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Autore: daisyssins    04/05/2016    0 recensioni
Qui tutto aveva un significato.
La minima azione, il minimo cenno, uno sguardo di troppo. Erano i gesti che contavano, non le parole.
E Ashton, Ashton lo sapeva bene.
[..]
Ero sempre felice, quando veniva Ashton. Ed Ashton non veniva quasi mai.
[...]
«Allora... Addio?»
«No. Non dire mai addio, perché addio significa andare via, e andare via significa dimenticare.»

[...]
«Lui. Voglio sapere dov'è lui.»
«Rebs...»
«No.
Non... No.
Cazzo, Ashton, me lo avevi promesso! Dovevi restare... Dovevi restare solo una notte. Una notte in più. Sei un fottuto egoista, non dovevi andartene. Non dovevi morire
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ashton Irwin, Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Prologo.
 

Erano le due di notte quando bussò alla mia porta per quella che, poi, sarebbe stata l'ultima volta. Solo che io allora mica lo sapevo. Quella notte mi limitai ad ascoltare i tre colpi secchi contro la porta, lasciandomi scappare un sospiro scocciato, anche se in realtà ero felice. Ero sempre felice, quando veniva Ashton. Ed Ashton non veniva quasi mai, quindi quella notte – dopo aver dato uno sguardo all'orologio e constatato che erano le due – la preoccupazione si impossessò di me, facendo tremare la mia mano che, svelta, aprì la porta bianca e rovinata del mio appartamento.
Stetti per un attimo lì, nell'oscurità, a cercare di indovinare qualcosa dei lineamenti che tanto mi piacevano, anche se a lui non lo avrei detto mai: il profilo del naso dritto, i capelli dorati tenuti indietro da una bandana rossa, gli occhi verdi screziati di miele che, col buio, sembravano scuri, si confondevano con la notte. Accennai un sorriso. Era bello, Ashton, ma i suoi occhi erano sempre così freddi, e le sue labbra sorridevano così di rado, ed io gli volevo bene, ma bene davvero, e lui questo non lo sapeva. Che avrei fatto qualsiasi cosa, perché sorridesse di più. Ovviamente non glielo avrei detto mai.
«Allora? Che c'hai di così importante da rompermi alle due di notte?» esordii, fingendomi più scocciata di quanto realmente fossi. Era così che funzionava, con lui. Alla durezza era abituato, era la gentilezza che gli creava qualche problema.
Lui scrollò le spalle. «E dai come la fai lunga te, eh» si lamentò con una smorfia. «Uno non può neanche venirti a trovare? Tanto lo so che eri sul letto a non far nulla, che non dormi mai, tu. Dai, mi fai entrare o stiamo qui tutta la notte?»
Abbassai la testa, ridendo tra me e me. Certe cose non sarebbero mai cambiate. La sua bandana rossa, per esempio, o l'odore di nicotina dei suoi vestiti. Tra queste cose c'era di sicuro il suo atteggiamento spavaldo, sfacciato, strafottente, che invece nascondeva la persona migliore che avessi mai conosciuto. Che poi non ci fosse tanta brava gente da conoscere, nella periferia di Melbourne, era un altro discorso. Mi scostai aprendo di più la porta, incoraggiandolo ad entrare con un cenno della testa. Lui borbottò un “era ora” tra i denti che gli guadagnò uno schiaffo dietro la nuca da parte mia, per poi sgusciare in fretta all'interno dell'appartamento e correre a gettarsi sul divano un po' vecchio e sfoderato, che gli aveva fatto da letto tante di quelle notti che non avrei saputo contarle. Io riempii una tazza di caffè nero, mi avvicinai e gliela porsi prima di prendere posto accanto a lui, accovacciandomi a gambe incrociate.
«Allora, adesso me lo dici com'è che sei qui a quest'ora?» ripetei paziente.
«Come se l'orario fosse mai stato un problema.»
«Sto aspettando.»
Ashton sospirò. Gettò un'occhiata veloce al di là della finestra, verso la strada buia, poi tornò a piantare il suo sguardo nel mio, con aria circospetta. «Non riuscivo a dormire.» esalò poi, prendendo un lungo sorso dalla tazza.
Se fosse stato chiunque altro ci avrei creduto. Se fosse stata, per esempio, Becky, la mia migliore amica, avrei saputo cosa fare: prendere una coperta, un bicchiere d'acqua e dieci gocce di valeriana, e poi cederle il mio letto fino al mattino dopo. Ma lui era Ashton, e con lui non sapevo mai cosa fare. L'ultima volta lo avevo visto un mese e mezzo prima, ad una corsa clandestina di moto al “canyon”, il ritrovo così definito perché solitario e circondato da montagne brulle.
Lui era Ashton, e “non riuscivo a dormire” non era una scusa, perché non dormiva mai neanche lui, e mai era neanche stato un problema. Lui era Ashton, e non si sarebbe mai presentato a casa mia, nel bel mezzo della notte per giunta, perché non riusciva a dormire.
Afferrai un cuscino azzurro, il primo che capitò, e glielo lanciai contro. Provai a buttarla sul ridere, quella volta, che se avessi affrontato la questione con troppa serietà avrei ottenuto solo il suo solito silenzio.
«Trovane una migliore, capo, questa non funziona.» lo presi in giro, fingendo una risata che risultò naturale, che strappò un sorriso anche a lui.
Si strinse nelle spalle, scuotendo la testa. «Non c'è un motivo particolare, a dire il vero. Stavo camminando per strada e ho visto la luce della tua stanza accesa, e la finestra aperta. Avevo solo voglia di vederti.» mi rivolse uno sguardo breve, prima di proiettarlo di nuovo oltre i vetri.
Annuii. Insistere non avrebbe portato a nulla. Sapevo che neanche quella era la verità, o magari non tutta, ma con Ashton era così, ed io lo sapevo: dovevi accontentarti delle briciole che ti dava, quel minimo indispensabile per non farti morire di fame, e se non ti fosse andato bene non avresti ricevuto più neanche quello. Quindi, ancora una volta, accettai le sue parole per buone e dissi che sarei stata bene così, con mille dubbi e lui che non mi guardava, e una tazza vuota che – il mattino dopo – sarebbe rimasta come unica testimone della sua presenza in casa mia, quella notte.
Ashton mi lanciò un lungo sguardo dubbioso, carico di tensione, poi – lentamente, come temendo di spaventarmi – si allungò sul divano, distendendosi con la testa sulle mie gambe. Mi lanciò un'ulteriore occhiata: “va bene?”.
Non risposi alla sua domanda muta. Non lo sapevo, se andava bene. Sapevo solo che la cosa più giusta da fare fu, in quel momento, lasciare che chiudesse gli occhi e si addormentasse, mentre io gli accarezzavo i capelli e mi chiedevo, guardando fuori, cosa lui vedesse in quella notte come tante altre.
Quella fu l'ultima volta che lo vidi.
Questa, signori, è la storia di come Ashton Irwin è morto.




