Tutto
ebbe inizio un giovedì e già questo avrebbe
dovuto far suonare
un campanello d'allarme nella testolina bruna di Matilda. Ma era ancora
mattina
presto e tutto ciò a cui pensava era come nascondere
l'orribile brufoletto spuntato
sul suo mento nel cuore della notte. Oltre ad essere
giovedì, giorno
odiatissimo dalla nostra giovane pulzella, pioveva anche a dirotto e
rispetto
al giorno precedente le temperature erano calate a picco. Matilda, non
accortasi di tutto ciò, si vestì con una leggera
maglietta in cotone dalle
maniche lunghe abbinata allo sdrucito giubbino di jeans che faceva
parte del
suo look dalla prima liceo.
Ma
chi è questa Matilda spuntata così dal nulla?
Nome: Matilda
Cognome: Alderson
Età: 25
Professione: Comproprietaria di
una libreria
Altezza: 1.69 m
Occhi: Verdastri (lei li
definisce color melma)
Capelli: Castano chiaro
A
Matilda piace:
Acciambellarsi sul divano e guardarsi intere stagioni di serie Tv,
l'ananas e gli specchi.
A
Matilda non piace: Rispondere al telefono, le persone
presuntuose e la primavera.
Ecco,
ora che sapete qualcosina in più su di lei continuiamo a
seguirne i passi.
Sfornita
come sempre di ombrello e vestita decisamente troppo leggera,
Matilda si rifugiò sotto alla pensilina del tram e
cercò, a suon di gomitate e
occhiate trucide, di guadagnarsi un angolino di tettoia sotto al quale
trovare
riparo.
A
lei la pioggia piaceva
in
verità,
quello che proprio non tollerava era l'umidità elevatissima
che questa portava
con sé e che faceva levitare i suoi capelli, i quali
prontamente assumevano una
cotonatura in puro stile anni '80.
A
dirla tutta però un pochino era felice che stesse diluviando
perché
così per una mattina poteva abbandonarsi alla pigrizia e
rinunciare alla sua
solita camminata mattutina di ventitré minuti di cronometro
fino al lavoro. Le
piaceva anche
camminare ma adorava ancora
di più
starsene in panciolle e, alla soglia dei ventisei anni, si ritrovava
ancora
talvolta ad invidiare i piccolini che se ne stavano comodi nei loro
passeggini
riparati dal sole. Che poi quella passeggiata era più una
scusa per poter
affermare che sì, anche Matilda Alderson faceva
attività fisica nonostante
Penny la definisse la camminata della terza età.
Il
tram era pienissimo e quelle sette fermate parvero infinite, tra
gocce
d’acqua
gelide che le
scivolavano addosso dagli ombrelli bagnati dei passeggeri pigiati
attorno a lei
e le brusche fermate ai semafori dell'autista che mettevano alla prova
il suo
equilibrio ogni volta.
Finalmente quando
giunsero in prossimità della piccola piazza circolare dove
doveva scendere
Matilda, questa saltò giù prontamente avendo
già adocchiato in precedenza la
fila di anziane provviste di impermeabili e carrellini portaspesa che
si
avviava verso la porta a passo di lumaca. Ci mancava solo di rimanere
bloccate
dietro quella lenta processione!
Attraversò
all’attraversamento pedonale all’angolo a sud della
piazzetta, sorpassò di
buona lena il negozio del panettiere, come sempre preso
all’assalto a
quell’ora, e svoltò nella stretta trasversa dove
un’insegna seminascosta
annunciava che si era giunti da Penny,
Tilda & the Spiders from Mars.
La
serranda era ancora
abbassata, chiaro segno che quella dormigliona di Penny doveva essersi
addormentata con la faccia nella ciotola del latte e dei fiocchi
d’avena.
Matilda, si appiattì contro il muro colorato di blu notte
accanto al portoncino
d’ingresso laterale, per poter cercare le chiavi dentro il
caos che regnava
sovrano nella sua ampia borsa di tela.
