Libri > Una serie di sfortunati eventi
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Autore: Itsamess    01/05/2016    2 recensioni
In occasione del suo undicesimo compleanno, suo padre gli aveva regalato un orologio costoso, a carica manuale, dalla cassa rettangolare e il cinturino di pelle color ambra. Sulla prima pagina della garanzia c'era scritto a caratteri sottili ed eleganti resistente all'acqua, eppure quelle rare volte che i Baudelaire erano andati a fare il bagno a Spiaggia Salmastra, Klaus aveva sempre fatto attenzione a toglierselo prima di tuffarsi.
Non era mancanza di fiducia, ma istinto di protezione.
Verso Violet provava la stessa cosa. Sapeva che era straordinariamente brillante e piena di espedienti, eppure non poteva fare a meno che avvertire, in mezzo al petto, un profondo desiderio di metterla in salvo.
Da qualsiasi cosa. Spifferi gelidi, formiche rosse, malvagi tutori che cercavano di ucciderla...
Ma come avrebbe potuto proteggerla una volta accaduto l'irreparabile? Una volta che avesse pronunciato il fatale e insincero "sì, lo voglio"?

[Prima classificata al contest Sibling memories - Di sorelle e fratelli di Angyefp]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Klaus Baudelaire, Violet Baudelaire
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Dedicato alla mia sorellina Leo,
che riesce ad essere geniale anche con i capelli sciolti


 




Non so se ve ne siete mai accorti, ma i titoli possono essere incredibilmente fuorvianti.

Ad esempio, se decidete di guardare Un Tranquillo Weekend di Paura convinti che sia un simpatico film su un picnic rovinato dalle formiche rosse, rischiate di rimanere delusi nello scoprire che è un terribile e sanguinosissimo horror, mentre il titolo Colazione da Tiffany potrebbe suggerirvi l’idea di uno spuntino mattiniero a base di collier di diamanti, mentre purtroppo nel film Holly Golightly non assaggia nessun gioiello.
 
Probabilmente la folla chiassosa assiepata fuori dai cancelli della magione del Conte Olaf si aspettava che Le Nozze Meravigliose fossero un’avvincente commedia romantica e avventurosa su una coppia di amanti sventurati che devono affrontare varie insidie prima di potersi finalmente ricongiungere, mentre sono spiacente di informare il lettore che si sbagliavano quasi completamente: le nozze rappresentate, ben lungi dall’essere meravigliose, si avvicinavano di più ad aggettivi come spaventose o imposte con la forza, e nonostante l’autore del copione si fosse premurato di inserire nel testo elementi esotici come sciabole e cammelli, la trama era ben poco interessante.
 
Tuttavia, la coppia sventurata esisteva davvero ed in quel momento era separata da un destino crudele, nonché da una porta malconcia ma inaspettatamente massiccia.
 
«Fatemi entrare, devo parlarle!» gridò di nuovo Klaus, bussando con tanta violenza contro la porta del camerino da farsi male alle nocche.

«Non è ancora pronta, orfano!» gli rispose dall’interno una gracchiante voce femminile - probabilmente una delle due donne dal volto incipriato che erano state incaricate di preparare Violet  «Porta sfortuna vedere la sposa prima della cerimonia!»

In altre circostanze Klaus l’avrebbe corretta ricordandole che quello stupido divieto non valeva per il fratello della sposa, ma solo per il futuro marito, e che in ogni caso tutta la loro vita fino a quel momento era stata una lunga serie di sfortunati eventi, quindi erano piuttosto abituati ad essere colpiti dalla malasorte, tuttavia tacque. Non c’era il tempo di uscirsene con una delle sue spiegazioni erudite, doveva vedere Violet, prima che fosse troppo tardi.
Prima che tre parole – sì, lo voglio – cambiassero tutto per sempre.
Cercando di ricordare, dei vari libri di avventura che aveva letto, qualcosa che lo aiutasse ad irrompere nella stanza, prese la ricorsa arretrando di un paio di passi e poi diede una forte spallata alla porta, che si aprì di colpo.

