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Autore: _Ruggelaria    10/05/2016    1 recensioni
Dal testo:
“D’accordo, allora… ci vediamo più tardi!”. Leon annuì, ancora felice. Ma quel che successe appena un secondo dopo lo fece saltare di gioia che non poté essere di mal umore neanche sapendo che era iniziata l’ora di matematica.
Violetta Castillo si alzò sulle punte, puntando le mani sulle spalle del ragazzo, lasciandogli poi un dolce bacio sulla guancia sinistra. Si dileguò in classe senza degnarlo di uno sguardo, ma con un sorriso imbarazzato e vittorioso sul viso.
Gli angoli della bocca di Camilla Vargas si alzarono leggermente, guardando la ragazza entrare nell’aula. “E’ già caduta in trappola”.
Il gruppo si avviò verso la loro classe, e –Leon non ne era sicuro- ma gli parve di sentir sussurrare Diego qualcosa molto simile a: “Già… e non è la sola”.
Perché non passate a leggere dure righe? Lasciatemi anche qualche consiglio e qualche parere, mi farebbe molto piacere. Vi mando un grande bacio!
_Ruggelaria
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI°


 Il temporale era scoppiato da parecchi minuti, oramai. I lampi illuminavano la città, i tuoni brontolavano nel cielo senza nessuna meta, le macchine attraversavano la strada schizzando acqua a chiunque fosse nella loro traiettoria. La pioggia che batteva contro la finestra della camera di Violetta Castillo, scivolava contro il vetro come lacrime su un viso bagnato. A lei piaceva stare in silenzio a guardare la pioggia scendere da dietro il vetro della sua finestra appannata. Le piaceva sentire il rumore delle gocce che arrivavano al suolo, contro il vetro. Le piaceva l’odore, anzi il profumo della pioggia, che rimane dopo nell’aria. E soprattutto le piaceva pensare che dall’altra parte della città c’era Leon Vargas a guardare, sentire e respirare la stessa pioggia. 
Si voltò verso sua nonna, seduta di fronte a lei sul letto della sua camera dalle pareti viola.
“Nonna, ti manca tanto il nonno?”.
“Che domanda sciocca, tesoro.. certo che mi manca.” sussurrò Angelica sorridendo leggermente alla nipote, le rughe sul viso che rappresentavano i segni di una vita vissuta.
“E cosa ti manca di più di lui?”
“I baci, la sua risata, le litigate…”
“Le litigate?”
Angelica sorrise nuovamente annuendo teneramente, come si fa tra nonna e nipote. “Sì, soprattutto le litigate.”
“E perché?”
“Perché vedi, tesoro, quando ti manca una persona, ti mancano i suoi pregi e i suoi difetti. Tuo nonno mi manca, nel vero senso della parola.”
Violetta aggrottò le sopracciglia sistemandosi la coperta fino a sotto il seno. “Spiegati meglio.”
“Hai presente la sensazione che provi quando perdi un autobus? Quando arrivi troppo tardi ad un appuntamento? Quando devi buttare il tuo vestito preferito? Quando litighi con una persona speciale?”
“Sì.”
“Ecco.” sussurrò ancora l’anziana donna dai capelli bianchi “Ora unisci questi sentimenti.”
“Tu provi questo?”. 
“Ogni giorno.”
 In quel momento Violetta provò un sentimento di tristezza, malinconia e perdita, sperimentato poche volte. Ora riusciva a capire come si sentiva sua nonna senza suo nonno… come riusciva a sentirsi suo padre senza sua madre. 
“E come fai a sopravvivere con tutto questo vuoto dentro?”
“E’ facile. Basta pensare che lui sia qui con me.”
“In che senso?”
“Ad esempio, quando la casa è troppo silenziosa, m’immagino la risata di tuo nonno che rimbomba nelle stanze. Mi siedo sul divano, osservo la poltrona dove si sedeva, e cerco di immaginarlo mentre guarda la televisione, o mentre ascolta la sua canzone preferita: ‘Volare’. Dovevi vederlo. Appena metteva su il disco si alzava e m’invitava a ballare, e i suoi occhi s’illuminavano di gioia. Mi posava delicatamente la mano sui fianchi ed iniziavamo a danzare. Lo amavo sempre, anche quando mi urlava che voleva andar via di casa, anche quando mi faceva piangere. Il suo profumo di fumo mischiato al gelsomino; il suo carattere dolce e scorbutico; i suoi occhi marroncino che ti ricordavano l’autunno. Non c’è cosa che non mi manchi.”
