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Autore: Ormhaxan    10/05/2016    10 recensioni
Scandinavia, IX secolo. Nella società norrena, il rito pagano della fratellanza di sangue era uno dei più importanti, poichè univa due persone in un legame indissolubile, fatto di reciproca fedeltà, aiuto e vendetta. E' il rito a cui si sottopongono Sigurd, Occhio di Serpente, e Gorm Knutsson, futuro sovrano di Danimarca, per sancire quel legame di amicizia che li accomunerà per tutta la vita.
Dal testo: «I giovani principi caddero in ginocchio al cospetto degli dei, unendo le pulsanti ferite affinché il loro sangue diventasse uno; pronunciarono contemporaneamente frasi di giuramento eterno, parole di reciproca fedeltà, fratellanza e vendetta che li avrebbero uniti per sempre in quel legame che sarebbe continuato anche dopo la morte, perdurato nelle maestose sale dai tetti di scudo del Valhalla in cui Odino li stava attendendo.»
[Storia in parte collegata alla mia long storica, Figli del Nord]
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Medioevo
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Disclaimer: La storia che state per leggere è di proprietà della rispettiva autrice, non vuole avere alcuno scopo di lucro, e ha come fonti principali i seguenti testi: Blood-Brotherhood and Other Rites of Male Alliance, © Jack Donovan and Nathan F. Miller, 2009; Gísla saga Súrssonar, 1866, English, transl. G. W. DaSent; The Jomsviking's Saga, traduzione di © N.F. Blake, 1962; The Tale of Ragnar’s Sons, © Peter Tunstall, 2005.






Scandinavia, IX secolo.
 
 
 


Un lampo illuminò la stanza buia, andandosi a riflettere negli occhi cerulei del giovane norreno, seguito dal tuono che fragoroso rimbombò nelle sue orecchie.
La pioggia aveva iniziato a cadere copiosa da ore, nuvole avevano oscurato il cielo e le sue luminose stelle, e persino il placido mare primaverile si era risvegliato.
Fuori dalla dimora lignea il vento ululava, la sua voce era simile a quella dei canidi dal folto manto grigio e bianco che popolavano la foresta non lontana: se avesse teso abbastanza le orecchie, Gorm sarebbe riuscito persino a udire il cigolio delle massicce assi delle drakkar e delle knarr1 che, ormeggiate alla banchina lignea, ondeggiavano al ritmo delle onde schiumose che si infrangevano sulla umida riva come pensieri che agitano la mente.
Era arrivato in quelle terre esattamente sei anni prima, inviato da suo padre Knut, sovrano dello Jutland2, per suggellare l’alleanza con il leggendario vichingo Ragnar Loðbrok3: proprio da quest’ultimo era stato accolto come un figlio alla sua tavola e presso la  sua dimora aveva imparato a dividere il pane e la spada con i suoi figli minori, appreso l’arte della guerra e della politica, conosciuto la vera amicizia.  
Ricordò, disteso sotto le calde coperte di lana e con un cipiglio pensieroso dipinto sul volto scarno, di essere stato inizialmente intimorito da quel condottiero dagli occhi pallidi come la nebbia mattutina, riluttante all’idea di abbandonare la sua casa d’infanzia, in cui era servito e riverito come il principe che era, per un luogo sconosciuto lontano dalla sua famiglia e dai suoi amici in cui sarebbe stato trattato come un giovinetto qualsiasi.
Ripensò ai primi tempi trascorsi là, a come fossero stati difficili per uno sempre schivo e timido come lui; ripensò alla prima volta che aveva visto quel posto e a come ogni cosa in quel villaggio, situato sulle sponde del glaciale stretto di Kattegat, gli fosse stato parso terribilmente cupo, tanto che neanche la gentilezza della bellissima regina Aslaug, seconda consorte4 di Ragnar e madre dei suoi figli più piccoli, era riuscita a colmare quel senso di solitudine e diffidenza che si portava dietro come un pesante fardello.
Un secondo lampo squarciò con la sua fredda luce il cielo notturno, accompagnato repentino dal tuono, rivelando nell’oscurità della stanza il profilo di un giovane della sua stessa età.

