Avrai comunque sbagliato
«Ascoltami,
Lovi,»
dice Feliciano, seduto con il proprio fratellone ai tavolini di un bar,
mentre
fuori piove una strana pioggia – a Maggio non dovrebbero
esserci giornate da
Aprile, no? Veneziano fa un po’ di rumore con la bocca quando
arriva alla fine
del succo d’arancia, ma Romano non prova nemmeno a dirgli che
non sono cose da
farsi, perché per quello non c’è
speranza di rimedio.
Ecco,
Feliciano è
rimasto in silenzio dopo avergli chiesto di ascoltarlo. È un
atteggiamento che
Lovino non capisce, forse non lo capirà mai –
è un comportamento che il suo
fratellino ha assunto da qualche tempo.
«Ho
assistito una
donna che doveva decidere se tenere il proprio bambino o se darlo
via.»
«E
che le hai
consigliato di fare?»
«Niente—non
le ho
detto niente. Cosa avrei dovuto dire? La scelta era sua.»
Lovino
sbuffa e
tira fuori un sorriso amaro – e anche per questo versa un
altro cucchiaino di
zucchero nel caffè. «Feli, lo sai che finirai a
essere morsicato dai vermi,
vero?»
A
Feliciano non
sfugge il riferimento alla Commedia – una Commedia che
è tutta una vita, per
tutti e due: non gli sfugge nemmeno che quella di Lovino è
una provocazione,
perché tutti loro,
attraverso i loro
grandi personaggi e i loro popoli, hanno scelto (e spesso hanno
sbagliato). Non
gli si può rinfacciare di non aver mai scelto
qualcosa.
(O
forse sì. Forse
le scelte che hanno fatto non sono loro proprie, ma dei loro
condottieri e
delle loro genti. È un dubbio che, nella notte,
terrorizzerebbe chiunque.)
«In
questi casi,
qualunque cosa tu faccia avrai comunque sbagliato. È
successo così tante volte
che ho perso il conto.» Dice Lovino.
Feliciano
non
capisce bene che cosa Lovino voglia dire oltre quello che ha detto,
però c’è
qualcosa di nascosto, perché se il suo fratellone ha perso
il conto – Lovino,
che manda così tanto a memoria! – vuol dire che
sta pensando a un ricordo al di
là di quelle parole.
Lovino
ha perso il
conto perché ciò a cui ha rivolto un pensiero
era la notte buia dello Stato
italiano – quella del 9 Maggio ’78.
«Se
io l’avessi
fermato, mi sarei sentito come se fossi nato monco,» dice
Lovino, a mezza voce,
«ma non l’ho fermato, e ora sono monco e zoppo per
sempre.»
«Qualunque
cosa
facciamo, avremo comunque sbagliato.» Un momento di
riflessione, poi Feliciano
riprende il discorso. «Lovi, ma se tutto è
sbagliato, allora non esiste più il
giusto?»
«No!
È proprio
quello che vogliono!» Lovino riconosce le contraddizioni di
se stesso e del
proprio popolo, e allora stringe la mano del fratellino e lo guarda,
con occhi
lucidi, con i denti stretti. «Non riconoscere il male
è il primo passo per
compierlo.»
C’è
una morsa sul
cuore di entrambi, ed è un terribile rimorso –
c’è solo da sperare che qualcuno
non sbagli, una volta guardato indietro per conoscere i loro errori.
Note Autrice:
Flashfic
scritta
di getto in onore di Peppino Impastato – ormai lo saprete,
torno in questo
fandom solo per lui. La sua figura è quella di un giovane
che ha lottato fino
alla fine: certo io forse l’ho ormai idealizzata, ma lo
ammiro tanto. Ha avuto
una forza incredibile (una forza che vorrei avere anche io). Le loro idee continueranno a
camminare sulle nostre gambe, diceva qualcuno, e io spero
sempre di trovare la forza per portarle sulle mie gambe. A volte la
trovo, a volte no. A volte ci si deve sostenere a vicenda per trovarla,
a volte si deve superare le proprie paure.
(A
me piace
pensare che una delle poche scelte che Feliciano abbia mai fatto in
autonomia
sia stata quella di partecipare alla Resistenza.)
«La
notte buia
dello Stato italiano, quella del 9 Maggio ‘78»
è una citazione dalla canzone I
cento passi, dei Modena City Ramblers.
Onestamente,
non
seguo Hetalia con costanza da molto tempo. Per me le due Italie sono
piene di
contraddizioni, di dubbi, di incertezze – come lo siamo noi.
Ma se sono
arrugginita, ecco, fatemelo sapere.
Grazie
per aver
letto.
claws_Jo
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.