Proprio
in quel momento si
udì un allegro scampanellio e due secondi più
tardi una bicicletta color
melanzana fece la sua apparizione all’imbocco del vicolo.
Penny indossava uno
sgargiante giubbino antipioggia color arancione con disegnate delle
margherite
e un paio di galosce verdi che le stavano due volte tanto erano ampie.
«Buongiorno
amica!»,
trillò allegra mentre planava proprio nel bel mezzo di
un’ampia pozzanghera
d’acqua scura e provocando una piccola onda anomala, che, per
sua fortuna, non
arrivò a bagnare le scarpe di Matilda.
Quest’ultima,
dopo anni e
anni di amicizia, ancora non era riuscita a trovare una spiegazione
sensata al
buonumore sbarazzino che caratterizzava la sua amica fin dalle prime
luci
dell’alba. A lei risultava praticamente impossibile iniziare
la giornata con il
sorriso sulle labbra e se già di prima mattina non si
lamentava del microonde
che faceva i capricci, del suo vecchio gatto che spargeva puzzette per
tutta la
casa o dell’acqua della doccia che non si decideva a
diventare calda non si
sentiva bene.
Una
volta sistemata la
bicicletta nel sottoscala del negozietto, mentre Matilda accendeva la
macchinetta del caffè e andava a sollevare la serranda
automatica facendo
entrare la scarsa luce di quella mattinata grigia, Penny
slegò l’ampio
scatolone dal portapacchi e lo poggiò sul bancone chiaro.
Iniziò a fischiettare
un motivetto e a spolverare un po’ i ripiani delle alzate
portadolci in
cristallo (in verità erano in plastica rigida
perché Matilda era terribilmente
maldestra ma…shhh, è un segreto).
«Hai
innaffiato le
piantine ieri sera?», domandò Penny, impegnata ad
estrarre dei meravigliosi
cupcakes dai mille colori dalla scatola in cartone con
l’interno ricoperto da
uno strato di alluminio per mantenerne integra la freschezza e la
morbidezza.
Matilda
le riservò
un’occhiata sovrappensiero mentre sistemava i libri contenuti
nell’enorme
scaffalatura laccata di indaco che si trovava sulla parete a sinistra
della
porta e della vetrata. «Ero convinta toccasse a
te…non era mercoledì ieri?»
La
sua amica sbuffò e
scosse la testa prima di sparire nella stanza su retro e tornare poco
dopo
armata di annaffiatoio in latta. «Amore bello, oggi
è giovedì. Tu il giovedì è
già tanto se ti alzi dal letto e non resti a vegetare a
pancia in su come una
tartaruga spiaggiata sul guscio. Non ti chiederei mai di occuparti di
queste
piccole povere creature fiorite di giovedì a meno che non
auguri loro la morte…»
Per
tutta risposta Matilda
le dedicò un’occhiata torva che in cambio
ricevette un bacetto volante sulla
guancia da parte di Penny.
Volete
sapere di più su
questa Penny? Eccovi accontentati.
Nome: Penelope
Cognome: Barrow
Età: 26
Professione: Lei è la
l’altra comproprietaria della libreria
Altezza: 1.81 m (sì, è
una stangona)
Occhi: Neri
Capelli: Biondo ossigenato
A Penelope piace: Usare un linguaggio da scaricatore
di porto e il
sarcasmo in dosi massicce, le cannucce in plastica colorata e la
metropolitana
A Penelope non piace: La stupidità, le canzoni
di Adele e doversi pettinare
i capelli
Prima
di continuare
occorre aprire una piccola parentesi riguardo alla vera natura del Penny, Tilda & the Spiders from Mars.
Penelope
e Matilda si
conobbero alla tenera età di sette anni nel cuore della
notte mentre la prima
tentava di scappare di casa e la seconda si trovava nel parco davanti a
casa
sua intenta a fissare il cielo con un piccolo telescopio fai da te.
Questa
storia magari la
approfondiremo più avanti, ora torniamo alla vicenda del
locale delle nostre
due amiche e protagoniste.
