La luna illuminava le piazze e le strade, a quell'ora deserte.
Makoto sedeva su quella vecchia panchina ormai da ore, rigirandosi tra le mani quel foglio stropicciato. Lacrime amare scorrevano silenziose sul viso illuminato dalla fioca luce di un lampione, e ad ogni sussulto le asciugava con il dorso della mano. 
Non voleva. Non voleva partire. Non voleva lasciare l'Iwatobi, i suoi compagni, la sua famiglia, ma soprattutto non voleva lasciare Haruka. Proprio ora che si era finalmente reso conto di quanto lo amasse, di quanto la sua vita fosse stata vuota prima di lui e di quanto le sue risate cristalline, quelle che solo Makoto poteva vedere e sentire, lo rendevano felice per giorni, se non settimane, sapendo di essere l'unica persona al mondo in grado di farlo ridere. Urlò. Si alzò di scatto e si mise a correre, senza sapere dove andare. E corse e corse, per minuti, forse ore, digrignango i denti e ringhiando furioso, ma quando alzò la testa e vide la casa del suo amato, tutta la rabbia sparì. Aveva salito le scale di corsa ed era entrato dalla porta sul retro, sapendo che l'avrebbe trovata aperta. Con passi incerti aveva attraversato il corridoio buio ed era entrato nella camera di Haru, scorgendo la sua figura dormiente raggomitolata nella coperta. Un braccio pendeva dal letto, e un filo di bava colava dalle sue labbra socchiuse, cosa che fece sorridere teneramente Makoto, che si avvicinò al letto e vi si sedette. Aveva accarezzato i capelli neri e sottili del ragazzo e si era avvicinato al suo viso per dargli un lieve bacio sulla fronte. Le narici gli si riempirono del profumo della pelle di Haru, che lo inebriava. "Addio" aveva sussurrato, ed era uscito dalla stanza, lasciando il foglio che aveva portato con sè sul comodino. 
Haruka si svegliò improvvisamente. Scostò le tende e constatò che era ormai mattina. Singhiozzava rumorosamente e senza saperne il motivo si ritrovò a cercare sul comodino qualcosa, qualcosa che non trovò. Si ricordò del sogno che aveva appena fatto e corse nella sala da pranzo, dove aveva lasciato il cellulare, e compose frettolosamente il numero del suo ormai ragazzo, che gli rispose con la voce ancora impastata dal sonno.
"Dimmi, Haru-chan. C'è qualcosa che non va?"
"Ma-Makoto....."
"Haru? Stai bene??" aveva detto il ragazzo con voce preoccupata e più squillante del solito.
Haruka si accasciò al suolo, felice. "Non se n'è andato " pensò. E si mise a ridere, mentre lacrime di gioia gli bagnavano il bordo del pigiama. 
"Makoto, ti amo" aveva detto.
Il ragazzo dall'altra parte del telefono non aveva risposto subito, e gli ci vollero una decina di secondi per rendersi conto di quella dichiarazione così improvvisa e inusuale. 
Alla fine si era deciso a rispondere, e mai parole furono più sincere:"Anch'io, haru."