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Autore: Colli58    11/05/2016    3 recensioni
“In passato cedevo spesso per quieto vivere.”
Kate strinse gli occhi. “Tipo quando non sei riuscito a rifiutare l’ospitalità a Meredith nei nostri primi mesi insieme?”
Castle boccheggiò. Se lo ricordava ancora troppo bene quel suo piccolo errore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Achab Story'
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Le parole - I folli si svegliano nel week-end - avrebbe dovuto essere inciso nel cemento lungo il corridoio del dodicesimo. Era sabato, era sommersa di scartoffie per consegnare tutto al procuratore distrettuale e un paio di stronzi avevano deciso di farsi rapinare e ammazzare in central park. Perché a certa gente piaceva finire la propria vita in una avventura alcoolica notturna nelle zone peggiori del parco? La giornata era decollata alla grande.
Non si sentiva al massimo tanto per cambiare, aveva dormito piuttosto bene ma le nausee si erano scatenate al mattino. Antiemetico e braccialetti ai polsi stavano facendo il loro lavoro, comunque non doveva pensarci.
Non era uscita per vedere la scena del crimine, ci erano andati Ryan ed Esposito raggiungendo Pelmutter. Lanie aveva la giornata libera e probabilmente anche un grandioso mal di testa. Gli aveva mandato un messaggio sul tardi per informarla che era arrivata a casa tranquilla ed era l’ultima volta che l’aveva sentita.
C’era molto lavoro di indagine da fare visto che non si erano trovate tracce rilevanti. L’omicidio sembrava a scopo di rapina: probabilmente i due erano stati sorpresi e invitati a rilasciare il denaro e ammennicoli vari quali smartphone e orologi, non dovevano aver gradito. C’era stata una colluttazione nella quale le vittime si erano guadagnate un proiettile in pieno stomaco a testa ed erano morte molto dolorosamente.
La mattinata era stata così piena di lavoro che ad un certo punto si era seduta esausta e affamata, dondolandosi sulla sedia. Avrebbe voluto un pranzo che non le rimettesse addosso nausea. Si era tenuta impegnata fino a che Ryan ed Esposito l’avevano raggiunta alla sua scrivania per fare il punto. Il primo si stava mangiando un hot dog dall’odore così pungente che si sentì asfissiare. Si sforzo di non mandarlo via, cosa che fece al suo posto il capitano Gates chiedendogli di ritirare dei documenti al piano di sotto.
Esposito la guardava come se fosse un’aliena.
“Che c’è?” Sbottò ad un certo punto.
“Pensavo…” Ribatté sorpreso.
“Qualche volta serve.” Ironizzò.
“No, sai… tu così…” Borbottò qualcosa. Kate rise e notò dell’imbarazzo nell’uomo che di stava di fronte.
“Intendi incinta?” Gli disse ridendo. “Perché è uno stato di fatto.” Annuì ed Esposito rise con lei.
“Castle torna oggi vero?” Girò il discorso focalizzandosi su altro.
Kate disse di sì muovendo il capo. Non riusciva a capire dove voleva andare a parare, forse era stato solo preoccupato per lei.  “Ho una faccia orrenda?” Gli chiese con schiettezza. “Perché so di essere pallida come un cencio.”
“Lo sei. Mi chiedevo se stessi bene, non è meglio che tu vada a casa?” Disse a mezza voce.
Kate inclinò la testa. Non intendeva darla vinta alle nausee e lei aveva sopportato problemi peggiori che qualche capogiro. “Non serve Javi, sono momenti che vanno e vengono.”
“Come vuoi. Ryan dice che quando Jenny aveva le nausee stava così male da avere difficoltà a fare le cose più semplici.”
I due amici parlavano di lei? Non ne era sorpresa, però dava da pensare.
“Ci sono giorni più facili…” strabuzzò gli occhi ed Esposito ricambiò con uno sguardo di comprensione.
“Castle era su di giri sabato scorso.”
