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Autore: Spartaco    06/05/2016    0 recensioni
Qualcosa si mosse nell’ombra. “Hohoho” rise Jack, una risata abbondante come abbondante era il premio che si aspettava “Come sai che Jack è passato di qua?” aggiunse con la sua voce stridula. River ebbe solo il tempo di aprire la bocca per rispondere, ma venne preceduta da lui stesso: “perché sono tutti morti!”.
Con un gesto accese la sega e, ridendo, irruppe nella stanza successiva.

Un gruppo di ragazzi si butta in un'avventura ai confini del soprannaturale.
Imprigionati in una misteriosa casa dalla quale sembra impossibile uscire, si ritroveranno non solo a dover risolvere il mistero, ma anche a confrontarsi con se stessi e le proprie paure.
Riusciranno a sopravvivere alla notte e a trovare in loro il coraggio di cambiare?
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPISODIO 3 - The Arrival


"Cos'è che hai fatto??" Chiese River. Dall'altra parte del telefono Jack sembrava serissimo. "Ho trovato delle guide che ci portino in una casa infestata!" "Kit mi ammazza. Lo sai questo vero?" "Oh non preoccuparti, probabilmente prima ammazzerà me con un'occhiata glaciale." Questa volta River non rise, era perplessa e non aveva una risposta pronta. Sì certo, andava matta per gli horror, ma da lì a viverlo in prima persona ce ne passava. E Jack non sembrava esattamente il massimo dell'affidabilità in caso di pericolo. Era un primo pomeriggio soleggiato come al solito, River era in piedi in camera sua e teneva il cellulare premuto contro l’orecchio sinistro, come faceva sempre quando riceveva notizie importanti, come se potesse capire meglio ogni parola tenendo il telefono il più possibile vicino al timpano. "Dobbiamo incontrarli domani pomeriggio e ci spiegheranno tutto quello che dobbiamo sapere. Non preoccuparti, sono degli esperti" concluse Jack con semplicità.

Terminata la chiamata, River si passò una mano sulla fronte. “Ma che sto facendo?” Certo, l’idea era stranamente allettante. Anni prima cambiava canale appena percepiva un’atmosfera di terrore nei film che davano in tv, ma passando dal leggere creepypasta sempre e rigorosamente di mattina era riuscita alla fine ad abituarsi a guardare horror gameplay a notte fonda, cercando di soffocare con le mani gli urletti che le uscivano spontanei. Non solo si era abituata, ma andava matta per quel brivido, quella sensazione mista di terrore ed adrenalina, quei momenti in cui non sapeva se ridere o piangere e finiva per fare entrambe le cose. Era anche vero però che sentiva ancora i brividi quando ascoltava un qualsiasi episodio di “Cry reads”, complice la sua voce così espressiva, tanto da essere costretta a fare numerose pause nell’ascolto per prendere fiato, e questo la preoccupava. Eppure sapeva che Jack sarebbe stato lì. Poteva anche essere spericolato, ma ormai lo conosceva e se fosse rimasta incollata a lui le avrebbe dato un senso di sicurezza, per quanto precaria. Forse il suo modo di fare si sarebbe ancora una volta rivelato utile nello smorzare la tensione.

"IO non vengo." Sylvie aveva ascoltato dalla stanza adiacente, ed era irremovibile "mi è bastato sentire i racconti delle colleghe su Dublino, e ti ricordi quando stavamo guardando quello stupido splatter e ho lanciato in aria la tazza di tè per lo spavento? Nononono. Dovrai chiedere a Kit." A dire la verità non era stato nemmeno necessario chiedere, River non aveva neanche fatto in tempo a terminare di scrivere il messaggio su whatsapp – di parlare di persona non se ne parlava, non ne avrebbe avuto il coraggio - che Kit aveva già capito e risposto: "Oh ovvio che ci vengo anche io” scrisse, “Non so che diavolo vi siete messi in testa ma non ci piove che venga anche io. Dove è questo famoso appuntamento?"

