“Va tutto storto”, pensai, lanciando un cappello di stoffa verde sul
letto con poca grazia. Il copricapo fece un suono attutito, rotolando giù dalle
coperte e finendo sul tappeto.
Lo guardai. Era il secondo cappello che avevo rovinato quel giorno ed
ora era anche tutto sgualcito. In quel momento mi sentivo proprio come quel
cappello.
Prima che me ne accorgessi, mi si appannarono gli occhi di pianto.
-Sophie, sei qui dentro?-
Mi asciugai le lacrime con la manica del vestito e andai a recuperare il
cappello sul tappeto.
-Entra pure.-
La porta si aprì e lasciò apparire la figura elegante e pomposa di mia
madre. Indossava un lungo vestito rosa pieno di fiocchi lilla, che quasi non
passava per l’uscio. Con l’aria afflitta e una mano sul cuore, mi si avvicinò
con aria patetica.
-Come stai, tesoro?-
Assunsi la mia solita aria impassibile e matura, cercando di ignorare il
doloroso nodo che mi chiudeva la gola.
-Bene, madre. Perché me lo chiedete?-
Mia mamma mi fissò, lo sguardo dolente, alla ricerca di un qualsiasi cedimento
da parte mia. Capendo che non avrei ceduto facilmente, mi si avvicinò e si
sedette sul letto, dove poco prima avevo lanciato quel povero cappello verde.
-Sei sfrecciata in camera tua dopo quel brutto incidente di oggi... e
così pensavo che…-
-Se pensate che me la sia presa, vi sbagliate- dissi, tornando alla mia
scrivania e prendendo in mano il copricapo sgualcito.
Vi furono alcuni minuti di silenzio, in cui si sentiva solamente il
rumore metallico delle mie forbicine che tagliavano il filo della cucitura.
La voce di mia madre mi fece sobbalzare.
-Io ti credo, Sophie. So benissimo che non avresti mai cercato di
derubare quella signora.-
Al ricordo di quella mattina, mi salì prepotentemente la rabbia un’altra
volta. Cercai di trattenere il tremore delle mani, mentre continuavo a tagliare
con foga i fili e disfacevo tutto il mio lavoro.
-Sicuramente era invidiosa del fatto che tu fossi una ragazza matura e
con un lavoro dignitoso. Non tutti alla tua età possiedono una forza d’animo
come la tua.-
Volevo parlare e mandarla via in qualche modo, ma la gola era ancora
chiusa da quel fastidiosissimo nodo e temevo che, se avessi provato a
spiccicare parola, mi sarebbe tremata la voce. Sperai con tutte le mie forze
che il mio silenzio la invogliasse ad uscire.
Eppure sapevo com’era fatta mia madre.
Imperterrita, continuò a spiegare come quella signora fosse conosciuta
in tutta Market Chipping come una cialtrona e che,
nonostante i vari tentativi, non era mai riuscita a trovare delle amicizie per
via della sua lingua lunga.
Feci grandi respiri per cercare di calmare il dolore alla gola e di
mandare giù le lacrime, senza ascoltare tutto quel fiume di parole.
Sentì che mia madre si era alzata dal letto e pensai che finalmente si
fosse arresa. Invece si avvicinò a me e mi posò dolcemente una mano sulla
spalla.
-Dimmi la verità, Sophie…-
Sentii la prepotente voglia di scacciarle la mano con un gesto.
-Te la sei presa perché ha detto che nemmeno il mago Howl
ti degnerebbe di uno sguardo?-
Una sensazione bollente mi salì su per lo stomaco, fino a raggiungere
velocemente il viso.
Con uno scatto mi alzai violentemente dalla sedia e mi girai verso mia
madre, paonazza dall’ira.
-Che diavolo volete che mi interessi?- gridai.
Mia madre indietreggiò, sorpresa della mia reazione.
-Pensate che mi importi veramente di essere corteggiata da Howl? Smettetela di nominarlo tutti come fosse un dio!
Nessuno lo ha mai visto, magari è solamente un cialtrone che dice di essere un
potentissimo mago. Non desidero essere corteggiata da lui. Non desidero essere
corteggiata da nessuno!-
Dopo qualche secondo di smarrimento, mia madre tornò in sé e corrugò la
fronte, contrariata.
-Non parlarmi con quel tono, signorina.-
Con rabbia, pestai un piede sul pavimento, dicendo:
-Ormai ho già diciotto anni. Da quando papà è morto, questa è diventata
la mia bottega, ma non l’ho di certo scelto io di essere la figlia maggiore. Io
odio stare qui dentro! Odio questi stupidi cappelli e odio essere trattata come
una commerciante di terz’ordine!-
Quando vidi lo sguardo ferito di mia madre, capii di avere esagerato.
