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Autore: Pinta    03/05/2016    3 recensioni
E poi Emma si era ritrovata sola, di nuovo, come sempre.
Abbandonata dall’uomo che amava –e che credeva l’amasse- davanti a due linee rosa di un test di gravidanza da dieci dollari[...]
[...]Non c’era giorno –o notte- in cui l’incubo di quella serata non tormentasse Killian, a nulla erano servite le sedute dallo psicologo, avrebbe sempre portato con sé il peso dell’essere sopravvissuto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Nobody said it was easy,
oh it's such a shame for us to part

nobody said it was easy,
no one ever said it would be so hard"



Emma Swan aveva capito troppo presto che, nella vita, devi imparare a cavartela da sola, perché non puoi contare su niente e, soprattutto, su nessuno. Se ne era resa conto a poche ore dalla sua nascita, quando i suoi genitori l’avevano abbandonata senza pietà sul ciglio della strada, in una sera di ottobre in cui si gelava, senza nemmeno prendersi la briga di lasciarla in un istituto, di gran lunga più caldo e sicuro della Route 93.
Era cresciuta passando di casa-famiglia in casa-famiglia, ma nessuno di quei posti aveva mai avuto il sapore di casa né, tantomeno, di famiglia.
Era stata costretta ad arrangiarsi e, crescendo, aveva preferito vivere di espedienti: furti più o meno grandi, fughe qua e là, mai un lavoro. Perché a diciotto anni guadagnare soldi facili è decisamente più allettate dell’andare a scuola ogni mattina, con vestiti di seconda mano, i libri in comodato d’uso e l’etichetta di orfana perennemente cucita addosso.
Era durante un furto che aveva conosciuto Neal, di poco più grande di lei, senza una lira come lei e, soprattutto, solo al mondo, esattamente come lei. Si era innamorata di lui, dei suoi modi di fare, delle sue promesse. Si era illusa. Per la prima volta nella sua vita Emma Swan aveva deciso di fidarsi di qualcuno, aveva creduto a tutto: alle belle parole, al viaggio a Tallahassee, al cambiare vita insieme.
E poi si era ritrovata sola, di nuovo, come sempre.
Abbandonata dall’uomo che amava –e che credeva l’amasse- davanti a due linee rosa di un test di gravidanza da dieci dollari.
Suo figlio Henry era nato il giorno di ferragosto nell’infermeria di un carcere femminile del Massachussets, mentre fuori le strade pullulavano di turisti e la giornata era una delle più afose di sempre. Lei era una ladra, suo figlio sarebbe sempre stato il figlio di una ladra. Eppure, quando le avevano messo tra le braccia quel bambino, chiedendole quale fosse la sua decisione definitiva –tenerlo o darlo in adozione- lei aveva ripensato alla sua infanzia, al fatto che avrebbe preferito una madre giovane e scapestrata come lei, piuttosto che l’essere abbandonata e aveva deciso di tenere con sé quella creaturina che lo fissava con occhi curiosi.
Quel giorno Emma Swan aveva realizzato che non sarebbe più stata sola, da quel momento avrebbe avuto un bambino di cui prendersi cura e promise che, non appena fosse uscita dal carcere, avrebbe cambiato vita. E tenne fede a quella promessa. Quando tre mesi dopo venne rilasciata aveva con sé un neonato, pochi spiccioli e il suo maggiolino giallo: la sola cosa che Neal le avesse lasciato. Oltre a metà del corredo genetico di Henry, ovviamente. Grazie ad alcuni sussidi statali era riuscita ad affittare un monolocale in periferia, si era iscritta ai corsi serali e aveva trovato lavoro presso una tavola calda, dove l’ormai anziana proprietaria si era offerta di tenerle Henry, mentre lei lavorava. Nel giro di pochi anni aveva racimolato abbastanza soldi da potersi permettere un appartamento più grande, in centro. Sul giornale aveva letto di un lavoro come cacciatrice di taglie e aveva subito capito che quella poteva essere la strada giusta per lei.

Casa Swan, Boston, oggi.
Emma's POV


Henry, sbrigati!” Ecco, l’ennesima mattina in cui la maestra mi sgriderà per averlo portato a scuola in ritardo. Come se quella zitella potesse minimamente immaginare cosa voglia dire svegliare un ragazzino di dieci anni e convincerlo a prepararsi.
“Eccomi, mamma, eccomi”
“Ti sei lavato i denti?”
“Ops!”
Ogni giorno la stessa storia, l’igiene dentale sembra essere qualcosa di assolutamente trascurabile. A nulla è servito ripetergli centinaia di volte che i bambini che non si lavano i denti poi si ritrovano pieni di carie e devono andare da un cattivissimo dentista, sembra non esserne turbato affatto.
“Fila a lavarli!”
L’orologio segna le otto esatte. Forse, infrangendo una dozzina di regole del codice stradale, potrei riuscire ad arrivare puntuale almeno a lavoro.

 

 

Killian Jones era nato in una famiglia perfetta. Una di quelle che si vedono solo nelle pubblicità, in cui tutti fanno colazione insieme e si augurano “buona giornata” con un bacio sulla guancia. Padre imprenditore, madre casalinga e un fratello, Liam, di tre anni più grande di lui. Aveva tutto o, almeno, lo aveva avuto. All’età di dodici anni, infatti, l’auto in corsa di un uomo ubriaco era piombato su quella in cui viaggiavano lui e la sua famiglia. In una frazione di secondo aveva perso tutto e si era ritrovato solo al mondo. Non c’era giorno –o notte- in cui l’incubo di quella serata non lo tormentasse, a nulla erano servite le sedute dallo psicologo, avrebbe sempre portato con sé il peso dell’essere sopravvissuto. Se solo si fosse seduto lui sul sedile di destra, invece di Liam, suo fratello non sarebbe morto; se solo non fosse andato in bagno nel ristorante dove avevano cenato, sarebbero ripartiti cinque minuti prima e non avrebbero trovato quel pazzo sulla strada. La sua famiglia era morta e lui se l’era cavata rimettendoci solo una mano –la sinistra- la prova materiale che tutto quello fosse accaduto davvero e non fosse solo un brutto sogno.


Casa Jones, New York City, oggi.
Killian's POV


La sveglia alle otto del mattino dovrebbe essere illegale, l’ho sempre sostenuto. L a spengo con tutto il palmo della mano e mi giro dall’altro lato del letto, senza la minima intenzione di dargliela vita.
“Forse dovresti svegliarti, tesoro”
Cazzo. Mi ero completamente dimenticato della ragazza che avevo invitato a casa mia la notte scorsa. Com’è che si chiamava? Darcy? Darla? Dolly?
“Buongiorno…”
“Daisy, mi chiamo Daisy”
Colgo tutta la sua delusione in quelle parole, ma mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro: se ti va, vieni a casa mi e scopiamo. Sano sesso. Ottimo sesso. Poi tu torni alla tua vita ed io alla mia. Non capisco perché siano tutte uguali, la sera, complice qualche drink, accettano le proposte più indecenti, al mattino si aspettano la colazione a letto e una dichiarazione d’amore.
Ho trent’anni e nessuna intenzione di impegnarmi sul serio. Affezionarsi a qualcuno vorrebbe dire vivere ogni giorno con la paura di perderlo. E non ho alcuna intenzione di sprecare la mia vita così.


Salve a tutti,
è la prima volta che scrivo in questa categoria e spero che in qualche modo la storia possa essere apprezzata. Aspetto commenti sia positivi che negativi, però mi piacerebbe che scriveste la vostra.
Un bacio:)

  
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