Una
volta finito il liceo,
con tanto di ballo di fine anno e lancio del tocco, le due si
ritrovarono a non
sapere bene cosa fare della loro vita e decisero di andare
all’università.
Erano due ragazze sveglie, non dei geni matematici ovvio, e
all’epoca erano più
interessate a fare le groupie impazzite ai concerti e alle maratone di
Twin
Peaks e Lost.
Penny
alla fine si laureò
in filosofia e Matilda in storia moderna, dopodiché si
ritrovarono nuovamente a
non avere idea di come procedere da lì in avanti ed
entrambe, per loro fortuna
supportate da due famiglie antitetiche ma entrambe decise ad aiutare le
loro
figliole, decisero di dare vita al loro sogno di bambine: creare un
luogo che coniugasse
i loro più grandi interessi. Cibo, buona musica, film, serie
tv e letteratura
erano sempre stati il loro amore più grande e
così avevano rilevato un vecchio
magazzino fatiscente in un vicolo del centro e si erano gettate anima e
corpo
nel progetto. Si erano tirate su le maniche e avevano dato vita a quel
locale
che ora era come il loro piccolo bambino da crescere e curare con amore
materno.
All’inizio
si trattava di
una semplice caffetteria con una piccola libreria sbilenca costruita
dal nonno
di Penny, poi avevano iniziato ad organizzare piccoli concerti di
musica dal
vivo e serate dove proiettavano film che poi commentavano insieme.
Nel
giro di due anni il Penny, Tilda &
the Spiders from Mars era
diventato un locale di tendenza sempre preso d’assalto e
ciò aveva portato per
forza con sé dei cambiamenti necessari. Si erano espanse,
acquistando anche lo
spazio della lavanderia a gettoni che era fallita; avevano prolungato
l’orario
di apertura, assunto del personale e stravolto il menù.
Ora
si poteva gustare un
centrifugato di frutta fresca o delle bruschette mentre si sorseggiava
una
tisana o un cocktail colorato. Colazione, pranzo, aperitivo, cena e
dopocena:
il locale offriva tutto. Il lunedì era il giorno di
chiusura, il martedì sera
si riunivano i cinefili, il mercoledì toccava al club del
libro, il giovedì
sera si organizzava un quiz principalmente sulla cultura nerd, il
venerdì e il
sabato venivano ospitate band o cantautori locali e poco conosciuti e
la
domenica sera era il punto di ritrovo dei dipendenti da serie tv.
Ad essere sinceri
Penny non era stata contentissima di
come le cose stavano andando nell'ultimo periodo perché
sosteneva che avevano
un po' perso la loro identità per allinearsi più
a quello che la clientela
voleva rispetto a quello che piaceva davvero a loro due.
Penny e Tilda erano
due nerd, inutile girarci tanto
intorno, ed erano fiere di esserlo. Altro che serate in discoteca e
vacanze ad
Ibiza, lor avevano sempre preferito le cene tra amici dove ognuno porta
qualcosa e poi un po' brilli si gioca a Trivial Pursuit e le avventure,
zaino
in spalla e scarpe comode, in giro per l'Europa.
Purtroppo col tempo
il loro locale, grazie anche al
passaparola e ad un paio di articoli sul giornale cittadino, aveva
acquistato
fama e ora, specialmente nei giorni festivi, si vedevano arrivare orde
di
elegantoni con signorine scosciate in bilico su trampoli dall'altezza
improbabili che poi ordinavano champagne ed erano così
chiassosi da non
permettere agli altri avventori di godersi in pace la musica della band
di
quella sera.
Tornando a noi...
Il
campanello sopra alla
porta, un tenero uccellino in finta ceramica dipinta di celeste,
fischiettò
annunciando l’ingresso del primo cliente della mattina.
Primo cliente che,
come ogni giorno infrasettimanale, era
ovviamente Fred da tutti conosciuto come Fred lo Sveglio
perché era
terribilmente ingenuo e credulone.
