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Autore: MadogV    01/05/2016    5 recensioni
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Arthur le avrebbe dato qualsiasi cosa, se solo gliel'avesse chiesto.
Ma cosa era poteva darle
Genere: Dark, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Morgana/Artù
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Terza stagione
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Buona lettura e recensite, serve a migliorare.

Arthur le avrebbe dato qualsiasi cosa, se solo gliel'avesse chiesto, ma lei non l’aveva fatto e ora erano come stelle nel cielo: che paiono così vicine, ma che in vero sono a distanze siderali.

Povere stelle fredde.

Povere stelle spente.

Povere stelle così lontane.

Arthur Pendragon, futuro re di Camelot, restava li, stravaccato su di una grossa sedia, con gli occhi fissi sul camino, guardando la fiamma crepitare lentamente e senza alcune pensiero che non fosse rivolto a lei.

Poi si rialzò e scese lentamente verso il cimitero, dove lei era seppellita.

Restò per molto tempo seduto contro la grossa quercia a fissare quel filare di lapidi, dove era seppellita.

Era una cosa indegna che lei fosse seppellita lì, nel cimitero comune e non nella cripta privata dei Pendragon, come si addiceva al suo rango

Era una cosa indegna che fossero così vicini e pure così lontani e che lei ora fosse irraggiungibile.

Poi si rivolse alla figura che era emersa lentamente dall’ombra:” Silenzioso come sempre. Eh Merlin?”

“Era troppo pericolosa, ci si sarebbe rivoltata contro. Ho dovuto.” Disse con voce sommessa, per poi posare con fare amichevole la mano sulla spalla di Arthur.

Arthur non apprezzò il gesto e gliela tolse bruscamente:” Si, credo proprio che avvelenarla sia stata la scelta migliore. Per il bene del regno.” Concluse sarcasticamente.

“Per il bene del regno.” Ripete meccanicamente Merlin, senza aver capito l’ironia del principe.

Arthur si rialzò:” Per il bene di chi?”

“Per il bene del regno.” Ripete meccanicamente Merlin, senza aver capito l’ironia del principe.

Arthur pose di nuovo la domanda:” Per il bene di chi?”

“Per il bene del regno.” Ripete meccanicamente Merlin, che non aveva ancora capitò.

“NO. NO. NO.” Urlò allora Arthur.” Per il bene dei Pendragon. Per l’interesse dei Pendragon. Per il mio interesse.”

“E non sono la stessa cosa?”

“NO. ASSOLUTAMENTE NO.” Sbottò Arthur.” Fin da piccolo è stata posta sulla mia testa una corona, anzi la corona. Io sono l’erede delle terre di Albione e come tale ho degli obblighi legati ad essa, obblighi imposti dal mio sangue. Nessuno si è fermato solo una volta a chiedere cosa io volessi, cosa io fossi in grado di fare o solo quanto questa corona pesasse.”

“La volontà del regno, non è la tua volontà?” Chiese ancora Merlin, che non capiva la natura umana; troppo confusa e confondente per lui.

“Tu. Tu e mio padre. Si, mio padre. Voi carogne. Il Potere. È questo che volete: il Potere. E mi trattate come creata da modellare a seconda delle vostre necessità. Non Arthur Pendragon, ma la copia di Uther Pendragon. Non Arthur Pendragon, ma la tua marionetta, Merlin.”

“Non sei la mia marionetta.” Rispose con un tono di voce leggermente incrinato Merlin, per poi continuare:” Sono il tuo confidente e pensavo un amico, dato i pericoli affrontati e il tempo passato insieme.”

“Cosa pensi di essere: la mia metà? Era lei la mia metà, la mia amica. Era lei con cui mi confidavo.” Poi scoppiò sommessamente a piangere.

