una conferenza stampa, erano entrambi giornalisti, e Mark si era appena trasferito da un’altra città. Non conosceva nessuno, e Ken si era offerto di fargli da guida. Non l’avesse mai fatto! Dopo le prime uscite, Mark si era talmente affezionato da chiamarlo più e più volte al giorno per invitarlo al karaoke, al cinema, a fare una partita a casa sua, facendo diminuire esponenzialmente la pazienza di Ken. Si sedette sul divano tra la porta e la vetrata, giusto in tempo per scorgere Mark in giardino, che lo salutava con la mano. “Ciao piccolo rompipalle, ciao, ciao” disse tra sé e sé, ricambiando il saluto.

Mark entrò nella sua nuova villetta a due piani, gettando le chiavi nella ciotola all’ingresso. Il suo sguardo cadde immediatamente sul computer nell’angolo della stanza e non poté fare a meno di sorridere. Si tolse i jeans e rimase in boxer, indossò la sua camicia di flanella rossa preferita e aprì un sacchetto di caramelle.  Mangiandone cinque alla volta accese il computer ed iniziò a giocare a Turbo Dismount.

 

 

“Whoa, guarda qui”. Wesley era seduto in una stanza al buio, davanti al computer. Scostò i suoi capelli rossi dagli occhi, e premette il tasto “Replay”. “Cosa?” chiese Evan distratto. Si trovava nella stanza accanto a cucinare dei pancake. Da quando la sua ragazza l’aveva cacciato di casa viveva con il suo collega Wes, e faceva di tutto per rendersi utile cucinando e facendo le pulizie, seppure borbottando quando l’amico lasciava qualcosa fuori posto. “Ho trovato qualcosa d’interessante” proseguì calmo Wes, attirando finalmente l’attenzione del coinquilino, che si diresse verso di lui. Evan, come faceva sempre, si sistemò con due dita gli occhiali sul naso e si avvicinò allo schermo per osservare il video che Wes aveva appena fatto ripartire. L’immagine era disturbata, poco stabile, e si sentiva in sottofondo un respiro pesante. Chi stava registrando aveva un passo veloce, camminava in un corridoio buio ed era evidentemente spaventato. Guardandosi indietro inquadrò qualcosa che strisciava sul pavimento dietro di lui, una massa nera, sinuosa, che sembrava avere troppi arti. All’inizio si muoveva lenta, circospetta, per poi improvvisamente acquistare velocità. Dopo un urlo terrorizzato la telecamera inquadrò il pavimento oscillando sincronizzata con i passi dell’autore, per poi spegnersi. Wes ed Evan rimasero in silenzio per qualche secondo. “Sono troppo vecchio per queste cose” si decise a dire Evan fissando lo schermo. Nonostante fosse stato il suo lavoro per molti anni, aveva rinunciato da qualche mese a fare l’investigatore del paranormale. Aveva incominciato molto presto, quando non aveva ancora 18 anni, e ne era rimasto segnato. Wes era arrivato qualche anno dopo, come tecnico d’immagine. Era una persona molto tranquilla e faceva uno strano effetto vederlo davanti al monitor in luoghi abbandonati, quasi come intorno a lui ci fosse un’aura di calma. Evan invece, con il suo fare da spaccamontagne, era sempre stato troppo orgoglioso per ammettere di essere spaventato da ciò che vedeva quelle notti, ma alla fine era riuscito ad accettarlo  ed aveva deciso di smettere. “Non farmi questo” pensava Evan in quel momento. Ma Wesley stava già digitando alla velocità della luce sulla sua tastiera, cercando maggiori informazioni sul luogo dell’avvistamento. “Here we go!” esclamò Evan ostentando entusiasmo e dando una pacca sulla spalla dell’amico, ma dentro di lui il dubbio cresceva.