La ragazza si trovava in piedi davanti a tre grandi specchi rettangolari, disposti in modo tale da mostrare la sua figura da tre punti di vista differenti e probabilmente Klaus si sarebbe dovuto concentrare un po’ di più sul piano di salvataggio che sulla bellezza della giovane, eppure sembrava impossibile distogliere lo sguardo dal candido pizzo del suo vestito, che le cingeva il corpo come se fosse stata luce liquida, si increspava leggermente sulle maniche arricciate, accarezzava piano la curva dei suoi fianchi  e poi si riversava sul pavimento di pietra in un lungo strascico stropicciato.

Le braccia della giovane, magre e avvolte di stoffa ricamata, erano abbandonate lungo i fianchi, quasi non  avesse la forza di muoverle. E probabilmente era così.

Klaus si soffermò un attimo a pensare che il candore dell’abito sembrava esserle penetrato sottopelle, perché la sua carnagione era pallida come quella di una morta, soprattutto in viso,  incorniciato da una coroncina di piccoli fiori bianchi. Gli occhi da cerbiatto  erano solcati da una riga sottile e ondulata, nera come l'inchiostro, mentre le gote erano state dipinte innaturalmente di rosso.

Era una ragazza bellissima, ma non era Violet.
Era la futura signora Olaf, sempre ammesso che Olaf fosse un cognome.
Klaus si sarebbe dovuto abituare all'idea, perché fino a quel momento non era riuscito ad elaborare nessun piano in grado di salvare Sunny dalle grinfie dell’uomo con gli uncini, quindi lui e le sue sorelle erano ancora a tutti gli effetti sotto lo sporco ricatto del loro tutore.

«Quale parte di Non entrare non capisci, orfano?!» gli ringhiò contro la più bassa delle donne, spintonandolo di nuovo verso la porta «Lascia stare tua sorella, deve finire di prepararsi per il grande evento!»
 
Pensa, Klaus, pensa.
«Non sono qui per lei!» replicò in fretta il ragazzo, cercando di usare il tono più convincente possibile. Ricordava di avere letto da qualche parte che la gente è più portata a crederti se mantieni il contatto visivo, pertanto guardandola fisso negli occhi aggiunse «Olaf- il Conte mi ha incaricato di farvi avere un messaggio»
 
Improvvisamente interessate, le due donne chiesero in coro «Quale messaggio?»
 
Domanda legittima e non particolarmente complessa, se non fosse stato per il fatto che Klaus stava mentendo spudoratamente e non c’era nessun messaggio da riferire. Il ragazzo inventò la prima cosa che gli venne in mente «Ehm… Ha bisogno di voi per accogliere il critico teatrale. È appena arrivato»
 
La fortuna aiuta gli audaci - perfino gli orfani audaci ma proverbialmente sfortunati – ed inaspettatamente quel piano improvvisato per liberarsi delle complici di Olaf funzionò: le donne dal viso incipriato si precipitarono schiamazzando giù per le scale, lasciando finalmente soli i due fratelli.
 
 
In tutto quel trambusto Violet era rimasta immobile davanti agli specchi, pietrificata al pensiero di ciò a cui stava andando incontro o forse troppo esausta dopo ore e  ore di snervanti preparativi- era impossibile per Klaus dedurlo dalla sua espressione vuota.
Correre ad abbracciarla sembrò l’unica cosa sensata in una serata priva di senso.
 
Violet si strinse con forza a lui, come se il fratello si trovasse sull’ultimo brandello di terraferma rimasto al mondo e lasciarlo andare significasse annegare. Era un sollievo sapere di essere al sicuro fra le sue braccia. Era da tanto che non si sentiva così, da quando erano morti i loro genitori e la loro vita era cambiata per sempre. Era cambiata la loro dimora, erano cambiate le loro paure più grandi, era perfino cambiato il loro nome, da quello affettuoso di ragazzi Baudelaire a quello sprezzante di orfani Baudelaire. Ma l’abbraccio di Klaus non era cambiato, era ancora debole e forte nello stesso tempo come solo l’abbraccio di un fratello minore sa essere. Lì, fra le sue braccia, il mondo era tranquillo. La ragazza affondò la testa nell’incavo della sua spalla, sorridendo ingenuamente tra sé e sé della strana sensazione che le dava stringerlo ora che era vestito da cammello.
 