Non era giusto arrabbiarsi con lei e lo sapevo.
Confusamente guardai tutti i cappelli ammucchiati in ogni cantone della
mia stanza. Non era vero che li odiavo. I cappelli non avevano nessuna colpa se
ero nata brutta.
Mia madre ora stava in silenzio e mi guardava, senza abbandonare la sua
espressione risentita. Non ero mai stata abituata a rivolgerle parole dure e
sapevo di averla delusa.
Dopo qualche altro attimo di silenzio, si tirò su la grossa gonna con
entrambe le mani e girò i tacchi, dirigendosi verso la porta della mia stanza.
-Spero che tu sappia che a questo mondo il destino non ci pone quasi mai
davanti ad una scelta. Il destino ha voluto che tuo padre morisse
prematuramente e che ti lasciasse la bottega di cappelli. Questo è il tuo
futuro, che tu lo voglia o meno.-
D’un tratto la stanza mi sembrò tremare e cominciare a restringersi su
di me. Le pareti si avvicinavano e il soffitto mi schiacciava verso il basso.
Mia madre si girò per scoccarmi un’occhiata gelida.
-Ricordati che domani è Calendimaggio. In tutta la città ci sarà un gran
fermento e tu dovrai esporre i capi della nuova collezione.-
Detto ciò, aprì la porta ed uscì.
La prima cosa che feci, non appena anche l’ultimo lembo della gonna rosa
fu scivolato fuori dalla mia stanza, fu aprire tutte le finestre.
Fuori il sole era caldo e gli uccellini cantavano sugli alberi in fiore.
La primavera era la mia stagione preferita in assoluto. Sembrava che il mondo
tornasse a vivere dopo un lungo periodo di sonno oscuro e freddo. Il sole
faceva capolino sempre più spesso dalle nuvole, l’erba tornava a colorarsi di
un verde smeraldino e anche la gente sembrava più felice e spensierata.
Quando ero piccola Calendimaggio era la festività che adoravo di più.
L’aria di festa si cominciava a percepire già da una settimana prima.
Anche quel giorno sembrava che tutta la città fosse in fermento. Il
profumo della pasta per i dolci aleggiava soave nell’aria, ovunque si sentiva
il rumore dei martelli che picchiavano sui chiodi, il fruscio dei festoni che
venivano appesi ed il chiacchiericcio allegro delle donne del paese che correvano
a comprare abiti eleganti per il giorno dopo.
Il mio pensiero volò a mia sorella Lettie.
Chissà che daffare aveva oggi! Preparare tutti i dolci per il giorno dopo
doveva essere molto stancante. Anche lei avrebbe lavorato, come me, senza
potersi godere la festa.
Chiusi la porta della mia cappelleria a chiave e salutai le commesse che
andavano a comprarsi qualcosa per il pranzo. Per un po’ rimasi a contemplare il
viavai di gente indaffarata ed eccitata. Sembrava un 30 aprile in preparazione
del Calendimaggio come tutti gli altri.
E invece c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Oltre all’atmosfera di eccitazione e di euforia per la grande festa che
ci avrebbe fatti sognare tutti il giorno dopo, vi era anche un certo
nervosismo. I motivi erano principalmente tre.
Innanzitutto il giorno dopo, insieme alla festa, vi sarebbe stata anche
la parata dei militari in partenza per la guerra. Questo significava salutare
trionfalmente tutti quei sacrifici umani in coda verso il macello. Per le madri
che salutavano i figli e per le mogli che salutavano i mariti, quello del
giorno dopo non sarebbe stato un Calendimaggio felice.
In secondo luogo, si diceva che ormai da giorni fosse stato avvistato il
castello del terribile mago Howl gironzolare nei
dintorni di Market Chipping. Questo rendeva ogni
donna nervosa e nel contempo eccitata.
Compresa la malvagia Strega delle Lande Desolate. Ecco il terzo motivo
per cui i cittadini di Market Chipping erano
inquieti, dato che le Lande Desolate non distavano molti chilometri dal nostro
paesino.
Io, a dire il vero, non provavo né eccitazione né inquietudine per il
giorno che sarebbe seguito. In realtà, avrei solo voluto che finisse in fretta.
Scesi i gradini in pietra che portavano al centro del paese e mi
ritrovai in mezzo a tantissima gente. Per un momento pensai di aver sbagliato
giorno e che fosse già arrivato Calendimaggio.