 

 

Quando Ken e Mark si presentarono all’appuntamento, Evan aprì la porta con un sorriso smagliante: "Benvenuti! Mi avete salvato la pelle!" "Non fate caso a lui” - lo interruppe Wesley, scostandolo “delicatamente” dalla porta con uno spintone - “Buongiorno a tutti, mettetevi comodi". L’appartamento dei due ragazzi era spazioso, dalle pareti chiare, ed Evan aveva probabilmente cercato di mettere ordine anche se negli angoli della stanza facevano capolino scatoloni dal contenuto ignoto. La porta d’entrata dava su un ampio salotto alla cui destra si trovava il grande bancone della cucina, al centro un divano e sulla sinistra un tavolo di legno scuro. River, indossando una camicetta di jeans ed una lunga gonna chiara, era seduta sul divano, mentre Kit aveva deciso di rimanere in piedi, dando le spalle ad una grande finestra. Appena Ken e Mark ebbero raggiunto il centro della stanza, Jack emerse da dietro il bancone della cucina: "Ho trovato una Guinness, mi sono servito. Salute!" sollevò la bottiglia in direzione del salotto e ne bevve un gran sorso. "Che figure" pensarono River e Kit (o forse Kit pensò qualcosa di peggio). Il trio era arrivato pochi minuti prima, ed il secondo incontro tra Jack e Kit non era stato dei migliori, come si poteva prevedere. Kit aveva da allora assunto un atteggiamento prevenuto, e stava sulla difensiva. Anche se, per dire la verità, la sua migliore difesa era l’attacco. “Comunque è maleducazione portare il cappello in casa.” Sibilò. Jack si fermò nel bel mezzo del sorso, abbassò la bottiglia e per un secondo rimase immobile. Alla fine si decise a deglutire, e con un gesto secco si tolse il basco grigio mostrando una capigliatura rossiccia, corta e leggermente brizzolata, per poi sedersi poco elegantemente sul divano, tenendo sulle gambe il suo fedele cappello. Ora che erano tutti presenti (e visibili!) iniziarono le presentazioni. Mark era un tipo particolare, dai tratti leggermente orientali. I suoi capelli neri erano folti e disordinati, e portava la barba lunga di qualche giorno. Al primo impatto, River non poté fare a meno di pensare che sembrasse avere qualcosa di fuori posto. Tanto per cominciare aveva una voce molto profonda, in assoluto contrasto con la sua statura - era alto appena qualche centimetro più di lei -. Nonostante ciò sembrava un concentrato di energia: era allo stesso tempo potente e minuto. Quando si presentò si notò da subito la sua indole, educata e cordiale. Non somigliava a nessuno che River avesse mai incontrato. La coppia di amici Wes ad Evan era decisamente ben assortita: mentre Wes parlava poco, Evan prendeva la parola appena c’era un momento di silenzio, ridendo di gusto ai suoi stessi giochi di parole, che non erano proprio di alta qualità. Come Jack, era esuberante e self confident, forse meno sguaiato ma con la stessa alta considerazione di se stesso. Quello che interessò maggiormente River fu che Evan non era esattamente la perfezione fatta a persona: per leggere i messaggi sul cellulare doveva avvicinare lo schermo a pochi centimetri dal volto, aveva qualche chilo di troppo e si vedeva che i suoi capelli, una volta corti, erano cresciuti troppo, acquistando una forma indefinibile e disordinata. Buffo, data la cura che Wes sembrava avere per i suoi lisci capelli rossi! Eppure non si poteva definire un perdente, perché il suo modo di fare sicuro compensava qualsiasi sua caratteristica negativa. Tra tutti, Ken rimaneva la persona più indecifrabile: era silenzioso, ma avanzava timidi sorrisi a chi incrociava il suo sguardo. Era seduto curvo sul divano e rigirava nervoso il cellulare tra le mani. “Allora, di cosa si tratta esattamente” chiese infine. In fondo non aveva idea di che cosa avesse accettato di fare e per la verità nemmeno aveva idea di chi fosse davvero Mark. Tutto ciò che sapeva era che si era trasferito di recente e che aveva una passione smodata per la palestra ed i videogiochi. Del suo passato non conosceva una virgola. Ken sentì un brivido percorrergli la schiena. “Sono un giornalista sportivo, per la miseria. Il massimo del rischio è cercare di non farmi tirare sotto da giocatori di football alticci a bordo delle loro macchine sportive” si disse, e guardò Mark, che era seduto accanto a lui. Indossava una maglietta rossa con sopra stampata una M a caratteri cubitali, e sfoggiava un sorriso bianchissimo e smagliante. "Sembra quasi un supereroe, con quei muscoli e quel ciuffo di capelli fluenti."