Fred lavorava
nell'autofficina che si trovava nella strada
parallela e ogni mattina si fermava per un cappuccino e due chiacchiere
e,
ormai era diventata tradizione, dopo essersi letto il suo quotidiano lo
regalava alle ragazze che lo lasciavano sul bancone a disposizione dei
clienti.
«Ehi Fred,
hai sentito che mi voglio candidare sindaco?»,
lo prese in giro Penny mentre sorridente gli porgeva il suo solito
cappuccino
con spolverata di cacao in tazza grande.
L’uomo
alzò lo sguardo, l’espressione a metà
tra il
sorpreso e l’entusiasta, e le sorrise incoraggiante: «Ottimo!
Almeno so a chi dare il voto
dato che dopo l’assemblea cittadina ero piuttosto confuso al
riguardo…proponevano
tutti progetti così belli per il futuro della nostra
città e dei suoi abitanti»,
commentò tra un sorso e l’altro e lanciando di
tanto in tanto un’occhiata all’orologio
a cucù appeso sopra la testa di Penny al di là
del bancone.
Tilda
roteò gli occhi, sconcertata dalla buonafede di
quell’uomo, ma tacque e continuò a sistemare i
tovaglioli colorati sui vari
tavolini. Penny, sempre pronta invece ad infierire e con una vena di
sadismo a
cui proprio non sapeva rinunciare, rincarò la dose.
«Se vincerò farò chiudere
tutte le altre caffetterie, ristoranti e pub in modo che non intralcino
i miei
affari. Potrei fare lo stesso anche con le altre autofficine se
volessi, in
fondo siamo amici no?», chiese candida.
Fred si
grattò pensieroso la fronte aggrottata e balbettò
leggermente a disagio: «Non, non mi sembra una cosa molto
corretta…un po’ di
sana competizione fa bene, non credi?»
Penny a quel punto
decise di dare al poveretto il colpo di
grazia: «Freddie! Che dici?! I nostri avversari vanno
annientati, le loro case
vanno bruciate e la loro progenie va mangiata! Nessuna
pietà!», sbraitò
sporgendosi verso il viso terreo dell’uomo che aveva
abbandonato il proposito
di bere il suo cappuccino più preoccupato dal fatto di
doversi nutrire dei
figlioletti del meccanico Bob.
A quel punto Matilda
decise di intervenire in difesa del
malcapitato; si sedette accanto a lui, il panno con cui stava
spolverando
abbandonato momentaneamente sul bancone; e gli mise una mano sulla
spalla per
rassicurarlo. «Tranquillo Fred, non dovremo fare i conti con
questa squilibrata
come nostro sindaco e non dovrai mangiare nulla che non siano i nostri
muffin.
Penny si scusa e te ne offre uno, vero Penelope?», concluse
con voce flautata
lanciandò di soppiatto uno sguardo di avvertimento alla sua
amica.
Mentre il meccanico,
ancora un po’ spaventato,
sbocconcellava in silenzio il suo dolcetto alle mandorle e noci
successero due
cose contemporaneamente: il campanello trillò una seconda
volta e Penny, con
uno scatto felino, sparì dietro il bancone, seduta sulle
ginocchia, la testa
nascosta sotto al doppio lavabo accanto alle gambe di Matilda.
Quest’ultima
non si curò neanche più di commentare il
comportamento infantile che la sua collega teneva ogni benedetta
mattina quando
alle 7.37 Timothy Johnson faceva il suo ingresso nel locale. Ma
c’era una cosa
che, nonostante quella scenetta si fosse ripetuta decine e decine di
volte,
colpiva sempre Tilda ed era lo sguardo speranzoso e acceso che il
ragazzo aveva
quando varcava la soglia e il lento spegnimento deluso che avveniva nei
suoi
occhi non appena, dopo aver scrutato la sala in lungo e in largo, si
rendeva
conto che lei non c’era
neanche
quella volta.