Merlin, con fare pedante, riprese la parola:” La tua metà è Ginevra; la scelse tuo padre e tu devi onorare la sua volontà. Arthur come amico e confidente ti chiedo di cessare questa follia. Morgana era un pericolo per te e per il regno.”

“Un pericolo. Mia sorella un pericolo?” Disse digrignando i denti:” Colei con cui ho cavalcato e giocato sotto molti soli estivi, colei con cui ho condiviso racconti attorno al camino durante i grandi inverni. Colei con cui ho assaporato i frutti di primavera o l’uva del tardo autunno.”

“ORA BASTA” Urlò il mago:” CESSA QUESTA FOLLIA E RITORNA ALLA RAGIONE ARTHUR.”

“Ora basta.” Ripete con rancore Arthur:” Hai ragione: Ora basta.” Poi si avvicinò al mago e gli sferrò un pugno allo stomaco, mandandolo a terra.

Arthur le avrebbe dato qualsiasi cosa, se solo gliel'avesse chiesto, ma lei non l’aveva fatto e ora erano come i due amanti sperati Vega e Altair.

Merlin si rialzò e si recò verso le segrete. Una volta giunto aprì un passaggio dimensionale e giunse di fronte al Grande Drago.

Il suo alito era caldo come il vento che soffia gagliardo e la sua voce potente come la cascata che piomba impetuosa o il tuono che si abbatte invitto sul più alto dei monti.

Niente di così grosso poteva muoversi con tale grazia, maestosità e velocità, eppure il Grande Drago era qui e poi lì in un battito di ciglia.

Merlin non ebbe paura, ma si lasciò avvolgere dal suo potere.

“Emrys. Emrys percepisco agitazione e paura.”

“Si, o potente, percepite il giusto.”

“Morgana è morta. Quale pericolo si desta ora su Camelot e su Albione.”

“Un giovane re che piange la sua morte.”

“Non è ancora giuntò il suo momento.”

“Mordred è il futuro. Arthur è il presente.”

“E il pericolo imminente.” Concluse il Drago.

“Arthur le avrebbe dato qualsiasi cosa, se solo gliel'avesse chiesto” Continuò rammaricato Merlin: “E temo che possa fare qualche pazzia.”

“Pazzia che non può essere accettata. Ormai il futuro è cambiato. Non sia più lui il re.”

Improvvisamente Merlin si ricordò delle parole di Arthur:” Non sono la tua marionetta.” E si rivolse quindi al Drago.

“Vostra possanza, per la sacra e venerabile fiamma di cui voi siete custode, concedetegli un’altra possibilità.”

“E sia.” Disse il Drago, sorridendo sinistramente, sapeva quale era il destino di Arthur a quel punto.

 Intanto Arthur era tornato nelle sue stanze e si era coricato, piombando in un sonno senza pace.

Nel suo sogno la ritrovava e la perdeva in un ciclo continuo e sinistro in cui ogni volta Arthur arrivava troppo tardi per salvarla.

Si svegliò madido di sudore che albeggiava con due occhiaie e un pallore in volto che avrebbero spaventato chiunque, per non parlare poi dei capelli.

Ci vollero quasi due ore per potergli restituire una parvenza di regalità, anche perché era contrario, voleva portare sul suo corpo i segni del dolore e dei sogni infranti.

Le avrebbe dato qualsiasi cosa, se solo gliel'avesse chiesto, ma lei non l’aveva fatto e ora era troppo tardi.

Fu lo schiaffo di suo padre a riportarlo alla ragione.

“Arthur, sei è un re. Comportati come tale.” Lo sgridò:” Non farmi vergognare”

Stava per rispondere:” È solo questo che ti importa, padre?”, ma rispose:” Perdono padre, vi ho disonorato.”

“E…” Continuò il padre.

“E prometto di non pensare più alla traditrice.” Concluse Arthur, senza più alcuna voglia di reagire e opporsi. Era vuoto e spezzato, ma aveva capito che l’unica cosa che poteva darle era ricordarla nel segreto del suo cuore e lo fece smise di essere Arthur Pendragon e indossò il volto del re di Camelot e di Albione.

