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Autore: _Ruggelaria    04/05/2016    2 recensioni
Dal testo:
“D’accordo, allora… ci vediamo più tardi!”. Leon annuì, ancora felice. Ma quel che successe appena un secondo dopo lo fece saltare di gioia che non poté essere di mal umore neanche sapendo che era iniziata l’ora di matematica.
Violetta Castillo si alzò sulle punte, puntando le mani sulle spalle del ragazzo, lasciandogli poi un dolce bacio sulla guancia sinistra. Si dileguò in classe senza degnarlo di uno sguardo, ma con un sorriso imbarazzato e vittorioso sul viso.
Gli angoli della bocca di Camilla Vargas si alzarono leggermente, guardando la ragazza entrare nell’aula. “E’ già caduta in trappola”.
Il gruppo si avviò verso la loro classe, e –Leon non ne era sicuro- ma gli parve di sentir sussurrare Diego qualcosa molto simile a: “Già… e non è la sola”.
Perché non passate a leggere dure righe? Lasciatemi anche qualche consiglio e qualche parere, mi farebbe molto piacere. Vi mando un grande bacio!
_Ruggelaria
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“La Cauviglia cosa?” per la prima volta Camilla Vargas sembrava davvero sorpresa dalle parole del suo amico. Diego le aveva raccontato che qualche sera prima –mentre aspettava Leon- si era seduto al tavolo con Francesca, Maxi e Federico, e che avevano parlato un bel po’. 
“Te l’ho detto… ci ha scoperti.” ripeté lo spagnolo portandosi alla bocca una sigaretta, un’espressione vuota. “Sarebbe meglio che rinunciassimo al piano.”
“Non se ne parla nemmeno!”.
“Io… io sono con Dieg-go.” s’intromise Natalia alzando appena la mano ed abbassando la testa. Il gruppo si voltò verso di lei con un’espressione come a dire ‘non t’intromettere, non sei in condizioni di parlare, tu’.
“Zitta.” ordinò Camilla prima di voltarsi nuovamente verso lo spagnolo e la sua amica bionda che sedeva accanto a lui. “E per quanto riguarda il piano non ho nessuna intenzione di abbandonarlo. Si va avanti.”
“Ma come facciamo senza Leon?”. Camilla alzò leggermente gli angoli della bocca dello stesso colore dei suoi capelli, le lentiggini che la facevano sembrare una dea greca. Ludmilla moriva d’invidia.
“A Leon ci penso io. Lo conosco, e so che riuscirò a convincerlo.”
“Ne dubito.” Diego cacciò il fumo dalla bocca gettando il mozzicone della sigaretta per terra,  per poi calpestarlo con il piede. Le ragazze si accigliarono nel sentir pronunciare quelle parole, mentre dalla bocca della Vargas uscì: “Che intendi?”.
Diego rise appena, le braccia incrociate al petto per il vento che si stava alzando. “Lo sai meglio di me, Camilla.” un attimo di pausa mentre guardò la rossa negli occhi “Leon non accetterà di prendere in giro la Castillo, e sappiamo tutti il perché, non bisogna essere Einstein per capirlo.” e rise nuovamente scuotendo appena la testa.
“Leon deve capire che non può avere sempre tutto quello che vuole.”
“E perché per te non dovrebbe valere lo stesso?” domandò lui giocando con la mascella ed alzando le sopracciglia. “Mi sembra che questa sia il tuo piano contro la Castillo. Pare che noi stiamo facendo tutto questo per te… perché per una volta non lo lasci decidere della sua vita?”.
Ed in quel momento, uno dei rari, forse unici momenti, nei quali Camilla Vargas non sapeva come ribattere. Era vero che lei aveva tutto quello che voleva, tutto quello di cui aveva bisogno… ma era anche vero che Leon aveva deciso di unirsi a quel piano.
“Voglio parlare con Ludmilla. Andatevene.”
Diego sorrise scuotendo la testa, ed alzandosi di scatto dalla panchina sulla quale era seduto. Camilla era furba, ma in quel momento non poteva prender in giro nessuno dei presenti. Perfino lei sapeva che quello che aveva detto lo spagnolo era vero.
Natalia Perez seguì il suo ‘amico’ dentro l’edificio scolastico, dirigendosi nella loro classe dove Leon –in quel momento- era impegnato a disegnare.
“Cosa c’è?” domandò apaticamente Ludmilla Ferro accomodandosi di fronte alla sua amica rossa, la quale aveva la testa bassa, le braccia incrociate sotto al seno e le gambe snelle –che facevano invidia alla maggior parte delle ragazze- accavallate. Ludmilla notò con dispiacere che i jeans che indossava Camilla la facevano apparire ancora più magra di quanto già non lo fosse, il nero cappotto che indossava metteva in risalto il suo ventre piatto ed il seno prosperoso. I capelli erano raccolti in una lunga treccia che le scendeva delicatamente sulla spalla, e il trucco non aveva una sbavatura… perché era così difficile essere come Camilla Vargas?
