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Autore: nevediluna    09/04/2009    0 recensioni
Era una bella giornata di sole, lei era in giardino con le sue amiche a giocare. Costruivano grandi collane di fiori formate da campanelle, margherite e quadrifogli. Le risate allegre raggiungevano le case vicine e gli elfi si affacciavano a guardarle. Lei indossava il suo vestitino preferito, quello con i fiori colorati stampati sopra. Si vantava davanti alle amichette. Poi al cancello era arrivato un ragazzotto muscoloso e abbronzato, le aveva fatto segno di avvicinarsi e le aveva detto che suo padre voleva parlarle. Di malavoglia aveva salutato le compagne di giochi e si era recata nel piccolo palazzo ricavato da un enorme tronco cavo, che fungeva da sede del consiglio e del capo del villaggio. Era arrivata fuori dalla sala riunioni del padre,fece per entrare, ma quando sentì che dentro c’era qualcuno insieme al genitore esitò. Accostò il viso alla porta socchiusa e ascoltò. All’interno c’era suo padre e si sentiva anche la voce dello zio:- Mi dispiace, era una persona eccezionale!- ripeteva in continuazione con voce strozzata. Il genitore piangeva sommessamente, singhiozzando ogni tanto : - Non doveva morire, non la mia cara Serafin!-. No, suo padre aveva detto che sua madre era morta, ma non era vero! Lei l’aveva vista quella mattina! Corse dentro come una furia e si mise a gridare che la donna era ancora viva, che li stava aspettando a casa! Ma nel profondo del suo cuore già sapeva che se ne era andata per sempre.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In una fredda giornata d’inverno, una di quelle in cui il sole non riesce a fare capolinea da dietro le grigie nuvole che promettono pioggia, Dube se ne stava rintanata al calduccio nella piccola cucina della sua casetta

In una fredda giornata d’inverno, una di quelle in cui il sole non riesce a fare capolinea da dietro le grigie nuvole che promettono pioggia, Dube se ne stava rintanata al calduccio nella piccola cucina della sua casetta. Come tutti gli elfi non amava il freddo e preferiva di gran lunga accoccolarsi davanti al caminetto dentro al quale scoppiettava una vivace fiammella rossa. Aveva tutte le guance arrossate dal caldo, e i grandi occhi neri che lottavano per chiudersi, lasciandosi trasportare dal sonno. Come al solito il giorno prima era rimasta alzata fino a tardi per aspettare il padre, il quale era il capo della piccola comunità di elfi in cui vivevano. Era una persona gentile e premurosa e ogni volta che il padre faceva tardi per qualche riunione con il consiglio, lei lo aspettava preparandogli squisito biscotti e una cioccolata calda. Da quando era morta la madre, era lei che si era sempre presa cura della sua famiglia, soprattutto del fratellino minore. Aveva sofferto molto per la perdita del genitore però si era fatta forza per il bene del piccolo. Da quel giorno era stata lei a cucinare, lavare e pulire, spinta dalla sua buona volontà.

Era così immersa nei suoi pensieri ed ad un passo dall’addormentarsi che quando bussarono alla porta trasalì.

Si alzò barcollando, chi mai poteva essere? Mancavano ancora un paio d’ore dal ritorno del padre e il fratellino quel giorno era a scuola. Probabilmente era l’amico Mark che aveva saltato di nuovo il lavoro per andarle a far visita. Era un ragazzo molto gentile ma non aveva molta voglia di lavorare. Era un guardaboschi della foresta che circondava il piccolo villaggio elfico, rendendolo invisibile e introvabile al resto del mondo.

Arrivò alla porta con già in mente la ramanzina da fare al giovane, ma quando aprì, si trovò davanti un ragazzino di circa quattordici anni, smilzo e con due grandi occhi verdi. In testa portava un ridicolo cappello verde a frange che lo faceva sembrare un pagliaccio. La ragazza lo riconobbe come uno dei paggi del padre, ragazzini che recavano i suoi messaggi. Lo invitò ad entrare ma il messaggero si rifiutò giustificandosi che era di fretta:- Vostro padre vuole parlarvi, vi aspetta nella sala delle riunioni private, arrivederci!- e così dicendo si dileguò correndo verso un’altra abitazione bassa e con il tetto di paglia dal quale usciva un rivoletto di fumo.