«Sei sveglio!» esclamò in un sussurro Gorm, mettendosi a sedere.  
«Non riesco a dormire, - si giustificò l’altro, accovacciandosi sul letto di paglia dell’amico e cercando la sua attenzione – non faccio che pensare a ciò che accadrà domani sera.»
Sigurd Ragnarsson aveva sempre avuto un carattere schivo e sospettoso, era stato l’ultimo dei giovani presenti nel villaggio ad avvicinarsi a Gorm, eppure, nel corso del tempo, la loro si era dimostrata l’amicizia più vera e longeva di tutte.
Come suo padre, anche Sigurd aveva pallidi occhi azzurri, uno sguardo all’apparenza minaccioso che celava al suo interno il marchio del serpente e della gloria – non c’era da stupirsi, dunque, che il suo soprannome fosse proprio Orm ì auga, occhio di serpente; come suo padre e i suoi fratelli, anche lui aveva un fisico asciutto e slanciato, anche se nei piccoli gesti e nei lunghi capelli color dell’oro c’era molto della regalità di sua madre.
La loro era stata un’amicizia da subito ben vista dai rispettivi genitori, i quali riponevano nella propria prole le speranze di un’alleanza prolifica e duratura nel tempo, un futuro prospero per entrambe le casate; questa amicizia, insieme al matrimonio che il sovrano dello Jutland stava pianificando per il suo erede con la minore delle figlie di Ragnar, la vivace e curiosa Þyri, avrebbe sancito ufficialmente il loro legame agli occhi degli uomini e degli dei.5
Affinché ciò si concretizzasse, l’indomani sera si sarebbe svolta una delle cerimonie più importanti nella cultura heiðni6: il Fóstbrœðralagr, il rito della fratellanza di sangue.
Il rito avrebbe creato non solo un legame indissolubile tra due giovani, ma anche un Ætt7che avrebbe unito, in un patto tanto spirituale quanto terreno, i due popoli in un clan unito da reciproca fedeltà.
«Mio padre non ha fatto altro che ripetermi per tutto il giorno quanto questa fratellanza sia importante, di come le sue speranze e quelle del futuro del nostro regno siano riposte in me, terrorizzandomi a morte. – il rosso sospirò – E se qualcosa dovesse andare storto? Se sbagliassi a pronunciare i miei voti, facendo infuriare Vár?»
Sebbene entrambi i loro padri, tanti anni prima, prima che i loro figli nascessero, avessero provato sulla loro stessa pelle quel rito, né Sigurd né Gorm sapevano cosa aspettarsi da ciò che sarebbe accaduto: il goði8 avrebbe avuto un aspetto minaccioso? I precetti che i maestri avevano insegnato con pazienza e minuziosità ad entrambi sarebbero tornati loro in mente? L’athame avrebbe bruciato una volta fattosi strada in profondità nella loro carne?