Gli occhi di entrambe erano ricoperte da un velo di lacrime, quando si sorrisero a vicenda. “Anche a me manca molto.”
“Fai come me.” propose la donna alzando le sopracciglia. Ma Violetta scosse la testa “Non ne sono capace.”
“Ma tesoro, è così semplice! Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare. Chiudi gli occhi.”
E chiuse gli occhi. “Fatto.”
“Ora pensa a qualche suo ricordo bello.”
“Sì.”
“Apri gli occhi.” ed aprì gli occhi. “Lo vedi?”
“Sì, lo vedo. Ti sta tenendo per mano.”
Angelica sorrise, una lacrima che le rigò il viso. Abbracciò sua nipote tenendola stretta a sé, come faceva ogni volta con le sue due figlie –Angela e Maria, quest’ultima purtroppo morta e madre di Violetta- quand’erano piccole come la nipote.
“Mi racconti la vostra storia?”
Le rughe della donna si mostrarono ancora, annuendo.
“Oh, ma certo, ma prima però c’è un’altra storia che merita d’esser raccontata. Ti va di ascoltarla?”
“D’accordo.”
“Avevo quindici anni, era il 1949 e, sai, all’epoca era tutto diverso. Abitavo in un piccolo paesino, che giravo spesso in sella alla mia bici, per andarmi a rifugiare in un posto che mi piaceva pensare conoscessi solo io; amavo sdraiarmi sull’erba fresca e sentire i raggi del sole riscaldarmi, nelle fresche mattine d’estate. Un giorno, subito dopo esser tornata a casa, mia madre mi mandò a prendere l’acqua al pozzo vicino casa. Mentre riempivo le grandi brocchi, vidi passare un ragazzo che si fermò per chiedermi se mi serviva aiuto. Mi accompagnò fino alla piazza del paese perche, sai, mia madre non voleva che vedessi dei ragazzi. Ci salutammo, propensi ad incontrarci nuovamente. Solo una settimana dopo, ero diretta nel ‘mio posto’, quando vidi in lontananza lui. Solo allora, dopo una settimana, mi resi conto che già lo avevo incontrato, che già avevo visto quegli occhi azzurri. Mi ricordai che qualche settimana prima mi scontrai con lui, che litigammo per moltissimo tempo, e mi augurai anche di non incontrarlo mai più. Ma di quel giorno me ne dimenticai. Così scesi dalla bici, e lui fece lo stesso. Avevo poco tempo a disposizione, dovevo tornare a casa presto, ma quel tempo lo passai tutto con lui. Non gli raccontai mai che mi ero ricordata del nostro primo incontro, e lui neanche se ne ricordò, o forse sì, in ogni caso non me ne parlò. Quel giorno ci mettemmo insieme, ma non come i ragazzi d’oggi, che si baciano tra la folla senza preoccuparsi degli sguardi della gente, no, il nostro era un amore segreto, un amore che conoscevamo solo noi; era il nostro amore! Dopo qualche anno mi giunsero delle voci: dicevano che lui si era messo con un’altra ragazza, che io ormai non ero più niente. Così, all’età di vent’anni, decisi di partire per andarmene lontano da lui; Buenos Aires sarebbe stata la giusta soluzione… e in qualche modo lo fu. Lui continuava a cercarmi, a scrivermi, venne addirittura qui per chiedermi spiegazioni. Io non volevo averci più niente a che fare, lo mandai via. Chiusi così per sempre la nostra relazione. Mi feci una vita, sposai tuo nonno, ebbi tua mamma, che a sua volta mi diede una bellissima nipote, e tua zia. Lui fece lo stesso, rimase in quel paesino, e sposò una donna del posto. Solo tanti anni dopo scoprii che non mi aveva mai tradita e che, le voci che giravano, provenivano dalla gelosia di una mia ‘amica’. Lui provò così tante volte a spiegarmi l’accaduto, ma io non ne volevo più sapere, non l’ho mai lasciato parlare. Con questo non voglio dire che io non abbia amato tuo nonno, l’ho amato, amato sul serio, fin quando non ci ha lasciato, ma il mio grande amore, la mia anima gemella, la persi tanti anni prima. E sai cos’è l’amore, tesoro? Pensare ancora a lui, nonostante siano passati sessantasei anni.”