Restarono abbracciati per un tempo indefinito, fino a quando staccandosi appena da lei Klaus non le domandò, con la voce carica di preoccupazione «Violet, stai bene? Sei davvero pallidissima»
 
«Polvere di talco!» rispose la sorella , scuotendo la testa tanto vigorosamente da rischiare di far cadere la coroncina di fiori. «Le complici di Olaf sono convinte di truccarsi in modo elegante e si sono offerte di prepararmi al matr-»
 
«Dimmi che hai un piano» la interruppe Klaus, incapace anche solo di sentirle pronunciare quella parola, quasi che le lettere fosse appuntite e premessero direttamente sul suo cuore «Non hai intenzione di andare fino in fondo con questa storia, vero?»
 
Violet si ritrasse istintivamente da lui, come se invece fossero state le parole del fratello a ferirla. Come poteva essere così ingenuo da domandarle se voleva davvero cedere al ricatto di Olaf, quando entrambi sapevano che non c’era alternativa? Continuare a discuterne all’infinito e a cercare minuscoli cavilli legali per invalidare le nozze era inutile, oltre che doloroso. Le rendeva solo più difficile il distacco.
«Non ho altra scelta!» gridò Violet ritraendosi da lui «Se non lo sposo, il Conte Olaf ucciderà Sunny! Sappiamo bene entrambi che ne è capace e che non si fermerà davanti a niente pur di mettere le mani sul nostro patrimonio!»
 
«Sì ma è Olaf!» ripeté un po’ stupidamente il fratello, come se il solo nome del malvagio tutore bastasse a dargli ragione «Come potresti sposarlo?!»
 
Non so se avete mai letto il romanzo Madame Bovary. Se non lo avete fatto, questa è l’occasione buona per abbandonare questa fanfiction, correre in biblioteca e rimediare alla vostra mancanza – magari senza riprendere mai più la lettura delle vicende degli sventurati orfani Baudelaire. Ma nel caso voi siate impossibilitati a reperire il volume - sia che siate bloccati in casa da una brutta influenza, sia che siate sorvegliati a vista dagli accoliti di un’organizzazione criminale, come chi scrive – sappiate solo che la storia di Madame Bovary è molto lunga e complicata, ma è piuttosto semplice la morale che se ne ricava: “Può essere pericoloso leggere troppi romanzi d’amore perché raramente la realtà è all’altezza della fantasia”.
 
Klaus Baudelaire aveva letto Madame Bovary ed innumerevoli altri capolavori della letteratura romantica, eppure non aveva imparato la lezione, dal momento che aveva ancora una visione idealizzata ed irraggiungibile dell’amore, tale che la sola possibilità che la sorella stesse per fare un matrimonio combinato e insincero con un uomo meschino lo ripugnava.
«Olaf è un uomo orribile, un criminale e un assassino- e tu non lo ami!»
 
Violet fino a quel momento aveva vagato per la stanza per cercare di mantenersi lucida con un’occupazione ripetitiva e semplice come camminare avanti e indietro, ma nel sentire l’accorato appello del fratello si fermò.
«Non lo amo, certo che no! Ma amo te, Klaus» rispose con naturalezza e una certa dose di sollievo, come se quelle parole fossero sempre state sull’orlo delle sue labbra ma non le avesse pronunciate abbastanza spesso. Eppure erano così semplici, tanto pure quanto vere. Lo amava, di quell’amore testardo e fedele dei soldati che si battono per la stessa fazione, fianco a fianco contro il mondo.
Prese un profondo respiro ed aggiunse «e amo Sunny. Non potrei sopportare il pensiero di non aver fatto tutto quello che potevo – tutto, Klaus – per salvarvi »
 
«Non a questo prezzo» ribadì Klaus con voce ferma, anche se ogni secondo era meno convinto delle proprie parole, che risuonavano vuote e inutili nell’abisso fra loro. Era inutile discutere con Violet, perché quando si metteva in testa una cosa non c’era alcun verso di farle cambiare idea.
La guardò lasciarsi stancamente cadere sulla seggiola davanti al tavolino da toeletta, lo strascico di pizzo come una pozza bianca ai suoi piedi. Non gli era mai sembrata così stanca, nemmeno quel pomeriggio che i loro genitori li avevano portati a fare una scampagnata fuori porta e si erano dimenticati la cartina. Dopo un paio d’ore, un’esausta ma pur sempre arguta Violet aveva improvvisato una bussola servendosi di una graffetta e di un tappo di sughero e li aveva ricondotti sani e salvi a casa.
Era stata sempre lei a prendersi cura di tutti.
Non sarebbe andata così anche quell’ultima tragica volta.
«No, non ti lascerò sola nelle grinfie di quel mostro!»

