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Autore: ellephedre    06/05/2016    7 recensioni
Raccolta di one-shot post Verso l'alba, dedicata ad Ami e Alexander. Dopo le battaglie, cosa cambia per loro? Hanno dei progetti, da portare avanti insieme e separati. Hanno ancora da conoscersi. Hanno da evolversi.
«A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, sentirti.»
Lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.
Ami si ritrasse un poco. «Invece tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»
... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era a trabocchetto?
«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»
«Be', ma queste sono mie strategie. Hanno una loro utilità. Vedi? Ti divertono.»
Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»
«Sì.»
«... anche se non vuoi?»
«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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per istinto e pensiero 13

Per istinto e pensiero

di ellephedre

Agosto 1997 - Addio?

Penultimo giorno a Izu, dopo otto giorni di vacanze.

Alexander continuò a nuotare. Voleva godersi l'acqua di mare finché era ancora possibile. Dal lunedì successivo doveva tornare al lavoro, per le ultime due settimane. Poi, l'America.

Virò con on un'ampia bracciata, iniziando a descrivere il percorso di ritorno verso riva. Si era allontanato di molto e il suo corpo dava i primi segni di cedimento. Durante quell'estate non aveva avuto molto tempo per gli allenamenti: la mattina si alzava troppo presto per correre e la sera tornava tardi dal lavoro. Aveva dedicato la maggior parte dei suoi weekend - l'unico ritaglio di tempo libero - ad Ami, e non era stato sufficiente. Si era rifatto in quella settimana, ma l'aveva vista troppo poco negli ultimi due mesi.

Perché il MIT non si trovava in Giappone? Sarebbe stata la soluzione ai loro problemi.

Durante la breve permanenza a Izu aveva sentito Ami esitante, confusa. Era la sua partenza a darle dei dubbi.

Lui aveva un'idea di quali fossero: Ami si stava convincendo di dovergli dare il tempo di focalizzarsi sull'esperienza che avrebbe avuto negli States.

Se lei avesse continuato con quei pensieri, Alexander ne immaginava l'esito: quando l'avesse chiamata dall'America, lei sarebbe stata progressivamente più reticente a portargli via tempo. Avrebbe creduto di distrarlo, di non lasciargli modo di concentrarsi sul suo sogno. Magari avrebbe persino diradato la frequenza delle loro chiamate.

Al solo pensarci si irritava.

Da lontano avrebbe faticato a farle cambiare atteggiamento. Senza vederla e senza starle accanto, sarebbe stato più difficile ricordare ad Ami che lui aveva idee chiarissime su cosa voleva da quei mesi della sua vita.

Non intendeva tornare in Giappone per farle un favore. Lui aveva bisogno di tornare indietro, per stare con lei.

Più sentiva che Ami aveva dei dubbi sulle sue intenzioni, più aveva voglia di prenderla da parte e domandarle, 'Perché non mi credi? Cos'altro devo fare per convincerti?'

Forse stava esagerando. Ami credeva di non poter immaginare tutti i possibili esiti di una situazione, pertanto si preoccupava di come gestire anche l'ipotesi più remota - quasi come esercizio mentale. Se solo non avesse trasformato quei pensieri in possibili paure...

Tornò a concentrarsi sui movimenti del proprio corpo. Stava nuotando per rilassarsi. Doveva lasciar riposare il cervello.

Bracciata destra, spinta delle gambe. Bracciata sinistra...

Iniziò a sentire del calore che si diffondeva sotto un ginocchio. Non si spaventò, ma diminuì il ritmo. Aveva sovraccaricato i muscoli.

Andò avanti per una decina di metri, poi sentì una fitta al polpaccio. Affondò.

Shit!

Boccheggiò per il dolore, inghiottendo acqua. Balzò verso la superficie con la testa, annaspando, le mani strette sulla gamba. Riuscì a sputare liquido dalla bocca prima di affondare di nuovo. Per istinto saltò su ancora una volta, per un attimo solo, riuscendo a far entrare un soffio d'ossigeno nei polmoni.

Tornò a essere circondato dal mare, ma si rifiutò di far uscire l'aria. Massaggia, dannazione! A denti stretti premette sul muscolo contratto, mentre tutto il suo corpo andava sempre più a fondo.

Si dimenò con la gamba sana. Doveva tornare a galla!

Lo sforzo gli impose di respirare. Inghiottì altra acqua di mare.

Dimenandosi, riguadagnò la superficie con un balzo. Nel microsecondo d'aria sputò e trattenne il respiro. Per volontà di sopravvivenza impedì al mare di fagocitarlo di nuovo e riuscì a tenere a galla la testa, per espellere il liquido salato dalla gola e dal naso. Tentò un altro respiro, più completo, ma il suo corpo pesava una tonnellata e l'oceano lo afferrò di nuovo.

Non così. Non qui!

Si sentì ribollire. Ami era a riva!

Ami!

Lei non lo avrebbe mai sentito, erano troppo distanti.

Cercò di zittire la paura mentre si sentiva affondare ancora, i polmoni che bruciavano a causa dello sforzo e dell'acqua ingoiata. Impresse un massaggio deciso al polpaccio, cercando di roteare su se stesso, per mettersi orizzontale. Non servì, continuò a piegarsi sull'addome, nel verso sbagliato. Stava annegando.

Sbatté gli occhi e gli parve di vedere la spiaggia. Per un momento si sentì fuori dal mare, con Ami che era saltata in piedi, notandolo. Ritrovò la lucidità.

Movimenti meno bruschi.

Riemerse con due bracciate, cercando di respirare con bocca e naso. Non riuscì a rimanere fuori dal mare con la testa, ma era preparato. Soffocò l'urlo mentre continuava il massaggio alla gamba, per sciogliere il nodo di carne duro come la pietra.

A tre metri dalla superficie, mosse le braccia convulsamente, per tornare di nuovo fuori.

Doveva solo fare continuare in quel modo. Affonda e riemergi, affonda e riemergi... Non aveva alcuna intenzione di morire.

Ripeté quel ciclo una terza volta e sentì che poteva controllarlo. Il suo polpaccio sembrava sul punto di spaccarsi, ma non gli importava.

Devo uscire di qui! La gamba deve essere almeno un peso morto, deve smettere di fare così male!

Ogni volta che risaliva cercava di muoversi verso la riva. Forse stava sbagliando direzione, ma ci avrebbe pensato in seguito.

Aveva perso il conto delle volte che era riemerso quando sentì finalmente che il dolore iniziava a disperdersi.

«Aleeex!»

Ami!

Uscendo dall'acqua con la testa si costrinse a rimanere su un secondo di più, per poterla vedere. Ami stava sfrecciando a nuoto verso di lui.

L'avrebbe fatta affondare!

Smise di combattere contro la forza di gravità, tornando di sotto. Si concentrò sulla pressione che metteva nelle dita: finalmente il muscolo aveva ceduto, si lasciava plasmare.

D'improvviso sentì una mano sotto il braccio, che lo tirava verso l'alto. Le gambe di Ami lo colpirono alla schiena mentre lei spingeva per farlo riemergere.

Riguadagnarono la superficie con due enormi boccate.

«Lasciami!» gridò lui.

La presa di lei sotto la sua ascella era di ferro. «Non agitarti!»

«Affogherai!»

«Non sto affondando!!»

Lui iniziò a crederci solo quando rimase col mento fuori dall'acqua.

Ami gridava da dietro la sua testa. «Smetti di muoverti e riuscirò a tenerti a galla!»

Alexander cercò di adagiarsi sulla schiena, portando stomaco e gambe verso l'alto. Il polpaccio gli doleva ancora, ma era un dolore sopportabile.

«Ti tengo» affermò Ami, concitata.

Lui riprese a respirare a pieno regime, tremando. «Il crampo sta sparendo!»

«Non parlare!»

Alexander disse più niente. Cercò quanto più poteva di tenersi in superficie da solo, per non affaticare Ami.

Trenta secondi dopo - eterni - provò a voltarsi. «Ce la faccio!»

«Siamo quasi a riva!»

«Ce la faccio!» urlò più forte, scostandosi. Tutto quello sforzo le avrebbe fatto venire un infarto!

Ami cercò di riprenderlo, ma lui uscì fuori dalla sua portata con due bracciate, muovendo una gamba sola. Stavano a venti metri dalla riva.

Lei gli nuotò accanto. «Non sforzarti, tra poco si tocca!»

«Ce la faccio, non è una bugia!»

La sentì bofonchiare - parole di disperazione e rabbia che lei non aveva mai pronunciato.

A dieci metri dalla spiaggia Ami andò avanti con una spinta potente. Quando lui la vide voltarsi, lei era rigida col tronco, in piedi, le mani allungate nella sua direzione. Alexander si abbandonò in avanti, affondando, solo per poter toccare col piede la sabbia immersa. Venne sopraffatto dalla stanchezza.

Riuscì a fare un passo, poi Ami fu di nuovo con lui. Lo tirava a sé, questa volta in piedi anche lei sotto l'acqua.

Riemersero, ansimando per lo sforzo.

«Ci siamo!» Ami lo strattonò verso la battigia. «Ormai siamo fuori!»

Alexander sentiva i polmoni che macinavano aria come se non avessero mai respirato. Il cuore stava per scoppiargli, ma era salvo.

Camminò in acqua, usando la gamba ancora fuori uso come una leva su cui non poteva appoggiarsi. Ami si mise su quel fianco, invitandolo a pesare su di lei.

Lui non riuscì a protestare. Non riuscì nemmeno a gemere.

Barcollarono, lenti, fino ai primi metri di sabbia asciutta.

Alexander si lasciò cadere in ginocchio, Ami al suo fianco.

«Va tutto bene.» Lei gli sostenne il torso, cercando di prendergli la testa. «Ora starai meglio.»

Lui chiuse gli occhi, tentando solo di immagazzinare ossigeno. «La gamba...»

Ami si staccò e iniziò subito un massaggio deciso. «Sdraiati!»

Disteso sulla schiena, Alexander subì con le mani sulla faccia, i denti stretti.

Come era riuscito a tornare indietro con quel crampo?

«Dimmi quando smettere. Devo portarti dentro.»

Riuscì ad annuire.

Era distrutto, ma ce l'aveva fatta.

  

Sulla veranda usciva un tubo per l'acqua, dall'interno della casa. Lei lo usò per pulirlo dal sale, mentre lui era ancora disteso sulla sdraio su cui era riuscito a trascinarsi.

Alexander riuscì a dire una prima frase sensata. «Perché mi lavi?»

«Ora torni a dormire.»

Sono le dieci, pensò lui - dieci del mattino. Non ansimava più, ma si sentiva debole.

«Riposerai finché non ti sarai ripreso del tutto.» Con più delicatezza, Ami lasciò scorrere l'acqua pulita sopra i suoi capelli, passando la mano tra le sue ciocche.

Lui rimase con la testa china, finché il getto non si allontanò. «Dormirò con la testa bagnata?» God, era così bello poter scherzare.

«Ci penso io.»

Ami portò un asciugamano sulle sue spalle e gli massaggiò la testa, con forza ma senza violenza, per asciugarlo il più fretta possibile. Era efficiente e metodica, molto controllata.

«Stai bene?» le domandò lui.

«Voglio vederti riposare su un letto.» Lei incontrò i suoi occhi. Gli strinse le spalle. «Solo poi starò bene.»

Si abbracciarono nello stesso momento, stringendosi forte.

My God. Era quasi morto davanti ai suoi occhi.