Lo strano gruppo venne riunito intorno al grande tavolo di legno scuro al centro del salotto, dove Evan e Wes, rimanendo in piedi, iniziarono a spiegare il funzionamento degli "attrezzi da lavoro": videocamere ad infrarossi, torce, registratori[1]. “Posso dire una cosa?” Chiese Ken dopo qualche minuto, alzando la mano. Aveva evidentemente riflettuto sulla possibilità di fare quella domanda dal primo momento in cui aveva messo piede in quella casa. “Sssh, lasciali finire” Mark gli diede una gomitata sul braccio, e si rimise in posizione di ascolto, le braccia in grembo, occhi e bocca spalancati. “Giuro che se non gli do’ un pugno in testa adesso...” Il pensiero assassino di Ken venne interrotto dalla voce calma di Wes, che lo pregava di proseguire. Ken era titubante, ma alla fine, lisciandosi la folta barba, riuscì a fare uscire di bocca queste parole, accompagnate da gesti nervosi della mano: “Ecco ma noi..esattamente..cosa ci dovremmo trovare in quella casa?”

 

 

Gli sguardi prima puntati su Ken si spostarono tutti contemporaneamente sui due ragazzi. Evan si sedette, inclinò la testa dubbioso e si sistemò gli occhiali con il suo famoso gesto. Infine appoggiò una mano sulla sua gamba e disse rivolto a Wes: “eh sì..questo non lo so neanche io.”

Wes temeva che non sarebbe passato molto tempo prima di dover rispondere ad una domanda simile, e per questo si era preparato a dovere. “Si tratta di un palazzo di quattro piani, compreso il piano terra” iniziò “apparteneva ad una coppia. Pare che lei fosse una pittrice, ed i suoi quadri sono particolarmente..inquietanti” disse con gli occhi bassi. “In che senso?” chiese Evan, che non poté nascondere un fievole tremito nella sua voce. Wes dapprima non disse niente, si sistemò i capelli dietro le orecchie e iniziò a digitare qualcosa sulla tastiera del suo portatile, che si trovava anch’esso sul tavolo insieme al resto dell’attrezzatura. Quando Wes girò il computer in direzione del gruppo rimasero tutti senza parole. Rosso. Questo è quello che si poteva dire di quell’opera. Il colore era denso, corposo, quasi carnoso, come fosse stato steso con le mani. La sola vista dava un senso di disagio. Non rappresentava nulla, non si riusciva a coglierne il disegno, ma si poteva quasi vedere il gesto della donna che stendeva il colore a piene mani, con forza e rabbia. Wes proseguì: “Voci dicono che questi quadri fossero il frutto della sofferenza della donna che non poteva avere figli. Quello che è certo è che dopo pochi anni di matrimonio il marito impazzì, e della donna non si seppe più nulla”. Nessuno disse nulla, perché i loro pensieri facevano troppo rumore. Stavano iniziando a toccare con mano quello che avrebbero affrontato da lì a pochi giorni. Evan si portò istintivamente la mano al cuore, per una frazione di secondo, per poi riportarla sulla sua gamba, sperando che nessuno avesse notato il suo gesto. Anni prima lo aveva sentito smettere di battere, e quella sensazione non lo aveva mai più abbandonato. Anche se era successo nel suo garage e non sul lavoro, non poteva fare a meno di pensare a come aveva sfiorato la morte molte volte in luoghi freddi e bui. Ma non avrebbe mai dimenticato l’evento che, una volta per tutte, lo aveva portato a prendere la decisione definitiva di abbandonare quel  mestiere. Chiuse gli occhi e si trovò di nuovo in una nave da poco recuperata dagli abissi. Quando Evan si era addentrato nel ventre della nave aveva subito percepito che qualcosa quel giorno non andava. Accese il registratore e chiese nel silenzio: “Non ti piaccio?”. Aspettò qualche secondo, rimandò indietro il nastro e premette “play”. Quello che sentì gli raggelò il sangue nelle vene. “Non ti piaccio?---Ti-----ucciderò----“. Evan spense il registratore, e non lo accese mai più. In un battito di ciglia rivisse tutto questo, e le sue mani iniziarono a tremare.

River guardò Jack in cerca di conforto. Il ragazzo guardava fisso davanti a sé pensieroso, stringeva nella mano destra il suo cappello e nell’altra la bottiglia di birra, da cui non aveva più bevuto un solo sorso. Accortosi dello sguardo di River le sorrise, ma non come sempre. Persino Mark aveva perso la sua aria festosa, ed aveva ora un’espressione indefinibile, a metà tra il “no grazie” ed il “voglio assolutamente sapere cos’è successo”.