Dube richiuse la porta un po’ titubante, quel ragazzino l’aveva sorpresa, era un po’ inquietante.

Un pensiero la colpì dopo un attimo: suo padre non la chiamava mai nella sala riunioni se non era qualcosa di veramente importante! L’ultima volta che l’aveva fatto era stato sei anni prima.

Era una bella giornata di sole, lei era in giardino con le sue amiche a giocare. Costruivano grandi collane di fiori formate da campanelle, margherite e quadrifogli. Le risate allegre raggiungevano le case vicine e gli elfi si affacciavano a guardarle. Lei indossava il suo vestitino preferito, quello con i fiori colorati stampati sopra. Si vantava davanti alle amichette. Poi al cancello era arrivato un ragazzotto muscoloso e abbronzato, le aveva fatto segno di avvicinarsi e le aveva detto che suo padre voleva parlarle. Di malavoglia aveva salutato le compagne di giochi e si era recata nel piccolo palazzo ricavato da un enorme tronco cavo, che fungeva da sede del consiglio e del capo del villaggio. Era arrivata fuori dalla sala riunioni del padre,fece per entrare, ma quando sentì che dentro c’era qualcuno insieme al genitore esitò. Accostò il viso alla porta socchiusa e ascoltò.

All’interno c’era suo padre e si sentiva anche la voce dello zio:- Mi dispiace, era una persona eccezionale!- ripeteva in continuazione con voce strozzata. Il genitore piangeva sommessamente, singhiozzando ogni tanto : - Non doveva morire, non la mia cara Serafin!-. No, suo padre aveva detto che sua madre era morta, ma non era vero! Lei l’aveva vista quella mattina! Corse dentro come una furia e si mise a gridare che la donna era ancora viva, che li stava aspettando a casa! Ma nel profondo del suo cuore già sapeva che se ne era andata per sempre.

Spense il fuco ne caminetto di mattoni rossi, raccolse la giacca dall’attaccapanni posto al lato dell’entrata e uscì inghiottita da quella giornata glaciale. Il freddo l’avvolse in un bozzolo, dai lunghi capelli corvini alle punte dei piedi. camminò velocemente per le stradine del villaggio diretta al suo centro. Passarono un paio di minuti e arrivò in vista dell’enorme quercia cava. Attraversò la soglia senza esitazioni, ma quando fu dentro non poté fare a meno di alzare lo sguardo al soffitto. Anche se lo aveva già visto molte volte, l’enorme intreccio di radici e rami posti dieci metri più in alto, che fungevano da copertura dell’edificio l’affascinavano sempre. Si inerpicavano per metri sopra di lei intrecciandosi, dando vita a figure astratte. Incastonarti qua è la fra i tentacoli di legno vi erano, inoltre, diamanti che fungevano da lucerne, riflettendo la luce proveniente dall’esterno in arcobaleni di colori. Si inerpicò fra i cunicoli di corridoi che collegavano l’ingresso alle varie stanze. Per chi non avesse saputo la strada sarebbe stato facile perdersi. Arrivò davanti alla grande porta di legno dell’ufficio, la esaminò per alcuni istanti: era molto antica e pesante, con pregiati intarsi d’ambra ricamati su tutta la sua superficie. La maniglia d’oro zecchino conteneva al suo interno un grande diamante.

Prese un profondo respiro, chissà cosa voleva dirle suo padre! Qualunque cosa fosse, era sicura che sarebbe stata una notizia importante e soprattutto brutta. Resistette all’impulso di scappare via, bussò e quando il padre gli rispose entrò.

Suo padre era seduto su un seggio finemente lavorato dal migliore scalpellatore del paese al centro della sala, alle sue spalle c’era un grande camino di marmo scuro nel quale ardeva un fuoco incostante. L’elfo era alto e leggermente in carne, con dei capelli neri, striati di bianco. Gli occhi profondi e acuti scrutavano la giovane.

