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Autore: Favilla    02/05/2016    0 recensioni
« È difficile sentirsi al sicuro, quando siamo la vittima, ma al contempo anche il nostro stesso boia. » riformulò Hannibal, chinandosi in avanti sulla sedia e appoggiando i gomiti fasciati dalla camicia sulle ginocchia. « Ma che ne dici se anziché scappare dalla tua mente, stavolta non proviamo a guardarla sotto un’altra prospettiva? »
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Characters: Hannibal Lecter; Will Graham
Pairing: HannibalxWill (Hannigram) 
Rating: PG-15 | Yellow
Warning: mind illness
Genre: Angst
Words: 2453 
Prompt: rosso | azzurro 
Note: ambientata a metà della prima stagione. 
Disclaimers: i personaggi di Hannibal (telefilm) appartengono a chi di diritto
Scritta per la prima settimana di WRPG (Trial of Water) di maridichallenge 


 

 
Non c’erano stati particolari eventi che l’avessero portato sulla soglia dell’ufficio del Dottor Lecter. Non un omicidio fresco, non uno specifico incubo o avvenimento che avesse fatto vacillare la stabilità della mente di Will, in equilibrio sulle punte dei piedi sopra una sicurezza che dopo ogni investigazione, dopo ogni allucinazione, sempre più si sgretolava. Semplicemente un appuntamento fissato dalla settimana scorsa, che ha avuto inizio con un normalissimo - Buonasera Will. Prego, accomodati. – ed un sorriso cordiale sul volto.

Si concesse di vagare velocemente con lo sguardo sul viso dello psichiatra, prima di rifuggire il contatto visivo e concentrare la propria attenzione sulla porta che si apriva invitante di fronte a lui. Come ogni settimana.

Quand’è che è diventato un incontro regolare?

Si soffermò a pensare, leggermente a disagio, mentre si dirigeva distrattamente al centro della stanza, trovando quasi divertente ritornare con la mente a quando rifiutava consapevolmente di prender posto a sedere, come se decidere di occupare anche solo per un attimo una delle due poltrone di pelle nera che si fronteggiavano, lo avrebbe ingabbiato nel ruolo del paziente. Di chi ha bisogno di una terapia.

« Vorrei tentare il tuo palato con del vino che ho aperto giusto poco fa, ma prima di farlo dovrei chiederti come ti senti. »

Iniziò Hannibal, scavalcando agilmente quel sottile confine che divide la loro terapia da quello che sempre più era il germoglio di un’amicizia, resistente persino alla diffidenza di Will che, come una tempesta di sabbia impetuosa, cercava di soffocarlo.

« Sono arrivato qui consapevolmente, direi che sto benone. » gli scappò una risata sporca di amarezza, mentre si imponeva di non pensare agli episodi di sonnambulismo che lo perseguitavano di notte, e a quelli di dissociazione che lo cercavano di giorno, strappandolo con foga dal suo presente per gettarlo in pasto ad azioni che nemmeno si rendeva conto di fare.

«Un po’ di autoironia fa bene alla psiche, ma è anche un’ottima difesa. »

Osservò lo psichiatra, prima di porgere un moderato bicchiere di vino a Will e riempire allo stesso modo il proprio. Prese posto a sedere di fronte a lui, e con garbo annusò il liquido rossiccio, bevendone poi un sorso con contenuta soddisfazione e riponendolo sul tavolino. Ora non c’era più nulla a distrarlo, e poteva osservare con chiarezza come Will facesse ondeggiare il bicchiere con irrequietezza, la stessa che gli spingeva gli occhi a saltare da Hannibal a punti casuali della stanza, e viceversa, quasi stesse cercando di aggrapparsi a tutta la realtà che lo circondava.

« Non sto cercando di prendere le distanze dai miei problemi, Dottor Lecter. Ma non posso nemmeno negare che, se fosse possibile scappare dalla propria mente, non l’avrei già fatto. »

Si passò una mano sul volto, stanco. Ormai era più di un mese che non dormiva decentemente, a causa degli incubi che lo perseguitavano dalla morte di Garret Jacob Hobbs. Perché è quando c’è più buio, che quegli occhi brillano con più nitidezza nell’oscurità, fissandolo, giudicandolo. E non importa che non provasse rimorso per quel criminale, finché un altro senso di colpa strisciava subdolo nella sua mente. Quello dell’aver provato piacere.