Kate guardò Javier con aria interrogativa. “Ha sempre voluto un altro figlio.”
“Che fegato! Alla sua età…” La provocò.
“Ehi, non è così vecchio!” Rispose indispettita.
Esposito aveva qualche piccolo rimpianto? Eppure aveva sempre dichiarato di non voler diventare padre per non essere sbagliato e deludente come il proprio.
“Tu sembri piuttosto rilassata.” Esordì dopo alcuni minuti di silenzio.
Kate strinse le labbra. “No, non lo sono.”
Esposito reagì con sorpresa. “Vi ho visto così a vostro agio l’altra sera. Pensavo…” Scosse il capo.
Ammettere che quando c’era Castle con lei stava meglio le sembrò eccessivo. Esposito l’aveva sempre considerata un valido soldato, una donna forte e non le piaceva l’idea di sembrargli fragile.
Era strano che lui pensasse a certe cose. “Lo siamo. Ma...”
Esposito credeva che ci fossero anche troppi ma.
“Capisco, l’ultima volta te l’ha combinata grossa.” Disse con ironia.
“Dici?” Rispose Kate con tono piccato. Esposito perse il sorriso.
“Hai mai accettato il fatto che non è stata colpa sua?”
“Beckett…” Cercò di scusarsi ma non gli riuscì subito di capire se Beckett fosse arrabbiata o parlasse tra sé perché lo ignorò completamente.
“E’ stato a causa mia, per le indagini che lui ha seguito al mio fianco. Perché continui a pensarla così?”
“Perché è uno che si ficca nei guai e si diverte?” Realizzò di aver fatto un brutto passo. Molto brutto.
Beckett scosse il capo. “E’ stato picchiato, torturato e nonostante questo mi ha tenuto al sicuro. Quindi non chiedermi perché temo per lui.”
“Non pensavo ti facesse ancora così male. Mi dispiace.”
Beckett sospirò.  Lo guardò con intensità.
Esposito si appoggiò alla scrivania. “Lo sa anche lui?”
Kate annuì muovendo il capo con lentezza.
“Non sembra ce l’abbia con me.” Esposito si grattò il capo perplesso.
“Credo ti capisca in fondo…” Mormorò Kate.
“Comunque volevo solo fare una battuta.” Esposito sbuffò contrito.
“Lo so. Come capisco che ti possa suonare strano che io possa aspettare un figlio.” Disse quindi ammorbidendosi e cercando di fare dell’ironia.
Esposito capì il suo humor. “Non volevo insinuare nulla. Però è strano. Lo ammetto.”
“Facci l’abitudine, diventerai lo zio Javi, non dimenticarlo.” Lo stuzzicò e lui si allontanò ridendo. Lo era già per la piccola dei Ryan ed era anche uno zio amabile.
Tornò a guardare il telefono ancora muto.
Castle le aveva comunicato che avrebbe preso il primo aereo del pomeriggio, verso l’una. Doveva incontrare il suo avvocato per alcuni documenti da firmare, non aveva capito di che genere, però le era sembrato tranquillo e semplicemente felice di tornare. Avevano dei piani, o meglio c’erano stati approcci a piani. Si dispiacque di sentirsi un vero schifo già a mezzogiorno. Doveva tirarsi su e non stancarsi troppo per evitare di sembrare distrutta oppure tutte le sue velleità nei confronti di suo marito sarebbero svanite.
Sorrise tornando col pensiero alle parole di Esposito. Stava meglio con Castle nei paraggi perché lui la seguiva con attenzione, la nutriva con cibi salutari e sapeva scaricare le sue tensioni.
Non vedeva l’ora di riabbracciarlo. Gli era mancata la sua fisicità, le braccia accoglienti durante il sonno e la stuzzicante attrattiva del suo corpo. Gli era mancata la sua fantasia, la sua positività, il calore del suo sorriso. Erano passati pochi giorni ma le era sembrata una vita di tempo che lei aveva impiegato al lavoro ingannando l’attesa e la preoccupazione.
