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Autore: martaparrilla    03/05/2016    10 recensioni
Henry ha 8 anni e non parla più da diciotto mesi. Sua madre, Regina, è convinta che quella sia la giusta condanna per non essere riuscita a proteggerlo dal dolore per la perdita del padre. Un giorno, le loro vite incrociano quelle di Emma che, cauta e silenziosa, riuscirà a conquistare la fiducia del piccolo Henry.
E forse, anche quella di sua madre.
Basterà questo a farlo parlare di nuovo? Henry odia davvero sua madre come essa afferma?
Anche stavolta ho dovuto alternare il punto di vista dell'una e dell'altra, è una cosa che non riesco a evitare per riuscire a spiegare al meglio le decisioni prese da entrambe e come queste influenzino positivamente la crescita del rapporto dei tre protagonisti.
La storia è puramente frutto della mia fantasia, nonostante si tocchino argomenti che troppo spesso le donne sono costrette ad affrontare da sole e in silenzio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Seduta sul mio divano, rigiro tra le mani il diario che Henry mi ha consegnato solo un'ora prima. Lo sfioro.È di pelle nera, con delle cuciture grossolane a vista e una fibbia al centro a sigillare il tutto.

Inspiro profondamente e lo annuso. Ha l'odore di Regina.

Sfilo la stringa di pelle e apro il diario. Ho una brutta sensazione addosso, non so se sia giusto fare quello che sto per fare anche se non ho la minima idea di quel che ci sia dentro.

Spiegazzato, tra la copertina e la prima pagina, c'è un foglio a quadretti con su scritto “Per Emma”: è decisamente la calligrafia di Henry. Dispiego quel foglio e inizio a leggere.

 

Qualche giorno dopo la morte di mio padre mi sono ritrovato nella loro camera da letto... volevo un maglione di papà... per sentirne l'odore. E nei cassetti ho trovato questo. Ho iniziato a leggerlo. Leggilo anche tu. Voglio che mi aiuti...

 

Lui ha iniziato a leggere questo diario quando aveva appena 6 anni. Era un neonato praticamente.

Incuriosita, sposto la pagina bianca che custodisce un segreto che ha schiacciato Henry per due anni. Lo ha tenuto nascosto, dentro di sé, ponendo di fronte a lui un enorme scudo su cui faceva rimbalzare tutto. All'apparenza era diventato un bambino apatico, asociale, indifferente a qualsiasi rapporto e contatto umano. La realtà è ben diversa.

Inizio a leggere.

 

11 settembre 2012

Sono mesi ormai che mi chiedo dove sia mio marito quando non torna a casa per cena senza avvisare. Mesi che faccio domande e ottengo solo urla. Mesi di litigi, mesi di minacce. Sì, non riesco a dirlo a voce alta... a dire il vero non saprei nemmeno a chi dirlo. A chi far vedere i lividi sulle gambe, sulle braccia, sulla schiena. Sta ben lontano dal mio viso perchè sa che tutti se ne accorgerebbero.

 

Chiudo di botto il diario.

No. Non è possibile anche questo. Dentro di me inizia a crescere una rabbia incontrollabile. Quel verme schifoso... quel traditore bastardo le metteva le mani addosso. Oh, se fosse ancora vivo lo ucciderei con le mie stesse mani.

Tento di calmare il mio animo facendo dei profondi respiri. Ma l'unica cosa che ottengo sono delle lacrime che escono dai miei occhi.

Riprendo a leggere.

 

Ieri mi ha detto che stava con me solo per Henry, e che non ero degna di essere la madre di suo figlio.

Mi chiedo come sopporto ancora questa bestia in casa mia. Mia madre probabilmente darebbe la colpa a me... e io, in questo momento, non ho le forze per combattere anche contro di lei.

 

Sfoglio compulsivamente ancora e ancora quelle pagine intrise di dolore, di lacrime, di vita. Leggendo avidamente tutto quello che quella donna aveva dovuto subire negli anni. Ora capisco anche la sua immensa paura a stringere qualunque tipo di rapporto con ogni essere umano che incontra.