“Diego si sbaglia.”
“Diego ha ragione, Camilla!”
“No. Leon tornerà a far parte del piano, fidati. Conosco mio fratello, e so come convincerlo.”
Ludmilla rise. “Come ricattarlo, vorrai dire…”
“Leon cederà… lo riavremo fra noi.”
Dei secondi di silenzio assoluto regnarono fra loro, gli sguardi incrociati ed il vento che si alzava ancora. Le prime gocce di pioggia iniziarono ad infrangersi contro la tettoia del cortile della scuola, e gli alberi cominciarono a bagnarsi, come anche il terreno e le strade. Buenos Aires era ricoperta da un denso strato di nubi, che nel pomeriggio –secondo i metereologi- sarebbero dovute scomparire lasciando spazio al primo sole d’Aprile.
“Beh… fare tutto questo solo per evitare che ci stia intorno mi sembra davvero sciocco e poco logico da parte tua.” la stuzzicò la bionda
 “Sai benissimo che non sono quelle le ragioni di questo piano, Ludmilla.” 
La Ferro alzò gli angoli della bocca, gli occhi ridotti a due fessure. Amava quando Camilla cominciava ad alterarsi. “Già. Stai facendo tutto questo perché il tuo caro Federico vive sotto lo stesso tetto di Violetta, e tu hai paura che lui possa venir a conoscenza di qualche tua vecchia cattiveria da Violetta. Il tuo piano contro Violetta è perché molti anni fa i vostri genitori litigarono, e da allora fecero finta di non conoscersi. Ma cosa più importante: perché Leon è innamorato di lei." sussurrò avvicinandosi alla sua amica e facendole venire i brividi.
“Esatto, Lud. Ma Federico non m’interessa più, e questo lo sai. Ho commesso un errore, ma anche i più grandi leader possono sbagliare. Federico Rossi non farà parte della mia vita. E per quanto riguarda Leon, sì, hai ragione anche sotto quest’aspetto. Non voglio una come lei nella mia famiglia, la metterebbe solo in ridicolo ricoprendola di fango. E non voglio infangare in nome dei Vargas.” 
Ludmilla si accese una sigaretta portandola fra le labbra. “Strano. Molto strano. Solitamente se hai un fratello innamorato dovresti esserne solo felice, basta. Ovviamente c’è la gelosia, perché è tuo fratello, ma non puoi non essere contenta per lui.”
“Io non lo sono. E’ Violetta Castillo! Se si fosse trattato di te sarei stata –come dici tu- felice per mio fratello, ma non sei tu… è Violetta Castillo”.


 Violetta Castillo sentiva la testa girare, avvertendo le prime vertigini che la stavano facendo sentir male. Sicuramente la lezione di biologia non era fra le sue preferite, soprattutto se si parlava di rane. 
Roberto Benvenuto, che tutti chiamavano ‘Beto’ –l’insegnante di scienze e matematica-, aveva assegnato loro un lavoro a gruppi, il quale consisteva nell’esaminare un animale a piacere e descriverne tutti i particolari: dal colore all’aspetto, da quello che mangiava a quello che aveva dentro.
Violetta non era molto forte di stomaco, ed infatti non appena Maxi propose al gruppo di lavorare su delle rane, lei si era categoricamente rifiutata; ma la maggioranza vinse e quindi le toccò esaminare l’interno dello stomaco di una rana.
“No, non ce la faccio!” esclamò alzando la mano destra, mentre la sinistra era premuta forte sulla bocca. 
“Si, Castillo?”.
“Posso andare in bagno? Non mi sento bene”. Beto annuì, e Violetta sgusciò destramente fra i banchi dell’aula, uscendo dalla porta e correndo nel bagno delle ragazze.
Venti minuti dopo la campanella della fine della lezione iniziò a squillare, e Violetta si diresse al suo armadietto per poggiare il libro ed il quaderno di biologia, portati a lezione praticamente per bellezza. Aprì l’anta e li ficcò dentro, afferrando l’occorrente per la lezione successiva.
La sua attenzione fu catturata da qualcosa di rettangolare incollato all’anta di ferro. Spostò lo sguardo sulle due ragazze sorridenti ritratte nella foto.
Ricordava perfettamente quel giorno.
Sorrise al ricordo di quando lei e la sua migliore amica, Francesca Cauviglia, avevano scattato quella foto. In realtà era stata scattata dal padre di Francesca, il ventiquattro Ottobre dell’anno passato. Era un giorno che non avrebbe mai dimenticato.
Il loro primo concerto.