Lanie si era sorpresa della sua reazione, tutti immaginavano che ne erano usciti, ma come potevano fingere di non temere l’un l’altro le attenzioni che certe persone dedicavano loro? Avevano tanti nemici e come le aveva detto lui, meglio essere preparati che sorpresi.
La Gates la richiamò nel suo ufficio. L’assistente del procuratore distrettuale e avrebbe varcato la porta di lì a qualche minuto. Dovevano terminare la loro incarico, sperò che l’incontro non l’avrebbe portata a lavorare fino a tardi.
 
Castle aveva baldanzosamente abbandonato l’aeroporto con il suo trolley e in mano un grosso cartone di colore blu. Si sentiva su di giri perché la giornata si prospettava impegnativa ma molto intrigante. Si era lasciato alle spalle Montréal pieno di verve e con un desiderio di tornare a casa che gli aveva messo le ali ai piedi. Appena toccato terra aveva letteralmente scaricato il suo telefono facendo chiamate al suo avvocato per approfondire quanto gli era stato comunicato nell’attesa di avere l’incontro con lui, ma si era anche preso la briga di indagare le reazioni di Gina al suo exploit della sera prima con Paula. Aveva chiamato lei per saggiare il clima in casa Black Pown, venendo a sapere che Gina aveva incassato l’informazione senza reagire, ma non si aspettava che lei rimanesse inattiva, avrebbe fatto la sua mossa, si stava organizzando ne era certo. Avrebbe fatto una chiamata a Gina nel pomeriggio, ma solo se il primo incontro con il suo avvocato riusciva positivamente avrebbe avuto la carica necessaria a discutere con quella arpia.
Inoltre aveva ricevuto un messaggio da Alexis mentre era in volo, ovviamente lo aveva letto solo una volta sceso a terra, messaggio in cui gli comunicava l’organizzazione di una piccola festa al loft con i suoi amici di cui si era completamente scordata di informarlo. La notizia non gli piacque affatto. Insomma che fine faceva la sua serata romantica con Kate? Alexis aveva anche mandato un messaggio di scuse a cui non aveva risposto. Doveva trovare la soluzione e credeva di averla trovata in quello che stava per fare.
Così, si era ritagliato un po’ di tempo per tenere sulle spine Alexis e se le cose si fossero evolute secondo i suoi piani, Alexis avrebbe fatto la sua festa senza intoppi. In caso contrario avrebbe comunicato il doveroso trasloco del party ad altra location.
Era decisissimo ad avere la sua serata. La loro serata intima. Si erano cercati così tanto che non poteva deludere le aspettative di Beckett. Perseguì il suo piano con impegno e con una grande quantità di persone coinvolte. C’era una principale clausola per la riuscita di tutto e la stava per scoprire. Fiondatosi al loft in taxi, vuoto perché Martha era fuori e Alexis non era ancora rientrata dal college, si era preso la libertà di una doccia veloce. Veloce abbastanza per ritrovarsi in un taxi un’ora dopo, diretto all’ufficio del suo avvocato. Finalmente poté sedersi e prendere una boccata d’aria in attesa che si liberasse per lui.
 
Alexis entrò decisa al dodicesimo. Suo padre era irraggiungibile da ore e sperava di poterlo trovare li.
Si guardò in giro nel via vai di gente in quella che doveva essere una pessima giornata per il distretto.
Vide Esposito parlare al telefono e nessun altro del gruppo. Si fece avanti in direzione della scrivania di Beckett ed espirò. Se non poteva parlare con suo padre doveva almeno parlare con Kate. Non voleva rovinare la loro serata, davvero non avrebbe voluto, ma c’era anche una reputazione da salvare: il college era spietato su certe cose.
Esposito la notò e sembrò tagliare corto con la sua telefonata. Appena riattaccò la cornetta la raggiunse.
“Ehi, Alexis, cerchi tuo padre?”