Mi lasciai avvolgere dal chiacchiericcio animato delle persone e vagai
senza una meta precisa, con la mente priva di pensieri. Il brontolio del mio
stomacò mi ricordò che ore fossero e capii che dovevo sbrigarmi a cercare da
mangiare o la mia pausa pranzo sarebbe finita prima che avessi mandato giù
qualcosa. Così imboccai la via dei negozi principali e detti un’occhiata alle
vetrine splendenti.
Mentre passavo accanto ad una boutique, la mia attenzione venne
catturata da un abito indossato da un manichino dall’espressione apatica. Mi
dovetti fermare a guardarlo meglio. Era un abito lungo, semplice, di un giallo
acceso che metteva allegria al solo guardarlo. Mi ricordava molto l’estate.
“Chissà… se non costasse troppo…” pensai, lanciando un’occhiata
diffidente al cartellino del prezzo. Con felicità, notai che non era per nulla
caro e che me lo sarei potuta permettere senza problemi.
Mentre riflettevo sul da farsi, sentii la porta del negozio aprirsi ed
uscirono due ragazze. Sicuramente un poco più giovani di me, sghignazzavano
gioiose con le loro sporte piene di acquisti. Nonostante fossero due ragazzine
e non fossero per nulla truccate, emanavano una bellezza irresistibile.
Ripensai inevitabilmente a quella mattina e mi tornò quella sensazione
spiacevole. Un forte disagio mi inondò la testa e rinunciai a quel vestito,
proseguendo spedita.
“Tanto su di me starebbe sicuramente malissimo” pensai, sentendo
nuovamente il nodo fastidioso in gola.
Con ancor più fastidio, realizzai di aver dimenticato a casa anche il
cappello. Non mi piaceva andare in giro senza. Odiavo il mio viso e con un
cappello sulla testa avevo più possibilità di nasconderlo e di evitare gli
sguardi pungenti della gente.
Mentre camminavo celermente alla ricerca di un negozio di alimentari,
non mi accorsi di essere seguita. Solo dopo alcuni metri, alle mie spalle
giunse una voce che mi chiamava.
-Ehi, cappellaia.-
La voce di donna che aveva pronunciato quelle parole con una forte nota
di scherno non mi parve di conoscerla. Indecisa se fermarmi o meno, mi venne
alla mente improvvisamente il discorso che mi aveva fatto un giorno mio padre:
“Sii sempre gentile col prossimo, Sophie. L’educazione e il rispetto
vengono prima di tutto.”
Fu unicamente per questo che le mie gambe si fermarono, nonostante
desiderassi fortemente tirare dritto e ignorare la proprietaria di quella voce.
Quando mi girai, incontrai un viso paffuto, truccato alla perfezione nonostante
l’età adolescenziale della proprietaria. La fronte aggrottata e il suo sorriso
di derisione mi urtarono immensamente. Non fu difficile notare la somiglianza
fra quel viso e quello rugoso della donna maleducata di quella mattina.
“Non poteva andare peggio” pensai, affranta.
La ragazza mi si avvicinò con passi pesanti.
-Non credere che io mi sia dimenticata dello sgarbo subìto da mia madre
stamattina. So bene che hai cercato di venderle il tuo cappello ad un prezzo
più alto di quello segnato sul cartellino.-
Indurii lo sguardo.
-Vi ho già spiegato che una delle mie impiegate si era sbagliata a
scrivere quella cifra. Non ricapiterà più un errore del genere.-
-Credi che mi sia bevuta la tua storiella, cappellaia?-
Respirai a fondo.
-Ho già venduto quel cappello a vostra madre con uno sconto, mi sembra.-
La robusta donna fece una risatina isterica.
-Era il minimo! Pensi che basti chiedere scusa dopo un errore? No, mia
cara, non è così facile.-
Strinsi i pugni e cercai di sembrare più rilassata che potevo.
-Allora che cosa dovrei fare?-
Lei agitò una mano in aria.
-Tu nulla. Sappi solo che se il tuo negozio comincerà ad avere una
cattiva nomea, sarà solamente colpa tua.-
Poi incrociò le braccia, con l’aria predicante.
-Mia madre l’ha sempre detto che eri troppo giovane per fare la
proprietaria di un negozio. Tuo padre doveva avere qualche rotella fuori posto
per darti in mano una responsabilità così grande.-
Non riuscii a trattenermi. Se fossi stata una brava commerciante, avrei
dovuto salutarla cordialmente e levare la corda. Stavolta però non riuscii a
frenare la collera.
