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Autore: Leti23    02/05/2016    0 recensioni
"Per ogni persona c'è sempre qualcuno destinato a rendere migliore la propria vita, o peggiore, dipende dai casi. In altri, un po' più rari ma meno di quanto si pensi, ciò che la migliora l'ha portata prima a peggiorare. Justin sapeva di pericolo, di corse contro il vento, di parole mai dette ed abbracci mai dati. Ricordava l'inverno, gli alberi secchi ed il freddo, dietro ai quali però c'era dell'affascinante, una sensazione che ti portava a volerne sempre di più. Lui mi aveva portata alle stelle per poi lasciarmi cadere."
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio, Selena Gomez, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3 La settimana seguente iniziò in un modo fin troppo insolito, decisamente fuori dalla monotonia di ogni Lunedì. Ashley, quella mattina non si fece sentire, mi alzai da sola, feci colazione in pace e prima di andarsene non fece alcuna delle sue solite raccomandazioni idiote. La cosa continuò a scuola, sin dall' entrata. Tessa mi salutò con dei baci sulla guancia, cosa che non faceva mai poiché lo reputava un gesto troppo formale e di vanità, Vanessa non fece nessun commento sarcastico né tanto meno rispose ad alcuna provocazione fatta da altri studenti. Sembravo essere entrata in un'altra dimensione, anche Logan quella mattina non era sé stesso, triste e cupo, più pallido del solito e con lo sguardo fisso su dei punti indefiniti e senza senso. Persino in quel momento di ricreazione se ne stava in piedi, le mani nelle tasche dei Jeans chiari scoloriti, il vento che gli scompigliava i capelli e gli scostava la camicia nera, cosa che generalmente lo irritava "perché gli rovinava la piega", ma rimaneva comunque fermo ed impassibile, come una mummia, senza espressione. «Hai deciso di diventare un ragazzo tumblr?» chiesi ridendo tirandogli un piccolo pugno sul petto. Sollevò di poco lo sguardo, mostrandomi gli occhi azzurri per pochi istanti prima di tornare a contemplare il pavimento mormorando un grottesco «mh» «Hai intenzione di iniziare a dire cose come 'ho il mare dentro' o roba del genere? Perché nel caso posso far finta di ascoltare.» ridacchiai sperando in una qualche reazione, che puntualmente non arrivò. «Scusa devo andare.» mi lasciò sola sparendo tra le mura della scuola. Sconsolata appoggiai il viso sul palmo della mano osservando attentamente la lavagna, fingendo di seguire la lezione. Le parole rimbombavano nella mia mente senza entrarci, troppo assorta e deconcentrata per pensare a quello che le persone volevano insegnarmi. Lentamente, cullata da quel mormorio di sottofondo mi addormentai finendo con la testa affondata tra le braccia. Il bosco era così immenso; l'erba alta e mal tagliata mi sfiorava le caviglie coperte dalla stoffa dei jeans neri. Avevo caldo, tanto caldo, sembravano esserci cinquanta gradi ma il sole era andato via da molto lasciando spazio ad un cielo talmente scuro da parere nero, ornato solo dalla luce di poche stelle e qualche lampione vecchio messo tra gli alberi. Anch'essi non mi erano mai sembrati spaventosi, ma in quel momento, quando le ombre si incrociavano creando figure orrende sentii un brivido attraversarmi la schiena. Il rosso sui ciuffi verdi non aiutava a rendere meno suggestivo quel posto. Ero sorpresa, il sangue mi rendeva nervosa, più volte ero quasi svenuta guardandolo, ma non stava facendo alcun effetto, vedevo quelle gocce ma per me era come se fossi abituata. Notai poco dopo di stringere qualcosa tra le mani, una pistola in vernice nera, il mio dito ancora sul grilletto, il corpo di una persona indistinta giaceva per terra, gli occhi chiusi ed il respiro assente. Anche le mie mani erano ricoperte di rosso, scivolava lentamente fino a raggiungere il suolo. Mi venne subito in mente il disegno di Justin , quello della ragazza. Avevo