Alexis annuì imbarazzata. “O quantomeno se non c’è lui, andrebbe bene anche Beckett.”
Esposito fece una smorfia. “Vada per Beckett, tuo padre non si è visto. Ma è impegnata, se mi dai un attimo...”
“Te ne sarei grata.” Disse espirando.
“Va tutto bene?” Aggiunse Esposito con serietà.
“Sì, tutto ok. Ho solo bisogno di un’informazione.” Disse determinata.
Esposito si allontanò per alcuni minuti indicandole di aspettare e a lei non restò che sedere su quella che normalmente era la sedia di suo padre. Si guardò intorno. Aveva una strana prospettiva da lì, il via vai dei criminali in manette, i telefoni che suonavano in continuazione, l’odore di sudore e di caffè. Era un posto molto caotico, come faceva Beckett a concentrarsi in quell’ufficio aperto, quasi un corridoio?
“Alexis…” Beckett era arrivata alle sue spalle preoccupata. La ragazza si alzò.
“Tutto a posto. Pensavo che papà fosse qui. E’ da un po’ che non lo sento, ma devo chiederti una cosa…”
Kate scosse il capo. “Cosa intendi che non lo senti da un po’? Mi ha chiamato appena sceso dall’aereo, è andato dall’avvocato…” Tolse il cellulare dalla tasca della sua giacca.
“Gli ho mandato messaggi ma non mi ha risposto. Comunque la ragione per cui sono qui è che stasera ho organizzato una festa al loft con i miei amici.”
Kate si morse il labbro guardando il cellulare. Mandò un messaggio a tempo di record a Castle realizzando che una possibile serata romantica con suo marito stava affondando.  
“E… non lo hai detto a tuo padre?”
“L’ho fatto ma non mi ha risposto. Me l’ero scordata Kate, papà rientra oggi e avevo capito che volevate stare tranquilli. Mi dispiace, se non volete disdico tutto, ma lo sai com’è…” Alexis era sulle spine.
Kate annuì, la capiva molto bene. Era una questione di immagine per una ragazza popolare al college. Rick rispose al suo messaggio: era ancora dall’avvocato. Si chiese cosa ci dovesse fare, restava il fatto che doveva inventarsi qualcosa perché Alexis aveva bisogno d’aiuto.
“Senti, troveremo un rifugio per la nostra serata. Tu fa la tua festa, ma la nostra camera è off limit!” Disse con un mezzo sorriso. “E mi devi un grosso favore…” Allungò il pugno e Alexis ricambiò il gesto di cameratismo.
“Contaci!” rispose Alexis. “Chiuderò a chiave la vostra stanza da letto. Promesso.”
“Anche lo studio di tuo padre…”
“Ok…” Aggiunse annuendo. “Espanderò i miei orizzonti in altra direzione.”
Kate mostrò il messaggio di Castle ad Alexis. “Sta bene, è solo occupato. Magari non è contento, ma capirà. Ci penso io.” Le fece l’occhiolino e Alexis l’abbracciò felice.
“Vedo che a te risponde! Mio padre è un vero…”
Beckett gli lanciò un’occhiata divertita.
“Grazie Kate, ti assicuro che mi sdebiterò.” Pronunciò ridacchiando. “Soprattutto quando nascerà il mio fratellino o la mia sorellina!” Kate allungò il dito verso di lei. “Ah –ha! Lo hai detto tu!”
Alexis si allontanò e Kate sospirò. La sua serata con Castle era naufragata ma aveva reso felice sua figlia. Non sarebbe rimasto arrabbiato a lungo con lei. Potevano comunque uscire insieme, cercarsi un posto romantico in cui stare soli. Era da un po’ che non andavano a giocare all’Old hunt. O forse sarebbe uscita così tardi da lì che non sarebbe importato più. Tornò verso la saletta in cui stava lavorando con l’assistente del procuratore distrettuale accompagnata da Esposito.