“E’ davvero una storia bellissima e commuovente, nonna.”
 Il volto della donna anziana si ricoprì –ancora una volta- da rughe, sorridendo alla sola nipote che aveva. “Quindi tu e questo ragazzo inizialmente non vi sopportavate… dico bene?”
“Esatto. Per puro caso l’ho rincontrato. Ma basta rimuginare sul passato, dimmi un po’ di te… la scuola coma va? C’è qualcuno che t’interessa?”
Le orecchie di Violetta diventarono improvvisamente più colorite, mentre sulle labbra si estendeva un sorriso d’imbarazzo. Non era sicura di volerne parlare con sua nonna, ma soprattutto non era sicura di quello che voleva parlare. 
Certo, Leon Vargas era un ragazzo molto bello, dolce quando voleva, educato e sensibile; ma Violetta sapeva che nascondeva anche un altro lato. Non era sicura, ma forse quella sera Leon le aveva dato la conferma che sua sorella, Camilla Vargas, stesse tramando qualcosa contro di lei, usando suo fratello… proprio come aveva detto Francesca.
Già, Francesca. Quanto le mancava! Si sentiva ancora tremendamente in colpa per ciò che le aveva detto qualche mattina prima, perché sapeva che se fosse stato il contrario, se fosse stata l’italiana a dirle che Leon non l’avrebbe mai guardata, Violetta ci sarebbe rimasta molto male, perché sicuramente non si aspettava una cosa del genere detta dalla sua migliore amica.
Ed era proprio così che doveva sentirsi Francesca.
Un vuoto allo stomaco la trafisse improvvisamente, ricordando quel giorno. 
“Tutto ok, tesoro?”
Violetta batté un paio di volta le palpebre degli occhi per risvegliarsi dai ricordi, tornando con lo sguardo su sua nonna. “Certo. E’ solo una sciocchezza.”
“Però non hai risposto alla mia domanda.” sorrise Angelica. A quel punto Violetta lasciò andare la conversazione. Che senso aveva dire di essere innamorata di un ragazzo che la stava solo prendendo in giro?
“Oh no, nonna. Non m’interessa nessuno.”
“Eh! Ma non dirmi che nella tua classe non c’è neanche un ragazzo carino!”. Violetta sorrise appena, la testa bassa mentre si torturava le dita. 
“Di carini ce ne sono… ma non s’interessano molto a me, sai… con Ludmilla Ferro e Camilla Vargas in classe.”
Angelica aprì la bocca, e d’un tratto capì tutto come se le fosse stato appena sbattuto davanti agli occhi. “Certo… ora capisco tutto. Sono due ragazze bellissime, lo ammetto. Ma sai, non credo che a Leon interessi sua sorella o la ragazza che considera un’altra sorella minore.”
Violetta Castillo alzò improvvisamente la testa, un’espressione stupita a confronto di quella furba di sua nonna. 
Sulle labbra della donna apparve un sorriso astuto, gli occhi che la leggevano dentro.
“Come fai a sapere di Leon?” domandò Violetta ancora perplessa.
“Oh, tesoro mio. Conosco la famiglia Vargas da molti anni, e so che sei sempre stata ossessionata da Leon.”
Violetta aggrottò le sopracciglia, ancora più confusa di prima. “Non capisco… cosa intendi?”
Angelica si lasciò andare ad una leggera e sonora risata, sistemandosi meglio di fronte alla nipote. Le poggiò una mano sulla gamba, gli occhi azzurri inchiodati a quelli da cerbiatta della nipote.