paura, quella notte stavo tremando, probabilmente invasa anche dai sensi di colpa. Ma c'era una presenza, costantemente accanto a me; anche lui sembrava avere paura ma non lasciava mai il mio fianco. Gli presi la mano osservando quella città che avevamo fatto diventare fantasma, i corpi senza vita, i fuochi tutto intorno a noi, due sole anime che insieme splendevano più di tutto il casino che avevamo creato. Mi girai verso di lui, i suoi occhi così intensi brillavano accanto al fuoco mentre ci sostenevamo a vicenda. Sembravamo il re e la regina di quel luogo distrutto, e mi sarebbe piaciuto. «Hai paura?» domandò premurosamente accarezzandomi il dorso della mano. «Sì.» mormorai rapita da quello spettacolo, così inquietante ma stupendo. «Fai bene ad averne. Puoi ancora scappare, finché sei in tempo.» «Gomez! Si svegli!» aprii gli occhi trovandomi di nuovo in classe, i muscoli intorpiditi e la vista sfocata, che però mi permise lo stesso di vedere la professoressa fissarmi infuriata. «La mia lezione non è fatta per dormire, se non è di suo gradimento poteva semplicemente non presentarsi.» passai una mano sulla guancia cercando di svegliarmi del tutto, l'orologio sul muro segnava le undici e quaranta, avevo dormito parecchio. «Mi scusi.» lei si staccò dal mio banco con sufficienza, lo sguardo carico di rimprovero. «Se la sera non bighellonassi in giro con i tuoi amici drogati e dormissi, non sentiresti il bisogno di farlo durante le mie ore!» la guardai scandalizzata alzandomi, totalmente incazzata, le mie dita stringevano fortemente i bordi. Nessuno poteva permettersi di insultare i miei amici, nemmeno un professore, soprattutto se non sapeva nulla su di noi. «Non si permetta. Una laurea non le dà il diritto di dire cose non vere! Non sa nulla di noi, e solo perché non passiamo la vita a studiare le sue inutilissime materie non vuol dire che siamo drogati, alcolizzati o vandali. Non è nessuno per dire queste cose, potrebbe essere denunciata per frode lo sa? E mi creda, se dice ancora qualcosa del genere sui miei amici o me, i cinque da mettere sui nostri compiti non saranno il suo problema maggiore.» sbattei la porta lasciandomi dietro gli sguardi abiliti di tutta la classe. Poche cose mi irritavano davvero, ma quando toccavano i miei amici per degli stupidi pregiudizi non riuscivo a trattenermi. Mi appoggiai al muro lasciandomi scivolare sul pavimento, dalla tasca della felpa tirai fuori una sigaretta che accesi, ignorando prontamente il cartello sulla mia testa che diceva 'non fumare'. Aspirai e ributtai fuori la nicotina tirando indietro la testa, lasciando che i capelli mi sfiorassero la schiena. Il rossetto rosso lasciò delle macchie sulla sigaretta che continuava a fare avanti ed indietro tra le mie labbra. «Selena?» domandò una voce calda davanti a me. Sollevai lo sguardo puntandolo sul ragazzo che mi fece nascere un sorriso spontaneo. Justin stava in piedi poco lontano da me, dei jeans neri fasciavano le sue gambe magre, una t-shirt bianca e sottile lasciava intravedere i muscoli del torace. «Passeggiata oppure sbattuto fuori?» si sedette acanto a me rubandomi la sigaretta dalle dita, portandosela alle labbra. Ammirai come la sua mascella si induriva mentre aspirava, come le labbra piene si chiudessero, separandosi solo per rimandare fuori il fumo. Era una visione davvero sexy. «Passeggiata, ma sto volentieri a farti compagnia.» mi ripassò la sigaretta che finii per poi spegnarla e gettarla nella pattumiera. «Potremmo uscire, manca un ora alla fine delle lezioni, dubito che si accorgeranno della nostra assenza.» mi alzai ripulendo i pantaloncini e porgendogli la mano. Era quasi ridicolo che la mia paura più grande in quel momento fosse che mi si strappasse la calzamaglia e non che ci scoprissero. «Mi piace molto come idea.» afferrò la mia mano e lo feci alzare portandolo fino al fondo, verso l'uscita