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Autore: Mana Sputachu    01/05/2016    6 recensioni
Riparte con la consapevolezza che un’eclissi non dura per sempre.
[Seconda classificata (a pari merito) al contest Idee in libera uscita indetto da meryl watase sul forum di Efp.]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryoga Hibiki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eclissi


Per tutti la vita è come un ritorno a casa: commessi viaggiatori, segretarie, minatori, agricoltori, mangiatori di spade, per tutti... tutti i cuori irrequieti del mondo cercano tutti la strada di casa.

È difficile descrivere cosa provassi allora... immaginatevi di camminare in un turbine di neve senza neppure accorgervi di camminare in tondo: la pesantezza delle gambe nei cumuli, le vostre grida che scompaiono nel vento con la sensazione di essere piccoli... e immensamente lontani da casa. Casa, il dizionario la definisce sia come un luogo di origine sia come uno scopo o una destinazione... e la bufera, la bufera era tutta nella mia mente...

(Patch Adams)



 

Once upon a time

I was falling in love

But now I'm only falling apart.

There's nothing I can do

A total eclipse of the heart.

 

È quando vede per la terza volta il cartello Area Campeggio che Ryoga accetta l’idea di essersi perso.

Tira fuori la cartina e fissa nuovamente il percorso tracciato con un pennarello rosso (per stamparselo bene in testa, si era detto) e la scritta casa cerchiata più volte per renderla ben visibile e trovarla facilmente, o almeno così aveva creduto.

Sbuffa e decide che per oggi ne ha abbastanza: il sole sta calando, è nervoso e affamato; approfitterà della zona campeggio per piantare la sua tenda e riposare.

Si chiede brevemente cosa sia andato storto nel suo piano, rispondendosi che se si è perso la colpa è solo sua e del suo inesistente senso dell’orientamento. E il cominciare a parlare da solo è un brutto segno.

C’è una crudele ironia nell’idea che il suo continuo perdersi sia anche la sua unica certezza nella vita: che sia Tokyo, Kyoto, le pendici del Monte Fuji, o un campeggio sperduto chissà dove (che sospetta non sia lontanissimo da un centro abitato per via della strada asfaltata lì vicino, ma non ci metterebbe la mano sul fuoco), non saprà mai con certezza dove si trova. L’unica cosa di cui sarà sicuro è che si sarà perso per l’ennesima volta, senza neanche accorgersene.

Mentre prepara un po’ di legna da ardere pensa brevemente a casa sua cerchiata di rosso sulla mappa, a Biancanera e i cuccioli che saranno ormai cresciuti, ai suoi genitori: si chiede se siano ancora dispersi da qualche parte in Giappone, come lui. L’ultima cartolina che ha ricevuto da loro diceva che erano in procinto di visitare una foresta misteriosa, e lui si augura che non siano finiti ad Aokigahara* senza saperlo.

Una vita passata in giro per il mondo senza sapere dove si è non è vita.

Un pensiero amaro ma vero che lo tormenta ormai da anni: trasformarsi in un porcellino nero è quasi banale in confronto alla sua vera maledizione.

Perdersi, per Ryoga, significa non avere un posto fisso dove stare.

Significa non avere mai avuto modo di finire la scuola.

Significa non poter avere un lavoro, degli amici, una famiglia, una persona (Akane) vicina.

Significa non poter avere una vita normale, nemmeno provare ad immaginarsela.

L’unico scopo che riesce a dare a quell’esistenza è un continuo cercare di tornare a casa; alle volte quella che lui considera casa si sovrappone a casa Tendo, dove ha lasciato un pezzo di cuore e in cui il suo alter ego porcino avrà sempre un posto speciale, ma che non può considerare casa sua in nessun caso.

Eterno disperso di nome e di fatto, perso tanto tra i boschi quanto nei sentimenti e nei pensieri.

Lui che avrebbe voluto donare tutto se stesso ad Akane ma non aveva mai avuto modo di provarci perché non poteva starle accanto, se non come P-Chan. E soprattutto perché un Saotome a caso aveva già preso quel posto al fianco e nel cuore di lei.

In fondo era solo questione di tempo pensa, rimestando la minestra sul fornelletto da campo, il tempo che si svegliassero entrambi.

 

Once upon a time there was light in my life

But now there's only love in the dark.

Nothing I can say

A total eclipse of the heart.


 

A volte, ma solo a volte, Ryoga decideva di perdersi volontariamente.

Non lo avrebbe ammesso ad anima viva, ma c’erano stati momenti in cui aveva benedetto la sua condizione e trovato sollievo nel girare a caso per le vie di Nerima fino a perdersi sulle montagne: era successo tante volte negli anni ed era successo anche un anno prima, quando il matrimonio tra Ranma e Akane era fallito ma qualcosa era cambiato tra loro. C’erano ancora i battibecchi, ma non come prima, c’erano ancora gli sfoghi di Akane sussurrati a P-Chan quando si chiudeva in camera; gli insulti però non c’erano quasi più e il nervosismo lasciava sempre più spesso il posto a sorrisi e rossori che aveva visto anche su Ranma, il quale non aveva smesso di chiamarla maschiaccio, ma con un tono di voce diverso, più dolce, che non gli era mai appartenuto prima di quel momento.