Cosi agli occhi di tutti aveva ritrovato la ragione, ma in realtà in lui, nel suo cuore, albergava la follia, anzi la folle ossessione per lei.

“Padre, non vedo l’ora che si celebri il matrimonio fra me e…” Stava per dire il suo nome, ma poi si corresse:” e Ginevra.”

“Così si parla, figlio mio.” Disse Uther abbracciandolo, senza interessarsi, però, realmente dei veri desideri del cuore di suo figlio.

“Si preparino le nozze, tempo tre, che dico un mese, si celebrerà una festa sontuosa.” Gridò euforico re Uther.

Sarebbe andato tutto bene se una domenica Arthur non sentì il vangelo della resurrezione di Lazzaro.

Quelle parole furono l’ariete che con virulenta violenza fecero breccia nel segreto del suo cuore, liberando la sua ossessione, che con tentacolare forza si strinse attorno alla sua mente.

Sapeva cosa poteva darle ora: la vita, l’avrebbe riportata in vita.

Un sorriso gli solcò il volto e tutti coloro che lo videro, pensarono che fosse per via del matrimonio.

Così mentre fervevano i preparativi, anche Arthur era euforico, ma per motivi tutti suoi.

Passava i giorni partecipando con fervore e gioia ai preparativi delle nozze, ma in realtà la sua vera euforia la riversava sui libri che consultava nell’Ala Nera della biblioteca reale.

Libri di oscure magie primordiali, di magie blasfeme e cosi antiche da essere state dimenticate da molti anni, di magie sinistre e terribili che aprivano squarci in baratri di devastante follia; eppure Arthur vi si gettava con avidità, come un viaggiatore assiderato sulla pozza d’acqua, e non importava il tanfo di sterco e le mosche, era pur sempre acqua.

Cosi di giorno si preparava alle nozze e di notte preparava la resurrezione della sua vera sposa; oh, quando fosse risorta, oh, l’avrebbe amato e avrebbero regnato fianco a fianco e avrebbero vissuti cosi per sempre.

Alla fine era riuscito a ritrovare l’antica formula per riportare i morti in vita.

“Elimnyama amanzi kanye nosawoti upelepele obomvu., Asphodel kanye tropaeolum. Othandekayo, igazi, izinyembezi.” Erano questi gli ingredienti e la formula era ancora più sinistra:

Fundza lendzaba uzongithanda”

Ora serviva recuperare il corpo, e non era affatto facile, perché Merlin si era accorto che qualcosa non andava e gli stava sempre più sul fiato sul corpo e il matrimonio era a soli due giorni di distanza.

Ma Arthur non si sarebbe fermato, aveva gli ingredienti e la formula, voleva il corpo, lo voleva e l’avrebbe avuto.

Così, il giorno prima delle nozze, si incontrò con Ginevra e si mostrò gentile e cortese per fugare ogni sospetto, ma Merlin era troppo furbo e si era accorto che era tutto troppo perfetto per essere vero.

Non si sarebbe però fermato Arthur e quindi chiamò Merlin:” Merlin vieni con me, mi devo scusare e quindi ti prego cammina con me.”

Parlavano e scherzavano come due vecchi amici, non sospettava nulla il mago, troppo nascosta era l’intenzione del giovane re.

“Quando sarò re.” Disse Arthur:” Tu sarai il mio confidente e consigliere reale.”

Merlin era entusiasta, finalmente il re era rinsavito e pensava al futuro, ma il futuro che Arthur aveva in mente era un futuro depravato e oscuro che spalancava a tradimenti e morti; la sua gioia sarebbe stata lastricata di cadaveri.

Arthur le avrebbe dato qualsiasi cosa, se solo gliel'avesse chiesto e ora poteva, poteva darle la vita e lei sarebbe stata tua per sempre.