 

 

Ken chiuse la portiera con forza. “Heeey è già abbastanza distrutta quest’auto!” si lamentò Evan dal posto di guida. In effetti l’intera fiancata destra era segnata da un’unica riga priva di vernice, che la attraversava completamente. Evan adorava guidare, ed anche se la sua vista non rendeva semplice l’impresa lui non era uno che si faceva fermare facilmente. Il minivan, carico dei sette avventurieri, si diresse sotto il sole pomeridiano in direzione del palazzo. La compagnia, tutto sommato, era allegra. Sembrava che Mark e Jack avessero la stessa lunghezza d’onda: si erano seduti vicini, ed essendo il mezzo affollato erano praticamente uno in braccio all’altro. “Com’è romantico! Un po’ come una luna di miele” commentò Mark ridendo, e Jack rispose prontamente: “eh ma che schifo di luna di miele!” “Perché?” chiese Mark ironico, non aspettandosi alcuna risposta, ma Jack guardandosi intorno, sbuffò: “tanto per cominciare, è un po’ troppo affollata”. Nemmeno Kit aveva potuto fare a meno di ridere, coprendosi la bocca con la mano. Pochi minuti dopo arrivarono alla strada della meta e le risate lasciarono spazio alla tensione. Evan parcheggiò l’auto in un vicolo a destra dell’alto palazzo di mattoni rossi. Una scala antincendio arrugginita, con qualche gradino mancante, saliva fino al tetto. Nonostante la casa fosse evidentemente diroccata, le finestre erano molto sporche, ma sembravano tutte intatte. Il cielo era ancora chiaro, ed avevano ancora un po’ di tempo per prepararsi: scesi dalla macchina seguirono le istruzioni di Evan, e ciascuno si munì di torcia da cintura e ricetrasmittente. Wes poi consegnò a tutti una piccola telecamera da fissare sulla spalla. “Ora dovremmo dividerci i ruoli. Come vi ho detto a casa è necessario fissare quante più telecamere possibile in punti strategici, così che io possa tenere sotto controllo la situazione da una stanza sicura. O almeno, relativamente vicina all’uscita. Squadre?” Evan, senza parlare, si mise in spalla senza indugio uno dei due zaini che contenevano le telecamere. “Penso che sarebbe una buona idea andare con lui” sussurrò Jack a River. River esaminò la situazione: Wes sarebbe rimasto all’entrata per monitorare la situazione, ed effettivamente l’unico che sapeva cosa stava facendo era Evan. Si guardò in giro: Mark aveva percorso i dieci passi dall’automobile al cancello ripetendo “non mi piace..ooooh non mi piace per niente..non mi piace..”, Ken teneva le mani sui fianchi, la testa inclinata in avanti coperta dal cappuccio della felpa e non aveva detto una parola da quando erano arrivati. Per quanto riguarda Kit, si vedeva che si trovava in quel luogo controvoglia, ma d’altra parte se aveva preso questa decisione era per controllare la situazione, per proteggere lei. River era più che mai dubbiosa: Evan era sicuro, ma cosa era giusto fare? Ovviamente scegliere Kit, ma come dirlo a Jack? Come lasciarlo da solo? Inaspettatamente, Mark uscì dal suo stato paranoide e risolse il problema: afferrò il secondo zaino inforcandolo sulla spalla destra ed agganciò Ken con un braccio e Kit – che era più vicino a lui degli altri componenti del gruppo -  con l’altro, trascinandoli verso l’entrata a passo di marcia ed urlando “Avaaaaaanti!”. “Oh beh, immagino che abbiamo deciso” commentò Wes perplesso, ed allungarono il passo per raggiungere Mark.  Ormai si stava facendo buio, e se volevano avere una chance di vantaggio su qualunque cosa abitasse quel palazzo dovevano muoversi. Attraversarono il piccolo giardino inselvatichito, a stento individuando il passaggio che si snodava tra l’erba ormai alta. Pochi passi, un paio di scalini, ed arrivarono davanti alla piccola porta principale.  Lo slancio di Mark era durato ben poco e non aveva avuto il coraggio di aprire. Fu Wesley, carico di zaini e valigette di attrezzatura, a passare avanti. Allungò una mano per abbassare la maniglia, ed il portone si aprì silenzioso.

 

 

