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Autore: OrenjiAka    09/05/2016    4 recensioni
[1869 words | Eustass/Law | One Shot]
[...] Vagabondava di stanza in stanza in cerca di una barella libera su cui trascorrere una o due ore di sonno, quando lo vide per la prima volta. Seduto sul letto, la testa rossa china a leggere una rivista dall'ignoto contenuto.
Fu un incontro degno dei migliori romanzi rosa.
Kidd alzò lo sguardo: «Che cazzo hai da fissare?»
Law scosse la testa e fece per andarsene. Sull'uscio della porta, affondò le mani nelle tasche e le dita catturarono un pezzo di carta dimenticato.
Segnò il numero della stanza.[...]

Quarta classificata all'AU contest – Wherever we are di EmmaStarr
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: OrenjiAka
Fandom: One Piece
Titolo: Euology
Rating: G
Personaggi: Eustass Kidd, Trafalgar Law
Genere/Avvertimenti: Sentimentale


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


 
Euology


Law in ospedale lavorava assiduamente. Non una pausa, o almeno non una abbastanza lunga da permettergli di avere un minimo di vita sociale e privata.
Non che fosse interessato.
Non era riuscito a spiegarsi l'innaturale attrazione per una persona così incline al baccano e alla confusione.
Vagabondava di stanza in stanza in cerca di una barella libera su cui trascorrere una o due ore di sonno, quando lo vide per la prima volta. Seduto sul letto, la testa rossa china a leggere una rivista dall'ignoto contenuto.
Fu un incontro degno dei migliori romanzi rosa.
Kidd alzò lo sguardo: «Che cazzo hai da fissare?»
Law scosse la testa e fece per andarsene. Sull'uscio della porta, affondò le mani nelle tasche e le dita catturarono un pezzo di carta dimenticato.
Segnò il numero della stanza.

Si era presentato il giorno dopo con lo stesso identico problema e due occhiaie più profonde. Lo aveva trovato ancora intento a leggere.
«Salve», salutò. «Serve qualcosa?».
Il rosso lanciò un'occhiata apatica, si immerse di nuovo nella lettura: «No», rispose secco.
«Bene, perché è l'una di notte, di solito i pazienti dormono a quest'ora».
Kidd emise un lungo e frustrato sospiro: «E tu?»
«Sono uno specializzando, lavoro.»
«Non sembra che tu stia lavorando.»
«Sono in pausa.»
«Goditi la pausa, allora.»
«Grazie, lo farò. Che stai leggendo?»
Stavolta chiuse la rivista e la poggiò sul comodino accanto. «Tu hai già deciso che devi rompermi le palle, stasera. Non è vero?»
Law non rispose. Tanto, avevano capito entrambi come sarebbe andata a finire.
A rompere il ghiaccio fu Kidd: «Caffè?»
«Grazie, l'ho già preso.»
«Non per te, è per me. Dico, già ti odio a morte. Almeno portami un caffè».
Non doveva essere andata male se lo stava invitando a rimanere.

Aveva avuto modo di conoscerlo meglio. Si era presentato alla ricerca di un posto dove dormire ed era tornato tutte le notti per una settimana.
Law non aveva mai incontrato un ragazzo che indossasse il rossetto, o lo smalto, o che assomigliasse a un proto punk degli anni settanta inglesi. Ma di tutte le curiosità che voleva soddisfare, ce n'era una che aveva la precedenza: «Perché bevi caffè a quest'ora, Eustass-ya?»
Il caffè di Kidd era stato risucchiato dalle labbra del rosso fino all'ultima goccia, rimaneva solo un bicchiere di plastica sporco tra le dita diafane. «Ho un amico che finisce di lavorare molto tardi, ma viene a farmi visita comunque. Il caffè serve per tenermi sveglio. Col cavolo, che mi faccio trovare addormentato».
«Se rimani sveglio come farai con chi ti vuole visitare a un orario decente?»
«Non ci sono altre persone oltre a lui che vengono per me».
«Devi avere proprio la reputazione del cattivo ragazzo».
«Nemmeno tu sei messo tanto bene, se di giorno lavori e la notte la passi in ospedale. A casa hai qualcuno da cui tornare?»
Sul viso di Law si increspò un sorriso sghembo: «Touchè».
 