Tutto… ma non mio padre.
-Mio padre era una persona rispettabilissima, al contrario vostro. Non
vi permetto di usare quelle parole su di lui. Se la mia bottega non vi
soddisfa, voi e vostra madre potete andarvene pure altrove e non far mai più
rivedere la vostra faccia nel mio negozio!-
Le orecchie mi fischiavano e il sangue mi ribolliva cocente nelle vene.
Se avesse osato ancora una volta rivolgere un’offesa verso mio padre, non avrei
davvero saputo rispondere delle mie azioni.
La faccia della ragazza ora sembrava sul punto di esplodere. Dopo aver
cambiato diversi colori, faticavo a credere che sarebbe mai più tornata come
prima.
-Brutta impertinente…- balbettò, confusamente.
Dopodiché mi girò le spalle.
-Sappi che le tue parole ti si ritorceranno contro, mia cara. Le persone
ingrate vengono sempre punite.-
Poi, prima di andarsene disse:
-Non è sicuro per una ragazza andarsene in giro da sola, ultimamente.
Non lo sai che c’è in giro il malvagio mago Howl?-
Mi scoccò un’occhiata maligna.
-Ah, già… in effetti è impossibile che Howl
metta gli occhi su di te.-
Detto ciò si allontanò con passo impettito, lasciandomi sola e ferita.
Quando arrivai alla panetteria del paese, mi era completamente svanito
l’appetito. Avrei messo comunque qualcosa sotto i denti, non volevo saltare il
pasto.
Non appena misi piede all’interno della bottega, rimpiansi amaramente di
non essermi portata dietro il mio fidato cappello. Una voce squillante mi
giunse alle orecchie, nonostante ciò non riuscii ad alzare lo sguardo da terra.
-Buongiorno e benvenuti!-
La ragazza dalla voce allegra non appena mi vide esclamò:
-Sophie! Non mi aspettavo di vederti qui.-
Vedendo che non alzavo gli occhi su di lei e non udendo risposta da
parte mia, mise il broncio, pronta a rimbrottarmi per le mie maniere poco
educate. Ma non appena vide grosse gocce cadere dalle mie guance e schiantarsi
sul pavimento di legno, lanciò lo straccio che teneva in mano su una sedia e
corse da me.
-Che ti prende? Che è successo, Sophie?-
Scossi la testa, incapace di dire niente.
Odiavo essere colta in un momento di fragilità. Avevo ormai diciotto
anni ed ero la più grande e la più matura delle mie sorelle. Tuttavia con Lettie era sempre stato diverso. Con lei riuscivo sempre a
sfogarmi senza difficoltà, perché fra di noi era quella con il maggior istinto
materno.
Prima che me ne accorgessi, Lettie si era
slegata il grembiule ed era corsa nel retrobottega a comunicare che si prendeva
una pausa. Tornando da me, prese due filoni di pane e me ne porse uno.
-Non hai ancora mangiato, vero?-
Scossi la testa e mi lasciai portare fuori di lì.
Mia sorella Lettie era molto bella. I riccioli
d’oro le cadevano morbidi sulle spalle, gli occhi color del mare risplendevano
di una luce decisa e le labbra carnose facevano gola ad ogni passante. Inutile
dire che mia sorella aveva molti pretendenti…
A differenza mia.
-Lettie, che cos’ho che non va?-
Lei mi guardò tristemente.
-Non hai proprio nulla che non va, Sophie. Perché me lo chiedi?-
Mi asciugai le lacrime con la manica del vestito di seta pesante e
tornai a guardare il marciapiede.
-Sembra che la gente provi gusto a prendersela con me.-
Mia sorella mi sfregò dolcemente una mano sulla schiena.
-Non dire sciocchezze, sorellona. È ancora per via del tuo aspetto?-
Strinsi forte i pugni, finché non vidi impallidire le nocche. Lettie lo prese come un assenso.
-Sorella, quante volte te lo devo ripetere? Non è l’aspetto che conta,
ma ciò che una persona ha dentro. Tu sei una ragazza buona e diligente,
intelligente e premurosa.-
-Sono solo semplicemente brutta- mormorai, mentre sentivo che le lacrime
sarebbero tornate di lì a momenti.
-Smettila di dire che sei brutta, Sophie!-
esclamò Lettie.
Dopodiché sospirò profondamente.
-In un certo senso, sei fortunata a non essere guardata da tutti.-
La guardai storto, facendole capire che non mi sentivo affatto fortunata
ad essere nata così.
-Perché mai dovrei essere fortunata?- chiesi,
seccamente.