Si mossero a passi incerti verso la camera da letto. Alexander riuscì a malapena a levare il costume bagnato prima di crollare sul materasso.

Con un altro asciugamano Ami continuò a muovere le dita sui suoi capelli umidi.

Lui sprofondò nel sonno.

  


 

Ami si svegliò con un suono. Si era addormentata.

Beep. Beep. Beep.

Impiegò un momento a identificare l'origine. Il computer di Mercurio!

Corse verso il salotto, trovando il suo strumento appoggiato sul tavolo. La spia di allarme lampeggiava.

Ma cosa-?

Lo aprì. Il computer stava analizzando una figura sdraiata in quella stessa casa, in camera da letto.

Ricordando, Ami tornò indietro di corsa.

Per un momento, nella stanza, divise velocemente la propria attenzione tra Alexander - che dormiva come lo aveva lasciato, con sopra un lenzuolo - e il computer, senza comprendere. Spense manualmente il suono di allarme e focalizzò la sua attenzione su un numero nello schermo. Veloce, andò da Alex e lo toccò sulla fronte, col dorso della mano.

Febbre.

«Alex.» Cercò di svegliarlo. «Alex

Lui aprì le palpebre con un brivido, la fronte corrucciata. Brontolò di dolore.

«Hai la febbre alta. Dobbiamo abbassarla.»

«Oh, damn...»

Lei non lo ascoltò più. Appoggiò il computer sul tavolo e andò a recuperare una bacinella d'acqua fredda. Rovistò nello stanzino delle pulizie in cerca di una bottiglietta d'alcol.

39 di febbre. Era stato lo sforzo?

O il fatto che lo avesse fatto dormire coi capelli bagnati. Ma lo aveva asciugato, e un malessere si sarebbe manifestato prima con un raffreddore, non con una temperatura tanto alta.

Tornò da Alexander solo dopo aver trovato una boccetta di antipiretico. Appena la vide rientrare, lui cercò di sedersi.

«Aspetta, ti aiuto.»

«Hell... Che corpo inutile!»

Che sciocchezza. «Sarà la reazione a un grosso stress fisico.»

Lui si massaggiò la fronte con una mano. Accettò di malavoglia di aprire la bocca per una cucchiaiata di sciroppo. Quando mandò giù, tremò di nuovo.

Lei imbevette il panno di alcol diluito nell'acqua. Fece sdraiare di nuovo Alexander, poi lo inumidì sullo stomaco, sotto le ascelle, sul collo. Passò al retro della nuca. «Dormivo» gli spiegò. «Il computer mi ha avvertito che stavi male.»

Si rese conto di un'anomalia: come aveva fatto il calcolatore a decidere che quella situazione era pericolosa?

Per un momento Alexander si era irrigidito. A lei non era sfuggita la reazione. «Hai impostato tu l'avviso» capì.

Avrebbe dovuto pensarci lei stessa. Se c'erano avvenimenti misurabili che potevano costituire una situazione di rischio, impostare un avvertimento era un'ottima idea.

Che cosa l'aveva fatta venire in mente a lui?

Alexander bofonchiò. «Quanto ho di febbre...?»

Lei gli disse il numero. «Ora la facciamo scendere.»

Lui fece silenzio. Stava troppo male per pensare.

Ami lo fece al posto suo. Dopo molto riflettere, giunse a una conclusione che non gradì.

 

Erano le tre del pomeriggio. La febbre era sparita da più di un'ora e Alexander stava tentando di mandare giù un piatto di minestra. Era disgustosa, troppo calda in estate.

Che giornata da dimenticare. Prima la quasi morte per affogamento, poi la febbre. Le sue sfortune si erano concentrate in meno di dodici ore.

Ami era seduta davanti a lui sul tavolo. Era silenziosa, meditava.

Lui immaginava che lo attendesse un discorso sull'imprudenza di nuotare a stomaco pieno. Non aveva voglia di sentirlo: aveva già ricevuto la sua punizione.

Il mini-computer di Mercurio era appoggiato su un lato del tavolo. Ami lo trascinò verso di sé, piano, con le dita.

«Hai messo l'avviso per la febbre perché temevi il ripetersi di un episodio acuto.»

... damn it.

Di tutte le possibili cose che aveva fatto, proprio quella doveva tornare a tormentarlo, dopo tutti quei mesi?

Sospirò. «Ho mal di testa.»

Ami non lo ascoltò. «Non hai bisogno di avvisarmi col computer per una febbre generica, che ti consente di alzare un telefono per chiamarmi.»

«Ami...»

Lei lo scrutava. «Temevi che ti sarebbe venuto un attacco come quello di gennaio. Dopo la guerra con gli alieni.»

Lui sforzò il cervello. «Era solo una precauzione.»

«Pensavamo fosse meningite. Poi in Italia abbiamo visto che al tuo corpo stava succedendo qualcosa, in relazione al mio potere. Perciò i due fenomeni potevano essere collegati.»

Lui non si era ancora ripreso a sufficienza da anticipare quel flusso di pensieri.

Ami andrò dritta al punto. «Hai settato l'avviso per una ragione. Hai avuto altri attacchi?»

Lui fissò la minestra.

Lei attese.

«Due.»

Ami chiuse gli occhi, assorbendo la notizia.

«Uno proprio in Italia» chiarì lui. «È successo velocemente, non sono stato davvero male.»

Lei era infelice. «Perché non me l'hai detto?»

Alexander ignorò la domanda. «Il secondo l'ho avuto a marzo. Pensavo fosse una febbre qualunque, ma ero con te e ho potuto controllare nel computer.»

Ami cercò di ricordare.

«Dormivi» precisò lui. «E in quel caso la mia febbre non è andata oltre i trentotto gradi.»

Lei voleva capire. «Perché hai pensato che fosse collegato agli altri episodi?»

Per un attimo Alexander si chiese se doveva fornirle i dettagli. Ma ora che Ami sapeva, non avrebbe accettato niente di meno che la totale verità. «Sentivo una fitta alla testa. Come la prima volta.»

Lei strinse le labbra. «E qualche ora fa?»

Ne aveva percepita una anche in quel momento, ma la sensazione era già svanita.

Probabilmente la febbre si era scatenata perché c'era stata di nuovo una forte connessione col potere di lei, In acqua aveva percepito l'inizio del processo di teletrasporto, come quando, nell'inverno precedente, si era trovato in balia di un terremoto. Inoltre, più ci pensava, più era chiaro che per tirarlo fuori dal mare Ami aveva usato una forza che andava oltre le proprie capacità umane. Era ricorsa al potere di Mercurio, anche se non si era trasformata. Questo doveva averlo influenzato.

Erano gli effetti collaterali del legame di potere che si andava a formare tra loro - ykèos, secondo gli alieni.

Ami non lo stava più guardando. Aveva intuito la risposta che cercava dal suo silenzio. Ora fissava la parete, riflettendo.

Oberato, Alexander decise di mandare giù quello che restava della propria minestra. Tanto, boccone amaro in più o in meno...

Con clemenza, Ami gli lasciò una decina di minuti per pensare.

Osservandola in faccia lui capì che lei era arrivata a una conclusione che li avrebbe fatti discutere. «Cosa vuoi dirmi?»

«Hai cercato di nascondermi che il mio potere poteva danneggiarti.»

No. Ma aveva temuto che lei riassumesse la questione in quel modo. «Sono solo un paio di febbriciattole.»

«Di cui non hai voluto dirmi nulla.»

«Perché tu esageri. Lo avresti preso come un motivo per-... per dire che mi stavi causando qualcosa che non dovevi.»

«Non mi preoccupa la febbre.» Ami si fece dura. «Sarà un tentativo da parte del tuo corpo di trovare un equilibrio a fronte del mio potere che tenta di... di toccarti, modificarti. Mamoru potrebbe aiutarci a contenere gli attacchi, finché non spariranno. Ma se sarai ancora esposto al mio pianeta, gli effetti sul tuo fisico potrebbero diventare permanenti.»

Lui ne era consapevole. «Perché è un problema?»

Lei si arrabbiò. «Perché è per sempre, Alex. Poi non potrai più tornare indietro.»

Incredibile. «Un tempo non dicevi che sarebbe stato un bene se un giorno fossi potuto diventare come te? Millenario? L'idea ti faceva felice

Lei si risentì. «È ancora così.»

«Allora perché stai protestando?»

La mancata risposta confermò tutto quello che lui aveva temuto. Non si permise di aprire bocca: non avrebbe detto cose buone.

Ami cambiò espressione. Distese il viso, lasciando trasparire dolore e pentimento. «Mi dispiace. Oggi non dovevo parlare di queste cose.»

In cuor suo Alexander sapeva perché lei stava cedendo. Ami stava rimandando la discussione perché voleva fargli un discorso importante, che lo avrebbe mandato su tutte le furie.

Testarda. E stupida - sì, stupida, dannazione!

Lasciò andare la rabbia solo perché non aveva le forze per alimentarla. E, damn it, voleva a sua volta un altro po' di serenità. Voleva la Ami che era disposta a fare di tutto per stare con lui.

Lei gli risollevò l'umore colmando la distanza tra loro. Lo abbracciò forte, chinandosi per baciarlo. «Sono felice di averti ancora con me. Dopo stamattina, e la febbre... Voglio pensare solo a farti stare bene.»

Lui si sentì per metà sanato. Annuì, accettando la tregua.

In camera si lasciò accarezzare la testa, la schiena, mentre Ami lo abbracciava.

Per tacito accordo, per il resto del giorno parlarono a stento.

  


 

Il mare che si era quasi portato via il suo Alexander era blu scuro, lucente sotto i raggi del sole. Di mattina era una striscia lunga e immensa, da cui lui non aveva avuto niente da temere per tutta la sua infanzia.

Era solo il secondo anno che Ami visitava quella casa. Ci sarebbe tornata mai più?

Quasi sicuramente la venderanno. E anche se non lo facessero...

Non proseguì col pensiero. Non era quello il punto. Non doveva per forza finire male. Lei doveva solamente fare ciò che era meglio per la persona che amava.

Ci aveva riflettuto per tanto tempo. Aveva cercato di essere ottimista, di non concentrarsi sulle ipotesi più negative. Ma non si trattava più di libera scelta - per tutti e due - se il suo potere stava decidendo al posto loro, secondo suoi tempi.

Attese che terminassero la colazione prima di iniziare il discorso con lui. Non si stupì che Alexander non avesse voglia di nuotare quel giorno.

«Facciamo una passeggiata?» gli propose.

Lui si voltò a guardarla e annuì, distante. Aveva intuito, già dal giorno precedente, la direzione generale dei suoi pensieri. Tuttavia Ami dubitava che fosse preparato alla sua proposta.

Camminarono sulla battigia, scalzi, il sole non ancora abbastanza alto da scottare la pelle.

Alexander parlò per primo. «Mi riabituerò all'acqua con la piscina.»

Lei annuì.

«Non mi era mai venuto un crampo mentre nuotavo.»

«È stato un caso. Magari a causa del poco allenamento.»

Lui guardava l'orizzonte. «... Già.»

A un centinaio di metri dalla casa, Ami decise di affrontare la questione. «Alex... Ho pensato molto in queste settimane.»

Cercò una reazione, ma lui era impassibile. Fissava il mare, dandole la schiena.

«Andare in America sarà una bella esperienza per te.»

«Dovrebbe.»

Lei si preparò a gestire altra ostilità. «Questa sarà l'ultima volta che ci separeremo. Per anni.»

Vide un momento di confusione.

