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Autore: Amys    08/05/2016    2 recensioni
Memories of the heart - Il primo incontro tra Henry Branwell e Charlotte Fairchild.
''Ricordava con chiarezza le sue gambe lunghe, piegate e incrociate goffamente dinanzi a lui. La chioma fulva, sotto i colori del cielo notturno, spettinata e arruffata come se ci avesse passato le mani nervosamente un elevato numero di volte. Le mani, che erano un po’ troppo grandi rispetto al resto del corpo, erano adagiate sulla copertina del libro, che sorreggeva con estrema cura. Aveva perfino notato, sorridendo incuriosita, che stava indossando due paia di calzini diversi: uno bianco e uno grigio. Chissà, forse era segno di qualche distrazione, ma quando realizzò che il panciotto che stava indossando era a righe rosse e blu si disse mentalmente che forse quello era semplicemente il suo stile. Le maniche erano macchiate di carbone, e ripiegate malamente fino ai gomiti. Uno stile un po’ bizzarro, certo, e molto particolare. Ma la incuriosiva. ''
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlotte Branwell, Henry Branwell
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"Memories of the heart"

 
    La prima volta che lo vide, lui era seduto sul limite di un marciapiede, difronte all’Istituto. Era immerso in una lettura che riguardava la meccanica, marchingegni e invenzioni di cui Charlotte non nutriva un particolare interesse e né ne conosceva la minima funzione.
Ricordava con chiarezza le sue gambe lunghe, piegate e incrociate goffamente dinanzi a lui. La chioma fulva, sotto i colori del cielo notturno, spettinata e arruffata come se ci avesse passato le mani nervosamente un elevato numero di volte. Le mani, che erano un po’ troppo grandi rispetto al resto del corpo, erano adagiate sulla copertina del libro, che sorreggeva con estrema cura.
Aveva perfino notato, sorridendo incuriosita, che stava indossando due paia di calzini diversi: uno bianco e uno grigio. Chissà, forse era segno di qualche distrazione, ma quando aveva realizzato che il panciotto che stava indossando era a righe rosse e blu si era detta mentalmente che forse quello era semplicemente il suo stile. Le maniche erano macchiate di carbone, e ripiegate malamente fino ai gomiti. Uno stile un po’ bizzarro, certo, e molto particolare. Ma l'aveva incuriosiva. Quando il ragazzo aveva alzato il viso, il suo sguardo l'aveva fatta arrossire improvvisamente.

Le lentiggini spiccavano sul suo volto, accompagnate da occhi color nocciola, grandi e innocenti, ma soprattutto colmi di dolcezza. Inizialmente, sembrava assente, ancora perso tra le parole del manuale che reggeva, ma qualche secondo dopo aveva spalancato leggermente gli occhi accorgendosi della sua presenza. Si era alzato da terra con modo un po’ impacciato e timido, e aveva chiuso il libro in fretta, cercando di sistemarsi qualche ciocca di capelli. Aveva sorriso entusiasta, e aveva allungato la mano verso di lei con insicurezza. Ricordò di averla stretta, quella mano che in confronto alla sua, pareva il doppio. La sua stretta era calda e rassicurante, e la sua voce, quando si era presentato era profonda e sfumata da una felicità contagiante.

Aveva farfugliato il proprio nome così in fretta che non era riuscita a comprenderlo, e ricordò di averglielo chiesto una seconda volta. Aveva sorriso, quando il ragazzo, scusandosi buffamente, aveva detto di chiamarsi Henry Branwell. Aveva sciolto la stretta, abbandonando lentamente la sua mano verso il proprio vestito.  Lei aveva sussurrato il suo nome, Charlotte Fairchild, sotto il cielo stellato, respirando il buio e l’aria fredda dell’inverno. Ricordava quando lui, arrossendo timidamente, si era sfilato la sciarpa dal collo, e l’aveva tesa verso di lei sorridendo. Lei l’aveva ringraziato con timidezza, e l’aveva indossata percependo per la prima volta, il suo odore.
 