-Perché almeno hai minor possibilità di correre rischi. Per esempio di
entrare nelle mire del mago Howl…-
Al suono di quel nome, mi tappai le orecchie, esasperata.
-Howl, Howl, Howl, Howl… mi parlate tutti
quanti di lui! Se sento un’altra volta il suo nome oggi, esplodo!-
gridai.
Mi alzai dalla botte di legno vuota su cui mi ero seduta per mangiare il
pane e cominciai a camminare in cerchio, borbottando.
-Si può sapere perché quel mago è sulla bocca di tutti? Che cos’ha mai
fatto di speciale? Nessuno lo ha mai visto dopotutto, giusto? Potrebbe essere
semplicemente un impostore che si fa chiamare da tutti “grande mago” e che
invece non vale un soldo bucato. Potrebbe aver messo in giro una voce falsa su
di sé e tutti abboccate alla sua trappola come sciocchi. Come fate a sapere che
non sia semplicemente un uomo di mezz’età, donnaiolo e scapolo? Sono sicura che
sia un uomo rugoso, pelato e dai vestiti malconci…-
La risata di mia sorella fermò il mio girovagare inquieto. Dopo avermi
guardata come se fossi pazza per diverso tempo, ora Lettie
rideva di gusto con quella sua risata cristallina.
-Sorellona, ma che ti passa per la testa?- rise
lei.
-Non so… ipotizzavo- mormorai, imbarazzata per il mio comportamento di
poco prima.
Una cosa era certa: tutto questo subbuglio per un semplice mago da
strapazzo mi causava un certo fastidio.
-Beh, sorella, non puoi certo negare che soltanto un mago molto potente
può muovere un castello di quelle dimensioni. Non è certo un gioco da ragazzi.-
-Sì, ma mi hanno detto che è soltanto un cumulo di macerie.-
-E tu riusciresti a far muovere un cumulo di macerie?-
Incrociai le braccia, sotto lo sguardo dolce della mia sorellina.
-No, ma se fosse un signore, almeno avrebbe potuto costruirsi una reggia.-
Lettie rise ancora.
-Avrà dei gusti particolari.-
La guardai ridere ancora un po’ e poi mi risedetti sopra la botte vuota.
-Lettie, non vorrai mica credere a quello che
si dice in giro su di lui?-
Lei fece spallucce.
-Che vuoi che ti dica? In panetteria entrano centinaia di persone ogni
giorno ed è impossibile non ascoltare quel che si dicono. Molti dei miei
clienti dicono di aver avuto parenti o conoscenti il cui cuore è stato mangiato
da Howl.-
Questa volta fui io a ridere, nonostante la mia fosse solo una risata
nervosa e di scherno.
-E tu ci credi?-
Mia sorella sbuffò.
-Non so se crederci o meno, va bene? So solo che quelle voci mi
inquietano molto. Penso che sia lecito provare paura, no?-
Feci un segno di assenso poco convinto e fra noi calò di nuovo il
silenzio.
-Io credo che molte donne sperino proprio di finire sotto le grinfie di Howl- pensai ad alta voce.
Lettie mi guardò
sconvolta.
-Ma che dici?!-
-Dico che sta diventando un vanto per molte persone in questa città.
Invece che pensare al pericolo, la gente comincia a trovarlo un gioco
eccitante. Io penso però che se davvero Howl facesse
tutto quello che si dice in giro, più che ad un mago assomiglierebbe ad un demone.-
Mia sorella pensò per un po’ alle mie parole e poi annuì.
-Hai ragione. Howl dev’essere per forza un
demone. Ecco perché la Strega delle Lande Desolate lo rincorre continuamente.-
Poi fece una risatina divertita.
-Sarebbero una bellissima coppia, non credi?-
Le feci un mezzo sorriso anch’io, sperando fortemente dentro di me che
prima o poi quei due sarebbero spariti dalla faccia della Terra.
Finii di mangiare il mio filone e mi alzai dalla botte.
-Grazie, Lettie. Parlare con te mi fa sempre bene.-
Mia sorella mi sorrise ed improvvisamente si batté una mano sulla
fronte, sconvolta.
-Accidenti, che sbadata! Ho parlato così tanto di Howl
che mi sono dimenticata di chiederti che ti è successo oggi!-
-Non fa niente, davvero- dissi, scuotendo la testa. -Te lo racconterò
un’altra volta.-
Detto questo, mi allontanai per tornare alla mia bottega. Da dietro le
spalle sentii mia sorella che mi gridava:
-Fai attenzione per strada!-
Feci un sorriso triste e alzai una mano per tranquillizzarla.