Solo quando arrivarono al cimitero, Merlin percepì una perturbazione, ma fu troppo tardi quando capì quale ne era la fonte, perché Arthur lo mandò a terra colpendolo con l’elsa della spada.

Il giovane re afferrò quindi la pala, precedentemente nascosta nelle vicinanze, e cominciò a scavare fino a riesumare la bara, di cui ruppe i sigilli e ne asportò il contenuto.

Per passaggi segreti e oscuri anfratti arrivò alla sua stanza privata, dove cominciò a preparare l’oscuro e primordiale rito.

Stava per darle la vita e le avrebbe dato il suo amore incondizionato solo a lui.

Intanto Merlin si era ripreso ed era corso direttamente ad avvertire re Uther dell’accaduto.

“Maestà, Maestà.” Gridò allarmato:” Vostro figlio vuole resuscitarla con la magia arcana.”

“Dici la traditrice.” Di rimando Uther:” Non dire follie. IL mio Arthur non lo farebbe mai, lui ama Ginevra e domani si sposeranno e il regno avrà una regina che figlierà l’erede dei Pendragon.”

“Non è vero, LUI TI HA MENTITO.” Gridò Merlin

“Non procedere oltre, paggio, o dovrai rispondere alla mia lama di queste accuse infamanti.” Rispose Uther.

Stava per sfoderare la sua spada, quando la notte fu lacerata da un urlo che non si poteva definire né umano, né animalesco, anzi non poteva provenire da una qualsiasi creatura vivente.

“Cos’era?” Chiese allarmato il re.

“Vostro figlio.” Rispose Merlin:” O meglio, la cosa che vostro figlio ha risvegliato.”

Infatti solo in questo modo poteva essere definito l’essere riportato in vita: una cosa in forme e aberrante, un aborto di diabolica natura.

Nella sua stanza Arthur fissava impietrito la sua creatura.

Arthur le avrebbe dato qualsiasi cosa, se solo gliel'avesse chiesto e ora poteva, poteva darle la vita e lei sarebbe stata tua per sempre; era così convinto della sua idea che ora vedendola cadere a pezzi era rimasto incapace di agire.

Quella “cosa” non era la sua Morgana, non poteva esserlo; eppure dietro i capelli spenti e scarmigliati, gli occhi acquosi e vitrei, il volto scavato e cascante, emergeva ancora la proto-forma della sua Morgana.

Si era lei, non poteva essere altrimenti: una bestia insensata, ma che Arthur, dopo essersi spaesato, aveva deciso di riportare alla ragione.

Si avvicinò e le accarezzò, trattenendo il ribrezzo, il volto e poi cominciò a parlare:” Ciao, sorellina, sono io, il tuo Artù.”

“Artù.” Mormorò roca la creatura.

“Si mi riconosci?” Disse Arthur trattenendo le lacrime, ma fu solo un attimo.

La creatura emise di nuovo quell’urlo spettrale, che avrebbe fatto accapponare la pelle, e poi balzò addosso al principe e gli azzannò la gola strappandogli lembi di pelle sprizzando sangue tutto intorno.

Così la trovarono le guardie quando arrivate sfondarono la porta: china a divorare il giovane Arthur.

Uther, che era con loro, inorridì, ma poi ordinò che fosse distrutta e quando le guardie ebbero, a fatica, fatto a pezzi la creatura, le uccise, perché non ci fossero testimoni.

Per tutti Arthur era stato ucciso da una bestia che aveva catturato e sperato di allevare, ma che si era poi rivoltata contro uccidendolo e uccidendo le due guardie, per poi scomparire.

Solo Uther sapeva la verità, quella macabra e devastante: Che Arthur le avrebbe dato qualsiasi cosa, se solo gliel'avesse chiesto e nel tentativo di darle la vita, aveva finito per perdere la sua.

   
 
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