#NdA
Hey...
sì, sono di nuovo io. Avevo definitivamente lasciato EFP, infatti per più di un anno non ho scritto né letto altre fanfiction, e - per chi mi seguisse prima - mi dispiace di essere scomparsa così. Ho avuto bisogno dei miei spazi, del mio tempo per dedicarmi alla scuola e ad altro, e per un po' tutto il tempo passato qui è caduto nel dimenticatoio.
Poi è successo che, a scuola, mentre fantasticavo mi è venuta in mente una storia: nella mia testa c'era tutto, i personaggi e il loro carattere, il numero di capitoli, la fine. E quindi, dopo più di un anno, ho deciso di fare la pazzia di tornare a scrivere.
Dunque eccomi qui, con una nuova storia che spero possa incuriosirvi almeno un po', a dispetto del prologo breve: i personaggi qui saranno completamente diversi rispetto alle persone di cui ero solita raccontare nelle mie vecchie storie, e immagino questo lo noterete se vi andrà di leggere.
Penso che il nuovo capitolo non si farà attendere troppo, credo che farò come ho sempre fatto, un capitolo a settimana, se tutto va bene. Prometto di non abbandonare anche questa.
Un abbraccio, ringrazio chiunque sia arrivato fin qui, e tutti coloro che hanno letto.
Ida.xx

  
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