«Me la caverò, Klaus! Non- non devi preoccuparti per me, me la caverò»
E probabilmente se la sarebbe cavata davvero, perché era tanto brillante e piena di risorse da riuscire a tenere testa ad un criminale meschino e privo di talento, quindi il fratello le annuì,  incoraggiante, ma dentro di sé avvertì solo un bisogno fisico di proteggerla, lo stesso che si prova nei confronti di quegli orologi costosi che hanno scritto sulla garanzia resistente all'acqua  ma che uno comunque si toglie prima di tuffarsi.
 
«Divorzierò o scapperò o contatterò il giudice Strauss… mi verrà in mente qualcosa. Ancora non so bene cosa ma-»
Il resto della frase fu interrotto da un singhiozzo improvviso.
Nel giro di pochi istanti, Violet stava piangendo a dirotto, interrompendosi solo per prendere profondi respiri nel vano tentativo di calmarsi.
«È colpa del talco! Mi fa lacrimare gli occhi» tentò di scusarsi, tirando su con il naso «Le due complici di Olaf mi hanno letteralmente coperto la faccia di polvere e adesso non riesco a smettere di piangere!»
 
Non era colpa del talco se stava piangendo, tuttavia se quell’innocente bugia serviva a Violet per sentirsi meno indifesa e vulnerabile e semplicemente allergica alla cosmesi, non c’era motivo per cui il fratello non dovesse fingere di crederle.
Si avvicinò al tavolino della toeletta. Violet aveva nascosto la testa fra le mani. Il suo corpo, così minuto e bianco pizzo, era scosso da singhiozzi con una cadenza regolare come rintocchi di campane. Cercando di farla smettere, Klaus appoggiò la mano sulla sua spalla, ma fu un gesto inutile ed impacciato che lo fece sentire ancora più a disagio.
 
Nelle vostre lunghe e spero complessivamente felici esistenze vi sarete di certo trovati nella difficile situazione di voler esprimere un determinato concetto e non saper trovare le parole, come se qualcuno avesse strappato dal dizionario proprio le pagine che state cercando, lasciandovi con la testa piena di idee e la biblioteca violata.
Tuttavia la triste verità è che, anche se questo qualcuno vi restituisse le pagine che ha impunemente sottratto, vi rendereste conto con orrore che non sempre ciò che provate è  esprimibile a parole.

Klaus si trovava nella stessa situazione, paralizzato davanti ad una disperazione che sembrava inconsolabile e per cui nessun discorso di incoraggiamento – sempre che gliene venisse in mente uno - sarebbe bastato.
E dire che aveva sempre pensato di essere bravo con le parole! Non solo conosceva sempre il loro significato, ma era anche in grado di selezionare istintivamente quelle più adatte alle diverse situazioni, così come la donna che amavo sapeva sempre quali posate usare nei ristoranti eleganti.
Il ragazzo selezionava termini aulici nei saggi che scriveva per il giornale scolastico, preferiva vocaboli semplici e perifrasi per rivolgersi a Sunny…
Ma con Violet era diverso. Tra loro le parole non erano mai servite davvero, un po' come pinze per l'aragosta e forchettine per il dolce. Bastava uno sguardo e l'una sapeva esattamente a cosa stava pensando l'altro.
Almeno in teoria.
 