Avevano fatto di tutto per trovare i biglietti per l’ultimo concerto a Buenos Aires di Tiziano Ferro. Era tutto esaurito, ma il cugino di Francesca, che lavora come tecnico nell’Arena, gli aveva procurato dei posti dove con una vista pazzesca! 
A quel concerto si erano divertite come pazze, si erano scatenate ed avevano cantato. Nulla le avrebbe mai fatto dimenticare quel giorno.
Chiuse l’anta dell’armadietto, saltando sul posto e portandosi una mano al cuore per lo spavento nel vedere Leon Vargas a pochi centimetri da lei.
“Scusa.” sussurrò flebile il ragazzo dagli occhi verdi; le braccia incrociate al petto e la schiena contro gli armadietti. “Non volevo spaventarti”.
Violetta si portò una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi. Cacciò l’aria dai polmoni per poi fissare lo sguardo negli smeraldi del ragazzo di fronte a lei. “Cosa c’è?”.
“Nulla. Volevo solo assicurarmi che stessi bene.”
Violetta si accigliò “Perché non dovrei stare bene?” e Leon fece spallucce.
“Ti ho vista correre fuori dall’aula, eri pallida.” ed improvvisamente si ricordò che era stata male durante la lezione di biologia. 
“Oh, sì, certo. Le rane non sono il mio forte. Ma sì, sto bene.” 
Leon Vargas serrò le labbra fra loro, annuendo leggermente, lo sguardo a terra. “D’accordo”.
“Grazie… per esserti preoccupato.” e strinse i libri al petto, la zona guance-orecchie che si stava tingendo di rosso. Sorrise leggermente incrociando i piedi, perdendo quasi l’equilibrio.
Chiare, fresche, e dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna; era e fior che la gonna leggiadra ricoverse co’ l’angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole estreme.
Violetta alzò gli angoli della bocca, leggermente in imbarazzo. “Petrarca.” Leon annuì, un lieve sorriso stampato sulle labbra.
“Mi piace quando citi versi lirici.”
“Non è un verso lirico, questo. E’ un esempio di canzone petrarchesca."
Violetta si stupì della conoscenza del ragazzo che aveva di fronte. Alle interrogazione ed ai compiti in classe di poesia, Leon Vargas, non era proprio il primo della classe; ed invece adesso… le citava versi di Petrarca.
“Ne vuoi un altro? Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea* negli occhi tuoi ridenti e fuggivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare della gioventù salivi?”.
“Questa non la conosco.” 
“Leopardi.
“Giusto.
La campanella squillò un’altra volta; Leon e Violetta restarono a fissarsi. L’odio del loro primo ed unico appuntamento era sfumato non appena i loro occhi si erano incrociati e i loro sguardi s’innamorarono.
“Credo sia ora di andare in classe.
“Già, credo che sia proprio ora."
Ed insieme si avviarono verso la loro aula, dove furono accolti dallo sguardo di fuoco di Camilla Vargas, e da quello di soddisfazione di Diego Casal, che diede una pacca sulla spalla al suo migliore amico non appena si fu seduto al suo fianco.
Lo spagnolo gli sussurrò qualcosa, così Leon si voltò ed incrociò ancora una volta lo sguardo da cerbiatta di Violetta… il cuore che gli martellava contro la gabbia toracica.
Tornò a guardare il suo compagno di banco, ed annuì.
Angela Saramego fece il suo ingresso nell’aula, e tutti si alzarono in piedi. Quindici minuti dopo disse: “Errai nell’oblio della valle tra ciuffi di stipe fiorite, tra quercie** rigonfie di galle; errai nella macchia più sola, per dove tra foglie marcite spuntava l’azzurra viola; errai per botri solinghi: la cincia vedeva dai pini: sbuffava i suoi piccoli ringhi argentini. Io siedo invisibile e solo tra monti e foreste: la sera non freme d’un grido, d’un volo. Io siedo invisibile e fosco; ma un cantico di capinera si leva dal tacito bosco. E il cantico all’ombre segrete per dove invisibile io siedo, con voce di flauto ripete, io ti vedo!”.
Il silenzio era caduto nell’aula, ascoltavano tutti la dolce voce della professoressa. “Chi scrisse questo?”
E Violetta si stupì –come anche il resto della classe- quando la mano di Natalia Perez non si alzò, ma invece fu data parola a Leon Vargas. “Pascoli."
“Esatto, Leon."

*La poesia è scritta così, non è un errore di battitura.
**Si legge quercIe e non querce. Anche questa è scritta così.


 La serata non era iniziata proprio nel migliore dei modi. Leon e Camilla erano stati a discutere per più di venti minuti e, ok che il parco giochi alle undici di sera era chiuso, ma Diego, Ludmilla e Nata erano rimasti tranquilli senza intromettersi… sapevano che quelle erano ‘cose di famiglia’ com’aveva detto Camilla Vargas più volte.
