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Autore: Marilia__88    09/05/2016    3 recensioni
Una nuova storia che come "Ti brucerò il cuore" riparte dal presunto ritorno di Moriarty e dallo stesso momento. Un'altra versione della quarta stagione con nuove teorie e nuove congetture completamente diverse.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” chiese John, mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock, fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary nel tentativo di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!” esclamò Sherlock con il suo solito tono di chi deve spiegare qualcosa di ovvio “…Mi sono quasi sparato un’overdose per dimostrarlo!”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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                                 The game is on





Appena scesi dall’aereo Sherlock, Mary e John si diressero verso l’auto nera che li avrebbe condotti a Baker Street.
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” chiese John, mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock, fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary nel tentativo di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!” esclamò Sherlock con il suo solito tono di chi deve spiegare qualcosa di ovvio “…Mi sono quasi sparato un’overdose per dimostrarlo!” aggiunse leggermente imbarazzato, abbassando lo sguardo con la scusa di mettersi i guanti. Era troppo difficile guardare John mentre diceva quella frase. Era troppo difficile leggere la delusione nei suoi occhi. “Moriarty si è suicidato, non ci sono dubbi… ma l’importante è che so esattamente che cosa farà dopo” concluse, riprendendo il controllo di sé e mostrando il suo solito sorriso compiaciuto ed eccitato.

 
Durante il tragitto Sherlock rimase zitto, intento a massaggiarsi le tempie con insistenza, mantenendo gli occhi chiusi. John e Mary, invece, lo guardavano con aria preoccupata, senza però interrompere quel silenzio.
Arrivati al 221B, il detective salì velocemente di sopra e si andò a sedere sulla sua poltrona, sospirando pesantemente ed assumendo la sua classica posizione meditativa. Mary, invece, si fermò di sotto dalla signora Hudson per dare a suo marito la possibilità di parlare da solo con il suo migliore amico.
John salì di sopra con un’espressione seria e tirata sul volto. Era così deluso e arrabbiato con Sherlock, da riuscire a stento a controllare i propri respiri. Appena entrò nel soggiorno, sbatté la porta con violenza, attirando l’attenzione del consulente investigativo, che aprì gli occhi e lo guardò intensamente.
“Si può sapere cosa ti è saltato in mente?” urlò il medico furioso “…Sbaglio o avevi smesso con queste schifezze?... Mesi fa quando ti ho trovato in quel covo di drogati, mi hai rifilato la cazzata che lo stavi facendo per il caso di Magnussen ed io ho fatto finta di crederti…ma adesso che scusa hai? Sono proprio curioso di sapere cos’altro ti inventerai stavolta!” aggiunse, continuando ad urlare.
Sherlock si passò stancamente una mano sugli occhi “John…” disse soltanto, sospirando pesantemente.
“Cosa, Sherlock?” incalzò prontamente John, mantenendo lo stesso tono di voce.
Il detective non rispose. Si passò le mani sul viso, prendendo lunghi e profondi respiri. Solo in quel momento il medico si accorse che, oltre al suo evidente pallore, aveva le mani che gli tremavano e il respiro decisamente affannato.
“Ti senti di nuovo male?” chiese, avvicinandosi a lui preoccupato.
“No, sto bene…” rispose Sherlock.
John si inginocchiò al suo fianco, gli prese il polso tra le mani ed iniziò a controllare i battiti cardiaci, scrutandolo, intanto, con uno sguardo attento “Certo, si vede!” esclamò, con sarcasmo.
“Ti ho detto che sto bene!” urlò all’improvviso il detective, liberando sgarbatamente il braccio dalla presa del medico.
“No, Sherlock! Non stai bene! Sei andato in overdose neanche un’ora fa, razza di idiota! Dovresti essere in ospedale!” rispose duramente John.
“Ho cose più importanti a cui pensare adesso!” disse il detective, sbuffando irritato. Poi si alzò con un po' di fatica dalla poltrona e si diresse verso il bagno.
“Si può sapere dove stai andando adesso?” domandò il medico disperato.
Sherlock, però, non rispose. Entrò nel bagno e sbatté la porta alle sue spalle. Dopo alcuni istanti John lo sentì vomitare e tossire convulsamente. Preso dallo sconforto si passò nervosamente le mani nei capelli, aspettando che l’amico uscisse.