«Adesso penso ad un colore e tu devi indovinarlo»
«D’accordo, vai»
«Fatto»
Violet lo scruta attentamente, quasi speri di vedere la sua fronte diventare del colore prescelto. Non accade. Dovrà tentare la sorte.
«Giallo»
Il fratello scuote la testa.
«Uffa, dammi un aiuto»
«Il colore degli occhi di Alessandro Magno»
«Ho detto un aiuto!» sbuffa la sorella
«È un aiuto! Alessandro aveva gli occhi di due colori diversi. Uno era azzurro e l’altro castano. Avrei fatto valere entrambe le risposte , raddoppiando le tue probabilità di vittoria…»
Violet gli scompiglia teneramente i capelli come faceva sempre sua madre con lei «Apprezzo lo sforzo, Klaus»
 
Sforzarsi non sarebbe bastato in quella situazione: Violet continuava a singhiozzare, il viso ormai ridotto ad una maschera bianca e nera che la faceva assomigliare più ad un panda che ad una sposa e Klaus non riusciva a farla smettere. Quando aveva levato la testa verso di lui, il fratello si era accorto che gli occhi le brillavano di più, ma era solo un effetto ottico dovuto alla rifrazione della luce sul velo di lacrime, perché il suo sguardo era in realtà spento e vuoto, come l’interno di un transatlantico dimenticato sul fondo dell’oceano.
Non riusciva a sopportare di vederla così, eppure non sapeva cosa dirle che le fosse di conforto.
 
Provò a ripeterle quello che si dicevano sempre nei momenti di difficoltà, ovvero che c’era sempre qualcosa, sempre, ma la sorella scosse la testa.
«Non stavolta, Klaus... Guardaci!» rispose indicando i numerosi specchi presenti nella stanza, tanto ossidati dal tempo che l’immagine che riflettevano era poco nitida e velata di una sfumatura grigio argentea «Io sto per sposare il conte Olaf, tu sei vestito da cammello e Sunny è tenuta prigioniera dall'uomo con gli uncini! Tutto ciò che ci resta da fare è- arrenderci»

Quell’ultima parola cadde in mezzo a loro e fu come un macigno lanciato in uno stagno.
Aveva ragione, non c'era più niente da fare.
La loro fazione – composta da due elementi e mezzo – era stata sconfitta.
Violet si alzò tremante ed abbracciò di nuovo il fratello, lasciandosi cadere stretta a lui sul pavimento della stanza. Non le passò nemmeno per la testa che il vestito potesse rovinarsi, così come ormai erano rovinati trucco ed acconciatura, perché l’unico pensiero che riusciva a distinguere con chiarezza nel turbinio della sua mente era che così vicina a Klaus le sembrava di poter sentire battere il suo cuore da sotto il costume da cammello.
Probabilmente era solo una suggestione, ma la rese lo stesso felice.
Se quello era arrendersi, si sarebbe voluta arrendere altre infinite volte.
 
Il fratello si staccò da lei, ma solo per poggiarle la testa in grembo. Detestava quell’abito da sposa per ciò che rappresentava, eppure doveva ammettere che, oltre a donare a Violet, era piuttosto comodo come giaciglio.
«Anche se l’altro vestito mi piaceva di più» mormorò convinto che lei non lo stesse ascoltando
 
La sorella istintivamente gli premette una mano sulla fronte, per controllare che stesse bene: non ricordava nessun altro abito da sposa e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che il fratello fosse in preda alle allucinazioni.
«Quale vestito, Klaus?»
 
«Davvero te ne sei dimenticata? Quello della mamma, tutto di tulle e taffetà. Lo indossasti quella volta che per festeggiare il decimo anniversario dei nostri genitori pensammo di mettere in scena il loro matrimonio… avremo avuto 7 e 9 anni forse»
 
«Aspetta forse ricordo... »
Violet chiuse gli occhi, cercando di ripescare l’immagine sbiadita dal tempo nella sua memoria.  E poi sorrise, perché se davvero si ricordava correttamente, Klaus aveva avuto un brutto incidente con la brillantina.
«Tu ti eri coperto i capelli di gel, giusto?»

«Già, davvero una grande idea!» le fece eco il fratello, soffocando una risata.

«Per settimane non ti è andato via, avevi la testa dura come un carapace!»

«… mentre tu avevi provato i tacchi della mamma mettendoci dentro dei giornali perché erano troppo grandi» aggiunse Klaus divertito «ma ti eri comunque slogata la caviglia camminando in veranda»

«Pensavamo di mettere in scena la nostra recita dopo cena e invece passammo la serata al pronto soccorso!»
La risata cristallina di Violet invase la stanza come ossigeno puro dopo giorni di apnea. Klaus la guardò asciugarsi un’ultima lacrima nera con la punta delle dita e mormorare «Grazie»

«Di cosa?» domandò il fratello, tirandosi su per guardarla meglio negli occhi.
 
