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Autore: kikka_67    08/05/2016    0 recensioni
Dopo aver passato tutta la sera a discutere con l’unico parente che mi riteneva un essere inutile, non ero dell’umore adatto per calarmi nei panni del buon samaritano né tanto meno di improvvisarmi eroe, ma alla fine anche se di malavoglia, scesi dall’auto in tempo per salvare quella donnina da morte certa. Mi era stato riferito dagli addetti del soccorso stradale che il serbatoio era danneggiato e stava perdendo gasolio, era un miracolo che l’auto non fosse esplosa appena dopo l’impatto.
Per un attimo rivedo il suo viso dolce, chissà cosa le era saltato in mente di girare da sola di notte invece di rimanere in casa tra le braccia di suo marito. La risposta era chiaramente una sola, quella donna stava scappando da qualcosa o da qualcuno. Aveva capelli castani che le sfioravano le spalle, la pelle candida, un piccolo nasino e un’espressione truce quasi sofferente in viso. Era bella, tenera, una di quelle donne da accudire, una di quelle da cui tornare dopo ogni tempesta, una donna inavvicinabile per lui.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il vento freddo entrava attraverso le fessure dei vetri rotti, in un primo momento non riuscii a ricordare la dinamica dell’incidente, ricordavo solo che le lacrime m’impedivano di vedere bene la strada. Era stato un attimo, la macchina aveva sbandato sull’asfalto bagnato e poi un terribile boato pieno di lamiere contorte e schegge di vetro affilate.
Provai a muovermi, ma il dolore lancinante al braccio e alla spalla non mi permise di sollevarmi per vedere dove fossi finita. Con un sospiro mi abbandonai di nuovo sul sedile, mentre gli eventi di questa mattina ritornavano a torturarmi. Dopo l’ennesimo litigio, Peter uscii dalla porta di casa con una valigia senza degnarsi di salutare. Voleva il divorzio, mi aveva detto con voce incolore, era innamorato di una collega e voleva vivere con lei, non provava più nulla per me né per il bambino che da quasi cinque mesi portavo in grembo.


Noi ci siamo conosciuti al college, ho sempre creduto che fosse stato un colpo di fulmine per entrambi, dopo pochi mesi eravamo marito e moglie e per aiutare Peter a realizzare le sue aspirazioni, cercai un lavoro e rinunciai a seguire le mie. Dopo la laurea Peter trovò un impiego in un piccolo studio legale, ma lo stipendio non era sufficiente a pagare tutte le spese e anche i miei studi, quindi dovetti ancora rinunciare a terminare gli studi. E quando finalmente sembrava che le cose stessero andando per il verso giusto rimasi incinta e dal quel momento iniziò il calvario.
Lui voleva che abortissi, diceva che eravamo troppo giovani per diventare genitori e che era stufo di privarsi di ogni cosa. Le discussioni erano all’ordine del giorno, interminabili.  L’unica cosa che mi rimane di anni di illusioni e sacrifici è una rabbia incontenibile verso un essere che mi rifiuto di chiamare uomo, che non merita le mie lacrime né il mio dolore, vorrei addormentarmi per non pensare più a nulla e magari trovare la pace.





All’improvviso un lieve movimento, come un battito d’ali, mi sfiora l’addome, il bambino si è mosso. E’ la prima volta che lo sento, e il mio cuore inizia a battere più forte e una strana voglia di ridere e di piangere si fa impellente e mi brucia dentro. E alla fine piango e rido e mi dispero perché non riesco a muovermi per accarezzare la pancia dove riposa il mio cucciolo. Non posso mollare, non posso arrendermi, devo vivere per lui. Presi a dibattermi debolmente, e poi ad urlare e non so per quanto tempo continuai senza fermarmi, finché esausta rinunciai.
Nel silenzio immobile del mio inferno personale ad un tratto mi parve di sentire dei rumori vicino alla mia auto, qualcuno parlava in modo concitato mentre cercava di aprire le porte dell’auto, eravamo salvi, poi ci furono delle mani caritatevoli che mi strapparono dall’oblio, un corpo caldo a cui appoggiarmi ed una voce a cui aggrapparsi, “non mollare piccola, ti aiuto io” e poi più nulla, l’incoscienza.
 