-Non corro pericoli.-
Il giorno dopo mi alzai dal letto ancor più abbattuta del giorno prima.
Non con poca fatica feci colazione e scesi al piano di sotto per aprire il
negozio. L’aria mattutina era fresca e frizzante. Nonostante fosse solo l’alba,
in giro si potevano scorgere moltissime carrozze e persone assonnate che
andavano a preparare i negozi aspettando il grande evento.
Per un attimo fui scossa da una sensazione eccitata, mentre una vaga
speranza che quel Calendimaggio potesse diventare un giorno speciale in qualche
modo, si fece spazio fra le mie stanche membra. Mi sentivo scossa e agitata,
chissà per quale stupida ragione.
“Non sei più una bambina, Sophie. È da un pezzo che i festeggiamenti del
Calendimaggio non ti riguardano più di persona” dissi a me stessa, mentre
giravo la chiave nella serratura.
Il negozio buio dormiva ancora. Andai a svegliare i cappelli aprendo le
finestre e lasciando entrare la luce del sole che stava sorgendo proprio in
quel momento. Un refolo d’aria mi fece rabbrividire.
Sistemai quattro o cinque cappelli in disordine e mi dissi che avrei
aspettato di sopra le altre commesse, che sarebbero giunte di lì a momenti.
Passando davanti allo specchio mi sistemai la treccia, fatta alla bell’e
meglio poco prima. Poi guardai il mio negozio riflesso sul vetro e ascoltai il
silenzio che regnava. Una delle poche cose che amavo del mio lavoro era aprire
il negozio. Adoravo quel silenzio assorto che faceva sembrare tutto più magico.
D’un tratto mi ricordai della discussione fatta con mia sorella il
giorno prima. Inevitabilmente il mio pensiero corse alla figura misteriosa del
mago Howl. Chissà se anche all’interno del suo
castello si sentiva un silenzio così tranquillo? E chissà che il suo
comportamento fuori dai limiti non fosse dovuto alla solitudine che provava,
tutto solo nel suo grande castello?
I miei pensieri furono interrotti dal rumore della porta d’ingresso che
si apriva e sobbalzai per la sorpresa. Le mie colleghe entrarono tutte insieme
facendo un chiasso tremendo. Ridevano e parlottavano gaie del giorno di gran
festa appena iniziato. Non appena mi videro, mi sorrisero gentilmente,
salutandomi.
-Buongiorno a voi. Se mi cercate, sono di sopra a riparare i cappelli-
dissi, come ogni mattina.
E così feci e non misi più piede al piano di sotto fino alla pausa
pranzo.
Dei
rumori lontani mi giunsero alle orecchie e lentamente tornai al mondo reale.
Aprii faticosamente gli occhi e drizzai il collo. Mugugnai di dolore, scoprendo
di avere tutta la schiena, le spalle e il collo indolenziti. Lentamente mi misi
a sedere composta sulla sedia su cui mi ero addormentata.
Mi
girava la testa e avevo lo stomaco in subbuglio.
“Non
avrei dovuto addormentarmi qui”, pensai, portandomi una mano alla fronte.
-Tutto
bene?- mi chiese una vocetta, prudentemente.
Mi
stropicciai gli occhi impastati di sonno e mi lasciai scappare uno sbadiglio
esagerato.
-Sì,
non ti preoccupare. Stanotte ho dormito pochissimo e mi sono appisolata qui
sulla sedia. Per questo mi fanno male tutte le spalle e mi gira un po’ la testa-
dissi, facendo un paio di stiramenti, per rimettere in funzione la schiena.
Quando
tornai a guardare il camino, due occhietti preoccupati mi guardarono
timidamente.
-Calcifer, tranquillo, sto bene davvero!-
risi, vedendo la sua espressione.
Nell’udire
le nostre voci, una testa ricciuta spuntò dalla Sala degli Incantesimi.
-Accidenti,
scusate. Ho rovesciato due ampolle e temo di aver fatto una gran confusione.-
-Oh,
non ti preoccupare, Markl. Non era un sonno molto
riposante il mio- sospirai.
Erano
ormai tre le notti che passavo in bianco. Mi sarei assolutamente dovuta
procurare un sonnifero una volta o l’altra, pensai.
-Markl, saresti capace di creare un intruglio in grado di donare
sonni piacevoli?-
Il
ragazzo annuì, deciso.
-Sto
proprio imparando ad utilizzare le erbe. Vedrò cosa posso fare.-
-Magari
chiedigli qualcosa anche contro il mal di testa- suggerì Calcifer.