« Vorrei solo smettere di aver paura di me stesso. » concluse, con forse più sincerità di quanto avrebbe voluto. Non era da lui vittimizzarsi. Come non era da lui avere allucinazioni, temere di perdere il controllo e commettere qualcosa di irreparabile o di non riuscire più ad aiutare Jack con le indagini.

Ad aiutarlo a salvare vite.

« È difficile sentirsi al sicuro, quando siamo la vittima, ma al contempo anche il nostro stesso boia. » riformulò Hannibal, chinandosi in avanti sulla sedia e appoggiando i gomiti fasciati dalla camicia sulle ginocchia.

« Ma che ne dici se anziché scappare dalla tua mente, stavolta non proviamo a guardarla sotto un’altra prospettiva? » tastò il terreno della curiosità di Will con cautela, ma senza tuttavia sforzarsi di celare il mezzo sorriso che gli fece capolino sul viso, forse appena un po’ provocatorio.

« Cosa intendi? » domandò Will, a disagio per la novità che lo psichiatra gli stava gettando in viso con noncuranza, richiamando alla mente svariate tecniche psicologiche che conosceva, come a non voler esser colto di sorpresa.

« Vorrei fare con te un semplice lavoro di associazione mentale, per valutare a che punto sei con la rielaborazione degli avvenimenti traumatici dello scorso mese. » Rispose Hannibal con immediatezza e sincerità, consapevole che con Will non occorreva risparmiare i tecnicismi del mestiere e che anzi lo avrebbero aiutato ad arrivare dritto al punto della questione senza inutili preamboli di circostanza.

« Quando è che siamo passati da “semplici conversazioni senza obbligo” ad una terapia psicoanalitica? ora mi chiederai di sdraiarmi sul lettino e parlarle della mia infanzia? » rispose Will sarcastico e visibilmente indispettito, alzandosi in piedi di scatto per sentirsi libero di vagare per la stanza e scaricare la tensione. Non è che non se ne fosse accorto prima che quegli incontri erano ben più che un semplice scambio di riflessioni su profili criminali, ma la strada per arrivare ad accettare con serenità la realtà della loro relazione terapeutica era ancora piena di ostacoli.

« Dimmelo tu. » azzardò Hannibal, continuando a scrutarlo senza scomporsi. C’era un motivo se Will si presentava da lui anche al di fuori di momenti di indagine, sebbene lui stesso avesse già firmato le carte che confermavano la sanità mentale di Will per non avere il fiato della burocrazia e di Jack ad alitar loro sul collo. E anche Will lo sapeva. E fu per questo motivo che non aggiunse altro, limitandosi ad ingoiare l’irritazione che, ammise poi con sé stesso, non aveva realmente ragion d’esserci, se non come effetto collaterale della sua recente mancanza di quiete mentale.

« Non sono io la belva che ti sta dando la caccia, Will. Se lo fossi, te ne saresti già accorto. » continuò, cercando di maneggiare quell’aggressività che gli stava scaricando addosso.

A quelle parole Will smise di camminare, e un brivido freddo gli scivolò lungo la schiena. Era come se l’istinto, mosso da una paura primordiale, avesse bussato timidamente alle porte del suo inconscio, nel modo effimero e sottile che ha il bagliore di luce quando riflette e smaschera i canini di un lupo nascosti sotto la maschera di un agnello.

« Non sono più sicuro nemmeno di questo. » commentò, sfiancato, decidendo finalmente di avvicinarsi al tavolino per appoggiarvi il bicchiere ancora colmo di vino.

Qualcosa vibrò negli occhi nocciola di Hannibal. Ma Will non lo stava guardando.

« Del mio istinto, intendo. »  si corresse poi, riflettendo sulle proprie parole ambigue. « Mi sento instabile, come se … camminassi su una corda tesa su un dirupo. E qualcosa nel dirupo fosse pronto ad afferrarmi e a tirarmi giù con sé, non appena mi azzardo ad esitare un attimo. »

« Anche i piccoli volatili devono lanciarsi nel vuoto, rischiando la vita, per imparare a volare. Se esitassero anche solo un istante ad aprire le ali, cadrebbero inesorabilmente. » considerò Hannibal, alzandosi in piedi a sua volta ma senza staccare gli occhi da Will.