 


 
§§
 


La trovai sepolta sotto il sedile, ferita, senza forze, ma viva. Mi sembrava di tenere in braccio un uccellino talmente era piccola e fragile, ma quello che più di tutto mi sconvolse fu vedere il leggero rigonfiamento del suo addome, quella che a me pareva una bambina troppo cresciuta, era in realtà una donna incinta. Rimasi con lei tutta la notte, mentre la medicavano e parlai con i medici che avevano creduto che fossi un suo parente.
 
 
  • La signora ha un braccio rotto, la spalla lussata, qualche contusione e graffio, ma nulla di allarmante. – snocciolò il medico con voce petulante.
  • E… il bambino? – chiesi esitante.
  • Il bambino sta bene, sua moglie è molto debilitata e stremata, avrà bisogno di molte cure e coccole quando tornate a casa. –
  • Io non sono il marito. L’ho trovata in mezzo al rottame che è la sua macchina. – affermai pacato.
  • Lei l’ha salvata ma non è il marito?  Questo sì che è un segno del destino. – scherzò il medico.
  • Se lo dice lei, quando la dimettete? –
  • Domani mattina se le analisi sono in ordine. Stia tranquillo si riprenderà. – concluse sorridendo.
 
 
 
Dopo aver passato tutta la sera a discutere con l’unico parente che mi riteneva un essere inutile, non ero dell’umore adatto per calarmi nei panni del buon samaritano né tanto meno di improvvisarmi eroe, ma alla fine anche se di malavoglia, scesi dall’auto in tempo per salvare quella donnina da morte certa. Mi era stato riferito dagli addetti del soccorso stradale che il serbatoio era danneggiato e stava perdendo gasolio, era un miracolo che l’auto non fosse esplosa appena dopo l’impatto.
Per un attimo rivedo il suo viso dolce, chissà cosa le era saltato in mente di girare da sola di notte invece di rimanere in casa tra le braccia di suo marito. La risposta era chiaramente una sola, quella donna stava scappando da qualcosa o da qualcuno. Aveva capelli castani che le sfioravano le spalle, la pelle candida, un piccolo nasino e un’espressione truce quasi sofferente in viso. Era bella, tenera, una di quelle donne da accudire, una di quelle da cui tornare dopo ogni tempesta, una donna inavvicinabile per lui.
 
 


La notte passò in fretta e mentre Cloe, così si chiamava la mammina, dormiva, parlai di nuovo con i medici, sembrava tutto in ordine, anche il bambino stava bene. Con un sospiro di sollievo misto ad una nuova sensazione di disagio, uscii fuori dal pronto soccorso, l’odore degli ospedali mi soffoca, potevo andarmene, non era necessario che restassi oltre, la mia presenza accanto a quella donna era ormai inutile. Ero già seduto in macchina, quando un’infermiera venne verso di me correndo, la mammina si era svegliata e venendo a conoscenza dei fatti di ieri sera, insisteva per ringraziarmi di persona.
Lo sguardo sollecito e gentile dell’infermiera che aspettava perché la seguissi non mi lasciò scelta, non avevo voglia di ricevere dei ringraziamenti per un’azione che solo io sapevo compiuta con un’indolenza meschina, dovuta per lo più al timore di trovare dei cadaveri e quindi di precipitare di nuovo nel baratro nel mio peggiore incubo, l’incidente in cui morì il mio migliore amico.
Il viso della donna era girato verso la finestra mentre le sue mani accarezzavano il pancino, mi fermai sulla porta della stanza restio ad entrare e quindi disturbare quel suo momento di pace.  Probabilmente è il tonfo dei miei passi a distrarla dai suoi pensieri, si gira verso di me lentamente con un sorriso dolce a piegarle le labbra, mi fermo sull’uscio totalmente spiazzato dallo stupore.  Quella donna è più bella di quello che ricordassi. Ieri sera non l’avevo osservata bene, i suoi occhi trasparenti mi guardano dolcemente e quasi subito si riempiono di calde lacrime che le bagnano le guance morbide. Per un attimo rimango a fissarla come un’idiota finché, spinto da chissà quale istinto cortese mi avvicino a lei sorridendo.