Il detective uscì qualche minuto dopo ed era ancora più pallido di quando era entrato, aveva la fronte bagnata a causa dello sforzo ed ansimava leggermente, mentre con una mano si reggeva allo stipite della porta.
“Vieni a sdraiarti sul divano, prima di svenire sul pavimento!” esclamò il medico con dolcezza e preoccupazione al tempo stesso. Poi si avvicinò a lui e gli mise un braccio intorno alla vita per aiutarlo a camminare. Appena l’amico si mise sdraiato, si sedette al suo fianco ed iniziò a guardarlo intensamente “Come va?” chiese poi con un sospiro.
“Meglio…” rispose Sherlock, accennando un mezzo sorriso.
“Sherlock…voglio che tu sia sincero con me… per favore…da quando hai ricominciato?” chiese con un leggero tremore di voce.
Il detective lo fissò per qualche istante, ma poi voltò la testa di lato, rompendo bruscamente il contatto visivo “Non ho ricominciato…te l’ho detto anche sull’aereo, John…ne faccio uso di tanto in tanto per alleviare la noia e, occasionalmente, per migliorare i miei processi mentali…” rispose, continuando a guardare altrove.
“E credi che io me la beva? Smettila di trattarmi come uno stupido, Sherlock!” urlò John irritato “…Per tutto il tempo in cui ho vissuto qui, sei riuscito benissimo a farne a meno!” aggiunse convinto.
“Ne sei davvero sicuro? In fondo non te n’eri accorto quando ci stavamo salutando sulla pista!” sputò acido il detective.
“Si ne sono sicuro!” rispose il medico a tono, evitando volutamente di parlare del loro saluto “…Ora smettila di fare l’idiota e dimmi quando hai ricominciato e perché…” aggiunse con dolcezza.
Sherlock sospirò pesantemente, cercando in tutti i modi di non incrociare gli occhi di John. Aveva paura che leggesse nel suo sguardo tutta la sofferenza che lo stava tormentando ormai da mesi. La verità, in fondo, era questa: l’unico motivo che lo spingeva a fare uso di droghe, era una delle sue più grandi paure, il dolore. Aveva iniziato proprio così, lo ricordava bene. Era ancora vivido nella sua mente quel periodo particolare della sua vita, che al solo pensiero si sentiva mancare l’aria. Da allora, infatti, aveva capito che, nonostante tutti i suoi sforzi, l’unico sentimento di cui non sarebbe mai riuscito a liberarsi, era proprio quello che lo spaventava di più: soffrire. Solo la droga riusciva a dargli quel distacco e quella freddezza, che gli permettevano di sciogliersi dalla morsa del dolore e di continuare a vivere. A causa di quei pensieri, iniziò a sentire un opprimente peso sul petto, che lo costrinse a chiudere gli occhi. Fu allora che, come il giorno in cui Mary lo aveva sparato, sentì, nella sua testa, la voce di Moriarty pronunciare di nuovo quelle parole: “Il dolore si sente sempre, Sherlock…ma non ti deve fare paura!... Perdita…sofferenza…dolore…morte…!”. Aprì gli occhi di scatto e si mise a sedere, iniziando ad ansimare leggermente.
“Che succede?” chiese John, allarmato da quel comportamento.
“Niente! Devo mettermi al lavoro!” rispose secco Sherlock, alzandosi dal divano e mettendosi alla scrivania. Con le mani tremanti e il respiro ancora affannato, aprì il portatile e si mise a controllare tutti i file che aveva raccolto su Moriarty e sulla sua rete criminale.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda…” sottolineò il medico, leggermente turbato dal cambio repentino di umore del suo amico.
“Ora non ho tempo…lasciami in pace!” sputò acido il detective. Sentiva ancora la voce di Jim rimbombare prepotentemente nella sua testa. Doveva distrarsi in qualche modo. Doveva riuscire a pensare ad altro.
“Santo cielo, Sherlock! Si può sapere che ti prende?” urlò John irritato da quel tono di sufficienza “…Sherlock!” aggiunse poco dopo, vedendo che il detective non si decideva a rispondere.
“Dannazione, John! Ti ho detto di lasciarmi in pace!” gridò Sherlock, sbattendo con rabbia un pugno sulla scrivania.
Il medico rimase sorpreso da quella reazione. Ferito e ancora più arrabbiato, si alzò di scatto dal divano “…Io mi preoccupo per te e tu che fai? Mi tratti in questo modo! Ora basta, Sherlock! Fai come ti pare e vai pure al diavolo!” urlò, dando un calcio al tavolino. Poi prese nervosamente la giacca ed uscì dall’appartamento, sbattendo la porta alle sue spalle.
Appena John uscì, Sherlock si poggiò con i gomiti sulla scrivania e si prese il volto tra le mani, sospirando disperato. Si sentiva la testa scoppiare. Per fare quel salto mentale nel passato e scoprire la verità su Moriarty, aveva dovuto scavare a fondo in sé stesso. Solo in quel momento, però, si accorse che forse aveva scavato un po' troppo. Ricordi, sensazioni e paure, che era riuscito a nascondere in una parte profonda della sua mente, stavano lentamente riemergendo, sconvolgendolo e facendogli rivivere tutto il dolore che aveva provato in passato. Non voleva trattare John in quel modo. In fondo lui cercava di aiutarlo e in cambio era riuscito soltanto a deluderlo. Si passò nervosamente le mani sul volto, cercando di riprendere il controllo di sé, fece dei profondi respiri e si rimise al lavoro.
 