«Sono sicuro che tutto andrà bene. – cercò di tranquillizzarlo Sigurd, nella speranza di infondere, con le sue parole, coraggio non solo al suo amico, ma anche a se stesso – Pensa, quando tutto sarà finito saremo ufficialmente adulti, pronti per le razzie e i saccheggi di primavera: quest’anno, quando arriverà il momento, anche io farò rotta verso le terre a ovest insieme ai miei fratelli maggiori; come loro prima di me, anche io conoscerò quei posti di cui innumerevoli volte ho sentito parlato, le terre degli angli e dei sassoni che, lo so, mi riserveranno gloriose avventure, gesta che un giorno tramanderò ai miei figli con orgoglio.»
«I miei condivideranno il mio e il tuo sangue. – confessò in una smorfia Gorm – Mio padre vuole che io sposi tua sorella Þyri, quando il momento sarà propizio mi ordinerà di chiederla in sposa, ma io non voglio sposarla: è selvaggia come un lupo delle foreste, indomabile come il mare in tempesta, e dubito che diventerà mai bella e aggraziata come le altre fanciulle.»
«Mia madre sostiene che la bellezza sbocci all’improvviso, come una gemma dopo il freddo gelo dell’inverno, benedetta da coloro che la osservano. – cantilenò il biondo – Per quanto concerne il suo lato selvaggio e indomabile, voglio rammentarti che nelle sue vene scorre il sangue della valchiria Brunhilde9: con un po’ di fortuna,  la tua futura consorte diverrà una delle mogli di lancia più spietate e coraggiose di queste terre, sarà temuta da tutti coloro che intralceranno il suo cammino.»
«Non far parola con nessuno di ciò che ti ho detto, non devono sapere le intenzioni di mio padre verso l’unione tra me e tua sorella, e comunque dubito che di questa questione se ne riparlerà prima che Þyri raggiunga l’età adatta per prendere marito.»
«Zitti voi due! – una voce assonnata si levò nella stanza: Bjorn si era destato dal suo sonno di orso a causa del vociare dei due ragazzi e seccato ruggì le sue proteste – Tornate a dormire o trovatevi qualcos’altro da fare.»
I due sogghignarono, divertiti dalle proteste del fratello maggiore di Sigurd, e di soppiatto sgusciarono giù dal letto e si diressero fuori dalla sala grande in cui stavano dormendo.
«Scommetto che non resisti più di dieci minuti in un duello sotto la pioggia battente. – provocò con un ghigno Sigurd, guardando sottecchi l’amico prima di afferrare due spade abbandonate poco lontano – Scommetto che ti faccio finire nel fango in pochi minuti.»
«E io scommetto che sarai tu quello a finire nel fango. – rispose a tono Gorm, afferrando al volo una delle due spade che il biondo gli lanciò – Fatti sotto, Ragnarsson!10»