“E adesso non ne voglio più parlare!” gridò Leon alzandosi improvvisamente dalla panchina, e per calmarsi si accese frettolosamente una sigaretta. Il fumo grigio che si mescolava alla condensa della sua bocca con il freddo d’aprile. 
“Possibile che tu non capisca che quella ragazza è solo uno spreco di tempo?”.
“Ho detto che non ne voglio più parlare!”. Camilla Vargas imitò il fratello maggiore, alzandosi veloce dalla panchina e parandosi –con le mani inchiodate ai fianchi- davanti a lui. 
“Non ne vuoi parlare? Bene. Allora raccontami...cos'è questa storia che adesso reciti poesie?"
Leon lasciò andare i due angoli della bocca, i quali si alzarono lievemente verso l’alto, la sigaretta –tra il secondo e terzo dito della mano destra- che poi venne portata alle labbra, nuovamente. 
In lontananza un tuonò avvisò che presto sarebbe venuto a piovere, come del resto anche le nuvole grigie –tendenti al nero- che si erano stagliate su Buenos Aires quel pomeriggio. 
“Cosa c’è da ridere?"
“Nulla. Semplicemente ti trovo buffa” commentò il ragazzo. Camilla alzò gli occhi al cielo, assieme alle sopracciglia. 
“Ah davvero?” Leon annuì “Sai, Leon… credo che tu non stia andando nella giusta direzione. Credo che tu stia sbagliando tutto.”
Una risata uscì dalla bocca di Leon, assieme al fumo che poco prima si trovava nei suoi polmoni. “Tu non sai niente di me, sorellina. Niente.”
La zona guance-orecchie di Camilla Vargas iniziò a tingersi di rosso per la rabbia. Odiava suo fratello quando la chiamava in quel modo, odiava quando le dava della sorella minore. Era vero, lei era più piccola di lui, ma non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno… specialmente da suo fratello. “Sbagliato. Ti conosco meglio di chiunque altro. So ogni tuo punto debole, so tutti i tuoi segreti… Leon. Vuoi davvero stare dall’altra parte?”.
Gli occhi verdi di LeonVargas si accesero di rosso, rosso fuoco. Quel pomeriggio sua sorella era entrata in camera sua con ‘l’intenzione di far pace’, aveva detto; ma era finita che lei gli aveva proposto di rientrare a far parte del piano… ma aveva rifiutato. 
“Eh, Leon? Davvero credi che quella provincialotta sia innamorata di te? Ma per favore!”
“Siamo noi che la stiamo ingannando! Siamo noi che le stiamo facendo credere tutto questo!”
Sul volto della rossa apparve un’espressione vittoriosa, lo stesso sorriso di quando, qualche mattina prima, Violetta Castillo aveva invitato ad uscire suo fratello. 
Leon aveva detto ‘noi’.
“Bentornato nel gruppo, fratellino”. E gli diede una pacca sulla spalla, accendendosi una sigaretta e tornando seduta sulla panchina accanto alla sua amica bionda, che –stranamente- non aveva ancora proferito parola.
“Bentornato un cazzo, Camilla! Te l’ho detto, e te lo ripeto per l’ultima volta… non parteciperò al tuo stupido piano! Discorso finito!”.
E per quanto le volesse bene, per quanto amasse sua sorella, in quel momento avrebbe preferito essere figlio unico. Sapeva che quel pensiero era sbagliato, perché lei era sua sorella, sangue del suo sangue, la sua famiglia, la sua sorellina minore… ma stava davvero superando il limite. 
Violetta era semplicemente una ragazza dolce e fragile che presto avrebbe subìto le cattiverie di Camilla Vargas; e Leon questo non poteva accettarlo. 
Ma alla fine vogliamo tutti un mondo dove la cioccolata non faccia ingrassare e l’amore non faccia soffrire, ma purtroppo questa è la vita vera; quindi ci resta solo che mangiare poca cioccolata e sperare di non soffrire se ci innamoriamo. Ma Leon sapeva che ancora una volta stava sbagliando… lui amava la cioccolata ed ogni volta che s’innamorava soffriva come un cane bastonato, ma questa volta era diverso. Non gli importava, avrebbe mangiato barrette di cioccolata fino a scoppiare, e si sarebbe innamorato altre cento, mille volte… ma solo se si trattava di Violetta Castillo.


Angolo autrice:
Buonsalve a tutti! Come state? Vi piace questo capitolo? I Leonetta *---* che ne pensate del vero motivo del piano di Camilla? Un po’ scontato? Troppo banale? Fatemi sapere. E di Leon che difende Violetta da sua sorella? Quant’è dolce! Devo scappare, vi mando un grande bacio e ci vediamo al prossimo capitolo!
_Ruggelaria
   
 
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