John tornò a casa con Mary. Per tutto il tragitto aveva mantenuto un rigoroso silenzio, ostentando un’espressione seria e tirata sul volto. Dopo aver varcato la soglia d’ingresso, la moglie si voltò verso di lui e lo afferrò per le braccia, iniziando a guardarlo negli occhi.
“Mi spieghi cos’è successo tra te e Sherlock?” chiese preoccupata.
“Lascia perdere, Mary…non mi va di parlarne…” rispose il medico, sospirando pesantemente.
“John…qualsiasi cosa ti abbia detto o in qualunque modo ti abbia trattato, ricordati che è il tuo migliore amico…ed ha chiaramente bisogno di te!” esclamò Mary con dolcezza.
John abbassò lo sguardo e si passò una mano sugli occhi “Non credo che voglia il mio aiuto…” disse tristemente.
“Certo che vuole il tuo aiuto, John!... Possibile che non ti rendi conto delle sue condizioni?... Ha ripreso a drogarsi e su quell’aereo ha rischiato di morire per overdose!... Non sta bene e non ci vuole un genio per capirlo! Devi stargli vicino…” rispose la moglie, accarezzandogli il viso e sorridendogli teneramente.
Il medico parve riflettere su quelle parole. Nello stesso istante gli venne in mente la frase di Mycroft su quell’aereo “Dottor Watson…lo tenga d’occhio…per favore…”. Non lo aveva mai visto in quelle condizioni. Non aveva mai visto tanta preoccupazione e tanto dolore nei suoi occhi. Mary aveva ragione, Sherlock aveva bisogno di lui. Avrebbe messo da parte la rabbia e la delusione e lo avrebbe aiutato, che lui lo volesse o meno.
“Vai da lui…” disse improvvisamente Mary, interpretando i pensieri del marito.
“Non voglio lasciarti sola!” esclamò John, prendendo dolcemente le mani tra le sue.
“Oh, John…un po' di solitudine non mi ucciderà mica! E poi ne approfitto per riposarmi…” rispose la moglie “…Vai…sbrigati!” aggiunse, indicandogli la porta.
Il medico si diresse verso l’uscita, aprì la porta e si fermò un attimo con la maniglia in mano. Poi si voltò a guardare sua moglie, si avvicinò lentamente a lei e la baciò con dolcezza. La guardò per qualche secondo negli occhi, sorridendole ed uscendo velocemente dall’appartamento, diretto a Baker Street.
 