 

28 settembre 2012

Ho avuto il dubbio per tutto il mese. Ma dopo 23 giorni di ritardo ho dovuto farlo. È positivo.

Sono incinta. Ed è talmente assurdo che non so se ridere o piangere. So solo che non voglio che questo bambino cresca con quest'uomo accanto.

 

Dove è andato a finire questo bambino?

 

10 ottobre 2012

Ieri notte Henry era a dormire da mia madre e ho detto a Robin che ero incinta.

Mi ha sbattuta al muro. Sono caduta e mi ha dato due calci al basso ventre. Poi è uscito.

È tornato solo stamattina con Henry....doveva andare lui a prenderlo.

 

Che grandissimo figlio di puttana. Più leggo più mi chiedo come abbia fatto Regina a innamorarsi di un essere tanto viscido.

Poi, una decina di pagine dopo, trovo un foglio sgualcito, con la pagina ondulata come se fosse stata bagnata e asciugata.

Aveva pianto quando ha scritto quelle parole.

 

15 ottobre 2012.

Sono andata a fare il raschiamento questa mattina. Ho perso il mio bambino e non l'ho detto a nessuno.

 

Inizio a piangere e chiudo il diario. Credo di aver letto abbastanza. Non è necessario andare oltre. Il resto lo conosco.

La cattiveria umana può arrivare a questi limiti? Ammazzare di botte tua moglie che aspetta un figlio da te? Farla sentire l'essere più spregevole della terra? Si sono sposati! Si sono promessi amore e rispetto per sempre! Perché certi uomini devono respirare come tutti noi?

Il petto mi fa male. E più mi rendo conto del dolore di Regina, più faccio fatica a capire come possa Henry, una volta lette certe cose, essere sopravvissuto a una tale scoperta. Ora capisco perché aveva allontanato sua madre. Lei aveva ferite troppo profonde per gli occhi di un bambino, ferite che Henry non avrebbe saputo come risanare. E le ferite di Henry... bè, probabilmente lui vedeva le sue come qualcosa di assolutamente irrisorio rispetto a quelle della madre.

Ecco perché non riesce a sopportare nemmeno il suo sguardo.

Avrei restituito il diario a Henry l'indomani.

 

QUATTRO MESI DOPO.

Io e Henry passiamo tutte le giornate insieme. L'unico problema veramente grosso è sostenere Regina quando anche lei è in casa. Sento sempre il suo sguardo su di me quando condividiamo la stessa stanza.

Voglio tornare da lei e abbracciarla forte ma allo stesso tempo sento che ora devo concentrarmi su Henry, che ha custodito con sé, elaborandolo a modo suo, uno degli avvenimenti più dolorosi per la vita di una persona.

È il giorno prima della partenza per il campo estivo e io e Henry siamo al parco, lui intento a giocare con Shila, io a leggere il mio libro. Avevamo già discusso molte volte del contenuto di quel diario, spulciando ogni paura più nascosta dentro di lui e, giorno dopo giorno, si convinceva sempre di più che ben presto le avrebbe parlato. Così come si era convinto che non era stata colpa sua e che la sua reazione, benché esagerata per quello che aveva letto, era assolutamente normale. La sua paura più grande era di essere considerato un malato, uno di quei pazzi da cui stare alla larga. Il suo rapporto con Neal era cresciuto ed erano diventati amici. Si sporcavano in continuazione e aveva perso l'abitudine di lavarsi le mani compulsivamente. Parlava tantissimo con tutti. Tranne con sua madre.

Sudato e assetato, si siede accanto a me.

«Stanco, ragazzino?» gli passo la sua bottiglietta d'acqua. Beve tre o quattro sorsi.

«Molto... mi piacerebbe avere un cane» mi dice improvvisamente girandosi verso di me. Chiudo il libro e lo poso sulle mie gambe. Non ha mai espresso nessun desiderio con me.