“Sicuramente non ricorderai nulla, eri troppo piccola. Quando nascesti tu, tuo padre non era presente a causa di una riunione alla quale aveva dovuto partecipare. Non appena gli arrivò la chiamata di tua zia Angie, si precipitò in ospedale. Accanto al letto di tua madre, c’era una donna che a sua volta aveva partorito. Aveva dei lunghi capelli rossi, e degli occhi verde smeraldo. Me la ricordo perfettamente, perché tua zia mi disse: “Sembra un semaforo!”. Quando tuo padre arrivò, riconobbe il suo amico d’affari, Julio Vargas. Scoprirono che entrambi erano appena diventati papà, solo che Julio era già padre. German, tuo padre, ricordò di quanto Julio gli era stato accanto quando l’azienda colò a picco, e lo invitò nella nuova azienda, molto più forte e potente. I due passavano molto tempo insieme, e prima che se ne rendessero conto, tu e Camilla eravate diventate delle bellissima bambine di cinque anni; Leon ne aveva sei, e quasi tutti i pomeriggi giocavate insieme. Tu eri particolarmente affezionata  a Leon, che quando arrivò il momento –per lui- di andare a scuola, non te ne volli separare più.”
“Cos’è successo poi? Perché le nostre famiglie fanno finta di non conoscersi, di odiarsi?”
Angelica fece un respiro profondo, guardando negli occhi la nipote. “Vedi, qualche anno dopo, tuo padre e Julio litigarono. Davvero una brutta lite che li fece allontanare per tutto questo tempo, ed andaste di mezzo anche voi… ecco perché a Camilla non vai molto a genio… anche lei conosce tutta la storia.”
Violetta non riusciva a credere a quello che sua nonna le aveva appena raccontato. Lei e Leon una volta erano inseparabili, ottimi amici… ed anche con Camilla. 
Perché la vita doveva essere così ingiusta?
“Leon non sa nulla di questa storia?”
Angelica scosse la testa “E ora dimmi… è Leon Vargas il ragazzo che ti piace?”.
Ancora una volta le orecchie di Violetta diventarono più accese del solito, e gli angoli della bocca si alzarono in un sorriso d’imbarazzo. Annuì, vedendo le rughe di sua nonna affusolarsi ancora una volta.


I lunghi e rossi capelli di Camilla Vargas erano mossi al ritmo del vento che soffiava quel nuvoloso pomeriggio. La sigaretta che portava regolarmente alle labbra, era, oramai, quasi del tutto finita; buttò il mozzicone a terra e lo schiacciò con il piede. 
Per molto tempo aveva riflettuto se chiamarlo o no, ma alla fine si era fatta coraggio ed era riuscita a schiacciare l’icona verde sul suo contatto. 
Doveva assolutamente parlargli, doveva chiarire quel che era successo tra loro qualche settimana prima.
Sapeva, comunque, che non sarebbe mai potuto accadere nulla, quindi cercò di convincersi che quello era solo un incontro per chiarire una situazione passata.
Era stato tutto un grande sbaglio; uno sbaglio che non si sarebbe mai più ripetuto… di sicuro.
Camilla accavallò la gamba destra sull’altra, muovendola nervosamente perché, anche se sapeva che non sarebbe accaduto nulla, che sarebbe tornata a casa perfettamente tranquilla, il pensiero di lei con quel ragazzo, le faceva battere forte il cuore.
Ma sapeva che era sbagliato.
Sentì dei passi avvicinarsi, il rumore delle foglie che veniva calpestato l’aveva sempre divertita, sin da piccola. 
Un ragazzo alto, dagli occhi neri ed i capelli ricci mossi dal vento, si bloccò davanti alla sua figura –seduta sulla panchina-.
Federico Rossi teneva le mani dentro le tasche del giubbotto e lo sguardo fisso sull’esile ma potente figura di Camilla Vargas.
Non l’aveva mai notato, ma sotto la luce di quel tramonto primaverile, attraverso una brezza che soffiava fra gli alberi scompigliandole i capelli, il viso di Camilla era perfetto, in ogni dettaglio, in ogni curva. Quell’ombra di lentiggini la faceva sembrare debole, ma allo stesso tempo la rendeva forte e potente.
Era davvero innamorato di lei.
“Grazie d’essere venuto.”
“Figurati. Non avevo nulla da fare.”
Camilla Vargas si alzò in piedi; con quegli stivali con il tacco che indossava, era della stessa altezza di Federico, finalmente riusciva a guardarlo negli occhi.
Una ciocca di capelli rossi le volò davanti agli occhi, e con un rapido ma delicato gesto della mano cercò di tirarla dietro l’orecchio, ma la mano di Federico fu più veloce.