Il Padre le sorrise e le fece segno di accomodarsi su una delle sedie poste davanti a lui . Lei si sedette.  Bussarono alla porta. Entrò un ragazzino che aveva amala pena dodici anni: era suo fratello Brendon. Indossava dei pantaloni marroni e una casacca che era il doppio della sua tagli. I capelli erano a spazzola e di un colore indefinito tra il rosso e il marrone.

Si sedette anche lui accanto a lei.

Poi bussarono di nuovo alla porta ed entrò una signora magra ed alta. Con lunghi capelli biondi e occhi azzurri, era molto affascinante. I due ragazzi rimasero sorpresi da questa apparizione.

Il padre disse:- Ben arrivati figli miei. Lei è Lein ed è una signora che ho conosciuto un anno fa e che ora voglio sposare. Ritenevo che voi avreste dovuto saperlo. Dube non dovrai più cucinare e sgobbare tutto il giorno, e fare tutti quei lavori di cui ti lamenti sempre- sul suo viso comparve un grande e caldo sorriso: - Non siete contenti!-.

Dube si alzo di scatto e gridò:- Contenti! Come facciamo a essere contenti! Non ricordi più la mamma? Come puoi tradirla così?- il cuore le scoppiava. Odiava quella donna per avergli portato via il padre, e il padre per aver dimenticato la madre. Si girò di scatto e corse via. Ripercorse tutta la strada che collegava casa sua all’albero cavo a ritroso, infuriata. Non si accorse nemmeno che Mark la stava seguendo gridandole di fermarsi e chiedendole cosa fosse successo. Entrò in casa e salì al secondo piano. Arrivò in camera sua di corsa dove la raggiunse il suo amico. La ragazza incominciò a riempire il suo zaino con tutto quello che gli capitava sotto mano.

Era talmente arrabbiata e delusa che non sentiva neanche quello che diceva il suo migliore amico.

Poi si fermò di colpo e disse:- Mark, me ne vado!-.

Lui le chiese:- Ma dove vai……. non hai un altro posto oltre a questo! Dove vorresti andare?-.

Dube, voltandosi con agitazione, rispose:- vado più lontano possibile, dove mio padre non possa trovarmi! Credo che andrò in una città dell’ Europa, dove vivono la maggior parte delle creature solitarie, e del piccolo popolo!-.

Mark ribadì:- Non puoi andartene non pensi a tuo padre e a tuo fratello soprattutto! Lui soffrirà molto più di tutti, ti e molto affezionato, e poi tu, per lui sostituisci vostra madre!-.

-Lui non sofrirà, ora ha una nuova madre! Ma tu, giura di non dire niente fino a che non me ne sarò andata con il teletrasporto!-.

Lui rispose:-Non te lo posso giurare, se uscirai da quella porta io andrò subito da tuo padre! Cerca di capirmi lo faccio per te!-.

Lei gridò:- Bene, allora vai ma io me ne sarò già andata!-.

Prese lo zaino e se ne andò di corsa dalla stanza.

Mentre correva, chiuse gli occhi e, quando gli riapri si trovava, grazie alla capacità di teletrasportarsi, in una immensa città. Continuò a correre senza pensare dove stava andando. Aveva dei grandi lacrimosi agli occhi. Vide l’entrata di un parco, vi entrò. Percorse una via alberata, tutto intorno a lei c’erano piante e fiori disposti perfettamente da una mano sapiente; dove abitava lei le piante crescevano dove volevano.

Sentiva intorno a lei voci di bambini che ridevano, e le mamme che li chiamavano. Si sedette su una panchina. Si piegò in due, mise la faccia tra le mani e si lasciò andare in un pianto sfrenato, fra singhiozzi e pensieri tristi.

Ad un tratto sentì un fruscio alle sue spalle, un leggero movimento di mantello. Si girò di scatto, davanti a lei c’era una figura affusolata, alta e snella. Portava un lungo mantello, con un cappuccio calato sulla faccia, ma vi si distinguevano chiaramente le lunghe orecchie a punta. Gli occhi di quel strano individuo risplendevano di una strana luce dorata come l’oro. Aveva circa diciannove anni solo tre più di lei.