 “Ce la posso fare. Era il mio lavoro. So come usare le mie armi.” Evan si sistemò ancora gli occhiali e guardò fuori dalla finestra, sfiorandosi con le dita il petto, per sentire per una frazione di secondo il suo cuore battere. “Hello, Monster.”

 

 

 

EPISODIO 1

-FINE-

 

 

 

 

 

EPISODIO 2 – How did we come to this?

River era concentratissima. In biblioteca non funzionavano né il cellulare né internet, e sospettava che fosse stata fatta una schermatura ad hoc. Il silenzio venne interrotto da una voce squillante: “Hey, salve a lei!” “SSSSSHHHHH!” una decina di teste si sollevarono all’istante dai libri per zittire l’ospite sgradito. “….whoopsie” Jack abbassò la voce, o almeno ci tentò per quanto gli fosse possibile. “Ciao!” rispose River, sorpresa e contenta di rivedere quello strano ragazzo. “Cosa la conduce qui?” River sentiva ancora gli occhi degli studenti puntati su di lui, e prima di rispondergli gli propose di spostarsi in area relax. Lì Jack le offrì un caffè, ma River rifiutò e optarono entrambi per un tè. “Se bevessi caffè sarei insopportabilmente iperattivo” aggiunse Jack. Buffo da dire, dato il suo modo di fare. River non poté fare a meno di immaginare Jack ancora più rumoroso di quanto già fosse, e pensò che la sua astinenza dal caffè fosse un’idea più che saggia. River indossava un abito verde chiaro dalle forme morbide, stretto in vita da una sottile cintura di cuoio intrecciato. Aveva i capelli lisci, erano scuri e le ricadevano sulle spalle. Non era molto alta, ma essendo piuttosto proporzionata – ed indossando spesso scarpe dalla suola alta - non si notava. Lavorava in ospedale e si sentiva un po’ il jolly della situazione o, forse più realisticamente, il tappabuchi. “Abbiamo bisogno di lei alla stroke unit”, “La cerca il dott. Burke nella stanza 306”, “Dovrebbe andare a controllare cos’ha da lamentarsi il paziente 526 in ambulatorio”, il cercapersone era bollente. Sapeva fare un po’ di tutto, correva tutto il giorno su e giù per l’ospedale con quelle orrende scarpe mediche che tentava in tutti i modi di rendere più colorate applicandoci di volta in volta coccinelle, farfalle e fiorellini di plastica, specialmente quando aveva a che fare con i bambini. Già, i bambini. River si divertiva un mondo con loro e cercava di farli divertire altrettanto: mentre li visitava dava le spalle al dottore e faceva sbucare dal taschino del camice la testolina di un piccolo lemure di peluche, facendo l’occhiolino al piccolo paziente che tratteneva le risate a stento. Di nascosto li faceva uscire dalle loro camere e li riuniva in una stanza per fare ascoltare loro qualche bella canzone. Fortunatamente non lavorava a tempo pieno, aveva del tempo a diposizione per condurre una ricerca su un particolare tipo di epilessia. Così particolare che sembrava non soffrirne nessuno nel raggio di chilometri… così un paio di volte alla settimana trascorreva del tempo nella biblioteca dell’Università per ripassare e tenersi aggiornata. E in uno di quei pomeriggi ecco che ricomparve il ragazzo del pub. Jack aveva qualche mese più di River ed indossava il suo solito basco da cui, apparentemente, non si separava mai. Era sempre avvolto in abiti troppo grandi per lui, il che lo faceva sembrare più esile di quanto in realtà non fosse. Questa volta si era infagottato in una felpa blu e sorseggiava soddisfatto la sua tazza di tè fumante. “Bisogna sempre iniziare la giornata con del buon tè, o in questo caso, proseguirla” disse tra un sorso e l’altro. “E tu di cosa ti occupi?” chiese River. “Oh sai, un po’ di cose, suono la batteria in una band, sto finendo l’università, ho mollato qualche corso per strada. Facevo sound management. Sono affascinato dai suoni: amo la loro diversità, specialmente i toni bassi, sentirne le vibrazioni. Forse per questo amo andare al cinema. Ho studiato per due anni da tecnico del suono, poi ho deciso di cambiare e ora studio per diventare il manager di un hotel.” “Oh” commentò River confusa. Evidentemente Jack era un fiume in piena anche nei suoi discorsi. I suoi pensieri dovevano toccare la velocità della luce. “Come mai hai deciso di cambiare strada dopo due anni?” “Oh, non riuscivo a prestare attenzione in classe. Pensavo solo ai videogiochi a cui avrei giocato una volta tornato a casa!” Ammise Jack con non-chalance. Questo ragazzo aveva una sincerità disarmante ed un che di estremamente interessante per River. Le metteva allegria al solo guardare i suoi occhi azzurri che guizzavano senza sosta da un angolo all’altro della stanza. E poi anche lui sembrava avere la passione dei videogiochi, come lei e Kit. A River venne spontaneo proporgli di incontrarsi a casa sua per qualche partita alla playstation, così si scambiarono i numeri di telefono.