Li accolse un ampio atrio, quasi completamente vuoto. All’interno, solo due grandi vasi blu nell’angolo, una bassa cassettiera in legno sulla parete di sinistra accanto ad una porta aperta, e davanti a loro una rampa di scale che conduceva ai tre piani superiori. L’ultima luce della giornata penetrava dalle finestre nonostante fossero coperte da uno spesso strato di polvere. River aveva il cuore a mille, e Jack si fece più vicino a lei. Anche lui era nervoso e si mordeva il labbro. Il silenzio era quasi assordante, e si sentivano solo i loro passi mentre, titubanti, esploravano la prima stanza, sempre rimanendo compatti. Wesley, con la valigetta in mano e lo zaino in spalla, sbirciò attraverso la porta aperta, trovando davanti a lui solo quello che rimaneva di una cucina. “Ok..si sale”. La stanza superiore era una copia pressoché identica all’ingresso, solo più piccola perché questa volta erano due i corridoi che si aprivano, uno da ciascun lato. “Penso che questo possa essere un buon posto” disse alla fine Wes, appoggiando per terra i suoi pesanti fardelli. Spostò verso il centro della stanza un tavolo polveroso prima appoggiato al muro e si mise immediatamente al lavoro per collegare i monitor. Era tempo per le due squadre di partire: “tutti pronti?” chiese Evan impaziente. Voleva terminare il suo compito prima che la luce del giorno sparisse dietro le colline. “No, aspetta” disse Kit “Voglio andare con loro” affermò guardando Evan, Jack e River. Quest’ultima cercò di rassicurare Kit, dicendo che quella era solo la fase preliminare, che in fondo era ancora chiaro e che sarebbe andato tutto bene. Kit avanzò qualche dubbio, ma alla fine si fece convincere. Le due squadre si salutarono e partirono ciascuna per un corridoio diverso, da cui si dipartivano scale indipendenti che portavano ai piani superiori.

Mentre Ken, Mark e Kit erano partiti istintivamente di corsa, in modo tale da coprire tutti i punti di riferimento nel minore tempo possibile - cioè prima che facesse buio - Evan guidava la spedizione con professionalità, ma dentro di sé stava tremando. Lui, Jack e River procedevano con calma ed attenzione, l’atmosfera era ancora relativamente tranquilla, e tutti, complice la luce del sole, sentivano quella piacevole dose di adrenalina ed euforia, come prima di una corsa sulle montagne russe. Avventurandosi nell’edificio sconosciuto, River fu contenta di vedere negli altri ragazzi la sua stessa reazione: ad ogni rumore seguivano risolini agitati, che si trasformavano in timide risate genuine al sentire i commenti degli altri. La voce di Jack si faceva sempre più acuta ad ogni stanza che esploravano, fino ad arrivare, dopo uno scricchiolio particolarmente forte, ad uno strozzato  “ooohohoho smettilaaa”, che a dire di Jack era stato udibile solo dai cani. In tutto questo Evan cercava di mantenere una parvenza di calma sbirciando dalle porte aperte e commentando “mmmh non mi fido di questa stanza..e nemmeno di questa..qua credo non toccherò niente..”  mentre avanzavano nella polvere seguendo traballanti la mappa consegnata da Wesley.

Nel frattempo Kit si stava maledicendo per non aver protestato abbastanza: Mark guidava sorridente la spedizione, e proseguiva a passo di marcia ondeggiando le braccia mentre, con la sua voce da baritono, cantava a squarciagola una allegra canzoncina. Ken, in una tale situazione surreale, non riusciva a  smettere di ridere, tanto che aveva dovuto fermarsi un paio di volte per riprendere fiato. A quel punto l’unica soluzione era quella di finire in fretta il lavoro, ed in effetti

mentre Jack, sostenuto da Evan, si arrampicava su una sedia per montare la seconda telecamera del terzo piano, la seconda squadra si trovava al quarto ed ultimo piano, e Ken aveva piazzato l’ultima telecamera nella posizione stabilita. Appena fatto ciò, Mark urlò nella ricetrasmittente “fattofattofattofatto”, ed il trio, accese le torce, iniziò a correre a perdifiato verso la stanza di Wes, perché il sole era ormai tramontato.

 

 

Gli occhi di Wes stavano guizzando da una telecamera all’altra, non sarebbe stato tranquillo finché gli altri non fossero tornati nella stanza centrale. Pochi secondi dopo qualcosa attirò la sua attenzione: una sagoma scura, un movimento brusco che attraversò velocissimo tre telecamere. “Merda” disse Wes alzandosi di scatto. Nessuno aveva ancora raggiunto la sua postazione quando afferrò la ricetrasmittente ed iniziò a ripetere “Corridoio ovest, corridoio ovest, chi c’è in corridoio ovest??”. Jack, Evan e River, sentito Wes, si girarono istantaneamente, ma l’intero edificio venne avvolto nell’oscurità. Nel silenzio della stanza scura, anche la luce dei monitor che si rifletteva negli occhi chiari di Wes, improvvisamente, svanì.

 

 

EPISODIO 3

-FINE-



[1] I registratori vengono utilizzati nell’ambito del paranormale per fissare su nastro un particolare rumore, detto rumore bianco, che ha la stessa ampiezza di suono per qualsiasi frequenza. Nel rumore bianco si può a volte riuscire ad ascoltare parole intellegibili, che si pensa siano la voce dei morti.

  
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