Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    07/05/2016    1 recensioni
Partecipante alla challenge "Sulle ali della fantasia" di EFP.
L'occasione di un tramonto porta Seiji e Touma ad affrontarsi sul loro rapporto piuttosto burrascoso dei primi tempi.
Ambientata durante la prima serie.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Rowen Hashiba, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È che non gli era mai importato tanto del tempo, in quel frangente.

Che fosse caldo, freddo, umido o secco (beh, quello difficilmente), persino piovoso (tranne che per quelle incredibili piogge torrenziali che, a giugno e settembre, annoiavano cielo e passanti) non rinunciava a trotterellare sul tetto più vicino – che non sempre era quello di casa propria – e là si stendeva, a pancia e naso in su, occhi sulla volta celeste, anche se era adombrata da nuvole oppure oscurata dalle gocce troppo grandi di una pioggia leggera e, quindi, ancor più fastidiosa.

Che fosse un richiamo dell'elemento?

Oppure perché si era sempre sentito, almeno un poco, con la testa e l'immaginazione perse proprio là sopra, in quel tratto di infinito misterioso e inarrivabile?

Touma non amava farsi di queste domande, quando si trattava di ciò che gli piaceva davvero: non c'era motivo di dare una causa a ciò che il cuore accettava senza domande.

Era stupido e, finanche, faticoso.

Le energie andavano risparmiate per ciò che era più importante.

Si illudeva che fosse ancora così, anche adesso che tante cose erano cambiate, nel giro di pochi giorni, tra l’altro, un fulmine a ciel sereno: Arago piombato nella sua esistenza di tranquillo studente delle superiori…

Certo, il preavviso di grandi eventi in corso lo aveva avuto; in fondo, Kaosu era giunto prima di Arago, così come la sfera della sua virtù, insieme alla yoroi, ma…. Aveva cercato di ignorare forse, forse non ci aveva mai creduto davvero fino a quella sera primaverile in cui il cielo di Tokyo si era tinto del nero più cupo e profondo e, insieme ad Arago, erano giunti loro… quattro ragazzi strani quanto lui, una ragazza forse più geniale di lui, un bambino un po’ rompiscatole… e una tigre…

Non poteva certo dire che da quel momento tutto fosse stato normale, addio tranquilla quotidianità, per forza di cose.

Ma, almeno, le sue puntate sul tetto erano rimaste invariate e invariabili.

Almeno lì, nel suo luogo preferito, la tranquillità era garantita.

Forse i ragazzi gli avevano regalato quel momento di pace, data... la vita 'scatenata' cui l'avevano sottoposto e verso cui l'avevano attirato.

Dare un po' del suo tempo per avere un po' del proprio.

Uno scambio equo.

Socchiuse appena gli occhi, sospirando a pieni polmoni l'aria calda della sera: gli entrò dentro con dolcezza, sebbene quel giorno fosse stato fin troppo umido. Ma ora, in quella serata di pace e con quel cielo così nitido, come ripulito da un panno lucidante, tutto sembrava perfetto.

E Arago estremamente lontano.

Benché gli astri fossero ancora poco visibili, offuscati dai colori troppo intensi di un tramonto che affondava il suo pennello in tutte le sfumature dell’arancione e del rosso, lui già li scorgeva, ne percepiva la presenza e il prossimo avvicinarsi alla sua vista, come già erano vicini a tutti gli altri sensi.

Perché delle stelle lui era certo di conoscere l’odore, il suono… e credeva di poterle persino toccare. Lui era razionale, certo, ma quando si trattava di stelle la sua fantasia si faceva fervida.

Si stiracchiò beato, allungandosi fin quanto poteva, la maglietta andò a scoprirgli un po' l'addome, dandogli la strana sensazione di freddo. Di fatto, rabbrividì.

Si alzò a sedere per sistemarsi la maglia, quando, alle sue spalle, si levò un rumore piuttosto chiaro: qualcuno si era affacciato alla finestra.