« Pensavo che mi avrebbe suggerito che cadere sarebbe stato l’unico modo per potermi rialzare, come suggerisce il senso comune. » rispose, quasi divertito, lasciando tuttavia intuire che non avrebbe apprezzato un consiglio del genere.

« Non si sa quanto è profondo l’abisso della mente umana. Con quale coraggio si potrebbe chiedere ad una persona di gettarvisi? »
E Will, sorpreso, non poté che sentirsi in totale accordo con lui.

Vi fu un momento di pausa, poi Hannibal ruppe il silenzio, riprendendo a parlare.

« Tornando all’esercizio che volevo proporti, consiste nel costruire associazioni guidate sulla base di alcuni colori più o meno evocativi. Vorrei che fossi completamente sincero e mi dicessi la prima cosa che ti passa per la mente. » spiegò coinciso, fornendo ogni istruzione necessaria, come ormai la pratica clinica lo aveva abituato a fare.

« Come nelle associazioni libere. » osservò Will, più rilassato ora che era riuscito ad inquadrare la tecnica all’interno di una cornice teorica a lui più familiare. Tornò a prendere posto sulla poltrona, attendendo una conferma da Hannibal che non tardò ad arrivare.
 
E, inaspettatamente, quella tecnica che si era presentata come uno scherzo agli occhi di Will, riuscì a creare un clima piacevole. I colori si susseguivano con naturalezza, portandosi dietro timidi frammenti di vita, che trovavano così una scusa per affacciarsi alla mente e dondolare cautamente sulla lingua . Grazie al verde, Will poté quasi sentire il profumo invitante della pineta di Wolf Trap solleticargli le narici e infondergli quiete, e l’abbaiare giocoso di uno dei primi cani abbandonati che aveva trovato e che aveva deciso di portare a casa con sé. L’arancione invece, dispettoso, aveva fatto saltare i suoi ricordi dai piacevoli tramonti che si tuffano nell’orizzonte, alla sensazione di ansia che aveva provato il giorno in cui aveva tentato il test per entrare all’accademia dell’ F.B.I. Era come se ogni colore fosse una briciola di pane che Will si lasciava alle spalle, e che Hannibal con pazienza raccoglieva, fino a inoltrarsi sempre più nel fitto bosco della sua mente, dove alcune strade però, restavano bloccate da rami, e le radici si ergevano sfrontate e invalicabili.

Ma pur sempre nel bosco era.
 
« Parlami di cosa ti rievoca l’azzurro, invece. » proseguì Hannibal con naturalezza, notando che fino ad ora nulla di ciò che Will aveva nominato sembrava denotare un disturbo post traumatico. Nessuna ricorrente rievocazione degli eventi problematici che aveva vissuto nei mesi scorsi, e anzi, il ricordare sembrava fornirgli una base più stabile di fronte ad una realtà che minacciava costantemente di vacillare.

L’appiglio sicuro per non cadere nel dirupo.

« Il colore dello spirito e del mondo del pensiero*. » introdusse Will, tornando distrattamente con la mente alle conoscenze accademiche. Aveva iniziato a pensare alla pesca, al gorgoglio regolare dell’acqua attorno a lui e ai suoi stivali di gomma ben piantati sul letto del fiume.

Quando poi, all’improvviso, qualcosa cambiò.

Inizialmente era stato solo un flash.

Gli occhi erano scesi in basso per accarezzare con lo sguardo l’acqua cristallina del fiume, e si erano scontrati contro qualcosa di troppo grosso per essere un pesce. Man mano che la corrente avanzava, la cosa diventava sempre più grande e con la forma di un corpo umano, finché Will non riconobbe il cadavere di Garrett Jacob Hobbs. Cercò di evitarlo, ma l’acqua gli lambiva il corpo alla guisa di sabbie mobili, e più lottava più quella cercava di trascinarlo con sé in basso, da lui, nell’abisso.

E i suoi occhi azzurri pallidi di morte non avevano smesso di fissarlo.

« Will. Tutto bene? »

Sentire il proprio nome lo ritrascinò violentemente alla realtà.