«Avevo- dimenticato questo ricordo» rispose lei un po’ esitante, come se non fosse sicura di aver usato le parole giuste ed aspettasse di essere corretta da Klaus «Non so se si può dire, ma è così… Mi era proprio passato di mente»
 
Lui prese un profondo respiro e si schiarì la voce come faceva sempre quando stava per lanciarsi in una delle sue spiegazioni erudite «Ricordare deriva etimologicamente dal latino cor-cordis: significa riportare al cuore, non ha niente a che fare con la mente. Sai, per gli antichi era il cuore la sede della memoria. È per questo che in francese si dice apprender par coer e in inglese to know by heart. Perché tutto ritorna sempre al cuore»
 
Violet si domandò se fosse quella la ragione per la quale ogni volta che ripensava ai suoi genitori il dolore si irradiava in mezzo al petto e non sulle tempie, tuttavia non disse nulla, semplicemente fece cenno a Klaus di tornare ad appoggiare la testa sulle sue gambe e prese ad accarezzargli dolcemente i capelli scuri anche se era come se gli accarezzasse direttamente il cuore tanto era delicato ed affettuoso come gesto. Le vennero in mente tutte le volte che si era fatta male cadendo dalla bici o dagli alberi o dovunque la sua curiosità l'avesse spinta ad avventurarsi: tornava a casa mordendosi forte il labbro inferiore per impedirsi di piangere ma sua madre le leggeva il dolore negli occhi, la faceva accoccolare sulle sue ginocchia come un gatto e le passava piano le dita fra i capelli, prima di raccoglierli in una coda ordinata con un nastro sottile.

Klaus non era ferito, almeno non in modo visibile, ma lui e Sunny sarebbero 
sempre stati  in pericolo se Olaf avesse continuato a dar loro la caccia: Violet doveva mantenere la promessa fatta alla madre e proteggerli. Cedere a quell’orrendo ricatto. Sacrificarsi per salvarli tutti.
La ragazza smise improvvisamente di accarezzare il fratello, perché lo spettacolo stava per iniziare e lei non aveva nemmeno le scarpe «Devo finire di prepararmi… riassettare il vestito e aggiustare il trucco, ma per il resto sono quasi pronta»
 
«Non senza i portafortuna!» la interruppe Klaus sforzandosi di sembrare ottimista, anche se in cuor suo non credeva affatto che la sorte potesse mai essere dalla loro parte, amuleti o meno. Desiderava semplicemente trascorrere ancora qualche istante con Violet, prima che la realtà e tutte le sue terribili conseguenze li dividessero forse per sempre.
 
«Quali portafortuna?» chiese Violet, visibilmente confusa: la parola fortuna suonava sempre tristemente ironica pronunciata dagli orfani Baudelaire, quindi la lasciava un po’ interdetta sentirla nominare dal fratello.
 
«I classici... Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di blu e qualcosa di prestato» rispose lui con voce cantilenante, cercando di non dimenticarne nessuno. Ora che ci pensava di nuovo c'era tutto, quindi quella parte della tradizione la potevano anche saltare.
Il ragazzo iniziò a vagare per la stanca alla ricerca dei vari oggetti da donare simbolicamente a Violet, accorgendosi però ben presto che tutti - dalle parrucche impolverate, al baule dei costumi di scena, al vaso di fiori che avrebbe dovuto abbellire la stanza ma falliva miseramente - in un modo o nell’altro, gli ricordavano Olaf e la sua terribile cricca di accoliti. Non potevano andare bene.
Si sarebbe dovuto arrangiare in altro modo, utilizzando ciò che aveva con sé.
 
Vedendolo in difficoltà a reperire i vari oggetti la sorella abbozzò «Non importa Klaus, credo davvero che me la caverò anche senza portafortuna… non preoccuparti»
 
Era la seconda volta in pochi minuti che ripeteva a Klaus di non preoccuparsi, ma prima che il fratello potesse gridarle contro che si erano sempre presi cura l’uno dell’altra e ora lei non poteva semplicemente schioccare le dita e chiedergli di fregarsene, improvvisamente gli venne un’idea.
Si tirò su la manica del costume da cammello e si tolse l’orologio, quello che gli aveva regalato il padre in occasione del suo undicesimo compleanno e che sulla garanzia assicurava di essere resistente all’acqua.
Era il momento di metterlo alla prova.