Si voltò con aria accusatoria e si ritrovò a osservare il ciuffo biondo di Seiji.

L’altro ricambiò lo sguardo con quell’espressione che per il ragazzo del Kansai restava uno dei misteri più insondabili dell’universo, tanto gli risultava indecifrabile…

Adesso, ad esempio, voleva sembrare stupita, ma Touma non era certo che non fosse semplicemente sorniona o canzonatoria.

“Ah… eri qui, tu?”.

E la voce non gli schiariva certo le idee.

“Se Ryo era giù con voi, qui sopra ci potevo essere solo io, non credi?”.

Ma Ryo preferiva gli alberi, con il suo birdwatching...

“Ci sono tanti posti e sdraiarmi sul tetto non è la prima cosa che mi verrebbe in mente. C’è il bosco, gli alberi, i prati, il lago… affacciarsi semplicemente a una finestra come faccio io”.

Doveva rispondere?

Neanche per sogno.

Touma si risistemò, mani in grembo, occhi sul cielo sempre più intenso e bello.

La pace dell'infinito...

“Mi piace affacciarmi alla finestra per vedere il tramonto. Qui tra i monti la vista è ideale… ma con la tua testa davanti si spezza un po’ la poesia”.

Oh, quanto gli dispiaceva...

“Beh, sai come si dice: chi prima arriva...”.

E lui non aveva intenzione di muoversi.

“Neanche stessi cercando di cacciarti via” commentò l’altro, il tono sempre neutro, neutro in maniera irritante.

“Beh, allora trova una posizione per vedere meglio...” che smettesse di molestarlo con la sua voce. Voleva il cielo, bello, bruciante del sole che calava, il sussurro dei rumori della notte che iniziavano a farsi sentire e le cicale...

“Da nessuna finestra si vede meglio che da questa e io so accontentarmi, vorrà dire che eserciterò la mia concentrazione”.

Touma sospirò, mordendosi le labbra per non pronunciare parole già pronte a partire: doveva sempre punzecchiarlo come uno di quei bambini fastidiosi che non davano tregua alle loro vittime sacrificali...

E poi... poi... già, poi...

“Fa quel che vuoi”.

“Ovvio, perché non dovrei fare quello che voglio?”.

Meno male che Seiji doveva essere un tipo silenzioso.

Già, ma interrompere quello che voleva fare lui, sì però...

Touma non rispose, serrò la bocca, stavolta per davvero.

Seiji doveva stressare qualcun altro.

Il suo tramonto...

Il silenzio si protrasse, tanto che Touma pensò di aver vinto il duello mentale che si protraeva tra loro fin dal primo incontro; poté persino far finta che Seiji non ci fosse… forse se n’era andato davvero, dopotutto, anzi, sicuramente non era più a quella finestra, anche Seiji amava la solitudine, una delle poche cose sulle quali andavano d’accordo.

“C’è ancora tempo per le stelle, sai?”.

“Anche per la pace, sai?”.

Eh, quella gli era scappata...

“Davvero? Io trovo che la pace sia tutta in questo tramonto”.

Questa poi...

Touma si rimise a sedere, la pace abbandonata in qualche angolino della sua mente.

“Oh, insomma! Sai che riesci a essere più casinista di Ryo?! Altro che pace!”.

Quando ci voleva, ci voleva!

Touma non chiedeva molto, ma quell'angolino di pace in tutta la giornata era, per lui, fondamentale: ricaricava le batterie, si riprendeva, che diamine!

“Il tuo tono di voce è molto più simile del mio a quello di Ryo. Io parlo, voi urlate”.

E Seiji poggiò i gomiti al davanzale, il mento sulle mani, lo sguardo apparentemente perso lontano, come se davvero non gli importasse del dialogo che si era instaurato.

“In questo momento sei molesto molto più di lui e me messi assieme!”.

Il tramonto... il tramonto...

Ah, al diavolo il tramonto! Anzi, al diavolo Seiji!