Markl si
allarmò e corse da me.
-Sophie,
hai mal di testa? Pensi di avere la febbre?-
-Forse
c’è in giro qualche strana malattia- mormorò Calcifer,
facendosi buio.
Il
ragazzo si mise le mani fra i capelli ramati.
-Se
fosse così, con la mia magia io di sicuro non riuscirei a fare nulla! Dovremmo
correre da un medico… no, forse è meglio avvertire subito il signor Howl…- balbettò, mentre correva avanti e indietro per il
castello.
Nonostante
avesse ormai tredici anni, era facile che andasse nel panico per un nonnulla.
-Ragazzi,
vi prego, calmatevi! Ho solamente detto che ho un po’ di mal di testa!- esclamai, sospirando.
Tanto
per rendere ancora più rumorosa la situazione, Markl
calpestò per sbaglio la coda ad Heen, il quale stava
cercando di dormire ai piedi del camino e che cominciò subito a guaire per il
dolore. Calcifer scoppiò a ridere sguaiatamente,
mentre Markl cercava di scusarsi con il nostro
cagnolino.
Con
tutto quel trambusto, mi stavano solo facendo aumentare ancora di più il
dolore. Inoltre, mentre Heen azzannava una mano del
ragazzino ed egli gridava disperato, non ci accorgemmo della porta d’ingresso
che si apriva.
Solo
dopo qualche istante avvertimmo la presenza sulla soglia ridere allegramente di
tutta quella confusione.
-Non
vi si può lasciare da soli per due ore che mettete in subbuglio tutta la casa.-
Chiudendosi
piano la porta e il sole splendente alle spalle, un ragazzo di estrema bellezza
si avvicinò a noi, facendoci ammutolire tutti. Ogni volta che entrava, mi
sembrava come se fosse la prima volta che lo vedevo. Un po’ a tutti faceva
quell’effetto, a dire il vero.
I
capelli mori e perfettamente lisci arrivavano ormai alla schiena e splendevano
di mille riflessi dai toni bluastri. Le iridi azzurre come il cielo limpido
brillavano di una luce particolare ogni volta che ci guardava. Era sempre una
gioia per lui tornare in famiglia e lo sapevamo tutti.
Col
suo andamento aggraziato, si diresse verso di noi e pareva che danzasse senza
toccare il suolo. I miei polmoni si riempirono del profumo soave dei fiori di
campo.
Stare
in sua presenza era come ricevere l’estate in persona.
Questo
momento magico fu spezzato dalla voce preoccupata di Markl,
che si precipitò da lui.
-Signor
Howl, Sophie sta male!-
A
queste parole, negli occhi del mago più famoso del regno guizzò un lampo di
paura. Puntò il suo sguardo magnetico su di me e aggrottò la fronte.
Calcifer
aggiunse:
-Dice
di avere mal di schiena. E ha mal di testa.-
Io mi
affrettai subito a smentire.
-Nulla
di grave! Ho dormito scomoda e sono solo un po’ indolenzita. Sono loro che
esagerano. Sto benissimo, guardate!-
Per
cercare di tranquillizzare tutti, mi alzai in piedi e feci due piccoli
saltelli.
-Visto?- dissi, sorridendo e cercando di nascondere la
fatica.
Howl
corrucciò ancor di più lo sguardo e mi si avvicinò, minaccioso.
-Sophie…
non dirmi che hai tentato di fare le pulizie anche oggi.-
Arrossii
e abbassai lo sguardo a terra, senza riuscire a reggere il confronto con quegli
occhi magnetici. Dopo qualche secondo di silenzio, sputai il rospo.
-Solo
in cucina, lo giuro…- mormorai.
Howl
sospirò lungamente.
-C’era
una ragnatela enorme sotto il lavandino e non potevo lasciarla lì… dopotutto se
in questa casa non faccio io le pulizie, non le fa mai nessuno- piagnucolai.
Non
sentendo arrivare risposta dal ragazzo, alzai gli occhi su di lui e lo vidi
trattenere a stento le risate.
-Tu stai ridendo di me!- esclamai,
offesa.
Howl non
riuscì più a resistere e scoppiò a ridere, con quella sua risata meravigliosa.
Mi sentivo già guarita da ogni male.
-Sophie,
non cambierai mai- rise lui, senza più trattenersi.
-Che
antipatico, che cosa vorresti dire?- dissi io,
avvicinandomi e alzando le mani per colpirlo, ma lui me le bloccò in alto,
continuando a ridere.