Ricordò con fermezza che il giorno seguente all’Istituto si era presentato un ragazzo. Suo padre l’aveva svegliata dolcemente, dicendole che un giovane era al pian terreno ad aspettarla. Lei aveva chiesto, ancora intontita dal sonno, quale fosse il suo nome. Il padre aveva sorriso, dicendole che ancora non lo sapeva. Aveva detto che aveva dei simpatici e arruffati capelli rossi. Uno sguardo gentile, e che era notevolmente alto. Ricordò che quello fu il primo giorno in cui si sentì in dovere di curare il suo aspetto. Era scesa dal letto correndo, senza dire nient’altro al padre, che la osservava prepararsi con un sorriso felice dipinto sulle labbra. Charlotte ricordava, che quando aveva varcato la soglia della sua stanza, si era fermata sul pianerottolo dell’Istituto ad osservare quel ragazzo un po’ bizzarro. Stava facendo avanti e indietro difronte l’entrata dell’Istituto, con le mani tra i capelli che emanavano ansia. Indossava un panciotto a righe, con colori sgargianti. Quando si era voltato, il suo sguardo aveva incontrato il suo. Era arrossato, e quando Charlotte aveva sceso le scale, ricordò che le aveva dato la buonasera anziché il buongiorno, e che quando se n’era accorto, aveva scosso la testa e sorriso in un modo un po’ impacciato. Ricordò le sue scuse affrettate e preoccupate. Ricordò anche, quando lui le aveva porto il braccio con un lieve imbarazzo. Lei lo aveva stretto, incrociandolo poi al suo.

Così erano usciti a braccetto, e avevano parlato molto. Henry discuteva spesso riguardo ad argomenti come le sue invenzioni e i suoi marchingegni e Charlotte aveva sorriso anche quando non capiva appieno tutti quei concetti. Aveva intuito, dal suo sguardo, che quelle per lui non erano solo stupide invenzioni, ma che il suo sogno era quello di creare qualcosa di utile per il mondo degli Shadowhunters. Aveva riso, per le stramberie di Henry, per i suoi modi un po’ troppo entusiastici, per i suoi gesti impacciati e per la sua grande distrazione. Quando aveva iniziato a piovere lui l’aveva fatta sedere su una panchina al riparo dall’acqua. E come poteva scordarsi ciò che era successo pochi momenti dopo? Henry che l’aveva osservata a lungo, come se ad un tratto tutta la bellezza e l’entusiasmo che provava verso le sue invenzioni, fosse catturato dentro i suoi occhi. Erano rimasti in silenzio per molto tempo, e Henry si era avvicinato timidamente. L’aveva baciata, per la prima volta, frettolosamente, in modo inesperto e svelto, e si era allontanato rapidamente, per poi guardarla, timido e nascosto dietro ad un rossore vistoso che colorava le sue guance lentigginose. Charlotte aveva sorriso, e la seconda volta era stata lei a baciarlo in un modo più delicato e romantico del precedente. Si erano scambiati degli sguardi felici, e lui l’aveva abbracciata per la prima volta. Ricordò la sensazione di essere persa, tra le sue braccia calde e rassicuranti. Lei che era così minuta, bassa quanto una bambina, e lui che era così alto, con quelle mani grandi che la stringevano forte. Aveva inalato il suo odore per una seconda volta.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             
Quello stesso profumo, che ora stava respirando, mentre la sua mente viaggiava nel mondo dei sogni, protetta dalle braccia di Henry che la stringevano forte sotto le coperte. Ora, che con gli occhi inghiottiti dal sonno, stava dormendo accanto a lui. Le mancava terribilmente la sua camminata entusiasta, il rumore dei suoi passi che ormai avrebbe potuto riconoscere e sentire tra quello di altri cento. Le mancava vederlo correre euforicamente, quando era in ritardo per qualche riunione con il Conclave, o per quando non riusciva a trovare la giusta sala. Le mancava vederlo scendere le scale della cripta dominato dai suoi pensieri e dalle sue invenzioni.
Le mancava la sua stretta sui suoi fianchi, quando la sollevava da terra, stringendola tra le braccia per poi darle un bacio in fronte. Le mancava vederlo difronte a lei, in piedi, così alto e così felice. Le mancava ballare con lui. Lasciarsi trasportare dai suoi passi, a ritmo di note profonde, e danzare insieme fino a tarda notte. Ma sapeva, con un intenso rammarico, che non lo avrebbe mai più rivisto in piedi davanti a lei. Che non avrebbe più sorriso difronte a quell'enorme differenza di altezza. Ormai era una consapevolezza non più nascosta dentro il suo cuore, ma ferma, immobile nella sua mente: Henry non avrebbe mai più camminato. Ma lei, non avrebbe mai cessato di amarlo così perdutamente e intensamente.

Dopotutto, lui era, e sarebbe rimasto Henry.
Il suo Henry.
   
 
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