Kidd gli aveva chiesto se poteva prendergli una penna dal suo borsone.
Quando Law trovò una chiave inglese, pensò che il rosso fosse uno scassinatore.
«Faccio il meccanico», Kidd prese la penna e cominciò a riempire le caselle di un sudoku troppo difficile per i suoi gusti. «Alcuni strumenti costano. Tanto. Li porto con me in borsa per non lasciarli in officina. Ricordami di darli a Killer, una di queste notti».
Law salì sul letto facendo attenzione a far collidere la sua spalla con quella del rosso: «Killer è il nome del tuo amico? Fa anche lui il meccanico?»
Kidd annuì.
«Non pensavo che i meccanici tornassero così tardi a casa».
«Il lavoro in officina si fa di giorno, le corse clandestine si fanno di notte». Il rosso portò l'indice sulle labbra: «Acqua in bocca».
«Suppongo che queste attività notturne siano la causa della tua permanenza in ospedale».
«Più o meno», Kidd stava tagliando corto, voleva solo finire quel sudoku in pace.
«E suppongo che "Killer" sia un nome d'arte», Law lo guardò torvo «Ne hai uno anche tu?».
Quando sentì uscire dalle sue labbra "Eustass Captain Kidd", lo prese in giro.
«Smettila. Considerando certi nomi che vengono fuori, non è nemmeno così male».
«A me chiamano "Chirurgo della Morte"».
Kidd scosse la testa.
«Oppure 007. Dipende dalla giornata».
Stava per domandargli perché un dottore dovesse avere un nome con un tale malaugurio quando il cercapersone era tornato a squillare, e il moro aveva trovato la scusa perfetta per scappare da una domanda troppo scomoda.

Faceva buio. Buio ma caldo. Una bella sensazione.
Non durò a lungo.
Law sentì una mano scrollargli la spalla. Le lenzuola scivolarono dalla testa giù, fino al petto. Quando aprì gli occhi vide strisce bianche e blu. Gli girò la testa.
«Emh, scusami», disse una voce da dietro le strisce. Aveva un tono calmo e pacato, l'esatto opposto di Kidd. «Il mio amico dormiva qui. Forse lo hanno cambiato di camera».
Stava per andarsene, lo specializzando lo afferrò per il braccio.
«Tu devi essere Killer-ya. Nessun errore», Law scostò le lenzuola e da una crisalide di cotone bianco spiccò una testa rosso fuoco.
Killer trascorse un istante in religioso silenzio, non muovendo un muscolo. Doveva essere imbarazzato. Si rivolse al moro: «Invece, tu devi essere Trafalgar. Il Capitano mi ha parlato molto di te».
«Allora non ti sarai fatto una grande opinione, dico bene?»
«A dire il vero ti devo un favore. Eustass non ha famiglia e noi siamo troppo intasati con il lavoro per venirlo a trovare spesso. Aveva bisogno di qualcuno che gli facesse compagnia».
E così, nonostante la sua disarmante simpatia, Kidd aveva degli amici.
Law aveva velocemente preso la borsa per consegnargli gli utensili da meccanico.
«Grazie mille». Killer fece per uscire: «Mi serviva proprio una di queste per sistemare il mio motore».
«Con quello che rischiate in quelle corse, avresti dovuto chiederle prima a Eustass-ya».
«Sarà, ma siamo diventati popolari proprio perché non siamo mai caduti dal veicolo». Lo salutò con un cenno di mano.
Trafalgar non aveva risposto. Aveva lanciato un'occhiata su Kidd, inerme e addormentato, e aveva lasciato che la sua testa naufragasse in un mare di domande.

Non aveva una chiara idea di cosa e come fosse successo. Era tornato lì come tutte le notti, con una cartella clinica sottobraccio e due tazzine da caffè. Avevano bevuto in silenzio.
Poi, semplicemente, Kidd si era avventato sulle sue labbra in maniera così violenta da far sbattere i denti. Law aveva ricambiato. Si erano trascinati in bagno e avevano continuato lì.
Avevano dormito insieme. Alle prime luci dell'alba Law pensò che dovesse essere una bella giornata.

Il problema si era presentato con i colleghi specializzandi. Penguin e Shachi stavano litigando su chi dovesse dare la cattiva notizia al loro paziente. Law non voleva origliare, aveva sentito il numero della stanza per caso. Era lo stesso che aveva segnato su un foglietto di carta abbandonato in fondo alla tasca qualche mese prima. Perché di tutti quelli che potevano venire a fare visita a Kidd, era passato l'ospite più invadente. Un tumore.