La molla che fece alzare Touma in piedi era fin troppo rigida e il suo corpo fece pericolosamente un'onda all'indietro, prima di rimettersi saldamente in equilibrio.

“Merda!”.

Non poteva immaginare che la mano di Seiji si sarebbe mossa quasi nello stesso istante, accompagnata da un’imprecazione che fece coro con la sua, forse appena un poco più elegante. Con quel gesto, Seiji si tese troppo oltre il bordo della finestra e il peso di Touma, già sbilanciato dal precario equilibrio, lo attirò ancor più verso il vuoto. Solo il ritrovato controllo di Touma impedì a entrambi di precipitare pericolosamente giù dal tetto. Quando il pericolo fu scongiurato, Seiji ancora non aveva lasciato il polso di Touma, stretto tra dita fin troppo energiche per la loro apparenza bianca e delicata.

“Incosciente!” si trovò ad apostrofarlo e il suo tono non suonò più così neutro. Vi era anzi una certa tensione in esso.

“Guarda che non sarei caduto!”.

Doveva ringraziarlo?

Doveva.

Ma preferiva arrabbiarsi...

E poi non c'era bisogno di stringergli così tanto il polso...

“Non posso cadere!”.

“A me è sembrato che avessi buone probabilità invece”.

Nonostante la calma apparentemente ritrovata nel tono, Seiji ancora non mollava la presa e non sembrava importargli.

“Certo che no!”.

Perché non lo lasciava?

La sua mano era troppo calda e decisa. E lui non si sentiva altrettanto certo.

E di cosa?

“Io so quel che ho visto e in quanto samurai devo essere pronto a tutto!”.

Touma ebbe l’impressione che la mano di Seiji lo strattonasse un po’ ed ebbe la conferma nell’udire le successive parole:

“Gradirei che ti allontanassi dal bordo del tetto, per favore”.

Certo, lui chiedeva sempre con cortesia.

Touma tentò di strattonare dalla parte opposta. Tentò.

“Non perdo più l'equilibrio, tranquillo...”.

E dal colore che si dipingeva sul muro della casa, il tramonto era bello che concluso.

Evviva.

“E ora torno in camera”.

Già, se Seiji permetteva...

Seiji allora lo lasciò, con una certa titubanza, e Touma ebbe la sensazione che lo stesse tenendo fin troppo d’occhio.

“Adesso? Ma non aspettavi le stelle? Ero io quello del tramonto, a te interessa la notte”.

La mano libera di Touma scivolò sulla propria maglia e andò a stringerla in un pugno nervoso.

“Mi è passata la voglia”.

Era passato tutto quanto.

Non aveva proprio voglia... aveva perduto la pace.

Seiji si rimise comodo all’interno, ma solo per sedersi sul davanzale con un elegante saltello, una gamba ripiegata sul petto, l’altra abbandonata a oscillare nella stanza, la schiena contro la cornice della finestra e le braccia incrociate.

“Evidentemente non era così profondo il tuo interesse, se basta poco per distrarti dal desiderio”.

“Beh, tu distrai sempre molto!” sbottò l'altro con verve e guancia irritate, infuocate.

L’altro gli lanciò uno sguardo di sbieco, con un sorriso un po’ sbruffone.

“Per la mia sola presenza? Per questo dico che il tuo desiderio di stelle non è così intenso”.

“Per tutto!”.

Presenza? E parliamo delle parole, dell'arroganza... di tutto, come se non fosse abbastanza!

Touma era furioso, adesso. Quella furia che sta nella parte più calda della fiamma: quella blu.

“Se ti agiti troppo perderai di nuovo l’equilibrio. Tu perdi sempre troppo facilmente la calma, dovrei insegnarti un po’ di meditazione”.

Lui perdeva...?!

“Pensa a Ryo e Shu! E ignora me, per una volta!”. Le mani di Touma andarono ad afferrare la cornice della finestra, un piede si puntò sul cornicione. “E ora, per piacere, fammi passare”.