River, recuperate le sue cose in biblioteca, tornò verso casa sua. Aprì la serie di porte che separavano il suo appartamento dalla strada, “Più blindato di così c’è solo l’appartamento di Tony Stark” mormorò mentre girava con due mani la chiave della sbarra di ferro che chiudeva la porta di casa. “’Giorno!” Sylvie era accovacciata sul divano come suo solito, con un e-book appoggiato sulle gambe incrociate. I lunghi capelli rossi erano legati strettamente in una treccia. “Ciaaaaaaaao” rispose River, mentre un sorriso scalpitava per uscire allo scoperto. “Cosa c’èèèèèè?” Sylvie si ricompose immediatamente, tornando in posizione eretta per l’occasione. “Devo assolutamente raccontarti una cosa” rispose River ridendo.

 

 

“Da soli non ce la faremo mai” sbuffò Evan. “Hai presente quanta attrezzatura serve per un’impresa del genere?” “Abbiamo tutto il necessario” tagliò corto Wesley. “Ah sì certo, tanto tu sei quello che sta comodamente seduto a fissare i monitor, sono io quello che gira con una luce sulla testa, neanche fossi un pesce degli abissi, e una telecamera sulla spalla. E poi sono anche più grasso e saporito.” Wesley scoppiò in una risata fragorosa. Evan aveva un modo di parlare tutto suo, si prendeva in giro da solo per vincere le discussioni. Ricordò di quando, qualche settimana prima, lo aveva battuto a Mario Kart 8, e per tutta risposta si era sentito dire “Ah, certo, bella storia battere il tizio cieco!”. Evan infatti portava degli spessi occhiali da vista che si toglieva solo quando doveva fare attività fisica per paura di romperli, il che in realtà si rivelava controproducente il più delle volte, dato che non riusciva a vedere dove diavolo stesse mettendo i piedi. Era bruno, alto, anche se non come Wes, ed era sempre stato piuttosto ben messo, ma aveva acquistato qualche chiletto in più da quando la ragazza l’aveva lasciato. Wesley conosceva il passato di Evan e non aveva esitato ad accoglierlo in casa sua. Nonostante l’apparente confidenza in se stesso, era in effetti solo un gran pasticcione. Era bravo e coraggioso a parole, si buttava a capofitto in qualsiasi progetto al grido di battaglia “Certo che lo so fare”, per poi però impantanarsi nel’impresa pochi attimi dopo. Chi gli stava vicino lo aiutava con un sospiro di rassegnazione, a cui Evan solitamente rispondeva “Ah. Ora dovrei ringraziarti, immagino”. Questo suo modo di fare gli aveva procurato dei guai più di una volta, come quando anni prima aveva cercato di riparare da solo la batteria della sua macchina, prendendo una scossa talmente forte da fermagli il cuore per qualche istante. Wes l’aveva conosciuto sul lavoro, durante una delle loro cacce ai fantasmi. Lui era in un certo senso l’opposto del suo nuovo coinquilino. Era riflessivo, cauto, concentrato. Ma era anche di facili entusiasmi, e ogni volta che qualcosa lo esaltava alzava le braccia al cielo urlando “wiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!”, per poi ricomporsi e risistemarsi dietro le orecchie i folti capelli rossi.