 
  • Non piangere, è finita adesso. Siete salvi. – sussurro a voce bassa.
  • Grazie, se non fosse stato per te, io e mio figlio non saremmo sopravvissuti, ti dobbiamo la vita! Posso sapere il tuo nome?  – mormora con voce strozzata stringendomi la mano con forza.
  • Robert… mi chiamo Robert, non devi ringraziarmi, però devi promettermi che ti prenderai cura di tutti e due, con più attenzione, non sempre avrò la fortuna di percorrere la tua stessa strada. -   certo che quando voglio mi trasformo in uno scimunito melenso!
  • Io non ho molto, anzi non ho più nulla da ieri sera, ma se ti servisse il mio aiuto per qualsiasi cosa, non esitare a chiedere. Questo è il mio numero.  Grazie. –
 
 


 
 
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Sono passati due mesi da quella notte e solo ogni tanto l’incubo dell’incidente mi fa gridare nel sonno, anche se inevitabilmente finisce sempre nello stesso modo, le mani di Robert, il mio prezioso salvatore, mi accarezzano mentre la sua voce leggermente roca mi sussurra parole che non riesco ad intendere.   E’ un uomo attraente, alto e con una corporatura atletica che difficilmente passa inosservato, un uomo con un meraviglioso sguardo trasparente e un sorriso mozzafiato, un uomo pericoloso, uno uomo di quelli che se ti avvicini troppo ti bruci, insomma un uomo da evitare. Gli uomini belli sono sempre latori di dolore, non sono mai di una sola donna, sono infidi, affascinanti, dei seducenti ma letali incantatori, come il mio ex marito.
   Quando sono ritornata a casa, ho buttato tutte le cose di Peter dentro a delle scatole e le ho lasciate davanti ad una chiesa, ho regalato tutto ciò che negli anni mi aveva portato dai suoi viaggi, ho firmato e spedito al mittente i documenti per il divorzio. Ho fatto ridipingere la casa, cambiato la disposizione dei mobili, creato una cameretta per il mio bimbo e dulcis in fundo mi sono rinchiusa in un salone di bellezza. Naturalmente ero cosciente che con tutti questi cambiamenti cercavo di ingannare me stessa, perché in fondo sapevo che non sarei riuscita a sfuggire alla solitudine e alla rabbia che mi rodeva ancora nel petto, ma dovevo farmi forza e andare avanti, mia madre diceva sempre che c’era rimedio ad ogni male tranne che a uno, la morte, e aveva ragione.
 


 
 