E Ryoga aveva capito.

E deciso che il tempo di P-Chan era arrivato, così una notte era sgattaiolato via dal letto di Akane, aveva usato la vasca di casa Tendo per tornare uomo e si era defilato in silenzio, sperando di perdersi al più presto.

Aveva camminato per giorni senza meta, trascinandosi a fatica e continuando a sentire il petto che gli faceva male. Si era convinto che non avrebbe mai più provato sentimenti per nessuno, scusandosi mentalmente con Akari perché non avrebbe potuto ricambiarla come lei sperava (e perché non sarebbe mai riuscito a raggiungerla e dirglielo di persona).

Era come se il vuoto dentro di lui avesse inghiottito tutti i sentimenti che era capace di provare, e il suo cuore fosse stato eclissato da un’ombra scura e fredda, convincendolo che non sarebbe mai stato più in grado di amare nessuno.

Ovviamente quel pensiero si era affievolito via via che camminava (e si perdeva in un bosco che non conosceva, e i suoi pensieri erano confusi e agitati come fiocchi di neve in una bufera). Aveva pensato ad Akari, al fatto che se fosse riuscito a trovare la via per casa Unryu si sarebbe impegnato a conoscerla meglio, e forse imparare ad amarla a sua volta (per quanto l’idea di considerarla quasi un rimpiazzo del suo primo amore lo facesse sentire un verme).

Aveva anche pensato che prima o poi sarebbe anche riuscito ad augurare ad Akane tutta la felicità del mondo, e che se quello zotico di Ranma l’avesse fatta soffrire l’avrebbe ucciso con le sue mani (e nemmeno il suo senso dell’orientamento glielo avrebbe impedito).

Si era poi detto che poteva essere una buona occasione per tornare (si spera) a casa, rivedere (forse) i suoi, rilassarsi e (provare a) lasciarsi tutto alle spalle. Ma ovviamente non ne era stato in grado, e per la prima volta aveva avuto il dubbio che il percorso tracciato col pennarello sulla mappa non fosse quello giusto.

Magari se invece di scappare come un ladro avesse chiesto a Ranma di riaccompagnarlo a casa, lui l’avrebbe fatto.

Ma Ryoga avrebbe preferito perdersi ad Aokigahara piuttosto che chiederglielo.

L’idea che persino Ranma conosca meglio di lui la strada per andare a casa sua lo manda talmente  in bestia che quasi rovescia la sua cena per terra.

Odia soprattutto la consapevolezza che Ranma l’avrebbe aiutato davvero, pur tra una presa in giro e l’altra, ma non gli avrebbe detto di no, perché lo considera suo amico.

Quella cosa che la sua condizione di eterno disperso gli ha sempre negato l’ha trovata nel più sbruffone e odioso degli avversari… che è anche quello che più ammira, ma non lo ammetterà mai ad alta voce. E che ha coperto l’esistenza di P-Chan innumerevoli volte quando avrebbe potuto smascherarlo senza problemi (e ne avrebbe avuto tutte le ragioni commenta una vocina fastidiosa nella sua testa).

Ryoga va a dormire con la deprimente convinzione che l’universo e i Kami siano in combutta per fargli vivere una vita miserabile in cui persino il maledetto Saotome se la passa meglio di lui, sentendosi ancora più piccolo e sperduto sotto il volere di qualche divinità capricciosa; quando finalmente si addormenta sogna di porcellini con la bandana gialla che girano in tondo, labirinti e bivi dove imbocca sempre il sentiero sbagliato e Akane che gli sorride da lontano come ha sempre fatto.

Al risveglio si sente più stanco di quando è andato a dormire. Fa una colazione veloce, sistema in fretta le sue cose e approfitta dei bagni ancora deserti dell’area campeggio (cosa che ha appurato mentre girava a vuoto alla ricerca di un cartello con uno straccio di indicazione). Ci mette dieci minuti buoni a trovare l’uscita e finalmente incamminarsi nella boscaglia. Nota distrattamente che il sole non è ancora sorto, probabilmente non sono ancora le sei; poco più in là c’è una radura che dà su una vallata, da cui riesce a vedere perfettamente l’orizzonte. In effetti non ho mangiato quasi nulla a colazione si dice, potrei fare un altro spuntino e aspettare l’alba. Il bisogno di rimettersi di nuovo in viaggio non è più così urgente.

Vedere sorgere il sole è sempre uno spettacolo magnifico. Nonostante l’abbia visto così tante volte da considerarlo quasi scontato, non ha mai smesso di infondergli un senso di serenità come nient’altro riesce a fare (nemmeno il dolce sorriso di Akane, che per quanto bello non è mai per lui), e sanno i Kami quanto ne abbia bisogno adesso.