“Se sei proprio sicuro” disse Wesley “cerco di contattare qualche giornalista interessato che ci accompagni e che porti qualche telecamera in più”. “Oh, così va meglio. Magari più grasso di me. E già che ci sei, che ci veda un po’ meglio!”.

 

 

Ken sentì bussare alla porta. Radunò le forze per uscire dal letto, ancora impastato di sonno cercò gli occhiali a tastoni e si avviò verso il toc toc. Mugugnò qualcosa mentre evitava all’ultimo minuto di inciampare sulla pancetta tonda di Lucy ed aprì la porta. “Keeeeeeen!” “…….Ciao Mark.” Mark entrò in casa con un tablet malridotto sotto braccio, approfittando della momentanea lentezza di riflessi di Ken. “Non immagini che scoop ho trovato per noi” “…noi?....Cosa?” “Guarda!” Mark mostrò a Ken un’inserzione che aveva trovato girovagando su internet. “Investigatori paranormali? Ma sei serio?” “Certo! Pensa quanto ci divertiremo! Dai! Ken! Chiama! Dai!”. Ken esaminò la situazione. O chiamava in quell’istante o Mark sarebbe rimasto con lui per il resto della giornata. La scelta fu semplice.

Ken premette il tasto di chiamata e con la coda dell’occhio teneva Mark sotto controllo. Era alto non più di un metro e settantacinque, ma aveva braccia muscolose per la sua costituzione. Quando non aveva la telecamera in spalla passava metà del tempo al computer e metà del tempo in palestra. Mentre il telefono squillava dall’altra parte Ken si sentì in dovere di riempire quel silenzio imbarazzante e chiese a  Mark se avesse provato la nuova XBox. “Oh no, io sono sempre stato un pc gamer, anche da bambino.” Rispose Mark. “Oh. Quindi sei cresciuto con Commander Keen” “A dire la verità no, non ci ho mai giocato.”“….Allora credo tu abbia un bel problema. Sì, pronto? Sono Ken Morrison. Chiamo per l’inserzione che avete…. Sì. Saremmo interessati a partecipare, a quanto sembra.”

 

 

 

“Wow, hai più fegato di me” ammise Jack togliendosi le cuffie. “Mi tremano le mani” disse per tutta risposta River, cercando di riportare i suoi capelli ad un aspetto vagamente umano. “4 a 6, hai trovato più pagine tu prima che Slenderman ci facesse a pezzi” disse Jack tra le risate. Avevano tutti e due le lacrime agli occhi e il cuore a mille. Un’iniezione di adrenalina, pensò River soddisfatta. “Perché non lo portiamo al prossimo livello?” “Cioè?” chiese River curiosa. “Cosa c’è di più terrificante di una casa abbandonata di notte? Una casa.. vera. Non Outlast o roba del genere.” “Ma tu sei matto! Morirei di paura.” River gli tirò un cuscino, ma Jack stava per dire qualcosa e non si spostò di un millimetro. Il cuscino lo colpì in piena faccia, causandogli un’esplosione di ilarità che quasi lo fece cadere dalla sedia; “Ma se ridi appena accendi un horror!” riuscì a dire appena riprese fiato, e concluse: “Io stasera inizio a leggermi qualche creepypasta, e poi ti faccio sapere”.