 
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Nonno Leonard stava morendo e l’unica cosa che mi chiedeva con insistenza era di dargli l’occasione di conoscere la mia donna, voleva essere sicuro che io avessi una vera famiglia, il che non sarebbe stato un problema, se ne avessi avuta una. L’ultima relazione duratura risaliva a qualche anno prima e dopo quella storia, avevo frequentato solo donne vuote e disincantate come me. Ero e sono un bastardo, le amo all’inizio, ma inevitabilmente mi stanco ed infine sparisco.
Erano donne che non avrei mai potuto presentare a mio nonno, che era un convinto assertore del matrimonio, visto come un’istituzione duratura e gratificante per una coppia, come lo erano stati lui e mia nonna. Prima di morire, mi diceva, voleva essere sicuro che la donna che avevo intenzione di sposare fosse degna di entrare a far parte della famiglia. Il vecchio era furbo, mi aveva chiaramente fatto capire che se non lo avessi accontentato mi avrebbe escluso dal testamento. Solo l’affetto che sentivo per mia nonna, mi trattiene dal mandarlo al diavolo. Solo per lei, andavo a trovarlo e sopportavo le sue critiche “costruttive” sul mio lavoro che non riteneva un mestiere degno di un uomo e nonostante fosse a conoscenza delle mie attività secondarie, “fare il burattino davanti a migliaia di persone”, testuali parole, non era accettabile per un uomo adulto.
Non avevo bisogno dei suoi soldi, ma la scorsa notte, credendo che fosse in punto di morte, promisi che gli avrei presentato la mia futura moglie, incinta di mio figlio. Perché il panico ti porta a fare gesti inconsulti? La risposta è semplice. Gli ho mentito perché, non volevo deluderlo ancora, non volevo che morisse, senza accondiscendere a questa semplice richiesta, perché in fondo gli sono affezionato.
Inaspettatamente quella notizia gli aveva dato la forza di reagire alla crisi che lo stava sopraffacendo, si era ripreso più velocemente di quello che il medico stesso avesse mai creduto possibile, mio nonno era di nuovo in sé, di buon umore e prepotente come al solito e mi aveva spronato a mantenere la promessa fatta.  Certo, per me non sarà affatto semplice trovare una donna, convincerla a fingere di essere mia moglie, di essere incinta e soprattutto trovarne una che non mi crei problemi. Che casino!
Sono un patetico omuncolo bugiardo e insensibile, lo sono perché mentre parlavo con mio nonno, stavo descrivendo Chloe, ero sicuro che lei mi avrebbe aiutato, che non avrebbe rifiutato l’opportunità che intendevo sottoporle in cambio di pochi momenti vicino al mio scorbutico parente.  Mi spiaceva usare in questo modo una persona indifesa come lei, mi spiaceva riconoscermi un essere subdolo e senza scrupoli che stava progettando di approfittare della sua buona fede e soprattutto riconoscermi ansioso di rivederla.
 
 
 
 


§§ 
 
 
 
 
 
 
La telefonata di Robert mi aveva molto sorpresa, non mi aspettavo che mi chiamasse dopo tutti questi mesi solo per avere notizie mie e del bimbo. Ma forse sono io che sono in malafede, forse al mondo esiste ancora qualcuno sincero e disinteressato. Gli avevo proposto di vederci a casa mia, ormai faceva troppo caldo per uscire e mi stancavo sempre più facilmente, ero entrata nella 34ma settimana ed ero gonfia come l’omino della Michelin.  Ero nervosissima, un po’ per il caldo e un po’ perché tra poco avrei rivisto l’uomo che ancora questa notte mi aveva salvata dalle lamiere contorte della mia auto, stranamente questa notte l’incubo aveva preso nuove sfumature più morbide, lui mi stringeva a sé a lungo e questa volta sono riuscita a sentire ciò che mi sussurrava, “non mollare, piccola, ti aiuto io.”
Alla fine decisi di fare una doccia veloce, indossai un vestitone leggero e quando tornai in cucina sentii il campanello suonare, prima di aprire sbirciai dalla finestra e attraverso il sottile velo della tenda lo vidi. Giubbotto in pelle nera, jeans aderenti, barba incolta e occhiali da sole che nascondevano malamente il viso, stranamente la sua espressione sembrava leggermente contrariata. Andai ad aprire dondolando leggermente, feci un profondo respiro ed aprii la porta.
Guardava assorto verso l’alto, perso in chissà quali pensieri, il suo profilo perfetto si stagliava sull’azzurro del cielo, e quando si volse per guardarmi accennò a un sorriso sbarazzino. Notai il suo sguardo chiaro scivolare lentamente sulla mia figura appesantita e registrare i cambiamenti avvenuti sul mio corpo.
 


 
  • Ciao, benvenuto. Cos’hai da guardare così? – chiesi nervosamente, lo sapevo già di essere una mongolfiera alta un tappo e mezzo, non c’era bisogno di fissarmi a quel modo!
  • Ciao, ehm…scusami e che sei cambiata molto dall’ultima volta che ti ho vista. – mormora sorridendo sinceramente divertito dalla mia reazione.
  • Sono incinta di otto mesi, diamine! Che ti aspettavi?  Che andassi in giro con i tacchi e abiti aderenti? – risposi risentita.
  • Hai frainteso ciò che volevo dire, sei cambiata in meglio, hai tagliato i capelli, stai benissimo. Mi devi credere! – ridacchiò seguendomi in soggiorno.
 