“Federico… perché pensi che ti abbia chiamato?”
“Credo che tu voglia parlarmi di ciò che è successo qualche sera fa. Sbaglio?”
“In effetti no.”
Il ragazzo italiano fece un lungo e profondo respiro. Sentì l’aria gelida –come lame ghiacciate- entrargli nel corpo attraverso il naso, per poi scendere nei polmoni.
“Parliamo, allora.”
Camilla annuì, sedendosi nuovamente sulla panchina, la quale era diventata di nuovo fredda. Stava tremando, e non solo per il freddo.
Ok, Federico Rossi era uno sbaglio. 
Perfetto.
Ma il suo cuore avrebbe voluto continuare a sbagliare.
“Camilla… quello che è accaduto alla festa, io… non è successo niente.”
“Esatto. Per una volta sono d’accordo con te.”
Decisamente non era il genere di risposta che Federico avrebbe voluto sentir dire.
“Voglio che dimentichi tutto, proprio come farò io. Chiaro, Federico?”
Rossi esitò qualche secondo, la gomma che veniva tranciata dai denti. “Certo. Chiarissimo.”
E gli occhi neri s’infuocarono.
Come poteva Camilla Vargas nascondere ciò che provava! Se n’era accorto da tempo, ma non voleva crederci.
“Qualche problema? Sei stato tu a dire che non è successo niente. Possiamo dimenticarcene entrambi.”
“Non posso credere che tu sia così…”.
“Così come! Arrogante? Egoista? Presuntuosa? Cattiva? Superficiale? Prego, aggiungi un’altra etichetta! Tanto perché me ne hanno date poche!”
“Certo! E lo sai perché? Perché è tutto vero, Camilla! Tutte le cose che la gente pensa di te, sono vere! Sei arrogante, egoista, presuntuosa, cattiva, superficiale, e adesso anche bugiarda!”.
“Sentiamo, perché sarei bugiarda?”.
“PERCHE’ DICI CHE UN BACIO NON E’ NULLA! NULLA! MENTRE SAPPIAMO PERFETTAMENTE ENTRAMBI CHE HA SIGNIFICATO MOLTO SIA PER ME, SIA PER TE!”
Aveva la gola in fiamme, sentiva mille e mille aghi roventi conficcarsi contro le corde vocali… ma non gl’interessava. Si era sfogato, le aveva detto tutto ciò che pensava, tutto quello che sentiva.
“Sì, hai ragione. Ed è proprio per questo, che voglio dimenticarmene…” si alzò dalla panchina, lo sguardo sempre fisso su quello di Federico. “…e faresti bene a dimenticartene anche tu.” 
Detto ciò si voltò per andarsene, fece il primo passo, ma tutto accadde in un secondo: Federico si alzò rapido dalla panchina afferrando la vita della ragazza e facendola voltare. Si trovò improvvisamente il suo petto attaccato a quello di Camilla, e le sue labbra a pochi centimetri… finchè non le toccò con le sue.
Era la seconda volta che baciava Camilla Vargas, ma sembrava come se le porte del paradiso si fossero aperte davanti ai suoi occhi.
Sentiva la morbidezza, la fragilità e la sensibilità di quei due pezzi carnosi che mordeva con i denti. Il potere che avevano su di lui, la potenza e la libertà che provava in quel momento erano qualcosa di inspiegabile.
Era un bacio che toglieva il respiro e dava i brividi.
Le prese il viso fra le mani, passò il pollice sulla sua guancia asciugandole e lacrime, ed infine, allontanandosi di poco, la guardò negli occhi. Sapeva che quello sarebbe stato l’ultimo bacio, l’ultima volta che l’avrebbe baciata, l’ultima volta che l’avrebbe guardata da così vicino, l’ultima volta che l’avrebbe vista piangere per lui. 
Le lasciò il viso passando le mani lungo la sua vita e posandole sui fianchi, ma senza mai staccare lo sguardo da quello di Camilla.
La ragazza avvertì un brivido percorrerle la spina dorsale, e il suo cuore che batteva forte, veloce… inarrestabile.
Non sapeva cosa dire, qualsiasi frase, qualsiasi parola sarebbe stata sbagliata.
Federico sarebbe stato sbagliato.
Ma una cosa che ti fa stare bene, come può essere sbagliata?