«Se... se faremo tutto come abbiamo programmato, al tuo ritorno prenderemo impegni duraturi tra noi.»

Lui accennò a dire qualcosa, poi si zittì.

Dopo un momento di attesa, Ami continuò. «Io non voglio che questo costituisca un limite. Dovremmo decidere di stare insieme per sempre se è la cosa che ci sembra giusta adesso. In questo anno, voglio dire. Se qualunque situazione che viviamo ci farà pensare che invece vogliamo rimandare decisioni importanti...»

«Stai parlando di me, o di qualcosa che vuoi tu?»

Con la risposta non lo avrebbe calmato. «Voglio che arriviamo ai prossimi passi con piena consapevolezza. Sarà giusto compierli solo se tutti e due saremo davvero certi che-»

«Io ne sono certo.»

Sì. Ma erano ancora tante le esperienze che lui non aveva provato, nonché le cose che poteva imparare di se stesso, col tempo. Specie se era da solo, lontano da lei.

Le venne un magone. «I love you. Ma credo che amarti, ora, significhi lasciarti il tempo di riflettere.»

Lui emise un sospiro sarcastico. «Che significa? Mi chiamerai solo una volta alla settimana?»

Era ancora troppo spesso. «Ti tornerei in mente proprio come se fossi lì con te. Penso che... non sentirci fino a che non torni sarebbe una buona...» Non terminò.

Alexander si era voltato a guardarla. Era sgomento.

Dalla costernazione lui passò alla rabbia. «Per quattro mesi?!»

Per tre mesi e ventidue giorni. «Non cambierà niente se...» Di nuovo, non finì.

Non lo aveva mai visto tanto adirato.

«Stai cercando di mettermi alla prova?!»

«No! Quattro mesi in mille anni non sono niente! Ma possono significare tanto adesso, se standomi lontano, a mente lucida, a te vengono dei dubbi che-»

Lui era sempre più incredulo. «Quindi non sarei capace di pensare con te vicino?»

«Alex...»

Infuriato, lui si voltò, iniziando ad andarsene. Si bloccò e tornò indietro, puntandola con un dito. «Sei tu che hai dei dubbi!»

Lei scosse veloce la testa.

«Non dire a te stessa che lo fai per me! Sai cosa voglio io!»

Doveva fargli capire! «Per amore faremmo di tutto! Ci fa dimenticare ogni cosa! E se tra qualche anno tu ci ripensassi? Se te ne pentissi?»

Gli sfuggì un suono inconsulto. «Vedi che non sei sicura di quello che prometto?! Non mi credi!»

Lei gli credeva invece, per questo aveva paura. «Non possiamo sapere come cambieremo, Alex.»

Lui stringeva i denti. «Continui a dire 'noi'. Quindi non solo non sei sicura di quello che provo io, ma sei incerta anche su quello che provi tu.»

«NO!» gridò lei. «Io voglio solo smettere di opprimerti! Ti ho costretto a pensare a una famiglia quando non eravamo ancora pronti. Anche adesso stiamo facendo progetti su questo solo a causa di ciò che sono, altrimenti... Altrimenti sarebbe una cosa che rimanderemmo per anni!» Soffocò un singhiozzo. «Non è giusto che ti costringa a farlo ora. Te le ricordo ogni giorno con la mia presenza. Se... se non avrai cambiato idea dopo essere stato lontano, dopo aver vissuto la vita che volevi prima di incontrarmi, allora...»

«E per questo sei disposta a non sentirci per tutto questo tempo.»

La nota di rassegnazione la zittì.

Alexander emise un sospiro amaro.

«Sai come suona questo, Ami? Come la volta che mi hai lasciato due anni fa. Quando hai deciso che per non soffrire in futuro era meglio smettere di vederci subito.»

Il senso di colpa la attanagliò.

Cercò qualcosa da dire, ma Alexander si era allontanato a passi larghi, lasciandola sola sulla spiaggia.

 

Quattro mesi di silenzio?

Alexander si sentiva... cheated, tradito. La ragazza che amava non poteva stargli lontana per tanto tempo.

Passò due ore a cercare argomentazioni che potessero convincerla dell'assurdità del suo proposito, poi realizzò di essere... stufo.

Ami si permetteva di usare la logica per decidere la direzione della loro relazione, quando lui non poteva nemmeno immaginare, concepire, di limitare con un ragionamento quello che provava per lei.

«C'è un un'unica cosa che ho capito di quello che hai detto.»

Trovandoselo alle spalle, Ami saltò in piedi sul divano. Lo aveva aspettato fuori dalla stanza in cui lui si era chiuso.

«Io non riesco a resistere quattro mesi senza di te, Ami. Tu sì.»

Lei scosse piano la testa, in agonia.

Se l'era cercata. «È una tortura che hai deciso da sola. Non mi interessa lo scopo, questi sono i fatti.» E gli facevano male.

Ami deglutì. «La prima volta che ho fatto l'errore di lasciarti è stato solo in parte per te.»

Non era più interessato ad ascoltare quel tipo di spiegazioni.

«Non ti conoscevo abbastanza e avevo paura di quanto avrei sofferto quando tu avessi scoperto la verità. Ero terrorizzata al pensiero che non mi avresti accettato. Ma ora ti conosco e sto pensando a te. Se facessi come voglio io...»

Lui aspettò di sentirglielo dire. Voleva sentirlo ripetere dalla sua voce.

Ma Ami si rifiutò di continuare. «È perché sono sicura di quello che provo che non temo l'attesa.»

Lei non stava nemmeno facendo lo sforzo di capirlo. «Però per me è un problema. Non puoi fare questa scelta da sola.»

«Infatti vorrei che tu fossi d'accordo.»

Lui non aveva pensato di potersi arrabbiare di più, ma per come la stava mettendo lei, quella non era una vera richiesta. «E se alla fine non sarò d'accordo, farai ugualmente come hai deciso?»

Lei strinse gli occhi, gravata. «Prima vorrei parlarne.»

Come risposta non era soddisfacente. «Devi dirmi cosa farai se non accetto la tua soluzione.»

Ami non disse nulla.

Il silenzio fu esaustivo, tombale.

L'ostinazione di lei era cieca. Non stava considerando affatto ciò che voleva lui. Quell'atteggiamento era il contrario dell'amore.

Alexander sentì crescere un buco nel petto. «Mi chiedo cosa faresti se ottenessi davvero di allontanarmi.»

Lei perse colore in viso.

Ferirla lo rese felice. Detestò la sensazione.

«Non so come fare» mormorò lei.

Straziato, lui ascoltò.

«Non so come dimostrarti quanto tengo a te, per non farti stare male, quando adesso è altrettanto importante che non continui a parlarti di sentimenti e promesse eterne che... Lo scopo della distanza è non legarti.»

Solo udire un singhiozzo gli permise di non scoppiare.

Perché lei era tanto masochista? «Non siamo ancora distanti.» Anche se quel suo modo di fare proprio ora creava una distanza tra loro.

Solo vederla tremante, che si tratteneva dal gettarsi in avanti a toccarlo, gli diede un minimo di stabilità.

Ami deglutì. «Sapevo che dopo averti fatto questo discorso avrei dovuto...»

Cosa? Comportarsi di conseguenza, con coerenza?

Lei chinò la testa. «Per questo volevo rimandarlo all'ultima settimana.»

Alexander cercò di non vedere rosso, concentrandosi sulla parte buona della confessione. «Volevi rimandare perché vuoi che le cose non cambino.»

Per favore, di' di sì.

Ami perse tensione nelle spalle. «Certo.»

Lui si sentì talmente sollevato che si arrabbiò. Perché si stava accontentando di una briciola? Ami non stava cambiando idea, nemmeno gli stava parlando in totale sincerità, perché aveva già deciso di contenersi - per seguire il suo folle piano.

Rimase in silenzio, aspettando, sperando, inutilmente.

Qualunque cosa la bloccasse, lei avrebbe dovuto liberarsene - per lui, per farlo felice!

Perché era disposta a ferirlo pur di rimanere ancorata ai propri timori? Lui avrebbe spostato il mondo per lei. Non gli importava nulla del buon senso, della ragione... Si era sentito amato sopra ogni cosa, dannazione, e ora non più. Era ridicolo, perché dentro di sé sapeva la verità, sentiva che ...

La raggiunse in due passi e la afferrò per un polso, trascinandola via. Il gemito di sorpresa non lo fermò.

Si voltò solo quando furono in camera, tenendola per le spalle. «Visto che non mi vuoi ascoltare, io non ascolterò più te.» Le afferrò la testa, soffocando le sue parole con la bocca.

Si sentì violento quando la costrinse a rimanere ferma, poi disperato nell'istante stesso in cui fu sul punto di cedere, lasciandola andare. Ma Ami si arrese per prima, iniziando a piangere.

Alexander andò a baciarle le guance umide, sentendosi ricambiare.

Spiegami, per favore.

Doveva capire. Doveva trovare un senso a quella pazzia.

La circondò con le braccia, massaggiandole forte la schiena, la testa.

Cosa avrebbe dovuto sperimentare lui in America? Cosa doveva ancora decidere? Perché doveva cambiare idea su loro due, nel futuro?

Cercò di parlare, ma Ami cercava piccoli baci morbidi, consolatori. Lui glieli offrì per istinto, poi si rese conto che lei non stava chiedendo, stava dando. Si sentì riempire di impeto. La afferrò sotto le natiche, sollevandola. La cooperazione, la totale mancanza di resistenza, lo colmarono di felicità.

This. Era questo che voleva. Lui e lei senza limiti di tempo, di spazio, di raziocinio.

Non dovrei andare via. Dovrei restare.

Fu un pensiero così sbagliato che cercò di eliminarlo.

Ami aveva toccato il materasso con la schiena. Si spostò per sistemarsi e incrociò i suoi occhi. Schiacciò la fronte contro la sua. «Non vorrei mai ferirti, per nessun motivo. Perdonami

Gli aveva fatto così male sentirsi attaccato da lei che volle solo scordare tutta quella giornata. Volle tornare a sentire la Ami che lo amava almeno quanto lui amava lei.

Anche meno, non importa. Basta che tu non possa stare senza di me.

E lei era quella Ami - che lo spogliava, lo baciava e si lasciava toccare ovunque. Lo era sempre, anche quando concepiva quella proposta assurda, così inaccettabile...

Per punirla le tormentò il seno, lo stomaco. Aveva tra le braccia la ragazza che gli aveva permesso lentamente, inesorabilmente, ogni tipo di intimità - solo perché era lui, perché era unico per lei.

Posò la bocca aperta sul suo pube, leccando l'apice delle sue pieghe di carne, dischiudendole. Sentì i fianchi di lei che si sollevavano, agitandosi per la sorpresa, per le troppe sensazioni. Lui le alimentò con un altro piccolo strofinio di lingua, godendosi il tremito che Ami concesse a se stessa, a entrambi, stringendogli i capelli tra le dita.

Mi mancherai, ti mancherò.

Per farglielo ricordare usò su di lei le labbra, l'intera bocca, con pazienza e molto impegno. Si adoperò per stimolare l'uscita del suo liquido salato, scivoloso e dolce, con cui bagnare ogni lembo di pelle soffice tra le sue gambe.

Ami era preda di brividi continui, di sussulti. Lui si assicurò di poterla vedere mentre lei non era più in grado di controllarsi.

Non era mai stata più tenera e sensuale, deliziosa in ogni senso, del momento in cui abbandonò ogni pudore scomponendosi nei movimenti, le palpebre serrate e la voce spezzata, mentre col bacino assecondava i suoi assaggi - senza più ritmo, guidata solo dagli spasmi.