 


§§
 
 
 
 


 
La prima cosa che notai furono le sue labbra leggermente socchiuse, probabilmente era affannata per essere venuta ad aprirmi la porta, il suo viso risplendeva di quella luce particolare che solo le donne in attesa possiedono. Invece nei suoi occhi albergava ancora un velo di tristezza, così come notai gli sguardi ansiosi con cui mi osservava, non sapeva cosa aspettarsi da questa visita, forse aveva addirittura paura di me.  Era bellissima, buffa e tenera al contempo. Non avevo il diritto di distruggere la sua tranquillità. Ero quasi deciso a non dirle più nulla, quando la vidi arrossire di piacere davanti al mio complimento. Ero già perso di lei e ancora non lo sapevo, come una falena che gira intorno alla luce, la seguii docile dentro casa sua.
 
 
 

 
  • Posso chiederti se vivi sola in questa casa? – chiesi guardandomi in giro.
  • Perché lo vuoi sapere? – rispose sulla difensiva.
  • Pensavo solo che ci sono solo i vicini che possono aiutarti in caso di bisogno, non hai nessuno che pensa a te? –
  • Che strana espressione Robert, non ho bisogno di nessuno, per ora riesco a fare la spesa da sola e quando non ci riesco, me la faccio portare a casa e quando ci sarà il bambino in qualche modo mi arrangerò.  –
  • E poi cosa sarai, tornerai a lavoro e manderai il piccolo in un asilo?! – chiesi allibito.
  • Certo, se voglio mantenerci, è una situazione che affrontano in molti sai? Ma dove vivi? – domandò pungente, sicuramente per lei questo era un argomento difficile da affrontare.
  • Scusa non volevo essere inopportuno. Non sono venuto qui per farti arrabbiare. –
  • Scusami tu, non volevo risponderti in quel modo, ma per me è difficile pensare a cosa farò dopo che il bambino sarà nato, ho deciso che è meglio fare un passo alla volta. Mio marito se ne è andato di casa da qualche mese e nonostante sia felice di non averlo più tra i piedi, le questioni pratiche gravano solo sulle mie spalle. Se gestirò bene gli alimenti e il mio stipendio ce la farò. Ma lasciamo perdere, vuoi qualcosa da bere?  Temo di non avere nulla di alcolico. –
  • No, ti ringrazio. Se ne è andato la sera del tuo incidente? – chiesi con voce dura.
  • Si. – ammise abbassando gli occhi.
  • Chloe, sono venuto qui anche per un altro motivo. Ho un favore da chiederti.  Ma vorrei parlartene a cena domani sera se ti fa piacere uscire con me. – proposi sorridendo.
  • Uscire con te? Perché non me lo dici adesso? –
  • Purtroppo adesso devo andare, ho un appuntamento importante. Ci vediamo domani sera? – dissi alzandomi.
  • Va bene, a che ora? E spero tu abbia una macchina perché io non posso salire su quella moto che hai parcheggiato nel mio vialetto. – mormorò accompagnandomi alla porta.
  • No, non ce l’ho l’auto, ma la chiederò in prestito a mio nonno, stai tranquilla. A domani. – risposi, sporgendomi a sfiorarle la guancia con un bacio.
 
 
 
 
 
 

Perché…perché l’ho fatto? Ci conosciamo appena, e forse adesso penserà che sono un maniaco e sono sicuro che più tardi mi chiamerà per disdire l’appuntamento. Ma la verità è che non ce l’ho fatta a fermarmi, volevo, dovevo sapere se la sua pelle era morbida come immaginavo, ed in effetti mi sbagliavo, era molto meglio, era soffice e vellutata come la seta. Non capisco il motivo, ma quella donna mi attrae in un modo che va oltre la fisicità, se i miei amici mi vedessero fare gli occhi dolci ad una donna con il pancione, incinta di un altro uomo, si farebbero due sane risate e mi accompagnerebbero nel reparto psichiatrico dell’ospedale più vicino. Averla vicino, così piccola e tenera, mi suscitava una tenerezza immensa e uno strano desiderio di proteggerla e di assisterla nelle difficoltà, e tutto questo non mi piaceva per nulla.
 
 
  
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