« Sto bene. » mentì d’istinto, forse più a sé stesso che ad Hannibal, cercando di calmare il cuore che pompava adrenalina e martellava così forte da rimbombargli nel cervello. « Mi ero perso a pensare alla pesca. »

Avrebbe potuto dire la verità. Avrebbe potuto fermarsi, ammettere che qualcosa stava cambiando le regole del gioco contro la sua volontà, ma decise di andare avanti, cercando di strappare una sorta di vittoria e dimostrare a sé stesso che non era così in difficoltà da non poter affrontare un compito così semplice. Anche a costo di barare.

Ma forse in quella stanza non era l’unico a farlo.

Hannibal riprese dove si erano interrotti. « Ora Will, passiamo all’ultimo colore. Il rosso ha un forte potenziale evocativo, nel bene ma anche nel male. È estremamente delicato. Dimmelo ora, se preferisci fermarti. »

Ma era già troppo tardi. Qualcosa lo stava strattonando giù, sempre più giù.

Prima era la mano di Alana, calda, rassicurante. Le labbra rosse che si schiudevano invitanti per poi piegarsi in un sorriso. Stava per chinarsi su di lei per rubarle un bacio affamato di desiderio, quando un’altra mano di donna lo arpionò all’altro braccio. Non c’era forza in quella presa. Nemmeno calore.
“Mi ricordo di te. sei quello che ha ucciso mio padre. “ la voce di Abigail era poco più che un sussurro spento, senza vita. Dalla ferita sul collo sgorgava copioso il sangue, sporcando l’erba di rosso e di dolore.

Ma io non ho ucciso te. Rispose, sull’orlo della disperazione.

« È come se lo avessi fatto. » disse lapidaria.

E più gli stringeva il braccio, più sentiva il freddo lasciarle le mani e penetrargli nel corpo, raggiungendone ogni anfratto in lingue di ghiaccio che risalivano arrampicandosi sulla pelle. iniziò a tremare senza controllo, trovando difficile riuscire a comandare i muscoli del corpo e ordinar loro di sgusciare via da quella prigione soffocante.

Poi, da dietro la nebbia, vide lui.

Il cervo, alto e maestoso, avanzare a testa alta nella sua direzione, con passo leggero nonostante la mole. Si fermò di fronte a loro, sfoggiando le enormi corna che sfidavano il cielo con la loro imponenza.

Ammirazione e paura furono solo due delle tante emozioni che aggredirono Will di petto, e si fece strada in lui l’impulso sempre più forte di sfiorare con la mano il pelo morbido e scuro, come a poter arrivare con le dita a toccare la potenza e la fierezza di quell’animale. Abigail mollò la presa sul braccio di Will, come un invito, e quando sentì nel suo palmo quel soffice mare di pelo, chiuse gli occhi, e un dolce tepore iniziò a scivolargli addosso e a lambire ogni arto del suo corpo, cullandolo e facendolo smettere di tremare.
 
« Will. »

era poco più che un sussurro in lontananza.

 «Will. » anziché urlare per farsi sentire, la voce si era limitata a farsi più vicina, più intima. Ma non voleva rispondere. Non voleva interrompere quella quiete.
 
Sbirciò da sotto le palpebre semi chiuse, cercando di mettere a fuoco, e il viso del Dottor Lecter gli rimbalzò con violenza sulla retina. I suoi occhi nocciola così vicini ai propri.

Tutto era così surreale, un istante di tempo congelato che imprigionava in sé ogni percezione, ogni reazione. Sentì la sensazione dei capelli soffici di Hannibal sotto le dita, e le mani calde dello psichiatra riposargli una sulla fronte e l’altra sul collo, all’altezza della carotide, mentre con il corpo era chino su di lui.

« Stavi per avere un attacco. » Iniziò Hannibal, prendendo le distanze da lui. Ma Will non gli concesse né tempo per domandargli altro, né alcuna risposta. Appena il muro del suo corpo si fece da parte, si alzò in piedi e fuggì, lasciandosi dietro alle spalle e a quella porta, più quesiti di quando era entrato.
 

Will stava cadendo. Con l’inesorabile lentezza di chi è in equilibrio sopra le fauci dell’ignoto, e che sente la forza scemare poco a poco mentre ogni passo sulla fune si fa più debole. Ma non può tornare indietro.


 
Fin dove ti spingerai, Will, prima di precipitare nell’abisso?
 
 
 




1* Secondo lo psicologo Jung, il colore del cielo e della vita dello spirito corrisponde al mondo del pensiero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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