Stava arrossendo sul petto - un effetto del piacere provato - la stessa Ami che era avvampata all'idea di un bacio innocente sul collo. In quel momento lei sfiorava inconsciamente proprio quello, col dorso delle dita.

Lui la accarezzò sul ventre, risalendo coi baci dall'ombelico fino alle clavicole.

È così sbagliato volermi perdere qui?

Ami gli prese il viso tra le mani, cercando un bacio lungo, intenso. Si spostò quando lui cercò di pesarle sopra, mettendosi su un fianco e sovrastandolo. Appoggiato contro lo schienale del letto, Alexander fu ancora più certo di tutto quello che aveva pensato.

L'avrebbe amata per il resto della sua vita. Lei era l'unica persona che lo faceva sentire così vivo, così completo.

Ami si incastrò con lui, poi sussultò e si tirò subito su, allungandosi di lato, sul comodino. Alexander la aiutò a recuperare il preservativo. Lo infilarono di fretta, insieme, per tornare a essere uniti come agognavano.

Tornando ad averlo in sé, Ami lo abbracciò. Rimase ferma, adagiata contro il suo petto, stringendolo.

Lui capì. Non essere sciocca. Appoggiò il viso al suo. Non ci sarà mai un'ultima volta.

Ami iniziò a ondeggiare come aveva imparato - per istinto e da lui - fino a offrirgli quanto di meglio poteva dargli in quel momento. Certezze.

Al termine, chetati, riposarono.

Senza che si fossero scambiati una sola altra parola, Alexander ne aveva sentite molte da lei. Eppure, Ami non aveva ancora cambiato idea.

«Spiegami» le chiese. Era deciso a capire, ora che si era calmato.

Ami si sollevò, per smettere di avvolgerlo col proprio corpo, forse per non distrarlo. O magari per iniziare a distanziarsi, ma non era più il primo pensiero che lui voleva avere.

«Erano cose che pensavo già da tempo. Ma ho preso questa decisione solo quando ho saputo dell'influenza del mio potere su di te.»

... almeno era sincera. Era una decisione, non una proposta. Lei non aveva intenzione di rivedere il suo proposito.

«A causa del fatto che diventerebbe un vincolo potenzialmente eterno?»

«Sì.»

Lui provò a seguire il ragionamento. «Di cosa dovrei pentirmi, Ami?»

Lei appoggiò le mani sulle sue spalle, allontanandosi per guardarlo meglio. «Non credo che le cose che posso immaginare completino la lista.»

Era un modo così tragico di esporre la questione, da risultare desolatamente comico.

Ma lei non si stava divertendo. «Per esempio... Se in America tu scoprissi che non vuoi aspettare per lavorare alla Nasa, come sognavi? So che avresti tempo, con me - tantissimo - ma l'attesa potrebbe generarti frustrazione. È più normale che una persona della nostra età sia pronta a studiare che a...»

Sposarsi. Mettere su famiglia.

Se solo fossero rimasti ai tempi in cui lei era ancora capace di dire, 'Un giorno voglio che ci sia un Adam.'

Ami proseguì. «Magari non sarà nemmeno questo. Al MIT potresti scoprire che la tua passione è un'altra. Forse avrai voglia esplorarla subito. Non sappiamo nemmeno quanto tempo ci vorrà per tornare a essere persone normali in qualcosa. Parliamo di dieci anni come minimo. Forse venti. Trenta.»

Era tanto tempo, sì. Non era un'idea che lui trovava completamente piacevole.

«Non ti sto chiedendo di mettere da parte un futuro insieme, Alex. Penso solo che, con una pausa, sarebbe più facile focalizzare tutte quelle cose che un giorno potrebbero sembrarti grandi limitazioni.»

Lei aveva un modo unico di rivoltargli l'animo. «Una pausa?»

Ami ebbe un'esitazione. «Nel sentirci.»

«Quindi non una pausa nella nostra relazione.»

Non capiva nemmeno come potessero fare un discorso simile mentre erano ancora nudi, semi-abbracciati.

Il silenzio quasi lo uccise.

Lei chinò la testa. «È un periodo breve che non cambierà nulla se per noi non cambierà niente.»

Lui riuscì a mantenersi calmo solo perché poté stringerle le mani. «Dimmi che parli così solo per... coerenza e completezza.» Nella testa di lei, quel periodo di silenzio doveva significare dargli la possibilità di riflettere e cambiare idea sul loro futuro, perciò bisognava prendere in considerazione la possibilità che lui non volesse più tornare a essere una coppia con lei, dopo.

Ami aprì i palmi tra le sue mani, incrociando le loro dita. «Mi fa male dire queste cose. Non è una proposta che avrei scelto di farti se ormai non fosse necessaria. Quindi... non posso agire a metà. Non posso da una parte dirti di andare, perché questo è l'ultimo periodo in cui potrai fare scelte completamente autonome e libere, e poi giocare a tenerti stretto a me, ricordandoti che sarò qui ad aspettarti. Sarebbe ingiusto. Il silenzio a quel punto sarebbe persino crudele. Potrei semplicemente chiamarti tutti i giorni come avevo intenzione di fare all'inizio. Per come ti conosco, ti terrei legato nello stesso modo.»

Era un ragionamento sensato, almeno nella testa di lei. Eppure andare via, senza nessuna promessa, era un'idea che generava in lui... paura? Inquietudine.

Sentì che era qualcosa che aveva bisogno di capire su se stesso.

Ami lo guardava negli occhi. «Ci penserai?»

Solo a una condizione. «Voglio che anche tu pensi al motivo per cui mi stai facendo questa richiesta.» Chiarì, prima di sentirla protestare. «Potresti trovare argomentazioni valide anche per l'idea che siamo pronti già adesso a restare insieme. Invece hai scelto di focalizzarti sulla tesi opposta. Voglio che ti domandi il motivo.»

Interdetta, Ami annuì. Si scostò, sedendosi accanto a lui. «Lo farò.»

Bene. E adesso lei non doveva prendere male una sua decisione. Non nasceva da una volontà di ripicca. «Ho bisogno di tempo per pensare a queste cose. Visto che sarà una separazione lunga, un assaggio mi aiuterà a capire se posso sopportarla.»

Vedere la reazione di Ami lo aiutò a capire maggiormente: lei era affranta, ma determinata a non mostrarlo. Voleva sopportare con rassegnazione. «È giusto.»

... testarda.

Non dissero più nulla.

Lui aveva bisogno di qualcosa prima di entrare in quel periodo di penitenza. «Ami love.»

Lei raddrizzò la testa.

«Ricordami come mi chiameresti, se tutto questo problema non esistesse.»

Lei si sciolse in un pozzo di serenità, prezioso per quanto era effimero. «My love. My only love.»

Unirono i visi, sfiorandosi con un bacio. Poi lui si alzò e si rivestì.

 


  

Tornarono a Tokyo senza discutere ulteriormente di quella situazione, per l'impegno che avevano preso.

Ami era devastata, ma non pentita. Si sentiva come se avesse commesso l'errore più grande della sua esistenza, eppure non avrebbe potuto comportarsi diversamente: non avrebbe amato davvero Alexander se avesse fatto di tutto per tenerlo legato a sé, pur sapendo che in quel modo poteva rovinarlo. Impedirgli di inseguire sogni che lui non sapeva ancora di avere non era altro che quello.

Finché c'era stata la possibilità per Alex di tornare indietro, aveva avuto un senso aspettare e vedere come andavano le cose tra loro. Secondo lei erano perfette, ma se non gli dava quell'unica preziosissima possibilità di riflettere sulle scelte che stava compiendo, lui non l'avrebbe mai più avuta - non alle attuali condizioni.

Non si facevano passi indietro facilmente quando c'era una famiglia, quando c'era un bambino. Fosse stato solo quello, poi. Alex non sarebbe potuto tornare a condurre una vita normale con semplicità, una volta che si fosse legato a una persona universalmente nota come guerriera Sailor.

Se stando al MIT cambiava idea su tutto, era quello il momento giusto per uscire da quella situazione e dalla loro relazione.

L'idea non le generava dei brividi. Era un'eventualità così assurda da causarle solo un vuoto dentro il cervello, nel cuore, una sensazione di... silenzio assoluto.

Potrebbe lasciarmi.

Lei lo stava persino spingendo in quella direzione col proprio atteggiamento, ma... ma...

E se andasse via davvero?

Probabilmente lei avrebbe pianto per il resto dei suoi giorni. Non sarebbe mai più stata intera.

Tuttavia, non era in suo potere convincerlo a restare. Se lui sceglieva di andare, significava che prima o poi sarebbe finita comunque - che il suo amore era stato fortissimo, ma confinato a quei pochi anni, alla loro giovinezza.

Perché ci ragionava su in quel modo, come pensando a un estraneo? Era Alexander. Era il suo amore. Lui avrebbe dato la vita per stare con lei.

Io ci credo, non finirà.

Aveva finito col riflettere, più e più volte, sulla domanda che lui le aveva posto.

Perché aveva scelto di concentrarsi sulla possibilità che lui non fosse felice con lei, in futuro? Lo aveva fatto prima di sapere quanto era stato vicino un possibile punto di non ritorno.

Erano... paure. Da dove uscivano?

Dalle probabilità, si rispondeva. Erano tante le persone che si pentivano di decisioni importanti prese da giovani - statisticamente, il cervello terminava di maturare solo intorno ai venti, venticinque anni. Era vero che le loro circostanze li avevano resi più maturi della loro età, ma era arrogante pensare che solo per questo avessero l'esperienza di vita di un adulto formato. Lei aveva sentito troppe storie di persone che avevano rinnegato completamente scelte del passato, parlando di come la maturità acquisita avesse fatto loro capire la portata dei loro errori. Non voleva che Alexander fosse uno di loro, un giorno.

Dando per assodato che loro due erano ancora immaturi, c'erano comunque altrettante esperienze di coppie che avevano superato una vita insieme pur conoscendosi da giovanissimi, nonostante i molti problemi incontrati nel percorso. Non era tutta una questione di ragionamenti, di calcoli. Era fondamentale la volontà.

“Tu non mi credi!” era stata l'accusa di lui.

Era davvero così?

C'erano momenti in cui Ami percepiva, sapeva, che Alexander provava sentimenti forti quanto i suoi. Quando stava con lui non aveva dubbi. Leggeva nella sua mente come lui leggeva in quella di lei. Si capivano su ogni cosa, era una comunione di pensieri assoluta.

Era la distanza a farle mettere in prospettiva la situazione, normalizzandola. Lui poteva essere sicuro solo di quello che provava al momento, come chiunque. Non c'era sentimento che non si affievolisse col tempo, che non cambiasse. Seguendo quella logica, anche quello che provava lei poteva mutare con gli anni.

“Sei tu che hai dei dubbi!”

No. Quello che lei sentiva non era comune, era diverso. O forse lo era solo nella sua testa, ma sapeva che il modo in cui amava Alexander non poteva diminuire. Conosceva la maniera in cui lo amava adesso e non aveva idea di come lo avrebbe amato un giorno - poiché potevano cambiare entrambi - ma non avrebbe mai potuto dimenticare il tempo trascorso insieme e tutto ciò che li aveva legati. Pertanto, poteva solo amarlo di più in futuro: ogni singolo cambiamento che lui aveva manifestato era stato solo un motivo per lei di tenere di più a lui.