Seiji rimase immobile, gli occhi che andarono al piede invadente.

“A Ryo e Shu ci pensa Shin… io non penso a nessuno, è che qui sto tanto comodo”.

Al piede seguì l'intero corpo di Touma che si issò sulla finestra, praticamente addosso al fianco destro di Seiji.

“Se cadi, io ti avevo avvertito”.

“Stai attento tu a non cadere, io sono stabile”.

Intanto si spostò, ma non per alzarsi… solo per strisciare un po’ di più verso il corpo di Touma, riducendo sensibilmente la sua libertà di azione.

E Touma non era agile come Seiji, né come Shin. Shu e Ryo non erano agili come loro, ma... Touma, in confronto, era la persona più impedita del gruppo.

Così, per non cadere sul tetto o sul duro pavimento del corridoio, Touma decise – forse – di cadere su ciò che c'era di più morbido nell'immediata vicinanza: Seiji.

Tra le braccia di Seiji, per la precisione, perché il biondo, come se non avesse aspettato altro, le allargò per accoglierlo, rimanendo perfettamente saldo nella propria posizione: sembrava quasi che fosse preparato a quell’evento.

“Visto? Ormai so prevedere quanto ti cacci nei guai, sapevo che saresti caduto”.

Se lo shock gli aveva tolto le parole, almeno non gli aveva bloccato i movimenti: si mosse, anzi, si dimenò come un gattino selvatico tra le braccia del suo nuovo padrone, ancora ignorante del potere della presa sulla collottola.

Le braccia di Seiji, in tutta risposta, lo avvolsero con maggior tenacia.

“Smettila, se ti agiti così cadrai davvero!”.

“E tu lasciami!”.

Un urlo mezzo soffocato, il corpo di Touma che tremava di rabbia e di energia trattenuta.

“Per vederti precipitare e averti sulla coscienza? Scordatelo, se non ti calmi non ti lascio!”.

Non si capiva, davvero, se fosse serio o se lo stesse prendendo in giro.

“SUL PAVIMENTO, ACCIDENTI!”.

Perché, perché, perché Seiji doveva sempre tirare il filo fino a farlo strappare?! Perché non mollava prima, prima di far quasi impazzire Touma?!

“Allora preferisco fare così”.

Lo afferrò più saldamente, lo fece passare oltre il proprio corpo e lo lasciò letteralmente cadere dall’altra parte… sul pavimento di casa, appunto.

“Ora sei al sicuro”.

Cancellato lo stupore iniziale e brevissimo dal suo volto, Touma si rimise in piedi come una furia, pugni stretti ai fianchi e gridò:

“VA AL DIAVOLO!”.

Scontata, ma unica cosa che gli veniva in mente, al momento.

Il sopracciglio visibile di Seiji si inarcò.

“Non che mi aspettassi un grazie, in fondo sono circondato da bestioline… escluso Shin, ovviamente… lui di cortesia ne sa un po’”.

Touma si dovette mordere le labbra per evitare di urlare un'altra volta e a un volume più alto.

Non aveva cuscini, però, da lanciare.

Si limitò a dare un pugno al muro – cosa mai fatta... e che gli fece anche parecchio male – e a uscire di scena come una furia.

Quanto meno a tentare di farlo perché, prima di poter scomparire alla vista del compagno, questi lo raggiunse, lo aggirò e gli si portò davanti, imprigionando tra le sue la mano che aveva usato contro il povero muro.

“Tu devi essere tutto matto! Fammi vedere se la mano sta bene!”.

Touma tentò di allontanarsi, ma trovò il muro a bloccargli la ritirata alle spalle.

La mano stretta a pugno tremava e tentava di allontanarsi da quella di Seiji.

Lo sapeva che non gli piaceva la troppa vicinanza.

Ma Seiji si avvicinava sempre troppo.

“Davvero non ti capisco, potevi romperti la mano e se te la fossi ferita gravemente e uno youja ti avesse attaccato? Come avresti potuto difenderti?”.