All’inizio,
mesi prima, il ragazzo aveva osato chiedere di
Penny ma dopo un po’, probabilmente resosi conto di poter
apparire un pochetto
patetico, aveva cessato di farlo causando un moto di tenerezza nel
cuore di
Tilda, la quale allo stesso tempo provava anche
un’incredibile voglia di
soffocare con una torta paradiso la sua amica così
insensibile e fredda.
Vediamo insieme di
scoprire qualcosa in più riguardo a
questo ammiratore silenzioso e poco fortunato.
Nome:
Timothy
Cognome:
Johnson
Età:
30
Professione:
Insegnante
di storia dell’arte
Altezza:
1.78
Occhi:
Nocciola
Capelli:
Castano
scuro
A
Timothy piace: Collezionare insetti,
la cucina
marocchina e prendere i mezzi pubblici
A
Timothy non piace: Stare al centro
dell’attenzione, i
film sui supereroi e Whatsapp
Timothy si
avvicinò al bancone e rivolse un cordiale cenno
di saluto a Matilda, la quale prontamente gli sorrisi e
iniziò a darsi da fare
per preparargli la sua solita colazione: thè alla menta e
tre biscotti all’avena.
Lo trovava un uomo di
un’eleganza rara, si muoveva nello
spazio con una grazia e una delicatezza che poco frequentemente si
riscontravano in un uomo e aveva degli occhi buoni e luminosi. Tilda a
volte si
era ritrovata a pensare che in fondo era meglio così, era
meglio che
continuassero a rincorrersi senza mai trovarsi perché
altrimenti c’era il
rischio che Penny se lo ingoiasse in un sol boccone
quell’uomo così taciturno e
serio per poi risputarlo. E di lui ne sarebbero rimaste briciole
probabilmente
perché la sua amica bionda aveva denti ben affilati e
sentimenti ermeticamente
sigillati chissà dove.
Fred
lasciò una banconota da cinque sul bancone e si
allontanò salutando. Tilda notò che sembrava aver
riacquistato il suo solito
modo di fare cortese e gaio e ne fu lieta; più volte aveva
tentato di spiegare
a Penny che non era facendosi beffe dei propri clienti che li si
invogliava a
tornare ma quella aveva una testa di coccio.
«Tutto bene
a scuola, Timothy?», domandò cordialmente
Matilda mentre preparava tutto l’occorrente per il
thè. Si ricordò di quando,
nei primi tempi, lo chiamava Professor Johnson perché,
nonostante la giovane
età, aveva un’aura di saggezza che la intimoriva.
Lui era stato gentilissimo e
aveva insistito a lungo affinché lo chiamasse solo con il
suo nome di
battesimo.
Il ragazzo si strinse
nelle spalle, quasi stancamente, e
tese impercettibilmente le labbra. «Avevo in programma di
portare i ragazzi in
gita per un paio di giorni ma a quanto pare mancano i
fondi…c’era una mostra
molto bella su Klimt e mi sarebbe davvero piaciuto riuscire ad andarci
con loro
dato che stiamo affrontando l’argomento proprio ora e ne
sembravano affascinati
ma non se ne farà nulla temo», concluse torvo, lo
sguardo basso rivolto all’acqua
bollente che la ragazza stava
travasando
nella piccola teiera in ceramica verde chiaro.
Matilda si chiese
nuovamente come potesse restare
impassibile la sua amica di fronte ad un uomo così? Un uomo
che amava l’arte.
Un uomo che insegnava l’arte
e
adorava farlo.
Si chinò
per recuperare dall’anta sotto al bancone il
barattolo con l’infuso alla menta e nel farlo si
ritrovò con il viso all’altezza
di quello di Penny, che si era sistemata con le spalle al lavabo e la
bocca
impegnata a trangugiare i dolcetti all’arancia avanzati dal
giorno precedente.
Tilda le scoccò uno sguardo implorante a cui
seguì, visto il sorriso
impertinente che decorava il visino sbarazzino dell’altra,
un’occhiata di
fuoco.