 Si  mosse e con un unico gesto aggraziato si sedette accanto a lei.

- Allora Mark mi ha tradito!-disse Dube con tutta calma:- Ha detto a mio padre che me ne sono andata. E lui da buon padre ha chiamato mia zia perché credeva che andassi da lei. Ma non ci sono andata. Così lei ha mandato te! Mi sorprende, quando ero più piccola veniva lei di persona!-.

-Esatto- ammise l’elfo un poco sorpreso:- Ora tu dovresti venire con me, devo riportarti da tua zia. Sono tutti in pensiero per te. Su vieni!- disse il ragazzo:- Io sono stato mandato qui da lei,come ai già capito. Sono un suo cavaliere. Ora aprirò un portale dritto verso il nord, arriveremo nella sala della regina!-.

La prese per mano e senza lasciarle il tempo di pensare, la trascinò nel passaggio e in un batter baleno si ritrovarono nella sala del trono.

Era una grande caverna ricoperta di cristalli che rispendevano di luce. Ai lati erano state poste colonne del colore della porpora con la funzione di sorreggere l’ampio soffitto a volta, dando un senso di immensità e potere che regnavano sovrani. Il soffitto era ricoperta di stallatiti dorate. Infondo alla sala, su d’un rialzo di tre gradini, si trovava un grande trono, fatto di cristalli rosati e azzurri.

Sul trono sedeva una graziosa elfa. Era alta e snella,  i sui capelli erano rossi, della stessa tonalità di quelli di Brendon, intrecciati in piccolissime trecce fermate da perline dorate. Il suo viso emanava potenza: i lineamenti erano rigidi e spigolosi e le davano una parvenza di immortalità e saggezza. La regina indossava un lungo vestito color porpora, con dei merletti e finiture dorate.

 - Lai trovata…..bene Roimben! Dove  era?- domandò con cipiglio.

- In un parco alle porte di Parigi!-  rispose l’elfo:- Cosa vuole che faccia ora?-.

Mentre i due elfi parlavano, Dube volse lo sguardo verso il giovane che nel frattempo si era inginocchiato e l’aveva fatta inchinare. Ora che lo vedeva meglio perché non aveva il cappuccio calato sul viso, sembrava una figura di marmo, con dei lineamenti duri, ma allo stesso tempo dolci. Aveva dei lunghi capelli d’argento legati sulla schiena con un laccio di pelle. Dube guardando quella figura felina sentì uno strano brivido lungo la schiena, una sensazione che nonostante tutto non aveva mai provato. Poi una voce lontana la riportò alla realtà.- Dube, Dube, cosa ti prende non ti senti tanto bene?-, la ragazza si scosse e si girò dalla parte da cui proveniva la voce. Era la regina che la chiamava, molto probabilmente si era incantata a guardare un punto fermo, come le capitava spesso.- No- rispose lei- va tutto bene, ero solo sopra pensiero. Ora immagino che dovrò tornare da mio padre, come al solito! Be almeno ci ho provato! Dov’è il portale?-.

Sulle labbra della regina comparve un sorriso ironico:- Non tornerai a  casa, hai sedici anni ed è ora che tu impari a vivere nel mondo esterno, per questo resterai qua a vivere e andrai alla scuola superire degli elfi. Ho già avvertito tuo padre e per lui non ci sono problemi-.

Dube non disse niente rimase solo con la bocca spalancata come se quella frase le  avesse tolto l’ossigeno. Mentre si rialzava in piedi bisbigliò con voce seccata:- Per forza che mio padre non ha protestato e così preso da tutti i suoi impegni per organizzare il matrimonio!-.

-Scusa hai detto qualcosa?- disse la regina. La ragazza fece segno di no con la testa e rivolse la il suo sguardo ad un cristallo più lungo degli altri che pendeva dal soffitto. Se qualcuno avesse guardato nei suoi occhi, in quel momento, vi avrebbe letto un infinita tristezza e rancore.

Quando la regina la congedò, Dube se ne andò diretta verso la sua camera, senza fermarsi a salutare.

 

  
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