dove si trovava il mio armadietto. Velocemente lo aprii e tirai fuori la giacca di pelle, infilandomela. «Carina la giacca, ti fa molto ribelle.» ridacchiai al suo complimento trascinandolo fuori. La suola dei miei stivali neri faceva sembrare ogni mio passo più pesante, era un rumore leggermente imbarazzante, ma lui non sembrava farci caso. Staccai la mano dalla sua e lo portai con me per la vecchia strada. L'avevamo scoperta io e Tess il primo anno, portava ad un grande palazzo in costruzione, la quale non sarebbe mai finita poiché il nostro paese non aveva abbastanza fondi per terminarla. Arrivammo finalmente in quel posto, era esattamente come l'ultima volta in cui ero andata, le travi ed i pali giacevano ancora per terra, alcuni sui piani lasciati lì a marcire. Appoggiai il primo piede salendo, mano a mano mi arrampicavo sulla struttura, troppo velocemente per accorgermi che Justin era ancora fermo al fondo. «Che fai, non sali?» chiesi ironicamente guardandolo dall'alto con un sorriso di sfida che subito ricambiò. Mi seguii fino in cima, di tanto in tanto mi giravo per assicurarmi che non fosse caduto, una morte sulla coscienza era l'ultima cosa che volevo. Finalmente raggiungemmo il punto più alto, poteva essere paragonato ad un terrazzo, mi sarebbe piaciuto dire che fosse il nostro posto segreto, ma in tanti ci venivano, chi per drogarsi e chi per appartarsi. Mi avvicinai al muretto più basso appoggiandomi con le mani ed ammirando il panorama. Da lì si vedeva la città di New york, a pochi chilometri ma in realtà così distante. I palazzi erano talmente alti e belli da essere il centro del panorama, il punto su cui tutti si focalizzavano. La prima volta che vidi quel posto fu all'età di quattordici anni, pensavo di aver scoperto un portale magico, mi aveva incuriosita al punto da volerne assolutamente conoscere ogni particolare. Ero rivenuta poi molte altre volte, all'inizio con la macchina fotografica, poi con una mappa e infine con carta e matita. Non ero un artista, non disegnavo bene, ma ci provavo. «Guarda, tra tutti questi palazzi la cosa che più mi è sempre piaciuta è Central Park. Mi piaceva perché per scorgerlo tra tutta quell'immensa grandezza ci va buon occhio e molta attenzione, una volta ho addirittura portato un telescopio per vedere cosa succedeva nella grande mela.» «Sembra davvero bello, ma io non lo vedo. Ci sono solo grossi palazzi, strade e macchine.» ridacchiai e delicatamente portai due dita sul suo mento girandolo leggermente, indicandogli il punto in cui doveva guardare. «Perché venivi qui?» chiese curiosamente sedendosi. «Per scappare da mia sorella in genere. I miei genitori se ne sono andati parecchio tempo fa e vivo con i miei fratelli. Solo che noi due siamo veramente diverse, lei composta e rigida, io invece voglio solo perdere il controllo. Insomma, i due estremi, quindi è complicato convivere pacificamente.» arricciai il naso quando il mio telefono prese a squillare segnando il nome di Ashley. «Si parla del diavolo...» mormorai attaccando. «Se il capo chiama e meglio andare.» scherzò iniziando a scendere, questa volta lo seguii io, dandogli soltanto le indicazioni su quando girare. Davanti a casa mia ci fermammo, il sole era alto e splendeva dietro di lui. I suoi capelli parevano più chiari, allo stesso modo i suoi occhi. La strada era deserta, solo il fruscio del vento. «Mi sono divertito con te, è stata la migliore uscita della storia.» risi quando lui si passò una mano tra i capelli. Mi incamminai verso la porta, infilai la chiave per poi girarla, preparandomi mentalmente alla sfuriata di mia sorella, caso mai la scuola si fosse accorta della mia assenza e l'avesse avvertita. Prima di entrare mi girai un ultima volta verso di lui, ancora fermo con le mani in tasca, e sorrisi. «Questo non era un appuntamento, Bieber.»
   
 
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