A un certo punto gli torna in mente il pensiero del suo cuore oscurato dall’eclissi e non riesce a trattenere un sorriso, pensando che forse la decisione di fermarsi a guardare l’alba non è poi così casuale: eclissi o no, ci sarà sempre un’alba. In fondo le cose non gli erano sempre andate male. Prima di quel mal d’amore così intenso, di quel vagabondaggio senza meta, Ryoga stava bene. E di sicuro sarebbe stato bene di nuovo. Era così che andava la vita, c’era sempre un’alba che seguiva quella del giorno precedente, e magari ce ne sarebbe stata una anche per lui. Si sarebbe rimesso in piedi e quella sofferenza sarebbe stata solo un ricordo. Riuscire a pensarci in maniera meno negativa del giorno prima gli sembra già un enorme passo avanti.

Forse, solo forse, Ryoga Hibiki non è un caso senza speranza, un inguaribile romantico destinato a soffrire e a perdersi in una foresta o nella sua testa.

Se persino Ranma è stato capace di maturare e confessare i suoi sentimenti ad Akane, io posso imparare a non piangermi addosso.

Quel pensiero, spontaneo e lucido, gli fa realizzare un po’ di cose.

Capisce che ha appena pensato a Ranma e Akane insieme e non ha provato dolore, non la stilettata al petto che temeva, quantomeno: dopo averli visti piangere l’uno tra le braccia dell’altra sul Monte Hooh in effetti non può scalfirlo più nulla. È un dolore più lieve, quasi malinconico, quello che provi quando pensi a qualcosa che ormai ti sei buttato alle spalle. Quel tipo di dolore che ha smesso di straziarti l’anima e sai di poter superare.

Capisce anche che il vuoto che pensava di avere nel petto si sta di nuovo riempiendo di qualcosa speranza, qualche timida aspettativa per il futuro, la voglia di rimettersi in piedi e l’eclissi che oscurava il suo cuore sta giungendo al termine. Sente che c’è uno spicchio di nuovo visibile, una parte di sé che vuole di nuovo amare e, magari, essere amato a sua volta.

Dopo un anno di vagabondaggio le ferite si stanno  rimarginando e forse ha smesso di girare in tondo ai suoi sentimenti, quelli che credeva di provare ancora per Akane ma che forse sta finalmente lasciando andare.

Osserva ancora l’orizzonte e sorride. Tira fuori la mappa dallo zaino e si mette con cura a cercare il punto esatto in cui si trova il campeggio, e dopo averlo individuato cerca la vallata dove sta sostando adesso (grazie anche ad una bussola che si è ricordato di avere nello zaino e che sta finalmente imparando ad usare). Ci mette un po’ ma finalmente lo trova. Da lì decide di impostare un nuovo percorso: non ha una meta precisa, ma non ha neanche fretta di tornare a Nerima e casa sua di certo non si sposterà nel frattempo.

Questa volta il viaggio è per me.

Viaggerà per riconciliarsi con se stesso, per ritrovarsi e rigenerarsi. Se lo merita. Proverà a non perdersi, ma se succederà imparerà a non farne un dramma.

Il sole è finalmente sorto, mentre lui mette da parte l’eclissi sul suo cuore insieme alla tristezza accumulata in quell’anno.

Riparte con la consapevolezza che un’eclissi non dura per sempre.


 

***


*Aokigahara: è una foresta che si trova ai piedi del Monte Fuji, diventata famosa come Foresta dei Suicidi. Immagino di non dovervi spiegare il perché. :°D




Edit del 28/05/2016: Questa storia si è classificata seconda (a parimerito) al contest! :D
Come da introduzione, questa storia partecipa al contest Idee in libera uscita indetto sul forum di Efp da meryl watase. Non partecipavo a un contest o una challenge da un po', e quando ho visto due tracce che urlavano "RYOGA!" e la giudiciA accettava Ranma come fandom... potevo mica tirarmi indietro?
Le tracce che ho scelto sono la citazione da Patch Adams (quella che trovate scritta in alto, sotto al titolo) e Total eclipse of the heart di Bonnie Tyler, di cui ho usato due strofe che secondo me si adattavano bene al nostro eterno disperso. Ho fatto del mio meglio per integrarle ma temo di non averli usati proprio al meglio. :v
NB: Avevo dimenticato di dirlo, ma... temo troverete qualche refuso causa acqua alla gola. Purtroppo non posso sistemarli subito ma devo aspettare due settimane causa nuovo regolamento dei contest del forum di cui sono venuta a conoscenza quando ho consegnato (non facevo contest sul forum da due anni...*ehm*). Insomma, portate pazienza, sistemerò quanto prima.
Più rileggo più temo di aver scritto un sacco di castronerie e nonsense, ma spero che qualcuno là fuori la trovi decente, ecco. :°D
Come al solito, mi trovate qui e qui, se vi andasse di fare due chiacchiere.
Grazie a Nyappy che mi beta con pazienza (e per qualche strano motivo non mi ha ancora mandata a quel paese per tutte le castronerie che è costretta a correggermi :°D). ♥
Spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate, e in ogni caso grazie di aver letto fin qui! :D

Mana


   
 
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