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Autore: Abbykat    30/04/2016    0 recensioni
Non c'è nemico che lui non possa sconfiggere... ma lei non accetta di battagliare in termini che lui possa capire. Un'esplorazione di un universo alternativo e vagamente contorto del lato più oscuro di Neo e di Murrue.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Murrue Ramius
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Gundam Seed e i suoi personaggi sono proprietà di Hajime Yatate e Yoshiyuki Tomino, e vengono qui utilizzati senza scopo di lucro. Nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.

SCARS LAID BARE
scritta da Abbykat, tradotta da Alessia Heartilly

"Perché persisti in tutto questo?"

La prigioniera prese un sorso da una tazza di caffè e non lo guardò. "Puoi far finire tutto questo quando vuoi," disse lei dolcemente.

Siccome era vero, Neo si imbronciò e si voltò a fissare duramente la porta chiusa della cabina dell'equipaggio che usava come cella per lei. Ogni volta che parlava con questa Murrue Ramius, rimaneva solo più frustrato, sempre più consapevole di tutte le cose che non capiva, ma continuava comunque a tornare come se lei fosse un codice che era determinato a decifrare, e lei era seduta composta dall'altro lato del letto e non lo guardava.

"Cosa speri di ottenere?" chiese lui. Non ci fu risposta. Forse aveva percepito, in qualche modo, che non lo stava davvero chiedendo.

Inquieto, lui si voltò, vagando nei confini della stanza come se fosse lui ad essere imprigionato. "Non essere così compiaciuta," le disse. "Potremmo non essere in guerra con Orb," - non ancora - "ma sei una disertrice per JOSH-A. Di questo dovrai rispondere."

Avrebbe già dovuto rispondere di quello. Era pericolosamente vicino al superare un limite, non facendo rapporto della cosa e lavandosi le mani di lei, ma non poteva sfuggire alla certezza che lei aveva informazioni vitali che rifiutava di concedere.

Lei ancora non disse nulla, tutta la fragile dignità che nascondeva - cosa? "Guardami, dannazione," borbottò a denti stretti.

Lei sorrise debolmente, rivolta alla tazza che stringeva tra le mani. "Deciditi."

Neo capiva la strategia di guerra. Era un soldato fin nel midollo, e non c'era alcun nemico che alla fine non avrebbe sconfitto. Ma questa donna, con la sua voce mite e i caldi occhi castani - questa donna che non aveva nulla a che fare con l'essere su un campo di battaglia, che gli parlava come se non sapesse che stava parlando con il suo carceriere e a volta non sembrava affatto che parlasse a lui - questa donna era un avversario che andava oltre la sua esperienza. Lei rifiutava di combattere secondo i termini che lui capiva.

"Se vuoi che ti parli," disse lei, "guardami negli occhi."

"Che cosa stai cercando?" le chiese lui, ma stavolta non si aspettava alcuna risposta, e non ne ebbe alcuna.

Togliere la maschera era come togliere uno strato di pelle, con qualcosa della stessa aspettativa di repulsione della crudezza al di sotto. Ecco qui le mie cicatrici. Sono brutte. Sii disgustata. Ma quando lei spostò infine il viso verso di lui, non c'era disgusto; la sua espressione faceva male con un miscuglio di meraviglia e la brusca strettezza del dolore.

"Masochista," disse.

Lei sorrise, con affetto, con un luccichio negli occhi che avrebbero potuto essere lacrime. "Mi chiedo che cosa ti renda questo, allora, Mwu."

"Capitano Lorrnoke."

"Capitano," mormorò lei, distogliendo lo sguardo, un compromesso a cui nessuno dei due credeva. Con movimenti attenti, lei si allungò per posare la tazza di caffè, e poi si alzò in piedi per guardarlo di nuovo. "Ti ricordi di JOSH-A?"

"Ero a Panama." Nemmeno lui ricordava, a parte una confusione di frammentarie immagini del campo di battaglia, ma conosceva il suo rapporto di servizio.

"Hanno trasferito lì la maggior parte delle nostre forze." Era intelligente il modo in cui lei riconosceva le sue parole senza accettarle affatto. "Per essere pronti per l'attacco di ZAFT... ma era una bugia. Hanno trasferito quelli che volevano salvare."

"Sei scappata per salvarti la vita."

Lei aveva ancora gli occhi su di lui, ma sembrava che vedesse qualcos'altro, un altro posto, molto lontano. "'Mantenere le difese e adattarsi alle circostanze'," disse. "Ecco gli ordini che ci erano stati dati. Ma in realtà, quello che dovevamo fare era fingere una battaglia convincente - e lasciarci spezzare la schiena da ZAFT - e poi morire, e non dare altri problemi."

All'improvviso i suoi occhi si focalizzarono ancora, fissi sul suo viso, alla ricerca di qualcosa in lui. Ebbe il pensiero irrazionale che lei vedesse oltre le cicatrici, dritto nel suo profondo, in tutti i posti in cui lui mancava. Ci volle la forza di volontà per non distogliere gli occhi.

"Tu daresti quell'ordine?" si chiese lei piano. "Diresti ai tuoi uomini di combattere bene, e poi li useresti, e li abbandoneresti a morire come spazzatura senza nemmeno sapere per cosa stavano lottando e morendo?"