«Bè, quando riuscirai a parlare con tua madre potresti chiederglielo, sono sicura che non avrà nulla in contrario» gli sorrido e lui diventa serio.

«Che c'è? Qualcosa ti preoccupa?» prendo una salviettina umida e mi avvicino a lui, così da asciugargli il viso dal sudore e rinfrescarlo un po'.

«Perché non parli più con la mamma? Prima parlavate, ora a mala pena vi salutate. Quando parlavi con lei a volte sorrideva. E io mi sentivo meno in colpa. Ora invece la sento piangere dalla sua camera...» arriccia il naso quando termina il suo discorso.

Difficile rispondere a questa domanda. Ma forse devo essere sincera con lui, è l'unico modo per far sì che non perda fiducia in me.

«Ricordi quando ti ho detto che avevo una fidanzata?» lui annuisce serio e attento.

«Bè ecco... diciamo che un giorno tra me e tua madre è successo qualcosa».

«Lo sapevo che ti piaceva mia madre, la guardavi con gli occhi che brillavano».

Aggrotto la fronte fingendomi stupita.

«Si notava davvero così tanto?» chiedo poggiando la testa sulla sua spalla, fingendomi disperata. A lui queste scenette divertono sempre tanto e infatti scoppia a ridere.

«Bè, comunque io sapevo che non mi avrebbe mai guardata in quel modo quindi io pensavo a te. Volevo solo che stesse meglio... ma lei ha fatto un passo verso di me per poi farne cento indietro».

«Vi siete baciate?» chiede curiosissimo e col sorriso a seimila denti.

«Tu cosa pensi che sia successo?» voglio metterlo alla prova.

«Non so... quando c'eri rideva di nuovo e ora non ride più. Quindi credo che tu le manchi molto. E credo che abbia molta paura di te» dice serio.

«Di me?».

«Sì, anche io avevo paura di te... perché sapevo che mi facevi stare bene. Una volta il mio psicologo ha detto che quando ci capitano cose brutte tendiamo ad allontanare le cose belle perché immaginiamo già le cose brutte».

Continuo a ripetere nella mia testa che ha solo 8 anni. Sono io che ho paura di lui.

«Però possiamo fare una cosa... quando torno dal campo estivo possiamo parlare tutti insieme, così tornerà finalmente a sorridere, va bene?»

Per la prima volta sento uscire dalla sua bocca, di sua spontanea volontà, il desiderio di parlare con sua madre, solo per vederla sorridere di nuovo.

«Va bene ragazzino» sorrido orgogliosa e gli scompiglio i capelli.

«Ora però incamminiamoci verso le case di queste belve o faremo tardissimo!»

«Agli ordini» esclama lui felice.

 

DUE SETTIMANE DOPO.

«Sei mai entrato qui dentro?».

Alzo lo sguardo dentro l'enorme sala d'aspetto del pronto soccorso. Henry si nasconde dietro di me quando di fronte a noi sfreccia una barella pilotata da tre persone. Sì, vista la velocità a cui vanno direi che pilotata è la parola giusta.

«Sono entrato alcune volte ma non mi ricordo molto».

«Ok, stai qui e vado a chiedere al banco dell'accettazione se hanno visto tua madre».

Visibilmente agitato, mi guarda con una smorfia.

«Andrà tutto fantasticamente, vedrai!» poco convinto si siede dove gli ho indicato.

Dopo tre tentativi finalmente qualcuno riesce a indicarmi la stanza dove si trova Regina. Vado subito a controllare la veridicità dell'informazione e sbircio dal vetro principale, che oscura a metà la stanza.

La prima cosa che mi balza agli occhi è lo sguardo terrorizzato di Regina. La seconda è un oggetto metallico tenuto in mano da una donna. Oggetto puntato pericolosamente contro Regina.

È una pistola.