Conosceva la parte più intima e profonda del suo ragazzo - erano complementari, in sintonia assoluta. Non potevano rivoluzionarsi fino a cancellare l'essenza di sé. E anche se fosse successo, tra secoli, si sarebbero accompagnati a vicenda nel percorso di trasformazione. Erano leali, attenti, desiderosi di farsi del bene a vicenda.

... se era tutto così perfetto, se conosceva Alexander e la loro relazione a tal punto, perché prendeva in considerazione la possibilità che lui cambiasse fino a pentirsi di essere rimasto con lei?

Perché non sono onnisciente e devo essere umile. Anche io sono solo una ragazzina innamorata.

Le sue assolute certezze potevano essere illusioni. Lei ci credeva così tanto che le avrebbe rese reali. Era pronta a scommettere la sua esistenza su quello che provava, ma... non poteva chiedere ad Alexander di fare la stessa cosa. Non finché lui non ne fosse stato ragionevolmente più sicuro.

Smise di mandare avanti il ragionamento, provando ad ascoltarsi da sola.

I suoi pensieri avevano proprio il sapore dei dubbi.

Per lei era normale averli quando desiderava troppo qualcosa. Sperare di essere amati non sempre portava a dei buoni risultati e... sembrava irreale essere tanto importante per un'altra persona - anche se si trattava di Alexander.

Comunque, amore era pazienza, abnegazione. Era mettere chi amava prima del più forte desiderio personale che aveva. Non era importante quanto lei volesse avere Alexander vicino: se questo non era sufficiente a rendere più giusta la vita di lui, doveva lasciarlo andare.

Stava ad Alex deciderlo. Solo lui poteva sapere cosa voleva. Lei non avrebbe sfruttato la sua debolezza - il desiderio di farla felice - contro di lui.

Devo darti più di quanto prenda da te.

Per la verità, aveva l'impressione di aver preteso molto da lui nell'ultimo anno e mezzo. Per questo era giunto il momento di ricambiare.

A qualunque costo, a qualunque prezzo.

   

Nei primi giorni, Alexander aveva faticato a riflettere. Si era concesso di penare: in fondo, sarebbe stata la sua condizione permanente in America, se andava via da Tokyo accettando la decisione di Ami.

Una pausa.

Non importava quale fosse lo scopo, per lui era un termine odioso.

Una pausa, innanzitutto, significava la libertà di inseguire altre relazioni. Ami non lo avrebbe mai fatto, ma la sola idea che lei potesse lasciarsi avvicinare da qualcun altro, immaginando che altrove lui stesse facendo lo stesso...

Aveva faticato a non far ribollire il sangue.

Una pausa significava anche sentirsi abbandonati.

Su quel concetto aveva meditato molto.

Grazie all'ultima discussione con Ami, aveva dato una forma più chiara alla dipendenza che aveva da lei - una condizione che aveva accertato già da tempo.

Amami anche meno di quanto ti amo io, aveva pensato. Purché tu non possa stare senza di me.

... perché quel bisogno di sentirsi necessario per lei? Perché gli faceva male pensare che Ami potesse sopravvivere in pace senza di lui?

Per logica, temeva sensazioni che aveva già provato. Con fastidio, aveva cercato di ricordare quando si era sentito in quel modo. Qual era l'origine di quella paura?

“La mamma va a fare compere.” In un ricordo, sua madre Eve, con un sorriso gentile, nervoso, si muoveva rapida verso la porta, sfuggendogli. “Gioca con Nanny Shoko.”

Lui si era risentito, perché voleva sua madre, ma lei non desiderava mai restare con lui.

“Magari ti ci porta papà.” Sempre sua madre, e un'altra bugia, in un nuovo sfuggente ricordo. Suo padre Michael non voleva avere a che fare con lui, ancora meno di lei. Quando non era occupato a lavorare, andava a cenare con amici, assieme a sua madre. E lui restava a casa da solo, con la tata del giorno - quando ancora non c'era Nanny Shoko.

Aveva in mente un episodio specifico, che ricordava da sempre. Gli era rimasto stampato in testa come emblema dell'atteggiamento dei suoi genitori nei suoi confronti.

Era un bambino, di cinque o sei anni. Era sera. Si era tolto il pigiama che gli avevano messo, cercando nell' armadio i vestiti eleganti, per uscire assieme ai suoi genitori. Voleva accompagnarli, non voleva più essere lasciato indietro. Li aveva sorpresi sulla porta, raggiungendoli.

Sua madre era stata fiera di lui. “Che bravo, ti sei vestito da solo? Sei così carino!”

Alexander si era goduto i complimenti. Era stato felice finché non aveva visto il sorriso condiscendente di suo padre - un sorriso che lo scherniva, che già negava.

“Okay, ma ora torna a dormire.”

“Io voglio venire con voi!”

"No, è una cosa da grandi. Va' a letto.”

Sua madre non lo aveva supportato per nulla. Gli aveva offerto una scrollata di spalle graziosa - faceva sempre così, come se non fosse mai colpa sua. “Su, va' a sentire la favola della tata.”

Alexander si era messo a piangere. Loro erano usciti dalla porta, senza tornare indietro.

Avevano preso per un capriccio un desiderio serio, disdegnando l'unica volta che lui aveva avuto il coraggio di opporsi ai loro continui abbandoni.

La sensazione di esclusione era stata assoluta nella sua testa di bambino.

Non voglio mai più sentirmi così.

Con Ami aveva scelto una persona cresciuta in condizioni non troppo diverse dalle sue, a cui poteva dare l'affetto che lui stesso aveva desiderato.

Si sentiva così bene quando riusciva a sanare in lei quel vuoto. Ami faceva lo stesso per lui. Eppure, adesso gli diceva che poteva andare avanti anche senza la sua presenza.

... per lui era diverso. Traumi d'infanzia a parte, aveva bisogno di un legame presente, continuo.

Naturalmente in quattro mesi non sarebbe cambiato nulla tra loro - nemmeno mille anni avrebbero spento quello che provava per lei - ma... era una sofferenza immane separarsi in quel modo. Se poi Ami lo stava facendo davvero per lui, per dargli una scelta, era una cosa assolutamente inutile.

Lei probabilmente aveva sfogliato i depliant del MIT - un suo discorso glielo aveva fatto pensare. Anche lui li aveva letti e si era riempito la testa di sogni. Non limitava la propria immaginazione alla possibilità di frequentare la migliore delle università. Sarebbe diventato il compagno di una guerriera Sailor e, poiché era una condizione con oneri e grossi limiti, era pronto a sfruttarne tutti i vantaggi, a tempo debito.

Appena ne avesse avuto la possibilità, si sarebbe specializzato in tutte le branche di sue interesse. Avrebbe avuto un'infinità di anni a disposizione per farlo. Nel momento in cui avesse deciso di concentrarsi su una ricerca, avrebbe avuto mezzi che una persona normale poteva solo sognare. Se non per una questione economica, per una questione di potere: sarebbe stato amico della regina della Terra, dopotutto - lo aveva detto Usagi stessa.

Erano progetti di cui aveva parlato ad Ami, nel momento in cui aveva iniziato a concepirli. Lei li aveva presi per uno scherzo - forse sottovalutando la sua ambizione - ma lui era serissimo.

Se doveva sacrificare qualche decennio di vita per arrivare a quella condizione, non sarebbe stato facile, ma ne sarebbe valsa la pena. Da persona comune il suo tempo per studiare e fare ricerca era estremamente limitato. Invece, nella strada che intendeva seguire, aveva secoli di studio davanti a sé. Avrebbe potuto plasmare il futuro del mondo.

Nell'attesa, lo attendeva la vita migliore che potesse immaginare - l'inizio di un'esistenza con la ragazza che lo rendeva felice. Forse era presto per il matrimonio, e per un bambino, ma più sentiva che quelle possibilità si allontanavano, più le desiderava.

Sarebbe stato bello rendere Ami una madre, perché lei aveva tanto amore da dare - più di quanto lui riuscisse ad assorbire. Per quanto riguardava lui stesso, responsabilità a parte, sarebbe stato divertente gestire un bambino. Gli avrebbe voluto molto bene - già solo per il fatto che sarebbe nato da Ami - e questo avrebbe reso la sua vita migliore.

.... era tutto così chiaro e lineare che non capiva come lei potesse non coglierlo. Al punto in cui erano arrivati, non sarebbe nemmeno bastato spiegarglielo di nuovo.

Ami stava agendo sulla base di paure personali che lui aveva creduto di essere riuscito a sedare nei quasi due anni che avevano trascorso insieme. E invece...

Qualche altro giorno di discussione non avrebbe cambiato le cose.

Era una sconfitta.

Alexander non voleva ancora rassegnarsi all'idea che, per convincerla davvero che non c'era da temere per il loro futuro, dovesse interrompere le comunicazioni con lei per così tanto tempo. Non era sicuro che qualcosa in lui non sarebbe uscito incrinato dalla necessità di dimostrare altra pazienza.

Sin dall'inizio era stato comprensivo, troppo, per paura di essere rifiutato. Ami lo lasciava, e quando tornavano insieme lui non chiedeva la ragione. Per mesi lei era reticente a contatti più intimi di un bacio e lui nemmeno si preoccupava di farle capire che voleva di più - per non spaventarla. Scopriva che lei era una guerriera Sailor e da subito non gli importava - non si preoccupava del silenzio, delle verità omesse per quasi un anno - pur di avere la certezza che sarebbero rimasti insieme. Infine, lei iniziava ad avere dei dubbi sul loro futuro e invece di rimanere fermo nella propria rabbia, lui si sforzava di comprenderla.

Non gli andava più bene. Non gli era mai parso di sopportare in precedenza, ma ora stava avendo quell'impressione.

Perché non mi ascolti?

Col fiatone, smise di correre, rallentando il ritmo fino a camminare lungo il muretto del parco. Il suo obiettivo era la fontanella che zampillava acqua al centro del piazzale.

«Ehi!»

Si voltò.

Yuichiro lo raggiunse a passo svelto. «Ciao! Era da tanto che non ti vedevo correre!»

Già. Ma finalmente era sabato, e dato che non stava vedendo Ami... «Come va?»

«Bene, e a te? Manca poco alla tua partenza!»

Esatto. Una settimana.

Yuichiro notò la sua espressione. Abbandonò la corsa sul posto e, incerto, si grattò la testa. «Ehm... l'altra sera Rei voleva fare un'uscita di coppia con te ed Ami.»

Ah.

«Ami ha detto che eri impegnato.»

Bell'uscita diplomatica.

Yuichiro aveva domandato per vedere come lui reagiva.

Smettendo di camminare, Alexander si chinò sul getto della fontana. Bevette, poi parlò. «Non stiamo litigando.»

«Okay.» Yuichiro era sollevato, ma ancora confuso.

«Non siamo d'accordo su una cosa importante.»

«Non devo sapere, però... mi dispiace vederti abbattuto, proprio adesso.»

Già. Stava per partire e sarebbe tornato solo a Natale.

Era ancora agosto. Si avvicinava il compleanno di Ami.

Sentì il bisogno di sfogarsi. «Lei vuole che non ci sentiamo per tutta la durata del mio scambio in America.»

Yuichiro era sorpreso. «Ami?»

«Sì. Si è intestardita.»

Come lui, Yuichiro non capiva. Si fece ancora più incredulo. «Sarebbe una specie di... pausa?»

Ecco! «Suona così, vero? Lei dice che mi serve del tempo per pensare al futuro.»

Yuichiro non commentò. Andò a sedersi sulla panchina vicina, per spremersi meglio le meningi.