Il giovane figlio di Ragnar non se lo fece ripetere: con un balzo felino scattò in avanti, attaccando l’amico, il quale parò prontamente il fendente.
Le spade, ben affilate, iniziarono a cozzare nella fredda notte di Aprile; il loro rumore, misto a quello della pioggia che scrosciava copiosa, andrò a formare una singolare melodia che solo i tuoni riuscivano a sovrastare.
Man mano che i minuti passavano, gli indumenti dei due giovani venivano impregnati d’acqua, assumendo un colore scuro e uno spessore sempre più ampio; i loro capelli, ciocche color del fuoco e del grano, oscillavano liberi sui volti fieri, sui loro sguardi vitali e impavidi sui quali saettavano i felini movimenti delle loro braccia, i fendenti e le parate delle loro armi; i loro respiri si inebriarono dell’odore della nuda terra, della pioggia, del mare in burrasca che sprigionava, grazie alla spuma delle sue onde, la salmastra salsedine capace di arricciare i loro capelli e pizzicare i loro visi eterei.
Continuarono a muoversi a ritmo di quella danza bellicosa per ore ed ore, fino a quando la pioggia non cessò, lasciando il posto al primo sole del mattino e ai suoi opachi raggi dell’alba che, timidi, fecero capolinea tra le fronde del bosco a est; solo allora i due amici si fermarono, concedendosi il meritato riposo distesi sui tetti di argilla di una delle tante abitazioni norrene.
«Mi mancherà tutto questo. – confessò con malinconia Sigurd – Quando la fratellanza sarà compiuta e tornerai nella tua terra natia con tuo padre, so che mi mancherà averti qui.»
«Sono passati sei anni da quando ho lasciato la mia casa, detto addio a mia madre, e il pensiero di ritornare in quella terra divenuta per me estranea e lasciarmi alla spalle i miei fratelli di lancia mi riempie di angoscia. – Gorm si strinse la braccia al petto e sospirò – Eppure non posso sottrarmi ai miei doveri, non ora che mio padre inizia a sentire il peso degli anni gravare su di lui: è tempo per me di riprendere il mio posto accanto a lui, il posto di suo erede che mi spetta di diritto.»
Un rumore simile ad un cigolio li mise sull’attenti: il pensiero di essere stati scoperti e di ricevere una ramanzina dai loro padri o, peggio, dal loro maestro d’armi li rese nervosi, ma quando videro una zazzera di capelli castani fare capolino sul tetto furono sollevati nel riconoscere la sorella minore di Sigurd, Þyri.
«Cosa ci fai tu qui? Dovresti essere a letto!» l’ammonì piccato il fratello.
«Anche voi dovreste! – rispose a tono lei, mostrando il forte carattere che la distingueva – Vi ho sentito combattere sotto la pioggia, probabilmente tutti vi hanno sentito, e quando ho visto che vi stavate arrampicando su uno dei tetti vi ho seguito.»
«Questo non è un posto per te, Þyri, e i nostri discorsi da uomini non sono adatti alle orecchie di una bambina.»
«Nostra madre ha detto che, dopo il rito della fratellanza, tornerai a casa con tuo padre e che ci dovremo salutare per sempre. E’ vero?»
«Non per sempre, - precisò Gorm – solo per qualche tempo.»
Þyri si portò le gambe al petto, accovacciandosi accanto al suo amico, assumendo un’aria pensierosa e triste: Gorm era uno dei suoi pochi amici, nonostante la differenza di età era sempre stato gentile con lei, o almeno lo era stato prima del raggiungimento dell’età adulta e delle sciocche fanciullette che gli ronzavano intorno come insetti fastidiosi.
«Tornerò presto,  vedrai, e quando accadrà ti racconterò tutte le mie avventure per mare, nelle terre a ovest.»
«Presto? – fece eco la bambina, indecisa se credergli o meno – Lo prometti?»
«Sì, lo prometto.»
Nessuno dei due poteva sapere che sarebbero passati quasi dieci anni prima di rivedersi: Gorm non sarebbe tornato in quelle terre che lo avevano visto crescere e trasformarsi in un uomo per molto tempo; nessuno dei due sapeva che sarebbe stata proprio la vendetta a farlo tornare per vendicare la morte dei fratelli maggiori dei suoi amici, Eirik and Agnar, a spingerlo in quelle terre per riscattare il loro nome e quello dello stesso Ragnar, il quale avrebbe trovato la precoce morte nelle terre della Northumbria.
Þyri sembrò soddisfatta da quella risposta, lieta si accovacciò meglio vicino al suo amico sotto lo sguardo divertito di Sigurd.
I due ragazzi si scambiarono un sorriso sornione, tornando a distendersi sul pendente tetto d’argilla, pregustando il momento in cui Sòl avrebbe nuovamente lasciato il posto a suo fratello Máni11 e il loro sangue si sarebbe mischiato, rendendoli una cosa sola.