«Oh, mi
dispiace molto. Non c’è modo di recuperare la
somma necessaria? Potreste fare, non so, un piccolo spettacolo teatrale
e
vendere i biglietti a genitori e familiari vari. Oppure realizzare
qualche
lavoretto e organizzare una bancarella…», propose
Tilda, una volta riemersa
dalle profondità del retro bancone, mentre si scervellava e
tentava di
riportare alla mente le sue esperienze scolastiche.
Timothy si fece
pensieroso e prese a mescolare il suo thè,
«Ci avevo già pensato ma il preside mi ha vietato
di usare gli spazi scolastici
e sottrarre ore di spiegazione del programma per preparare qualsiasi
altra cosa
non sia in vista della maturità. E dice che comunque non
avrebbe senso chiedere
soldi agli stessi genitori che già ora si rifiutano di
finanziare la gita…»
Matilda si
concentrò; quando voleva sapere essere molto
ingegnosa.
Pensa,
Matilda, pensa. Soldi, ragazzi, fuori dalla scuola, senza aiuto dei
genitori…
Tilda si
illuminò tutta non appena quell’idea le
apparì
nella mente. «Ci sono! Organizziamo una lotteria! Possiamo
farlo qui da noi…ad
ogni cliente proponiamo di acquistare qualche biglietto per permettere
ai
ragazzi di andare in gita e alla fine, a vendita conclusa, organizziamo
una
super festa qui e facciamo l’estrazione! Che ne dici?
Può funzionare? AHI!», mentre
sciorinava entusiasta il suo progetto Tilda venne colpita con gran
forza e
precisione allo stinco da una potente gomitata che poteva provenire
solo e
soltanto dalla creatura ossigenata che viveva sotto il bancone e si
nutriva di
dolcetti stantii.
«Tutto
bene? Mi sembra una bella idea ma non posso pensare
di sobbarcarti tutto questo peso…in fondo tu non ne
ricaveresti nulla, anzi
potresti addirittura perderci perché in fondo dovrai
autofinanziare la festa
finale e, no, non posso accettare»
In sottofondo
l’uccellino sopra la porta cantò un altro
paio di volte e tre signore di mezza età si avvicinarono,
fermandosi poi alle
spalle di Timothy in attesa. Matilda, che quando ci si metteva sapeva
essere a
sua volta un po’ prepotente, rimbeccò prontamente
l’uomo seduto di fronte a
lei: «Niente storie! Ormai è deciso, ne
parlerò con Penny e magari poi ti do il
suo numero così ve la potete sbrigare tra voi, lei
è senza dubbio molto più
brava ad organizzare feste e ad occuparsi di tutto
quanto…». Quella era una
menzogna bella e buona perché Penny si scordava tutto e
svolgeva bene i suoi
compiti solo se Tilda le stilava un preciso elenco di cose da fare con
istruzioni accurate riguardo al come e al quando farle. Lasciata a
sé stessa
Penny era un uragano combina disastri. Ma questo Timothy non poteva
saperlo…
Questa volta la furia
di Penny fu ancora più violenta e si
abbatté con una pioggia di pugnetti sui polpacci seguiti dal
solletico dietro
alle ginocchia a cui Matilda riuscì a sottrarsi giusto un
attimo prima di
scoppiare a ridere in faccia al professore.
Con il cuore leggero
all’idea di aver fatto una buona
azione Tilda salutò Timothy e gli augurò una
buona giornata per poi rivolgersi
sorridente alle tre allegre comari che, puntuali come sempre,
reclamavano la
loro dose giornaliera di pettegolezzi e cheesecake.
«Oh cielo!
Mi hai fatto venire un infarto. Dove eri
nascosta, Penelope cara?», strillò Mrs. Green nel
veder spuntare all’improvviso
la figura slanciata della seconda proprietaria.
Quella per tutta
risposta ghignò e si avviò verso la
stanza sul retro, fermandosi però per sussurrare
all’orecchio dell’amica un
minaccioso ammonimento: «Questa
me la
paghi!»