«Nemmeno Ami sa a cosa dovrebbe servire questo periodo di prova» continuò Alexander. «Pensa di saperlo. Ci ha costruito sopra tutto un ragionamento, ma non è possibile che siamo stati insieme per tutto questo tempo - in tutto quello che abbiamo passato - senza che lei non abbia già ottenuto le certezze che dice di voler trovare. Per me, non per se stessa - è questa la scusa che si dà.»

«Si riferisce al futuro lontano.»

«Sì, quello eterno.» In cui erano coinvolti tutti quanti.

«Un po' di paura è normale.»

Alexander ascoltò.

«Ma non può superare il desiderio di capire quello che vuoi tu. Non sembra una cosa da lei.»

Già. Di solito Ami si prodigava per dargli quello che voleva, una volta che aveva inquadrato cos'era. Almeno non era il solo a pensarlo. «Non ne ho parlato di nuovo con lei, ma è possibile che non riesca a farle cambiare idea.»

Yuichiro era preoccupato. Si alzò. «Spiegami meglio mentre andiamo al tempio.»

A casa sua?

Yuichiro annuì. «Su una cosa del genere Rei potrà darti più risposte di me. Hai bisogno di qualcuno che conosca Ami da tanto perché io...» Scosse la testa. «Non riesco a capire. Non sembra la Ami che vedo con te. Lei non ti lascerebbe andare.»

Sentirlo dire a un'altra persona lo sanò. Esatto, Ami non voleva lasciarlo andare via in quel modo, nonostante quello che diceva.

Seguì Yuichiro verso il tempio Hikawa.

  

Non trovò una Rei Hino molto ben disposta. Erano le otto di mattina di un fine settimana e Yuichiro dovette andare a svegliarla per portarla in salotto.

Senza ancora aver bevuto il suo caffé, lei era meno benevola del solito.

«Non vieni mai a parlarmi e ti decidi a farlo all'alba di un sabato?»

Alexander si divertì. «Io e Yuichiro eravamo fuori a correre da un'ora.»

«Non so quanto vi danno per andare a sudare con questo caldo.»

Yuichiro si avvicinò al tavolo con una tazza fumante. Rideva. «Più tardi il sole scotta troppo. Possiamo allenarci solo di mattina presto.»

Lei ricevette in mano il caffé. Portandolo al naso aggrottò la fronte, disgustata e pentita. «Non lo voglio!» si lamentò.

Yuichiro non capì. «Eh? Ma tutte le altre volte...»

«Oggi fa troppo caldo! Yuu...» lo implorò, rendendogli la tazza. «Per favore, portami qualcosa di freddo!»

Lui era ansioso di accontentarla. «Dello yogurt?»

«Sì. E dei toast. Con la marmellata che ho messo ieri in frigo.»

«Torno subito!»

La scena suscitò in Alexander una risata bassa.

Rei mise il broncio. «Non prenderlo in giro. Yu è buono con me.»

«Non ridevo di lui. È per il modo in cui vi comportate. Andate molto d'accordo.»

Rei accettò il complimento. «Lui ha molto pazienza.»

Non sempre Alexander lo capiva, ma in quel momento lo invidiava. Non importava il tipo di rapporto che avevano due persone, contava solo che fossero felici. Yuichiro era molto servizievole con Rei, ma Alexander era sicuro che lei lo ripagasse a modo suo. Anche solo la gratitudine con cui lo aveva guardato dava un'idea di come lei facesse sentire al suo ragazzo l'importanza che lui aveva nella sua vita.

Rei sospirò, incrociando le braccia. «Yu ha detto che sei qui per parlare di Ami. Questo mi impensierisce.»

«Hai già deciso di darmi la colpa?»

«Chi l'ha detto? So che lei ha tante fisime. Mi preoccupa che tu voglia parlarmi di lei ora, quando stai per partire. Significa che Ami le sta tirando fuori adesso.»

«È così.»

Rei sbuffò. «Quella ragazza...» Si sporse per ricevere il vassoio che Yuichiro stava portando. Sul ripiano c'era tutto quello che lei aveva chiesto, più un succo d'arancia che le fece spuntare un grosso sorriso in volto. «Raccontami tutto mentre faccio colazione. Grazie, Yu.»

Alexander iniziò a parlare.

Rei e Yuichiro lo ascoltarono con attenzione. Lui raccontò tutto quello che aveva in testa, teorie comprese.

Tentò di lasciare da parte ciò che provava in merito a quella situazione. Se stava rivelando ad altri con tanto dettaglio quello che stava succedendo, era solo con la speranza di capire meglio cosa stava passando per la testa ad Ami.

«Non le hai più parlato da allora?» gli domandò Rei.

«No. Non la sto punendo. Devo ancora decidere cosa dirle.» Anche se il tempo a loro disposizione stava finendo.

Lui non aveva intenzione di lasciar passare altri giorni nel silenzio, senza vederla. Di lì a breve non l'avrebbe vista più, per cause di forza maggiore, per infinite settimane.

«Non è venuta a cercarti.»

Il commento di Rei non gli suonò bene.

«È determinata» commentò lei.

Così pareva anche a lui.

Rei smise di giocare col cucchiaino che teneva in mano. «Chiariamo: vorrei prenderla per le spalle e scuoterla fino a farle entrare un po' di sale in zucca. Però...» Si interruppe e guardò verso il cortile, pensando. «Credo di capire perché si comporta così.»

Se aveva un'idea, lui era aperto a ogni opinione.

«È un discorso ampio, ma seguimi: che cosa ti fa credere nell'amore?»

Era un discorso ampio davvero. «Aver visto che esiste?»

«Sì, ma vederlo da fuori non è abbastanza convincente. Devi averlo provato sulla tua pelle per crederci. Per far sì che una persona abbia fiducia nell'amore, deve esserci qualcuno che l'abbia amata.»

... non parlavano di amore romantico. «Intendi, da bambini?»

Rei annuì. «È la prima prova d'amore che riceviamo.»

Il ragionamento gli sembrava fallace. «Io non ho avuto dei grandi genitori. Credo comunque nell'amore.»

Rei aveva pronta una risposta. «Anche mio padre è stato pessimo e non ricordo granché di mia madre. Non parlo per forza di genitori. Parlo di qualcuno, chiunque, che a un certo punto della tua vita ti abbia convinto che sei una persona degna di essere amata, proprio nel momento in cui eri più influenzabile, indifeso e pronto a credere a tutto. Per me quel qualcuno è stato mio nonno.»

Alexander si accorse dell'attenzione con cui Yuichiro guardava Rei.

«Ami mi ha detto che non avevi una relazione stretta coi tuoi genitori, ma fino all'anno scorso, a casa tua, non stava ancora quella tata? La signora Shoko? Ami ha detto che le sei ancora affezionato.»

«È stata come una madre per me.»

Rei aveva provato il suo punto. «È la persona che ti ha dimostrato che sei importante e degno di essere messo davanti a ogni altra esigenza. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno così.»

Lui stava iniziando a capire in che modo quel discorso si legasse ad Ami.

Rei proseguì. «Quando ho conosciuto Ami, lei era una ragazza... titubante. Interagiva con noi, ma stava un po' in disparte. Meno con Usagi, perché Usagi non ti permette di chiuderti in te stesso. È contagiosa.»

Parlava di ricordi felici.

«Ad Ami piaceva quando la includevamo nel gruppo, e quando c'era da intervenire lo faceva con forza se aveva delle convinzioni ferme, ma poi si comportava come se avesse qualcosa di cui scusarsi. Come se avesse imposto troppo una presenza non richiesta.»

Suonava proprio da Ami.

«Quando ci siamo affezionate l'una all'altra, Ami non aveva remore a mostrare che teneva a noi, ma si stupiva quando noi dimostravamo di tenere a lei. Era una cosa che la destabilizzava all'inizio. Non sapeva come reagire. A me sembrava troppo timida e ritrosa. Provavo a convincerla a essere più rilassata, ma per lei non era normale sentire di essere fondamentale per la felicità di qualcun altro.»

Con uno sguardo, Rei capì che lui sapeva di cosa stava parlando. «È cambiata tanto da quando avevamo quattordici anni. Ma alcune sensazioni rimangono nella parte più profonda di noi.»

«Sua madre non è così male.» Alexander non sapeva nemmeno perché stava difendendo la signora Saeko.

«Però lavora tanto.»

«Sì. Ma per Ami questa non è più una situazione pesante.»

«Si è abituata. Trova naturale essere seconda rispetto al lavoro di lei.»

Di questo si era accorto anche lui.

Rei sospirò. «Comunque il cuore del problema non è Saeko-san. Ricordi qualche mese fa, alla cerimonia del diploma? Per un momento Ami ha creduto che suo padre fosse venuto a vederla.»

Già. Ami si era confusa a causa sua. Lui le aveva chiesto, “È venuto tuo padre?” Nella calca della folla che parlava tutta insieme, lei non aveva capito che era una domanda. Aveva creduto che suo padre si fosse presentato per quel giorno importante della sua vita - una cosa che anche Alexander aveva dato per scontata.

Le era mancato il fiato. Si era voltata, guardandosi attorno, colma di speranza.

Al suo fianco Rei aveva compreso prima di lui che cercava qualcuno. “Chi cerchi?”

“Mio padre”, aveva risposto Ami, esitando a esplodere in un sorriso. “È venuto.”

Alexander si era avvicinato ad ascoltare e aveva capito di essere stato frainteso. “No, chiedevo se era arrivato.”

Aveva visto qualcosa spegnersi negli occhi di Ami. Lei aveva nascosto la delusione. “Papà non viene. Non è una cosa che fa per lui.”

Lui aveva compreso quanto lei ci fosse rimasta tremendamente male. “Love...”

Ami aveva scosso la testa, forzatamente serena. “È fatto così. Ma ci sono le ragazze e la mamma. Ci sei tu.” Lo aveva baciato, in pubblico, incurante degli sguardi. “Sei venuto tu per me.”

Terminando di ricordare l'episodio, Alexander ebbe una migliore comprensione di quello che Ami stava facendo.

Rei lo osservava. «Ami non è cresciuta sapendo che per qualcuno lei veniva prima di qualunque altra cosa. Sono certa che Saeko-san abbia cercato di dimostrarglielo. Ami ha tanti bei ricordi di lei, ma da piccola tornava a casa e spesso sua madre non c'era. Non serve essere presenti solo nei momenti importanti per far pensare a qualcuno che conti davvero per lei.» Parlandone, Rei stessa si rattristò. «Il padre di Ami ha inciso a fondo dentro di lei l'idea che esistono sogni, passioni - cose - che possono contare più di lei nella vita di chi dovrebbe amarla. È questa la realtà che Ami è abituata a gestire. Fa paura e fa male. Concedersi di sperare che qualcuno non ti tratterà mai più in quel modo equivale ad aprirsi alla possibilità di una delusione che può distruggerti.»

... lui capiva. Lo comprendeva. Ma questo significava che...

«Vale anche se parliamo di te, Alexander, che l'hai sempre messa al primo posto rispetto a qualunque altra cosa. Ami ha difese contro l'indifferenza, ma non è preparata a gestire l'idea che l'amore che provi per lei un giorno possa diventare qualcosa di simile alla noncuranza con cui è stata trattata. Se lo aspetta, o non lo esclude. Credo che... stia cercando di prevenire che accada, per come può.»

Lui non ebbe niente da dire. Stava iniziando a comprendere cosa doveva fare in merito alla scelta che gli era stato chiesta di fare.