 
Si offrì per dare la notizia. Penguin, che non aveva capito un tubero di cosa stava succedendo, gli diede una pacca sulla spalla con la promessa di pagargli il pranzo. Ma lo stomaco di Law era chiuso. Doveva valeva lo stesso per le orecchie, perché aveva smesso di ascoltare gli sproloqui del collega da un pezzo.
Aveva cercato, invano, delle parole giuste per far sembrare che stesse andando tutto bene, un incantesimo, un qualcosa.
Già pentito di essersi preso l'incarico, aveva raggiunto la fatidica stanza.
Dormiva. Gli aveva scrollato la spalla ed era partita una litania di imprecazioni e battute sul fatto che fosse in anticipo.
Studiò tutti i lineamenti di Kidd, la sua espressione, da come teneva corrugate le sopracciglia a come incurvava le labbra. Cercò di imprimere al meglio nella sua memoria la sua faccia. Si era appena reso conto che aveva trovato qualcosa che non voleva perdere.
 
Se ci fosse stata una lista delle cose più egoiste che Law avrebbe potuto scegliere, quello che aveva fatto si sarebbe trovato in cima.
Non era più andato a fargli visita. Nemmeno una volta. Il tumore stava concedendo a Kidd qualche anno.
Law, meno generoso, aveva tagliato qualsiasi rapporto che aveva con Eustass Captain Kidd lo stesso giorno in cui gli aveva dato la notizia.
«Sono la persona meno adatta a consolare chi ha paura di morire», aveva cominciato a ripetersi. Era più un modo per esorcizzare le sue, di paure.

Fu quando aprì la porta di casa che lo investì una forte puzza di chiuso e polvere. Da quanto tempo non ci tornava? Era da mesi che il tempo libero lo passava in una certa stanza dell'ospedale in cui lavorava. Aprì il frigo e anche lì tutto il cibo era da buttare. Voleva riposare e invece gli toccava mettere tutto a posto. E più lavorava, più ricordava cosa lo aveva trattenuto in ospedale.
Decise di accendere la televisione e di lasciare morire qualche centinaio di neuroni, ma il Karma doveva averlo preso di mira. Era appena iniziata la serie TV su un gruppo di ragazzini in ospedale. Avrebbe voluto girarsi e non guardare ma la sigla non si era fatta attendere.
Un testo insopportabile e ripetitivo, ecco come la pensava Law. Non gli piaceva una frase in particolare, quella che veniva ripetuta più spesso: "Io non ho finito".
Sicuramente Kidd non aveva finito.
Né con le corse clandestine, né con il suo gruppo di amici.
E nemmeno con quel suo stupido make up da proto punk.
E--
«Cazzo». Law scosse il capo, provando a eliminare l'immagine di Kidd che si era appena formata nella sua mente.
Il problema era che non ci riusciva.

Il risveglio fu più traumatico del dovuto. Era corso in ospedale dimenticando di fare colazione. Non aveva senso quello che Penguin gli stava dicendo.
Il paziente a cui aveva detto di avere un tumore aveva scelto la chemioterapia. Bisognava solo decidere a chi lasciar fare l'intervento.
Ovviamente Law rifiutò, non poteva operarlo e sperare di avere la mente lucida. Rimase a guardare l'intervento però. Dal primo fino all'ultimo istante.

«Sei uno stronzo».
Sì, sì. Avrebbe dovuto aspettarsi un saluto del genere.
«Non sei più venuto a trovarmi. Sai cosa c'è da fare in ospedale? Un cazzo di niente. L'unico passatempo che avevo era una rivista di moto ed è la quarantesima volta che la leggo».
E aveva continuato a lamentarsi. E Law era rimasto lì ad ascoltare, se lo meritava. Ad ogni modo…
«L'intervento è andato bene», mormorò.
«Certo che è andato bene, mica c'era il Chirurgo della Morte a mettermi le mani addosso», Kidd tirò la testa all'indietro. «Ora me lo dici perché ti chiamano così?»
«Non ci arrivi?»
«Hai ammazzato qualcuno. 007 è la licenza di uccidere.»
«Allora non sei così stupido come credevo», Trafalgar poggiò la testa sulla spalla del moro. «È stato il mio primo intervento. Una frana.»
«E da allora ti comporti di merda con tutti?»
«Va' all'inferno, Eustass-ya» gli mise un braccio a cingergli le spalle.
Però aveva ragione, e lo sapevano entrambi.
Non era ancora finita, c'era il resto della chemioterapia da affrontare. Ma Law non avrebbe lasciato Kidd indietro, non una seconda volta.
«Mi compri una nuova rivista di moto?»
«No.»
«Vaffanculo».



 
  
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