 

“Fammi almeno fare una prova con l’Oculus Rift!” protestò River, ma inutilmente, perché Jack era già uscito dalla porta dicendo “Ti faccio sapere!” e, mani in tasca, si avviava verso casa sua. River scosse la testa guardando Sylvie, che sorrise. Pensarono entrambe la stessa cosa: era proprio tutto matto.

 

 

 

“Io non credo tu debba andare.” disse Kit seccamente, stringendo i suoi occhi azzurro chiaro. “Non so neanche se sia fattibile, se troverà qualcosa” River cercò di ridimensionare la situazione mentre porgeva un bicchiere di coca a Kit, ma senza risultato. “Ma quello è totalmente scemo! Secondo me si droga. O quantomeno beve! Lo conosci da una settimana, sarà di sicuro un malintenzionato, e toccherà a me fare la guardia.” River sorrise, perché andava spesso a finire così. Ormai lei e Kit si conoscevano da tempo e si incontravano quasi tutti i giorni. Quel giorno indossava una polo a righe e dei jeans, i capelli biondi scompigliati dal gel. Pur essendo più giovane superava River in altezza di una decina di centimetri e aveva sempre un comportamento dolcemente protettivo nei suoi confronti. Erano spesso complici nelle loro avventure, e nei loro acquisti impulsivi che venivano nascosti a casa di uno o dell’altro. “Vedrai che non troverà niente di interessante, quelle storie sono tutte inventate” disse River, che in effetti era ancora dubbiosa riguardo al grado di serietà di quanto avesse affermato Jack pochi giorni prima “Se ne sarà anche dimenticato, con tutte le cose che fa in ventiquattro ore!”

 

 

“Ok! Penso che abbiamo raggiunto il numero adeguato” dichiarò Wesley appoggiandosi soddisfatto allo schienale della poltrona. “Siamo ben in sei.” “Sei? Come hai fatto a trovare tutta questa gente? Chi sono?” chiese dubbioso Evan. “A quanto sembra, due giornalisti ed un appassionato di videogiochi che ha detto che avrebbe portato un’altra persona.” “Oh beh allora siamo a cavallo.” commentò Evan a bassa voce, togliendosi gli occhiali e sfregandosi gli occhi. “Come dici?” “Oh, nulla. Sono almeno grassi e ciechi?” “I due giornalisti portano gli occhiali.” “Ok, due punti per te. Magari questa volta vengono mangiati loro al posto mio.”

Evan si afflosciò sul divano, dopo aver pulito la casa per la terza volta quella settimana. Wesley era la persona più disordinata che avesse mai conosciuto. Si guardò intorno, valutò l’intreccio di eventi che lo aveva portato a quel punto della sua vita, e sospirò.

 

 

EPISODIO 2

-FINE-

 

------------------------------ Angolino Finale

Benvenuti innanzitutto! Per prima cosa voglio precisare che questa storia non è stata scritta da me, ma da una mia amica che mi ha concesso l'onore (o l'onore) di pubblicarla, visto anche che non possiede un account efp. (Le recensioni le verranno trasmesse da me ^^)
Come avete visto sono presenti sia il primo che il secondo episodio in un capitolo per il semplice fatto che il primo era un po' corto (al tempo era stato una sorta di prova generale), ma di seguito si procederà normalmente..! E non temete! La fic è già finita quindi non ci saranno nè incompiute nè cose lasciate e abbandonate per mesi!
I personaggi non sono tutti tutti originali, ma sono di universi talmente sconosciuti (soprattutto per il pubblico italiano) che dubito che li riconoscerete xD! Quanto al contesto quello invece lo è!

Detto questo, spero la possiate apprezzare così come ho fatto io! Aspettatevene delle belle e preparatevi! :)
Recensioni, critiche e quant'altro sono ovviamente ben accette, soprattutto dato che è la prima volta che la mia amica si cimenta in qualcosa del genere! ^^ P.s. Si, è vero, all'inizio è un po' nerdeggiante, ma spero non per questo vi fermiate qui!
Grazie ancora
A presto!

  
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