Klaus estrasse dal vaso i flosci tulipani ed immerse l’orologio nell’acqua. Quando lo tirò fuori, notò con sollievo che stava ancora ticchettando, anche se un po’ più debolmente di prima.
La fiducia aveva trionfato sull’istinto di protezione: doveva lasciar andare Violet, lasciare che si tuffasse nel vasto oceano del futuro senza di lui.
Allacciò l’orologio al polso della sorella e poi aggiunse guardandola negli occhi.
«Qualcosa di vecchio e di prestato. Lo rivoglio»
Il che sottintendeva: sopravvivi per restituirmelo.


«E il blu?» gli chiese lei
 
A prima vista non c’era niente di blu nella stanza, se si escludeva un logoro tappeto persiano, arrotolato su se stesso ed abbandonato in un angolo. Anche se per un attimo Klaus accarezzò l’idea di avvolgerci dentro la sorella per nasconderla dal Conte Olaf, subito si rese conto che era un piano troppo azzardato per funzionare, perché i criminali con cui avevano a che fare erano meschini e poco arguti, ma probabilmente avrebbero trovato sospetto un tappeto che camminava. Il suo sguardo si posò invece  sul ripiano del tavolino da toeletta, sopra il quale si trovavano parrucche, barattoli di talco e svariate bottigliette di profumo. E in mezzo a loro, parzialmente nascosta da una spada di legno, c’era una boccetta di inchiostro blu.
Per un attimo il ragazzo si domandò cosa ci facesse dell’inchiostro in un camerino, poi con la morte nel cuore realizzò che era un oggetto di scena: nel giro di un’ora Violet avrebbe dovuto intingervi una piuma d’oca e firmare il certificato di nozze che l’avrebbe legata per sempre ad un uomo ripugnante.
Al solo pensiero, Klaus si sentì mancare il respiro.
Una volta aveva letto di pappagallini che erano detti inseparabili perché incapaci di sopravvivere se divisi l’uno dall’altro. Forse per lui e Violet era lo stesso, forse era quella la ragione per cui sentiva di non poter respirare, senza di lei, o forse era solo colpa di quello stupido costume da cammello, troppo stretto.
 
«Hai trovato qualcosa di blu?» domandò Violet, riportandolo bruscamente alla realtà e a quella stupida idea dei portafortuna.
 
Il fratello annuì e le fece segno di avvicinarsi. Immerse la punta di un pennellino da trucco nel liquido vivido e scintillante e tracciò una linea blu notte intorno all’anulare sinistro della ragazza: una fede d’inchiostro, per mostrare al mondo che si appartenevano e che nessun anello reale sarebbe mai stato vicino alla sua pelle quanto quello che le aveva appena disegnato.
Klaus era tanto agitato che la riga gli venne tutta storta e tremolante.
«Scusami… ho fatto un casino»

Violet, che fino a quel momento non aveva prestato attenzione a cosa stesse facendo Klaus, abbassò finalmente lo sguardo sulla propria mano.
Era macchiata di blu intenso in vari punti, eppure rassicurò il fratello «Non preoccuparti, dubito che qualcuno ci farà caso… E poi la mia pelle ci è abituata,  quando disegno i miei bozzetti mi sporco sempre il palmo della mano... Solo che, certo, di solito è la destra, dato che sono destrorsa»

«Sei destrorsa» ripeté Klaus lentamente. Gli vennero in mente un paio di libri di calligrafia ed un saggio sulle miniature medievali, il manuale di anatomia al capitolo falangi e, finalmente, il volume di Diritto Matrimoniale. Sul viso gli comparve un sorriso trionfante «Violet, forse mi è venuto in mente come invalidare queste nozze!»