Camilla chiuse gli occhi abbassando la testa, il viso contratto in una smorfia di dolore. Le lacrime cominciarono a scendere, bagnavano le sue guance, le labbra che poco prima erano state toccate dal ragazzo del quale era innamorata.
Avvertiva il cuore che faceva male, le gambe tremare e non sapeva se sarebbe riuscita a tornare a casa facendo finta di nulla. Perché tornare a casa significava affrontare i suoi genitori, e Leon… già, Leon. Cos’avrebbe detto se avesse saputo che era innamorata di un ragazzo come Federico Rossi?
“Non deve essere per forza sbagliato.”
“Sì, invece. E’ sbagliato. Molto sbagliato.”
“Camilla, come puoi occultare ciò che provi? Come puoi sopprimere i tuoi sentimenti?”
“Ce la farò.”
Federico cacciò l’aria dai polmoni, chiuse gli occhi e scosse la testa. “Non ti capisco.”
“Con il tempo mi passerà… ed anche a te. E’ giusto così.”
“No, invece! Alla fine scoppierai!”.
Camilla poggiò le sue mani su quelle del ragazzo –ancora sui suoi fianchi-, e le tolse. Scosse le testa e si sistemò la borsa a tracolla. “Mi dispiace. Mi dispiace davvero, Federico.”
“Non mi sembri così dispiaciuta.” commentò il ragazzo.
“E cosa dovrei fare! Federico, io e te non potremmo mai stare insieme! Ti rendi conto di quanto siamo diversi? Di quanto le nostre famiglie siano diverse!”.
“Ah certo, ora mi è chiaro tutto…”. Incrociò le braccia al petto, un’espressione triste, ma allo stesso tempo rivelatrice. “…è tutto per i soldi, non è vero? Certo. Camilla Vargas, una delle ragazze più ricche del mondo, e Federico Rossi, figlio di un fotografo, non potranno mai stare insieme.” storse la bocca, e sentì il cuore frantumarsi in mille pezzi.
“Sai benissimo che i soldi non c’entrano niente.”
“Ah no? E allora spiegami.”
Camilla fece un respiro profondo sistemandosi i lunghi capelli rossi –mossi dal vento- con la mano, per poi infilarla nuovamente nella tasca della giacca.
Era vero, i soldi non c’entravano affatto con la loro relazione; non le importava se Federico era ricco o povero, davvero.
Ma alla sua famiglia sì…
“Ti prego, Federico. Devo andare…”
Il ragazzo italiano non disse nulla al riguardo, annuì senza espressione in viso, anche lui con le mani nella giacca. Camilla restò a guardarlo per qualche altro secondo, per poi voltarsi ed avviandosi a passo veloce verso Villa Vargas.
Sentì una foglia caderle sulla testa, la prese e la fissò attentamente: era secca, strappata, vuota… un po’ come si sentiva lei in quel momento.
Si asciugò una lacrima che era appena scesa sulla sua guancia, con in dorso della mano, e gettò a terra la foglia, calpestandola con il piede.
Il suono che sentì le ricordò molto il suo cuore quando si era voltata, dando le spalle a Federico. Ma in quel momento fece un respiro profondo, iniziò a correre verso casa ripetendosi che lei era Camilla Vargas, e che non poteva permettersi di sbagliare, neanche una volta.
Ma tutte le regole hanno la loro eccezione.


Angolo autrice:
Ciao amici! Come state? Scusate se questo capitolo ha solo 2 blocchi, ma come avete visto sono abbastanza lunghi. Che ne pensate della storia di Angelica? Mi piaceva inserirla perché ricordava un po’ la storia di Violetta e Leon. Poi BUM! Colpo di scena… I VARGAS E I CASTILLO! Che ne pensate? Sorpresa, sorpresa… *faccia maliziosa di WhatsApp* e il blocco di Camilla e Federico? Awww *---* scusate ma, anche se stramo i FEDEMILLA, Camilla e Federico insieme sono meravigliosi! Forse perché mi ricordano i Ruggelaria! Ahahahah, no. Insomma, ditemi che ne pensate e datemi qualche consiglio, mi raccomando. I consigli mi fanno sempre comodo ;) vi mando un grande bacio!
_Ruggelaria
   
 
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