Paura: emozione dominata dall'istinto che ha come obiettivo la sopravvivenza del soggetto o di un soggetto a cui teniamo che irrompe ogni qualvolta si presenti un possibile cimento per la propria incolumità e, di solito, è accompagnata da un'accelerazione del battito cardiaco e delle principali funzioni psicologiche difensive. A questo si aggiunge calo della temperatura corporea, sudorazione e aumento dell'ansia.

Ho tutte queste cose insieme.

Regina è in ostaggio di qualcuno che le punta una pistola addosso e l'idea che qualcuno possa farle del male mi porta a compiere il gesto più idiota della storia dei gesti idioti: entrare là dentro senza avvertire nessuno.

La porta è già chiusa alle mie spalle. Il sollievo di Regina nel vedermi scompare in un istante, nel momento in cui capisce che anche io ora sono intrappolata da quella donna che, come isterica, mi intima di spostarmi dalla porta. Obbedisco senza indugio e mi fiondo verso Regina che indossa la sua divisa blu elettrico: l'ho vista solo una volta con gli abiti da lavoro e avevo dimenticato quanto fosse bella anche così.

Cerco di rassicurarla con lo sguardo ma la verità è che muoio di paura. Letteralmente. E spero tanto che Henry non mi raggiunga per nessuna ragione al mondo. Mettere in pericolo quel bambino è qualcosa che non mi sarei mai perdonata.

«Tutto bene?» sussurro a Regina sfiorandole il braccio.

Lei annuisce e la mia mano scivola sulla sua, che prontamente stringe.

Poi mi volto.

Fisso quella donna alla ricerca di particolari che avrebbero potuto aiutarmi. Sembra disperata e non controlla in nessun modo la situazione. Non sembra avere preparato tutto questo per cui è consapevole che la sua folle idea potrebbe concludersi da un momento all'altro. Ma io fisso insistentemente il foro della pistola che teneva in mano e che punta, tremando, contro di noi.

«Lo sa, vero, che tutti sanno che lei è qui dentro e tiene in ostaggio la dottoressa? E che appena lei muoverà solo un passo le spareranno e non potrà farla franca?».

Nemmeno mi accorgo di avere mantenuto un tono freddo, calmo e distaccato, come se stessi andando a comprare il giornale in edicola.

«Ma lei chi diavolo è? Che cosa vuole? Stavamo discutendo di cose importanti qui» risponde con tono alto. Regina trema e la sua mano inizia a sudare. Mi avvicino di più a lei.

«Sono un'amica della dottoressa e di suo figlio. E lei invece, chi sarebbe?» ora sì che il cuore galoppa nel mio petto.

«Mi chiamo Marian, sarei stata la moglie di Robin se solo lui non fosse morto».

Robin. Ma Robin il bastardo di Regina? Quello che le ha fatto perdere il bambino a suon di botte? È lei l'amante che Regina tanto odia? Cara Marian, credo che la morte di quell'uomo sia stata la tua salvezza.

Ma non posso dire tutte queste cose, Regina non deve sapere che io conosco la vera essenza del suo ex marito.

«Marian, quello è stato un incidente, non può incolpare Regina di questo!»

Ogni volta che quella donna dice una frase, Regina sussulta. E io con lei.

«Lei lo ha costretto ad andarsene! Se non l'avesse buttato fuori di casa lui sarebbe ancora vivo!»

Questa sì che sarebbe stata una disgrazia, mi scopro a pensare.

«Può darsi, ma faccia una cosa, si metta al posto di Regina, invertiamo i ruoli. Suo marito ha un'amante e lei lo scopre. Davvero avrebbe reagito in modo diverso da quello di Regina? O avrebbe tentato di capire il motivo con calma di fronte a una tazza di the, magari. Avanti, siamo realisti. Regina ha reagito come il cento per cento delle donne avrebbe fatto!»

«Lui doveva sposarmi, aspettavo un bambino! E l'ho perso per colpa sua!»

Già, anche Regina ha perso un bambino per colpa sua. E ha perso anche Henry, in un certo senso.