Dopo aver riletto tutti i file su Moriarty, Sherlock si alzò stancamente dalla scrivania e si distese sul divano, sdraiandosi ed assumendo la sua posizione meditativa. Aveva bisogno di riordinare tutte informazioni e cercare di capire chi potesse esserci dietro quel video. Mentre vagava tra le stanze del suo palazzo mentale, una porta in fondo al corridoio attirò la sua attenzione. Era diversa dalle altre: era decisamente più vecchia e presentava graffi e striature, che evidenziavano l’evidente passaggio del tempo. Non ricordava cosa contenesse. A pensarci bene, non ricordava che ci fosse mai stata prima di allora. Man mano che si avvicinava, però, una strana sensazione di disagio, iniziò ad invadere il suo corpo. Cercò di non pensarci, fece un profondo respiro e mise la mano, leggermente tremante, sulla maniglia, abbassandola ed aprendo la porta. La stanza che trovò era completamente avvolta nel buio. Provò, così, ad addentrarsi più a fondo, per cercare di capire cosa ci fosse al suo interno. Tastando le pareti, dopo qualche istante, trovò un piccolo interruttore, lo premette e la stanza si illuminò all’improvviso. Ciò che vide, però, fu terrificante. Le pareti erano completamente ricoperte da schizzi di sangue; a terra, in un angolo, c’era una pistola; dalla parte opposta, invece, giaceva il cadavere di Barbarossa brutalmente sgozzato; poco più distante, infine, c’era lui. Si fermò per un attimo a guardarlo, poi si avvicinò al suo corpo senza vita e si abbassò leggermente, inginocchiandosi al suo fianco. Si accorse poco dopo del biglietto che stringeva ancora nella mano destra, lo prese con delicatezza e lo lesse attentamente. Ricordava quelle parole, le aveva impresse dolorosamente nel suo cuore. Dopo aver riletto più volte quel maledetto biglietto, si voltò verso il corpo di Barbarossa e alcune lacrime iniziarono a rigargli il viso. Cominciò a sentirsi male: sudava freddo, le mani gli tremavano violentemente ed ansimava, come se gli mancasse l’aria. Si alzò di scatto e si diresse dove prima c’era la porta, ma il terrore lo paralizzò, quando si accorse che era sparita. Doveva uscire da lì e doveva farlo il prima possibile. All’improvviso, in lontananza, sentì una voce familiare che lo chiamava con insistenza: era John. Cercò di concentrarsi sulla sua voce, pregando con tutto sé stesso che riuscisse a portarlo fuori di lì. Si mise le mani sul volto con disperazione, mentre altre lacrime gli uscivano senza controllo. “John…” urlò con voce rotta, pronunciando il suo nome quasi come una supplica. “John…ti prego…aiutami…” aggiunse, chiudendo gli occhi e continuando a piangere.





Angolo dell'autrice:
Salve! Eccomi ritornata..."Vi sono mancata?" (non ho potuto resistere!). Comunque in questi giorni di pausa ho riguardato lo speciale di Natale e mi sono venute in mente altre teorie e congetture, completamente diverse da quelle di "Ti brucerò il cuore" (prima o poi dovrò azzeccare le teorie giuste! Ahahhaha...). In primo luogo, come si nota nel primo capitolo, sarà diverso il rapporto con la droga di Sherlock. Verrà trattato in modo più approfondinto, mostrando un'altra versione secondo cui Sherlock non ha fatto più uso di droga, almeno fino al suo ritorno a Londra dopo la sua finta morte. Secondo questa nuova visione, il nostro detective fa uso di droga solo nelle situazioni che gli provocano sofferenze (per esempio, quando morì la Adler, Mycroft chiese a John si tenerlo d'occhio, indicando quella sera come "serata a rischio"). Quindi si può immaginare che Sherlock abbia ripreso a drogarsi o quando si è ritrovato a vivere da solo a Baker Street o dopo il matrimonio di John. 
In questa storia, inoltre, il nostro Sherlock dovrà affrontare un nemico reale che apparirà più avanti e, così come nello speciale, un nemico mentale...il Moriarty che ha nella sua testa. 
Il fatto che abbia scavato a fondo dentro sè stesso, inoltre, gli ha permesso di rivangare vecchi e dolorosi ricordi che fanno parte del suo passato e che lo hanno fatto diventare il sociopatico senza cuore. La morte di Barbarossa, naturalmente e qualcos'altro che, secondo la mia nuova teoria, si nasconde dietro la semplice morte del suo cane...qualcosa di molto più oscuro e tragico...che scoprirete nel corso della storia!
Spero che questa nuova versione vi piaccia...grazie a chi vorrà leggerla e a chi vorrà lasciare un commento. Alla prossima ;)

 
   
 
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