Rei inclinò la testa, cercando i suoi occhi. «Ami dovrebbe fidarsi di te, ovviamente. Ma non ha in mente tutto quello di cui abbiamo parlato mentre prende le sue decisioni. Agisce per ragioni inconscie. Non sentirti per mesi, e poi vederti tornare, le darà la sicurezza che tu non cambierai con lei nel tempo. Ha razionalizzato la situazione che ha bisogno di veder accadere per sentirsi più sicura. Questo non esclude che stia davvero pensando anche a ciò che è meglio per te - quello che sostiene ha un senso - solo che... non sarebbe così ferma nella sua decisione se non ci fosse qualcosa di cui ha paura. Ti ascolterebbe di più.»

Per scrupolo, Alexander volle chiedere un'opinione. «Cosa dovrei fare allora?»

Rei scosse la testa. «Dipende da te. Se quello che vuole ti fa stare male, devi farglielo capire. Ami dovrebbe tenerti più in considerazione. Non mi sento di consigliarti di accontentarla. Non so nemmeno se alla fine dei quattro mesi sarà davvero convinta che tu non potrai mai più cambiare modo di tenere a lei. Ma come amica, penso che se l'hai amata per tanto tempo... Se sai come lei potrebbe sentirsi dopo...»

Yuichiro la fermò, mettendole una mano sulla spalla.

Alexander comprese il suo scopo. «Non preoccuparti. Non la sento come un'ulteriore costrizione.»

«Comunque» disse Yuichiro, «non è giusto che ti si chieda altro. Non esiste solo Ami nella vostra relazione.»

Rei era rimasta in silenzio, mesta. «Spero che riusciate a trovare una soluzione.»

Alexander chinò il capo, grato. «Lo spero anche io. Ti ringrazio per quello che mi hai detto. Grazie a entrambi.»

Salutò e tornò a casa.

  


 

Il conto alla rovescia era arrivato a sette, pensò Ami. Sette giorni alla partenza di Alexander per l'America.

Lei lo aveva messo in difficoltà imponendogli di riflettere su una decisione difficile. Lui meritava rispetto per il tempo che aveva chiesto per pensare, ma persino lei riusciva a comprendere che dovevano trovare un compromesso. Fargli capire che non sentiva il bisogno di averlo vicino, prima che se ne andasse, non era accettabile. Era un'ulteriore ferita, e lei gliene aveva già inflitta una grande.

Aveva iniziato a farsi venire dei dubbi.

Davvero non posso cambiare idea?

No. No.

Lo avrebbe intrappolato senza possibilità di scampo nella vita che voleva con lui, nei propri desideri.

Alexander meritava tutto ciò che era e che sarebbe diventato. Lei non poteva limitare un ragazzo come lui, senza avergli offerto almeno una possibilità.

«Chi è?»

Sentì la voce di lui nell'interfono del palazzo. La luce della telecamera la illuminava in viso. Lei non poteva vederlo di rimando e rimase in silenzio, in attesa.

La serratura del portone d'ingresso scattò.

Inspirando, Ami si fece coraggio e oltrepassò la soglia. Dentro l'ascensore, corrugò la fronte.

Sei egoista, si accusò.

Continuava a pensare a ciò che provava lei con riguardo a lui. In quel momento aveva timore di incontrarlo, e al contempo provava trepidazione, ma avrebbe dovuto pensare solo a come si sentiva Alexander, per la situazione in cui lei lo aveva messo.

Inoltre, il silenzio di mesi che gli aveva chiesto l'avrebbe fatta stare tranquilla in futuro. Questo era un punto della questione su cui si era molto concentrata.

Lo stava facendo per se stessa?

Lui non era felice con quella soluzione. Anche se l'avesse accettata, l'avrebbe subìta. Non era nella sua natura trattenersi dall'esprimere affetto per così tanto tempo, né crogiolarsi nell'idea che le cose sarebbero andate bene solo aspettando. Quella era lei.

Uscì dall'ascensore e si apprestò a suonare il campanello della porta. Alexander scostò l'uscio per primo.

Si guardarono.

«Ciao» disse lui.

Ami si sentì felice, vergognandosi. Ma Alexander ricambiò il sorriso, appena, e lei non si concentrò più sul senso di colpa. «Ciao.»

Lui si spostò per farla entrare.

Sull'ingresso lei tolse le scarpe e appoggiò di lato la borsa.

Alexander la attendeva in salotto, in piedi.

Ami seguì la direzione del suo sguardo. «Le tue valigie.» Erano posate a terra, aperte, piene per metà.

«Sto cercando di capire cosa portare.»

Lui doveva ancora andare al lavoro quella settimana. Sfruttare l'ultimo weekend libero per prepararsi al lungo viaggio era indispensabile. «Ti aiuto.»

«Ho fatto una lista.» Alexander gliela indicò, sul tavolo. «Dimmi se sto dimenticando qualcosa.»

Sarebbe stato via durante gli ultimi giorni dell'estate, poi per tutto l'autunno. Nelle ultime settimane le temperature sarebbero scese a livelli invernali.

Interi mesi in cui lei non avrebbe potuto vederlo, né sapere che esperienze aveva fatto. Non gli sarebbe stata accanto.

«Non portare troppe magliette» mormorò.

Lui si avvicinò di qualche passo. «Ne ho messe dentro una decina. Le userò per cambiarmi nei primi giorni, poi per andare a correre.»

Certo, lui voleva riprendere le corse mattutine. Avrebbe finalmente avuto il tempo.

Scorse la lista e sorrise. «Il cuscino?»

«Sai che preferisco usare il mio.» Divertito, Alexander le fece notare un segno accanto alla voce. «Lo porterò solo se avrò abbastanza spazio, ma voglio farcelo entrare.»

Già, lui dormiva molto bene col quel cuscino - era voluminoso e consistente, perfetto per riposare sdraiati su un fianco, come faceva lui di solito.

... lei non lo avrebbe visto svegliarsi per molto tempo.

«L'appartamento è pagato.» Alexander si era piegato un poco, per attirare la sua attenzione. «Per Shun era complicato affittarlo nei tre mesi in cui ero via e io volevo ritrovarlo com'era. Mio padre copre le spese. È soddisfatto che vada in America e per lui sono briciole.»

Ami annuì. Era un pensiero in meno. Non ne erano stati sicuri.

«Potrai entrare con la tua copia della chiave. Ti lascerò anche la mia.»

Certo. «Mi occuperò della posta. Toglierò la polvere.»

A lui spuntò un sorriso quieto. «No, intendevo... Potrai venire a stare qui tutte le volte che ti va.»

Ami sentì una stretta al petto - nostalgia, sempre più forte, al pensiero di una lontananza che ancora non si era concretizzata. «Mi fermerò a dormire qualche volta.» Nel letto che forse avrebbe conservato l'odore di lui.

«Porta Ale-chan se vuoi. Così non starai da sola.»

Lei allungò una mano, trovando un suo braccio. Si adagiò a lui, posando la fronte contro la sua spalla.

Avrebbe sentito la sua mancanza ogni singolo giorno.

Si sentì sfiorare su un gomito, poi Alexander si allontanò, sedendosi.

«Ho preso una decisione su quello che mi hai chiesto.»

... era molto calmo.

Lei non aveva idea di cosa stava per dirle.

«Accetto la tua idea a metà, Ami. Due mesi di silenzio, non quattro. Non ho bisogno di arrivare a Natale per capire cosa significherà l'esperienza al MIT nella mia vita. Per quanto riguarda noi... ho capito di aver bisogno di riflettere.»

... eh?

«Due mesi saranno sufficienti. Hai ragione quando dici che devo sfruttare questo periodo di lontananza per rivalutare cosa voglio dal mio futuro. Così le scelte che farò saranno le più giuste e ragionate.»

Era quello che lei gli aveva chiesto. Era quello che voleva.

Cercò una sua mano, cercando di non tremare. «Due mesi andranno bene.»

Si sentì stringere le dita e capì di non averlo ancora perso.

«Ci sentiremo a novembre?» gli domandò.

Lui annuì.

Lo aveva portato a pensare che aveva bisogno di riflettere su loro due.

Per l'ansia, Ami non sentì altro che il battito del proprio cuore. «Io... Questo ultimo anno e mezzo insieme...»

«Lo so, Ami, non fare già i discorsi finali. Terrò a mente tutto quello che abbiamo passato. Tutto quello che ci siamo detti.»

Per lei ogni singola parola era ancora vera. Non voleva che cambiasse nulla, niente.

Avanzò di un passo, e quando lui non si ritrasse lo abbracciò con tutta la propria forza.

Non si permise un solo altro pensiero.

Lo strinse e lo amò con ogni frammento della sua anima.

  


 

Alla fine, la scelta più giusta si era formata nella mente di Alexander con naturalezza, senza quasi pensarci.

Ne aveva ricavato un senso di pace, e la sensazione che non avrebbe potuto comportarsi in maniera diversa.

Due mesi di silenzio servivano se l'idea che ci fossero lo aveva messo tanto in agitazione.

Non era più preoccupato.

Aveva pensato alla Ami che era ancora rassegnata a non avere un padre che le voleva più bene di qualunque altra cosa, e si era ricordato della Ami che un anno e mezzo prima era tornata da lui, in lacrime, per dirgli che aveva mentito, che lo amava e voleva stare insieme.

Lei aveva già rischiato, per lui.

Si era messo a pensare all'anno che avevano trascorso nella serenità più assoluta, e a quanto la loro relazione fosse diventata più forte dopo che lui aveva scoperto la verità, nonostante tutto.

Alieni, poteri, una vita millenaria... Non lo aveva scalfito niente.

E ora lo spaventavano pochi mesi di distanza?

Perché non era sicuro. Perché anche lui aveva ancora paura di essere abbandonato, dimenticato, messo da parte.

Eppure, la sua certezza che Ami lo avrebbe amato esattamente come prima al suo ritorno non erano solo parole. Era una verità di cui era cosciente fin nel profondo del suo essere.

Anche se ormai ne era convinto, una breve separazione gli avrebbe fatto bene, per seppellire in eterno, coi fatti, quel timore dove meritava di stare: nel passato.

Con quella decisione si sentiva finalmente a posto, anche per ciò che ne avrebbe tratto Ami. Lei meritava di essere liberata da quell'incertezza, che la condizionava e la confondeva.

Lui non stava più riflettendo sui se, né sui come. Forse, come aveva detto Rei, quel periodo di assenza di comunicazioni non sarebbe bastato a convincere completamente Ami che non c'erano più rischi che lui cambiasse idea in futuro, su di lei, ma Alexander non aveva inteso fare promesse a vuoto.

Se diceva di voler spostare il mondo per Ami, allora aveva anche intenzione di cambiare il modo in cui lei vedeva il mondo che la circondava. Esisteva qualcuno che l'avrebbe sempre messa al primo posto. Sarebbe riuscito a convincerla che quella persona esisteva ed era lui. Non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, né cosa sarebbe stato necessario fare. Sarebbe riuscito in quell'impresa con lei, perché tutti e due tenevano a rendersi felici stando insieme.

Era la prima tappa ostica di un percorso che avrebbe presentato altre difficoltà in futuro. Non sarebbe mai stato tutto semplice e sereno in una vita lunga come quella che avrebbero avuto. Proprio perciò, lui non intendeva arrendersi al primo ostacolo.

Non era più un sacrificio, né una sofferenza. Si trattava semplicemente di una presa di consapevolezza.