Stringo la mano di Regina fino a farmi male. Col pollice compio piccole carezze sul dorso della sua mano ed è sulle nostre mani che d'un tratto si concentra lo sguardo di Marian.

Un sorriso beffardo precede la sua frase.

«Lei ti ama, non è vero?» strabuzzo gli occhi verso Regina, che mi guarda più confusa di me mentre quella donna continua a infierire su noi.

«Oh, non fate finta di niente. Ti fa scudo col suo corpo, ha le dita intrecciate con le tue! Cosa pensi che sia questo se non amore?» ride. E per la prima volta la saliva scompare dalla mia bocca.

Abbassa per un attimo la pistola e lo sguardo.

«Nonostante tutto hai trovato qualcuno che ti ami. Non ti meriti niente di tutto ciò, non ti meriti questa fortuna, cara la mia Regina».

Osservo la scena come a rallentatore. Marian solleva di nuovo la pistola verso di noi. Io mi volto verso Regina e con l'aiuto dell'altra, scollo letteralmente le nostre mani.

«No...» riesco a sussurrarlo.

Mi sposto veloce di fronte al corpo di Regina quando due spari rimbombano dentro la stanza, andando a trovare un riparo caldo e sicuro in due punti imprecisati del mio corpo.

Un forte bruciore arriva fino alla mia gola mentre la vista si annebbia e barcollo fino ad accasciarmi.

«Emma!» urla Regina accanto a me, che mi afferra prima che possa sbattere violentemente la testa.

Vorrei parlare ma riesco solo a concentrarmi sul respiro.

Un sapore fortemente metallico arriva alla mia bocca e qualcosa di umido scivola da essa sulla mia guancia. Regina continua a ripetere incessantemente “No, no, no” come fosse impazzita e preme con forza contro il mio addome.

Poi improvvisamente la vista mi si annebbia.

In lontananza continuo a sentire la voce di Regina che ripete il mio nome, ma non vedo il suo viso e questo non mi permette di concentrarmi sulle parole da usare. Cerco di parlare ma le mie orecchie non odono alcun suono, per cui deduco che la mia voce non c'è.

È un lavoro faticoso per me solo l'idea di poter parlare. Tossisco.

«Reg... gina» un sibilo. Non è la mia voce quella.

«Sì, Emma, sono qui, stai con me, ok? Stai con me, non dormire, andrà tutto bene» finalmente la sento perfettamente dopo che si era sporta per guardarmi negli occhi.

Non riesco più a sentire le gambe e le braccia si sono fatte estremamente pesanti. Con una fatica immane, sollevo il braccio sinistro verso di lei, verso il suo viso. Sollevo e abbasso le palpebre, cercando così di mettere a fuoco qualcosa di diverso dal soffitto di quella stanza. Vedo le sue labbra. Vedo i suoi occhi.

«Regi..na» mugugno «devo dirti una cosa».

Sto morendo? Non lo so. Cosa si dice alla persona che ami prima di morire?

Ho sempre letto e sentito che prima di morire ci passa tutta la vita di fronte agli occhi.

Penso a mia madre, a mio padre e a Neal, che si preoccuperanno. Penso a Ruby, che odierà Regina per tutto questo. Penso ad Elisabeth a cui avrei dovuto ripetere un'ultima volta scusa per averle spezzato il cuore. Tutti questi pensieri arrivano come un lampo. Ma di fronte agli occhi ora ho La Mia Vita. E glielo devo dire. A costo di sprecare tutto il fiato restante nei miei polmoni.

«Henry ti vuol... e bene... Regina» riprendo fiato. Ogni parola è una tortura. Il dolore all'addome aumenta e Regina che preme non fa altro che fare aumentare questo dolore.

«Shhhh, non parlare Emma, non parlare» sta piangendo. I suoi occhi rossi e umidi, ogni tanto li asciuga sulla divisa, continuando a ripetere che andrà tutto bene.