Lei gli rivolse uno sguardo dubbioso «L'ultima volta che lo hai detto proponevi di dire no, non lo voglio invece di sì, lo voglio»

«Ok, ammetto che quella era un'idea stupida» replicò il fratello, arrossendo un po’ al ricordo delle brillanti intuizioni che aveva avuto «ma questa non lo è: firma con la sinistra. Il contratto matrimoniale non sarà valido!»
 
Gli occhi di Violet si illuminarono.
«Dici sul serio? E Olaf non se ne accorgerà?»

«Figurati!» rispose Klaus, scrollando la testa con veemenza, divertito all’idea che un criminale così poco brillante potesse essere in grado di smascherare il loro ingegnoso piano ed impedire alla sorella di firmare con la mano sbagliata.
Sono spiacente di informare il lettore che invece è esattamente quello che accadde.
Le cose raramente vanno come vogliamo.
E, nel caso degli orfani Baudelaire, raramente significa mai.
 
«Aspetta, lascia che te la aggiusti» aggiunse Klaus, di nuovo con un ottimismo assolutamente fuori luogo, considerata la tragicità della situazione in cui si trovavano. Intinse nuovamente il pennello nella boccetta di inchiostro e ripassò con un tratto spesso e deciso la linea blu, perché se proprio doveva venire un pasticcio era meglio farlo fino in fondo. In realtà questo secondo tentativo fu se possibile peggiore del precedente, perché Violet continuava a protestare ridendo che le stava facendo il solletico e non ne voleva sapere di stare ferma.
Quando si considerò abbastanza soddisfatto del risultato, lui le domandò
«Sai perché si mette la fede all'anulare della mano sinistra?»
Violet scosse la testa. Non lo sapeva.
«Perché gli antichi credevano che ci fosse una vena che da lì arrivava direttamente al cuore»
Come se fosse una scorciatoia, il sangue non perdeva tempo nelle diramazioni degli arti e negli intrichi di capillari, un po’ come lui e Violet non perdevano tempo in inutili conversazioni, quando si capivano benissimo a forza di sguardi e risate.
Il sangue sapeva sempre trovare una strada. La più veloce, la più diretta. Klaus credeva quasi di riuscire a vedere il sangue scorrere nelle vene della sorella, tanto era candida la pelle dei suoi polsi. Ne tracciò il percorso con la punta delle dita- dalla distesa bianca delle sue braccia, alla linea spezzata che formava il gomito, alla curva della spalla, sfiorando senza fretta la pelle diafana della sorella, come a voler imprimere nella memoria l’esatta posizione delle sue lentiggini. Quando la mano arrivò a  sfiorarle il petto la ritrasse istintivamente, ma Violet la riportò dov’era: il cuore le batteva talmente forte che Klaus riusciva quasi a sentirlo, sotto uno strato di satin.

«Tu sarai sempre il primo nel mio cuore, Klaus. Lo sai vero?»

«Lo so»
 
Non serviva aggiungere nient’altro, perché il battito accelerato di lei e la voce tremante di lui bastavano a dirsi tutto quello che provavano, senza bisogno di parole.








Angolo dell'autrice
Innanzitutto lasciatemi ringraziare Greta e Vittoria, le mie grandi grandi grandi che mi incoraggiano sempre con un entusiasmo degno delle migliori cheerleader e mia sorella, che anche se non leggerà forse mai questa storia perchè ormai legge solo slash in lingua inglese, mi ha ispirato tutte le riflessioni da sorella maggiore che animano la storia.
Questa è la mia prima ff in questo fandom e spero di non aver fatto troppi danni, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi. 
Lo stile voleva essere ispirato a quello dei libri, che amo alla follia - tanto da aver fisicamente sognato di incontrare Daniel Handler per fargli i complimenti - ecco spiegate le varie apostrofi al lettore e l'immancabile riferimento a Beatrice. 
Un po' di note, che non fanno mai male:

*Klaus nel romanzo suggerisce davvero di dire no, non lo voglio invece di si, lo voglio, convinto che sia un buon piano.
*Ho inserito l'avvertimento Movieverse solo e soltanto perchè volevo vedere Klaus vestito da cammello e non da marinaretto come in Un Infausto Inizio. That's all.
*Il meraviglioso banner che trovate all'inizio è opera di Angyefp <3
Se vi va lasciate una recensione, mi farebbe super piacere.
Itsamess


 
  
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