Quella era una piccola prova di genitorialità? Era lusingata che Alexis aveva chiesto a lei il permesso in assenza di suo padre. Era convinta di aver fatto la cosa giusta anche perché essere popolari al college non era una cosa da poco.
“Sei stata magnanima.” Aggiunse Esposito.
“Nessuna ragazza può annullare una festa, è una questione di stile.” Disse entrando decisa nella saletta. Esposito tornò sui propri passi ridacchiando.
 
Quando Castle varcò le porte del dodicesimo distretto era soddisfatto. Un largo sorriso stampato sul viso e il desiderio di rivederla anche più forte di prima. Era stato bravo, anche di più, era stato grandioso. Alexis poteva fare la sua festa tranquillamente. Le aveva scritto e lei aveva risposto che anche Kate era stata d’accordo.
Con sua sorpresa aveva deciso di accontentare Alexis a discapito della loro serata. Molto generosa in effetti, soprattutto per quello che si erano promessi in quei giorni e non era al corrente di quello che lui aveva in mente.  Aveva apprezzato molto il gesto, si sarebbe sdebitato a modo suo, pensò orgoglioso della perfezione di quanto aveva organizzato. Entrò gongolando con due caffè in mano. Uno rigorosamente decaffeinato per Beckett. Li posò sulla sua scrivania e si guardò intorno. Nessuno in circolazione: niente Beckett, niente Ryan e niente Esposito.
Dove diavolo erano tutti? Attese qualche secondo poi la sua attenzione venne catturata dalla lavagna e da un caso di doppio omicidio. Osservò con attenzione orari, date e nomi. Guardò meticolosamente le fotografie. Sorseggiò il caffè speculando sull’omicidio.
Si voltò verso l’ufficio della Gates e nemmeno lei era presente. Si avviò verso il corridoio per raggiungere le sale interrogatori. Esposito e Ryan stavano interrogando un tizio sulla trentina un po’ troppo unto di capelli.
Poi andò di ufficio in ufficio cercando Beckett.
La trovò nella sala riunioni. Discuteva animatamente con un uomo che aveva scritto in fronte la parola avvocato. Il tavolo sommerso da documenti e fascicoli. Alla faccia della tecnologia quel sistema funzionava ancora con la carta stampata.
Osservò Kate studiando la sua espressione.
Parlava con decisione come sempre sicura di sé nel lavoro. Aveva un bel paio di occhiaie però. Sembrava grintosa ma doveva essere piuttosto stanca. Aveva lasciato il caffè sulla sua scrivania, chissà quando l’avrebbe potuto bere perché da quello che riuscì a capire la discussione non stava certo al termine. Guardò l’orologio: erano già le diciotto passate.
Perché i poliziotti come lei non avevano un orario fisso? Insomma era o non era vero che dovevano staccare alle cinque come ogni buon impiegato? Le cinque erano l’orario per le giornate senza lavoro, quelle di pura burocrazia ed erano passate da un pezzo. Si sentì vagamente deluso perché il tipo incravattato aveva tutta l’aria di andare per le lunghe.
“Ehi Castle…” Si voltò di scatto incrociando lo sguardo di Ryan. “Sei tornato.” Aggiunse sorridendogli.
“Ne avrà per molto? Chi diavolo è?” Disse di getto.
“L’assistente del nuovo procuratore distrettuale. Pare sia un pivello.” Commentò Ryan guardando dalla finestra della sala. “Non so cosa vuole ancora. Beckett e la Gates gli hanno praticamente preparato ogni cosa.”
“Per me ci sta provando…” Esposito li raggiunse e si beccò un’occhiataccia da Castle.
“Scherzavo…” Disse alzando le mani in segno di resa.
“E’ geloso perché con lui non ci prova nessuno.” Ribatté Ryan e con Castle si scambiò un cinque.
“Non c’è più senso dell’umorismo in questo posto.” Commentò in risposta Esposito.
Castle fece una smorfia. “Non ne è mai stato pregno…” Rispose strabuzzando gli occhi.