«No Reg... ina... ascolta» raccolgo le ultime forze che sento venir meno «non rimproverarlo per» mi volto un istante a sputare quello che mi impedisce di respirare. Ho capito essere sangue ma non posso pensarci ora.

«...quello che ha fatto. Lui... aveva paura» aggiungo «e ho letto anche io... quelle cose».

Di nuovo la vista annebbiata.

«Emma stai con me. Emma parlami» mi schiaffeggia. E per un attimo la rimetto a fuoco. Continua a piangere e mi chiedo dove sia finita Marian.

Poi sento un altro sparo.

Regina si butta sul mio corpo, come per proteggermi. Trema e trattiene il respiro. Poi sento un gran baccano nella stanza.

Mi volto.

Una figura è accasciata in lontananza. Finalmente si sono accorti di questo gran casino.

«Emma, andrà tutto bene, ci sono io con te, ok? Ora ti porto in sala operatoria e risolveremo tutto» si sposta da me di scatto.

«Portate il carrello delle emergenze» urla verso la porta.

Non ho più le forze per tenere la sua attenzione su di me. Il braccio crolla sul suo, sbattendo a terra.

Non sento più dolore.

Inizio ad avere paura e non sono riuscita a dirle nulla. Non sono riuscita a spiegarle nulla. Non sono riuscita a dirle di Henry, del diario.

Prendo un respiro profondo. Alzo entrambe le mani e trovo il viso di Regina che finalmente sembra degnarmi di attenzione.

«Dimmi Emma, dimmi. Sono qui, andrà tutto bene, non avere paura».

I suoi occhi neri piangono su di me. Con un pezzo di stoffa mi pulisce la bocca dal sangue, forse per permettermi di parlare meglio.

«Bacia...mi, per fav...o...re Reg...ina».

Mi sorride. Poi posa le labbra umide di lacrime sulle mie. Si stacca da me e mi guarda negli occhi.

«Promettimi che questo non sarà l'ultimo Emma. Per favore. Stai con me, non lasciarmi anche tu».

Le sue labbra mi hanno dato un'ulteriore spinta a resistere, prima di pronunciare le ultime parole.

«Henry è fuori...e io» tossisco violentemente e sputo qualcosa sul pavimento. Cerco di mantenermi calma per terminare la frase. Sento la sua mano sulla guancia pulire via ciò con cui mi sono sporcata.

«Ti amo...» dico tutto d'un fiato.

Non ho più le forze per tenere gli occhi aperti. Li chiudo subito dopo, dopo aver scorto sui suoi un lampo di emozione. Un fuoco, una luce, accompagnata da un lieve sorriso.

Attorno a me il buio. La voce di Regina è sempre più lontana e altre mani si concentrano sulle mie braccia. Regina non mi tocca più.

Il calore che mi teneva lì con loro ha interrotto il contatto con la mia pelle e senza quello non ho più motivo per rimanere sveglia. Ho così tanto sonno, sono così stanca. Il mio corpo viene strattonato da più parti e non sento più il freddo marmo sotto di me. Forse sono in un lettino, o forse sono già morta.

Vorrei che Henry non mi vedesse, potrebbe spaventarsi e ha fatto così tanta strada in questi mesi, sia con se stesso che con sua madre. Sapevo che questo giorno sarebbe stato decisivo per l'evoluzione del loro rapporto e una donna ferita ha deciso di rovinargli tutto. E di rovinare le cose anche a me.

E a Regina.

A tutti.

E tutto questo per uno stupido e insulso uomo che ha tradito due donne e un bambino.

Regina avrebbe insegnato a Henry a essere rispettoso nei confronti delle donne che avrebbe amato. O degli uomini che avrebbe amato. Insomma, degli esseri umani in generale.

Non sento più alcuna voce e nessun dolore. Il buio si rischiara, e un calore pervade il mio corpo.

Sento che è arrivato il momento di dormire. Di riposare.

Regina sapeva tutto e mia madre avrebbe capito.

Finalmente mi sento a posto con la coscienza.

Poi... il nulla mi avvolge.

  
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