 
**
 


I tamburi venivano percossi in un ritmo veloce, scandendo il tempo con le loro note cupe e primordiali, ricordando i tuoni che si erano susseguiti nella notte appena trascorsa.
La luna era calante, un sottile filamento argenteo che ricordava la lama ricurva di un pugnale. Il momento era propizio per consacrare l’athame dal manico scuro e la lancia incisa con antiche rune, invocare gli dei affinché unissero nella fratellanza di sangue i due giovani giunti al loro cospetto per chiedere la loro benedizione.
Tutt’intorno i fuochi bruciavano vividi, espandendo la propria ombra e quelle dei presenti tra le misteriose nebbie della sera, muovendo, aiutati dal tiepido e sottile vento, le lingue scarlatte che si proiettavano verso il cielo privo di nubi.  
La solenne figura del Goði, giunto insieme al resto della corte del re Knut dallo Jutland, troneggiò con il suo viso dipinto con colori della terra sulle figure dei due giovani, ponendosi come tramite tra loro e la dea Vár, a cui aveva legato la sua anima.
Una grande zolla di terra ancora umida fu incisa con la lunga lancia dal manico intagliato di rune, così da creare un profondo solco nel terreno; Gorm osservò il sacerdote alzarla,  conficcare la lancia al centro di essa, così da formare un arco erboso che troneggiasse sopra le loro teste, stando bene attento a tenerla in parte unita alla feconda terra – se avesse ceduto, sarebbe stato un segno divino di cattivo auspicio, un presagio nefasto per i due giovani e la loro fratellanza di sangue.
Sotto lo sguardo attento dei loro padri, Sigurd e Gorm strisciarono nel ventre della terra che era morte e rinascita, cospargendosi il capo e il corpo con l’elemento naturale più potente di tutti, abbandonando così la loro precedenti vite di giovani nati da madri diversi per rinascere insieme dai lombi di Jörð, Æsir generatrice di vita.12
La rovente lama dell’athame calò sulle loro pallide braccia, aprendosi la strada in un fiume scarlatto: gocce porpora si fusero con il terreno, mischiandosi per sempre, mentre la voce del sacerdote invocava la dea Vár affinché presenziasse a quel rito di nuova vita.
I giovani principi caddero in ginocchio al cospetto degli dei, unendo le pulsanti ferite affinché il loro sangue diventasse uno; pronunciarono contemporaneamente frasi di giuramento eterno, parole di reciproca fedeltà, fratellanza e vendetta che li avrebbero uniti per sempre in quel legame che sarebbe continuato anche dopo la morte, perdurato nelle maestose sale dai tetti di scudo del Valhalla in cui Odino li stava attendendo.



 
*



1. Imbarcazioni tipiche norrene. Le prime erano usate a scopi militari, le seconde erano navi mercantili.
2. Penisola del nord Europa che comprende i territori della danimarca continentale e della Germania più settentrionale.
3. Letteralmente "calzoni villosi"; è l'appellativo dato al leggendario condottiero vichingo Ragnar.
4. Aslaug, secondo le leggende, fu la seconda moglie di Ragnar e madre dei suoi figli minori Ivar, Bjorn, Hvitserk e Sigurd. La prima moglie, invece, fu Þóra - nella Storia dei figli di Ragnar  era figlia di uno dei vassalli di Ragnar, il Conte Herrauðr - che gli diede due figli, Eirik and Agnar.
5. Nella Saga dei Jomsvikings, Gorm sposa sì Þyri, ma lei è la figlia dello Jarl Klakk-Harald dello Holstein; in questa OS, e più in generale nella mia long, ho cambiato la sua paternità ai fini della storia.
6. parola norrena che definisce il paganesimo e la religione di quei popoli.
7. Un Ætt era un clan norreno.
8. Un goði era un sacerdote pagano. Il suo corrispettivo femminile è Gyðja.
9. Secondo la leggenda, Aslaug, madre di Sigurd e Thyri, era figlia della valchiria Brunhilde e del leggendario eroe Sigfrido.
10. Letteralmente significa "Figlio di Ragnar".
11. Nella mitologia norrena, Sòl era la dea che trainava il carro del sole, mentre suo fratello Màni era il dio che trainava il carro della luna.
12. Appellativo riferito a Jörð, divinità associata alla Terra.




Angolo Autrice: Salve, gente! Oramai appassionata di cultura norrena e dei vari riti del paganesimo, sono stata ispirata dal quattordicesimo capitolo della mia long, Figli del Nord, in cui appunto si parla della fratellanza di sangue, per scrivere questo capitolo.
I protagonisti sono gli stessi della mia long, con l'eccezione che qui sono ancora ragazzi, ergo la si può leggere sia come semplice OS che come un prequel della storia vera e propria.
E, nulla, spero di essere riuscita ad intrigarvi, che la storia vi sia piaciuta, e vi invito a lasciarmi una recensione.
Alla prossima,
V.
  
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