Aveva ridotto il tempo di silenzio richiesto da Ami perché quattro mesi di silenzio erano solo una tortura. Al fine di quello che avevano bisogno di capire, singolarmente e insieme, la metà del tempo bastava.

Nonostante quello che diceva, Ami sarebbe stata in ansia già per tutto settembre e ottobre.

Forse lui aveva incrementato le sue preoccupazioni con le parole che aveva scelto per comunicarle la propria decisione, ma era necessario: lei doveva convincersi che lui stesse rivalutando a fondo la possibilità di un futuro insieme, o al termine dei due mesi poteva trovare altre scuse per non essere ancora sicura, guidata com'era dalla paura. Ami doveva essere sinceramente convinta che lui stesse ragionando come lei, sui pro e i contro, poiché nella sua testa solo i ragionamenti logici erano inconfutabili e rendevano le decisioni salde.

Aveva senso. Solo che quei ragionamenti lui li aveva fatti tempo addietro e continuavano a dargli la stessa risposta.

Da novembre ci avrebbe creduto di più anche lei.

A due giorni dalla sua partenza, Alexander era sereno per il futuro e triste all'idea della lontananza.

Lui avrebbe avuto modo di distrarsi in America: c'erano lezioni interessanti da frequentare e un ambiente nuovo da scoprire. Avrebbe anche rivisto Shun.

Ma Ami... Ami sarebbe rimasta in Giappone con le proprie preoccupazioni.

La separazione era necessaria, eppure questo non lo faceva sentire meglio al pensiero di quanto lei sarebbe stata sola e incerta.

Le servirà.

In sua assenza, nei limiti del loro d'accordo, stava provando a fare qualcosa per lei - tramite una delle ragazze.

Per il resto, doveva accettare che era una situazione che non poteva cambiare. Doveva avere pazienza.

Novembre sarebbe arrivato con lentezza, ma inesorabilmente.

A quel punto, sarebbe andato tutto a posto.

  


 

Ultimo sabato di agosto. L'aereo di Alexander per Boston partiva alle sei e mezzo di sera.

Ami era andata a trovarlo sin dalla notte prima. Aveva dormito abbracciandolo. La mattina, aveva ricontrollato con lui le valigie e la casa.

Avevano lasciato l'appartamento alle due, per raggiungere il nuovo aereoporto internazionale di Tokyo, a Narita, col treno, carichi di due grossi bagagli più il trolley che lui si sarebbe portato in cabina. Conteneva un cambio di emergenza e il suo computer - nel caso perdessero il resto dei bagagli, aveva chiarito Alex. Una volta gli era successo.

Prima di uscire di casa, Ami aveva notato che dalla scrivania mancava il portaritratto della foto che avevano scattato con la Polaroid - quella nella vecchia stanza di lui, in cui Alexander le aveva rubato un bacio sulla guancia, a occhi chiusi, mentre lei guardava l'obiettivo sorridente.

Per tutto il viaggio in treno aveva cercato di apparire normale, soffocando la sofferenza.

Tre ore dopo avevano depositato i bagagli più grossi al banco della compagnia aerea. Si erano mossi per l'aeroporto tenendosi per mano. Per un'altra mezz'ora si erano fermati in un ristorante, in attesa, mangiando qualcosa. Infine, erano andati alla ricerca del gate a cui lui doveva presentarsi.

Era la porta numero 83.

Ami rimase guardare il tabellone. La scritta accanto al numero indicava che l'imbarco era già iniziato.

Tra i controlli di sicurezza e doganali che lui doveva passare, avevano solo qualche altro minuto insieme.

Alexander le indicò una fila di sedili vuoti, accanto a una vetrata. «Andiamo a sederci.»

Lei lo seguì, stringendogli più forte le dita.

Da seduto, lui sollevò le loro mani unite, sorridendo. «Mi rimarrà il segno se stringi così.»

Lei non riuscì ad allentare la presa

Buon viaggio, doveva dirgli. Non trovò la voce.

Non voleva salutare.

Lui cominciò a parlare. «Non saranno due mesi semplici, Ami.»

Lei studiò ogni linea del suo viso, il colore dei suoi occhi, la sensazione della sua guancia sulle mani - da un ricordo. Il sapore del suo bacio, la morbidezza dei suoi capelli, il modo in cui rideva o rifletteva, assorto.

Insieme avevano letto, studiato, dormito, scherzato, giocato, amato, vissuto.

Lui continuò. «Ti prometto di riflettere seriamente su tutto. Non sprecherò questa occasione.»

Occasione? Una situazione che capitava una sola volta nella vita.

Come la fortuna di trovare qualcuno con cui essere così incredibilmente felice, come lo era stata lei. «S-studia molto» balbettò. «Passa del tempo con Yamato.»

Alexander annuì.

«Io...» Iniziò la frase, poi si perse. Perse le parole, il coraggio. Cominciò a tremare.

Alexander attese, quindi le prese entrambe le mani tra le proprie. «Be well, Ami. Non starò bene pensando che non sei felice.»

... lei non lo sarebbe stata mai più.

Lui se ne stava andando. Lo stava perdendo.

Cercò con tutta se stessa di essere forte, ma si spezzò. «Ti amerò per sempre!» Esplose in un singhiozzo. «Anche se non torni indietro!»

Si ruppe in un pianto e non riuscì a restare ferma nell'abbraccio in cui si trovò rinchiusa. Si aggrappò ai vestiti di lui, alla sua schiena, convulsamente. Doveva lasciarlo andare, come aveva deciso, come era giusto! «Per favore, torna» implorò. Non controllò più quello che stava dicendo. «Ti amerò più di qualunque altra cosa al mondo, per favore. Lo farò bastare!»

Alexander emise un lamento. «Shh, you are my heart, Ami. Cosa stai dicendo?»

Lei pianse più forte.

«Certo che torno. Non posso stare senza di te.»

Ami sentì baci sul viso. Ne prese uno sulla bocca, la testa tra le mani di lui. Aprì gli occhi sui suoi, la vista annebbiata.

Anche Alexander soffriva. «Tornerò, e dopo Natale non staremo più lontani. In questi due mesi non cambierà nulla per me. Non può.»

Lei annuì contro la sua fronte, velocemente.

«Devi crederci, okay? Devi credere in me. Farò andare tutto bene.»

Lei riacquistò un po' di ragione. «Scusa se...»

«Stop. Sono contento che tu me lo abbia detto. Non potevo lasciarti se pensavi una cosa simile.»

Si baciarono ed Ami si sentì di nuovo intera, come lui.

Che cosa aveva fatto? Come aveva potuto?

«Ti credo» gli disse e scelse, con coscienza e inequivocabilmente, di essere convinta che Alexander avrebbe avuto la vita migliore che poteva cogliere, in quei due mesi e tornando poi da lei. Perché era la sua scelta.

Alzandosi, lui le passò le mani sulle guance bagnate. Ami si strofinò gli occhi da sola. «Vai. Ti aspetterò.»

«Ti penserò tutti i giorni.»

Lei lo strinse in un altro abbraccio, libera. «Io anche tutte le notti.»

Udì una risata bassa e comprese la propria gaffe.

«Buono a sapersi!»

Si divertì, commossa. «You are my only love. In ogni momento, anche quando non sei accanto a me.»

Comprese quanto lui avesse avuto bisogno di udire parole come quelle solo quando vide come lo fecero sentire.

In piedi, rimasero abbracciati, senza l'intenzione di lasciarsi andare.

«Buon viaggio» si costrinse a dire Ami, cercando di stargli più vicina, per guarire qualunque ferita avesse aperto in lui col proprio comportamento.

Alexander provò a distanziarsi. «Due mesi saranno eterni, ma... voleranno. So che sembreranno finiti subito quando ti sentirò di nuovo.»

Ami annuì, sicura quanto lui, prendendosi e regalandogli un altro bacio. Non sarebbero mai bastati, a nessuno dei due. «Ti accompagno.»

Andò con lui fino alla barriera dedicata ai solo viaggiatori con biglietto.

Alexander le accarezzò i capelli. «Avrò tante cose da raccontarti quando torno.»

Ami annuì. «I love you

«I love you» rispose lui.

Si lasciarono la mano.

Alexander iniziò a percorrere il percorso a serpentina che portava ai controlli di sicurezza, nascosti dietro una parete. Prima di oltrepassarla, ormai a dieci metri di distanza da lei, si fermò.

Ami sollevò una mano per salutarlo, felice e al contempo triste.

Lui si espresse in un breve sorriso sereno, pieno di certezze. Bye, disse con la bocca.

Scomparve oltre il muro, diretto negli Stati Uniti.

  

«Voglio ammazzarla e voglio abbracciarla. Dov'è?»

Rei faticava a trattenere Usagi. «Aspettiamola qui. Deve passare da questa parte.»

Erano andate all'aeroporto sull'impulso di un momento, per consolare Ami. Dopo aver saputo tutto, Usagi non aveva voluto saperne di restare indietro.

«Avresti dovuto dirmelo prima!»

«Saresti intervenuta!»

Makoto non si era potuta unire perché era giorno di ressa alla pasticceria, ma aveva pregato entrambe di andare.

«Ami sarà devastata, statele vicino anche per me!»

Per tutto il viaggio in treno Usagi aveva parlato dell'intenzione di strozzarla. «Come può fare una cosa simile ad Alexander? E a se stessa?! Sta sabotando la loro relazione!»

Rei non lo credeva, o sarebbe andata lei stessa a parlare con Ami. «Non so cosa abbia deciso lui, ma può risolvere il problema di Ami come noi non potremo mai fare con le parole.»

«Questo lo dici tu!» Usagi si era rattristata. Parlava e si lamentava per non stare in pena.

Erano arrivate all'aeroporto da un quarto d'ora e si guardavano intorno senza sosta, in cerca di Ami.

Rei la individuò dietro un gruppetto di persone. «Eccola!»

Senza aspettare, Usagi le corse incontro.

«Ami!»

Rei le raggiunse mentre Usagi stringeva le mani di lei.

«Stai bene?»

«Com'è andata?» domandò Rei.

Sorpresa, Ami sorrideva. «Siete venute per me.»

«Certo!» protestò Usagi. «So cosa stai passando. Non potevamo lasciarti sola!»

Ami era silenziosa, ma serena. «Non preoccupatevi. Ho fatto la cosa giusta.»

«Lasciarlo andare?» osò chiederle Usagi.

Ami scosse piano la testa. «Dirgli che lo amo e che voglio assolutamente vederlo tornare.» Si lasciò abbracciare. «Non è stato un addio. È stato solo...»

Bye, aveva detto lui.

Ami chiuse gli occhi, sicura.

Era stato solo un arrivederci.


Agosto 1997 - Addio? - FINE

 


Note: Ho paura. Ho paura di non aver scritto questo capitolo trasmettendo tutto quello che volevo, tutto quello che ho sempre provato in merito a questa situazione tra Ami e Alexander.

Spero di esserci riuscita. Probabilmente me ne renderò conto meglio col passare delle settimane, quando rileggerò come fossi una lettrice qualunque.

Nel frattempo sono felice di aver trovato il modo di narrare queste vicende. Era così importante.

Ora finalmente posso scrivere di ciò che viene dopo, piano piano (ma non troppo :P)

Il prossimo capitolo sarà dedicato ai due mesi di separazione tra Ami e Alex. Poi... Per una volta non dico nulla, che ho già parlato troppo :)

Grazie infinite di essere qui a leggere! Ogni vostro commento sarà oro per me!

Elle

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

   
 
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