Adesso Seiji sembrava serio… fin troppo.

“Sto bene! È solo una botta! Sei troppo melodrammatico!”.

Esagerava... che voleva che fosse? Non era forte come Shu e Ryo, ma non era nemmeno una mezza calzetta che si frantumava con un nonnulla!

“Non puoi permetterti di non prenderti cura di te, servi alla nostra causa, servi a noi, non possiamo fare a meno di nessuno, soprattutto non dobbiamo dimenticare che la nostra incolumità serve a una causa più grande!”.

Intanto continuava a tenergli la mano e a scrutare il rossore che si era diffuso sulle nocche.

Con uno strattone Touma liberò la propria mano da quelle di Seiji, andandosela a stringere al petto.

“Tranquillo che sono comunque utile. A voi e alla causa!”.

Il discorso di Seiji, messo così, gli suonava fin troppo freddo. E irritante.

Non che la 'causa', come la chiamava lui, non fosse importante anche per Touma, ma le sue parole, quelle... così... erano dannatamente fastidiose.

Seiji rinunciò a ricatturare la mano fuggitiva, ma non cessò le sue rimostranze.

“Non se ti danneggi da solo… senza motivo poi. Sempre se esista un motivo per farsi male da soli… facendolo apposta tra l’altro”.

Ma cosa voleva da lui? Voleva fargli una predica?!

Touma fece retro-front e fuggì, a lunghi passi, verso la propria camera.

Ah, già. La loro.

Erano quelli i momenti in cui desiderava ardentemente una camera singola.

Infatti, la sua illusione di solitudine ebbe breve durata.

La porta non era ancora del tutto chiusa che nuovamente si riaprì e Seiji ricomparve alle sue spalle, come un angelo persecutore.

“Touma, senti…”.

“CHE COSA VUOI DA ME?!”.

Perché riusciva a essere sempre preda di sentimenti così violenti quando si trattava dei ragazzi? Perché tiravano fuori toni, voci, sentimenti che non aveva mai provato?

Perché, poi, Seiji era quello che più scuoteva ogni cosa nel suo animo e nel suo corpo?

E perché, proprio lui, non riusciva mai a stare zitto?

“Innanzitutto che ti calmi!”.

Si sedette sul proprio letto e lo fissò intensamente per qualche istante.

“Te lo chiedo come piacere personale… calmati”.

Il tono, all’improvviso, sembrava quasi dolce.

La mascella contratta, il rosso sulle guance ancora vivido, Touma si sedette sul letto con una rigidità che tradiva tutto il caos che girava nel suo essere.

Voleva stare da solo.

Voleva non dover sopportare le parole di nessuno, ora.

Voleva solo la pace del silenzio.

Non voleva Seiji.

“Mi dispiace se sono stato pedante, d’accordo? Sono apprensivo da quando vi conosco e non so perché… e non è per la causa, non solo, almeno!”.

Seiji aveva detto tutto d’un fiato. Concluse le sue parole con un borbottio appena udibile, distogliendo persino lo sguardo.

“E non so neanche perché sto dicendo tutto questo”.

Risollevò di scatto il viso, di nuovo alzò la voce:

“E non so perché mi preoccupo per voi, in modo particolare per te, non me lo so spiegare, ma è così, d’accordo?!”.

Touma scivolò indietro, sul letto, fino ad arrivare dall'altro lato, ormai a gambe incrociate. Le mani, abbandonate tra le gambe, erano inerti; la testa era china, così che, se Touma non riusciva a vedere il volto di Seiji, nemmeno Seiji poteva vedere il suo.

Non poté tuttavia ignorare il peso che si unì al suo nel far piegare il materasso. Seiji si era alzato dal proprio letto, per trasferirsi sul suo e ora gli sedeva accanto.

“E la causa non c’entra niente!” gli urlò quasi nell’orecchio, quasi a voler ribadire un concetto che già aveva espresso, ma che per lui era, evidentemente, fondamentale.