Ora lui le voltò le spalle, duramente, una risata amara che gli grattava la gola. "I miei uomini," disse, "sono bambini dal cervello danneggiato che non sanno niente. Combattono perché io dico loro che se non combattono moriranno." La cecità idealista di lei era più incriminante della brutalità della verità. Sentì l'impulso di strappargliela via, di farle vedere se stesso invece che il fantasma di un eroe. "Muoiono comunque. È quello che fanno i soldati - muoiono."

"Ma tu sei vivo." La sua voce era sommessa.

"Per adesso." Neo non era affatto diverso dal suo trio di soldati giocattolo, alla fine - nessun controllo sul proprio destino, e davvero troppe cose che non sapeva. "Non credere che possa proteggerti."

"Non ha niente a che fare con quello," mormorò lei.

Non la sentì muoversi, e si irrigidì al tocco leggero della sua mano sulla spalla.

"Hai una cicatrice qui," disse lei, "vero?"

"Ho molte cicatrici," rispose.

"Ne hai una qui, di un proiettile." Quando la sua mano gli sfiorò il fianco, lui risucchiò piano l'aria tra i denti. "E una qui, per le schegge di granata... quando Raww le Klueze ha danneggiato la Strike alla Colonia Mendel."

Lui si voltò bruscamente, scrollando di dosso la sua mano e afferrandola per il polso, così da fronteggiarsi di nuovo. "Smettila di ingannarti," disse. "Mwu la Fllaga è morto. È polvere - parte delle macerie di Jachin Due. Il fascio a positroni probabilmente non ha lasciato di lui abbastanza da riempire una scatola da scarpe-"

Lei lo schiaffeggiò, con la mano che lo colpì in viso con un impatto che fece meno male di quanto lo avesse sorpreso e messo a tacere.

Aveva voluto ferirla, e vide nella strettezza agli angoli dei suoi occhi che ci era riuscito - aveva voluto farla arrabbiare, e poteva vedere anche quello nel modo in cui sollevò il mento - ma più di questo, nel modo in cui lo guardò c'era il rimpianto, come se lei lo avesse già perdonato per essersela presa con lei, e l'inappagata luminosità di un amore che lui non aveva fatto nulla per guadagnarsi, tranne somigliare un poco all'uomo che era morto per il suo bene.

La linea era lì, ed era ora di allontanarsi, ma quando lasciò andare la presa sul suo polso lei si allungò, con le dita che tracciavano dolcemente il lato del viso dove lo aveva colpito, e le parole che lui stava per dire gli morirono in gola.

Con il pollice che passava sui contorni delle sue cicatrici, lei spostò la mano tra i suoi capelli. In qualsiasi momento, avrebbe potuto fermarla; non era del tutto sicuro del perché non lo fece, ma rimase completamente immobile quando lei si sollevò e premette le labbra contro le sue, dolcemente e con calore, un bacio dato più che ricevuto.

Lui le chiuse le mani intorno alle braccia, ma l'istinto di riflesso di spingerla via combatté con l'impulso inaspettato di stringerla e scoprire se c'era abbastanza, in lei, per riempire i posti vuoti in lui. Alla fine non fece nessuna delle due cose, e fu lei a ritrarsi finalmente, solo pochi centimetri, per guardarlo negli occhi.

"Mwu..." sospirò, una sillaba incerta che vacillava sul bordo di una caduta.

All'improvviso, vendicativamente, lui volle fare a pezzi la memoria di Mwu la Fllaga. Voleva costringerla a buttare fuori da sé quell'illusione. Voleva che lei lo guardasse e vedesse soltanto lui. "Neo," la corresse bruscamente, stringendole le braccia abbastanza forte da lasciar lividi, e la guardò trasalire.

Qualcosa in lei si ruppe, allora. Dietro la luminosità vitrea di lacrime non versate, i suoi occhi erano scuri e vuoti, e pensò che forse lei era altrettanto piena di cicatrici e vuota quanto lui, dopo tutto.

"...Neo," riecheggiò lei in un sussurro, ed era troppo tardi per tirarsi indietro adesso.

Lui la baciò spietatamente, senza alcuna gentilezza, ma lei gli cedette soltanto senza protestare, con il corpo che premeva caldo e vicino, con le dita che affondavano nelle maniche della sua uniforme con più forza disperata di quanto lui le avesse riconosciuto.

Caddero insieme oltre la linea.

Lei si stiracchiò a disagio nel sonno quando lui la lasciò, molto più tardi, ma non si svegliò. Ci fu un momento in cui Neo quasi esitò, quasi si fermò per passare le dita sul tessuto in rilievo di una vecchia cicatrice da arma da fuoco sulla spalla... ma alla fine, si rimise solo la maschera, e la chiuse dentro, dietro di sé.

Questa era una battaglia che avrebbero perso entrambi. Avrebbe scoperto abbastanza presto a che prezzo.

*****
Nota della traduttrice: come sempre, ogni commento sarà tradotto e inviato all'autrice, così come ogni sua eventuale risposta sarà riportata come risposta alla recensione (nei siti che lo permettono) o comunque sul mio blog.
Per chi volesse tenersi aggiornato sulle mie traduzioni (in questo e altri fandom), lascio il link alla mia pagina facebook (dove segnalo sempre quando aggiorno) e alla mailing list. Alla prossima! Alessia Heartilly

   
 
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