-Niente,
niente- mi disse, prima di rubarmi un bacio a tradimento.
Quando
sentii le sue labbra delicate sulle mie, mi sciolsi come tutte le volte. Era
come subire una piccola scarica elettrica per tutto il corpo. Forse era la sua
magia.
Dopodiché
mi lasciò i polsi e, dopo avermi accarezzato i capelli argentati, si diresse in
cucina.
-Ho
una fame! Che ci prepariamo da mangiare oggi?-
Io
rimasi qualche secondo ad assaporare quella sensazione tiepida all’imboccatura
dello stomaco che mi faceva sempre sentire al settimo cielo. Poi lo seguii di
là, ignorando la sua domanda.
-Sai,
prima stavo sognando il nostro primo incontro.-
Howl aprì
la dispensa, in cerca di qualcosa di buono da preparare.
-Ah sì?-
Annuii,
appoggiandomi allo stipite della porta. Ripensai teneramente a quel giorno.
-Quando
sei apparso al mio fianco, pensavo fossi un angelo venuto dal cielo per
salvarmi- mormorai, sentendo ancora i brividi di quel giorno.
-La
tua presenza misteriosa mi aveva spaventata e allo stesso tempo
tranquillizzata. Mi chiedevo chi fosse quel bellissimo straniero dai capelli
dorati che mi teneva stretta a sé.-
Howl
sorrise, mentre svitava il tappo di un barattolo.
-Non
avrei mai pensato che potessi essere tu il famoso mago Howl.-
Col
piede feci dei cerchietti sul pavimento.
-Insomma…
ero convinta che Howl fosse un mago da quattro soldi,
che diceva in giro di essere il più affascinante di tutti i ragazzi del regno e
che invece fosse solo un uomo qualunque, alla ricerca della popolarità.-
-Oppure
un terribile demone spaventoso che mangiava i cuori delle fanciulle, giusto?-
Scese
un pesante silenzio su di noi. Markl era tornato
nella Sala degli Incantesimi e Heen si riposava ai
piedi di Calcifer, perciò anche nel salotto non si
udiva volare una mosca.
-Sei
stato calunniato anche oggi?- chiesi.
Howl aprì
l’acqua del lavandino e non rispose. Lo scroscio all’interno della pentola
riempiva i nostri pensieri.
-La
gente proprio non riesce a farsi gli affari propri- borbottai, tristemente.
Il
moro si girò e mi mostrò un grande sorriso.
-Non
ci faccio quasi più caso. Se la gente vuole pensare che io sia solo un demone
malvagio, che faccia pure. Non ho combattuto la guerra per essere chiamato
“eroe”.-
Poi si
fece buio e cercò di non mostrarmelo, girandosi verso il lavello.
-Solo
non sopporto quando dicono che ti tengo rinchiusa nel mio castello per farti
chissà cosa.-
Abbassai
lo sguardo a terra e poi mi avvicinai a lui, seria.
-Se la
pensano così, allora ci sposteremo.-
Howl mi
rivolse uno sguardo afflitto.
-Ancora?
Sono stanco di dovermi sempre spostare per colpa della mia nomea. Avremo
bisogno di stabilità d’ora in poi, Sophie, lo sai anche tu.-
-Vorrà
dire che ci sposteremo per un’ultima volta!- esclamai,
decisa.
Lui
non mi rispose, chiudendo l’acqua. Lo guardai tirare fuori delle patate dalla
dispensa ed un coltello.
-Sai,
quando capii che quel ragazzo eri tu, realizzai finalmente il perché tutti a
Market Chipping parlavano sempre di te.-
Gli
spostai una ciocca di capelli mori che gli era caduta davanti agli occhi con
due dita.
-E non
potevo crederci che un mago così meraviglioso, avesse scelto me, la brutta
cappellaia della bottega Hatter- risi.
Howl smise
di pelare le patate e mi guardò, serio.
-Tu
non sei brutta, Sophie.-
Io gli
rivolsi un sorriso dolce.
-E tu
non sei un demone, Howl.-
I suoi
occhi brillarono di una luce fortissima e sentii il mio sentimento per lui
bruciarmi forte nel petto.
-Lasciamoci
alle spalle quello che dice la gente e godiamoci la nostra bella famiglia.-
Howl mi
sorrise, mi si avvicinò e appoggiò entrambe le mani sul mio enorme pancione.
-E
soprattutto il nuovo arrivato- mormorò.
Misi
le mie mani sulle sue, che stavano accarezzando la mia pancia, e annuii forte.
-Quasi
dimenticavo… buon Calendimaggio.-