Inevitabile fu il salto di Touma sul letto: girò lo sguardo scioccato verso il ragazzo, il cuore che batteva a mille per lo spavento improvviso.

Lo guardò con tanto d'occhi, vicino come mai gli era stato.

E, comunque, la lingua pareva paralizzata.

Incapace di qualsivoglia parola.

“Me la fai vedere questa mano, adesso?”.

Ancora ammutolito, Touma porse la mano arrossata a Seiji, non rendendosi nemmeno conto dello sguardo attento che aveva fissato su di lui.

Seiji adagiò il palmo della propria mano sotto quello di Touma e con le dita dell’altra mano sfiorò leggermente le nocche.

“L’hai dato bello forte, quel pugno. Vorrei tanto sapere cosa ti ha fatto arrabbiare a tal punto”.

“Chi... non cosa...” mormorò l'altro.

Seiji interruppe un attimo la sua osservazione e sospirò.

“Lo so che la causa sono io, so di essere stato irritante e so anche di averlo fatto apposta; sei contento adesso che te l’ho confessato?”.

“Perché lo fai? Perché con me?”.

Tanto valeva chiederlo e togliersi quel tarlo dalla testa.

Seiji si strinse nelle spalle.

“Me lo sono chiesto anche io. Mi sono immaginato a farlo con gli altri… con Ryo potrebbe finire a botte, non si lascerebbe impressionare… Shu… non credo mi darebbe soddisfazione… non mi ispira in quel senso… Shin sarebbe in grado di rispondermi gentilmente persino se lo offendessi… tu… ecco… lo trovo stimolante… mi piace come reagisci, diventa un duello verbale… un duello di intelligenze a confronto, insomma”.

Che razza di discorso.

“A me non piace. Non mi piace discutere. E poi mi dite che ho un brutto carattere. E a me non piace... essere così”.

Touma sospirò e mosse la mano offesa ancora sotto osservazione.

“Non ho mai dato un pugno a un muro. Non l'ho mai dato nemmeno a qualcuno. Esclusi gli youja. Non l'ho mai fatto”.

“Vuol dire che ti faccio un effetto esplosivo” ridacchiò Seiji tornando a esaminare la mano del nakama.

“Io non rido. Non è un bell'effetto. Non c'è niente di bello in quello che è successo. In quello che succede sempre quando... quando perdo il controllo...”.

Ridere. Seiji che rideva.

Non era una cosa divertente.

Lui non si sentiva bene.

Seiji sospirò di nuovo e tornò serio.

“Cercavo di sdrammatizzare, ma con te è complicato… forse è per questo che…”. Si bloccò, rifletté qualche istante su quanto stava per dire. “Insomma… più è difficile, più per me…”. Scosse il capo. “No… sto rischiando di dire altre sciocchezze, non voglio peggiorare la situazione”.

“Tanto vale vuotare il sacco...” sussurrò Touma guardando Seiji direttamente negli occhi. “Almeno niente poi rimane non detto...”.

“Hai ragione… ma quello che stavo per dire non suonava troppo vero neanche a me… più è difficile più mi diverto… non credo che la ragione del mio comportamento si limiti a qualcosa di così riduttivo. Io non agisco mai per qualcosa di semplicemente divertente”.

“In pratica...” borbottò Touma con sguardo vagamente perso sulla propria mano. “Fai come i bambini quando gli piace qualcosa. Ricordo un bambino all'asilo che lo faceva con una mia compagna... lui si divertiva tanto, lei un po' meno. E poi venne fuori che a lui lei piaceva. Lei invece lo detestava. E a ragione”.

Seiji si irrigidì un po’, per una volta Touma aveva avuto l’ultima parola, perché l’altro non seppe cosa rispondere. Solo dopo qualche istante borbottò a denti stretti:

“Comunque… mi dispiace… scusami…”.

Un mugugno fu la risposta di Touma, prima che il silenzio calasse su di loro.

Almeno per qualche istante.

“Non è che ti piaccio?”.

Non era il Q.I ad aver risposto, né un barlume di vaga lucidità. Aveva parlato collegando il cervello alla bocca, ma in una sola direzione.

Un nuovo irrigidirsi, poi un altro mormorio, mentre Seiji faceva finta di niente.

“Passi da un estremo all’altro… comunque… credo di sì… sei un nakama ideale”.

“Guarda che per quel bambino la mia compagna di classe non era un nakama ideale!”.

Questa volta, anziché sospirare, Seiji emise uno sbuffo rumoroso.

“Ha ragione Shu quando dice che è difficile stare dietro a un QI troppo elevato... la smetti di parlare a vanvera? Devo concentrarmi per curarti la mano!”.

“Però non mi dici tutto... è come dire una mezza bugia”.

Mah... comunque non è che Touma si aspettasse chissà cosa.

“La dico anche a me stesso, allora, perché tutto non lo so nemmeno io”.

Intanto aveva posato la mano libera sul dorso di quella di Touma, racchiudendola così tra le proprie: chiuse gli occhi, in cerca di concentrazione.

“Ora fai un attimo di silenzio, per favore”.

Era bravo a sviare i discorsi, più bravo di tutti i ragazzi. E a zittire le persone.

Ma Touma senza fare nulla non riusciva a stare.

Così, dato che non era normale per lui rimanere come una bambola di porcellana in una teca, si mise a fare una cosa che non aveva mai pensato di fare.

O che era capace di fare.

Si mise a fischiettare. Beh, almeno tentò di farlo, fallendo miseramente mentre si rendeva parecchio ridicolo nel muovere le labbra nel tentativo – inutile – di produrre un suono.

“Nel silenzio non è contemplato il fischiare”.

Seiji aveva emesso la sua sentenza restando a occhi chiusi, mentre già la mano di Touma veniva avvolta da un calore avvolgente, accompagnato da un alone luminoso che prendeva vita dalle dita di Korin.

Touma storse il naso alle parole di Seiji, ma, quando l'alone di luce avvolse la mano e, nel contempo, il volto di Seiji, fece qualcosa che – davvero – mai avrebbe pensato di fare: avvicinò il viso a quello di Seiji.

In maniera molto pericolosa.

In quel momento il biondo aprì gli occhi.

“Ecco fatto, tra poco dovrebbe sparire anche il rossore”.

Quello sulla mano, sì.

Quello sul viso, beh... Seiji non poteva cancellarlo.

Il sopracciglio visibile di Seiji (e probabilmente anche l’altro) si corrugò.

“Va tutto bene? Hai sentito male?”.

Perché si era avvicinato?

Era la luce... la luce delle sere notturne, quelle delle lampade che attraggono le farfalline notturne e che poi...

Touma scostò lo sguardo, si morse le labbra e non rispose.

Fu Seiji, questa volta, ad avvicinare il viso, ma solo per intrufolarsi sotto il suo sguardo sfuggente:

“Touma? Ci sei? Che cos’hai?”.

“A-accecato...” riuscì a borbottare l'altro.

Merda, riusciva semplicemente a ripetere nella propria testa.

“Per la luce? Eppure non ho dovuto usare molta energia”.

“Tu...!”.

Una sillaba strozzata.

“Io cosa? Mi dici se ti fa un po’ meno male?”.

“... a... accechi...”.

Lo accecava. E lui non voleva né essere accecato, né... morire bruciato.

Il sopracciglio si corrugò maggiormente.

“Ma che stai dicendo?”.

Poi, dando l’impressione di voler mascherare un disagio che si era impadronito di lui, Seiji si alzò e si diresse verso la finestra.

“Anche dalla nostra stanza c’è una bella vista… si sta facendo buio, ma il tramonto ha lasciato le sue tracce”.

Attraverso i vetri si faceva strada, in effetti, una doccia di luce rossa, che si proiettava sul pavimento, simile a un tappeto colorato.

Luce.

Luce bianca, luce rossa... luce.

E ora, pur non emanandola, Seiji ne era sommerso.

Baciato.

Illuminato e trafitto da essa.

Era una visione pericolosa.

Pericolosa e tremendamente bella.

Touma se ne sentì attratto, eppure anche un moto di improvvisa repulsione attanagliò il suo stomaco.

O era paura?

Dalla figura di spalle si levò un richiamo:

“Touma… senti…”.

“C-cosa?”.

“A me piace il tramonto… a te le stelle… in realtà a me piacciono anche le stelle. Mi piace tutto ciò che è pace e natura, forse non siamo poi così diversi. E siamo parte di una squadra, abbiamo condiviso ormai tanti tramonti e tante notti mentre ci apprestavamo allo scontro contro Arago, ma non abbiamo avuto molto tempo per goderne… non abbiamo avuto neanche molto tempo per discutere su chi avesse la priorità per un punto d’osservazione conquistato, eravamo costretti a condividere i luoghi. Come sarebbe se, invece, entrambi decidessimo di stare insieme in un posto da nakama, non perché costretti, ma perché lo decidiamo noi?”.

“C-cosa vuoi dire?”.

Seiji parlava troppo. Cos'era? Cosa succedeva?

Praticamente non aveva capito nulla. Ma aveva ascoltato?

Anziché rispondere direttamente, Seiji fece ancora qualche passo verso la finestra, la aprì, posò le mani sul davanzale; l’oro dei suoi capelli si mutò in una lucente filigrana rossa.

“La pace ce l’abbiamo adesso. Dovremmo goderne invece di privarcene per orgoglio, perché i nostri battibecchi ci distraggono… guarda che bello… i monti, i boschi, il tramonto, le stelle in arrivo… tutto nostro… tutto per noi… e potrebbe non durare”.

“Scusa...”.

La sua lingua non sapeva più che fare o dire.

Lui non sapeva più che fare.

Seiji si voltò, si appoggiò contro il davanzale e vide quel tramonto specchiarsi anche negli occhi del nakama.

“Io parlavo per entrambi, se ti scusi tu mi devo scusare anche io, ma non è quello che voglio. Anche chiedere scusa può rivelarsi una perdita di tempo e questo tramonto non tornerà… così come la notte ormai prossima… ogni tramonto, ogni cielo stellato, non ci danno più di un’occasione”.

Touma si alzò in piedi, si sentiva tanto un automa privo di pensieri, personalità, volontà pure.

E camminò verso Seiji e arrivò al suo fianco, senza una sola parola.

Solo il tramonto che si specchiava nei loro occhi.

Normalmente si sarebbe sentito un po' idiota.

Ma l'essere un automa aiutava a non percepire nulla di tutto quello.

Seiji gli sorrise.

“Non credevo che ti avrei lasciato senza parole”.

Touma avrebbe voluto distogliere lo sguardo, di nuovo.

Ma finì per fissare ancor più intensamente Seiji. E arrossire. Di nuovo.

Seiji tornò serio, il suo sguardo di nuovo intenso.

“Andiamo sul tetto? In due al davanzale non ci stiamo”.

Un cenno, piccolissimo, e si ritrovò a seguire Seiji fuori dalla camera e poi, oltre la finestra, di nuovo sul tetto che dava sul lato ovest del lago.

Seduti fianco a fianco.

E senza una parola.

Stranamente passò anche il disagio; pur senza parlare, entrambi sperimentarono il vero significato dell’armonia che, dalla natura che li circondava, si impossessò anche dei loro cuori e corpi; erano parte di una totalità che, forse, davvero, fece comprendere a entrambi il vero significato dell’essere una cosa sola.

Il sole scomparve dietro i monti, le stelle una a una ammiccarono nel cielo e si riflessero negli occhi dei due ragazzi, sollevati a contemplare l’universo e a godere del suo abbraccio.

“Allora... mi diresti quel pezzo di verità?”.

“Quando l’avrò trovato, sarai il primo a cui lo confiderò”. 

  
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