Ryan li lasciò dicendo con esasperazione. “Spiritosi tutti oggi eh?”
Castle si voltò di nuovo verso Beckett e incontrò il suo sguardo: si era accorto di lui. La salutò con la mano. Lei sorrise di rimando e poi tornò alla propria discussione.
La guardò ancora per un po’, consapevole voler dare fuoco a quel tizio e a quel grosso quantitativo di carta che lo stavano tenendo lontano dalle attenzioni di sua moglie.
Tornò sui propri passi dirigendosi mestamene verso l’ufficio di Kate. Sedette sulla propria sedia e per ammazzare il tempo, inondò di domande Ryan sul caso aperto: se doveva aspettare un po’ tanto valeva darsi da fare.
 
Kate aveva visto Castle oltre il vetro. Si sforzo di prestare attenzione al suo interlocutore sebbene non riuscisse a capire quante cose doveva raccontargli. Aveva in mano la documentazione necessaria a far da sé per approfondire. Discusse ancora un po’ ma il desiderio di uscire a salutare Castle stava raggiungendo una situazione limite.
La Gates la salvò ancora dall’ennesimo approfondimento, discutendo lei stessa. Le fece cenno di voler staccare qualche minuto e il capitano le diede l’ok.
Uscì quindi nel corridoio e le sue narici furono deliziate dal sentore di caffè caldo e aroma di vaniglia.
Castle era tornato e quella era la sua firma. Lo desiderava proprio quel caffè, anche decaffeinato sarebbe stato meglio di niente. Trovò Castle in compagnia di Ryan, era di spalle e non la notò così lei si avvicinò con lentezza e poggiò una mano sulla schiena di suo marito.
Castle avvertì la leggera pressione e si voltò con un sorriso smagliante verso di lei. La mano di Kate scivolò sul suo fianco e in pochi secondi si trovarono l’una di fronte all’altro.
“Ciao.” Disse semplicemente Castle. Se la ritrovò tra le braccia, senza che avesse pronunciato una parola.
Ryan si schiarì la gola e si allontanò velocemente per dargli un momento di privacy.
“Sai di caffè.” Rispose Kate senza allontanare il viso dal petto di Castle. Respirò forte il suo odore prima di allontanarsi e guardalo in viso. Era così carino che se lo sarebbe mangiato. E come la guardava. Diavolo Lanie aveva ragione.
“Ti ho portato un decaffeinato. Immaginavo ne avessi bisogno.”
“Altro che bisogno! Bramo caffè da giorni.” Si scambiarono bacio e si attardarono qualche secondo in silenzio assaporando la presenza reciproca.
“Non immaginavo ti sarei mancato tanto.” Mormorò Castle.
Kate sbuffò trattenendo un sorriso. “Sapevo che l’avresti detto.”
“Sono così prevedibile?”
Lei finse di pensarci. “Mmm…”
“Vecchio gioco piccola.” Rispose divertito. “Lo adoro!”
Kate annuì. Prese il suo bricco di caffè dalla scrivania e se lo portò alla bocca. Bevve una lunga sorsata gustandosi quel nettare compiaciuta.
Castle la guardò felice di bearsi nella fragranza di caffè e vaniglia.
“Stai mentendo.” Sentenziò sicurò di sé. La sua presenza lo stava inebriando.
Sospirando Kate guardò verso il corridoio. Il lavoro la stava reclamando.
“Come stai?” Aggiunse con dolcezza.
Lei indicò i propri occhi. “Sto bene.”
“Stanca…” Era una semplice constatazione che Kate accettò senza discutere. Era vero, perché negarlo quando lo avrebbe notato persino parlandole al telefono. 
“Il solito.” Replicò pensierosa. Castle le strinse la mano accarezzandole il dorso con il pollice.
“Hai sentito Alexis?” Disse Kate pensando della visita della ragazza.
“Sì, so che le hai dato l’ok per la festa.” Kate annuì facendo scivolare la mano libera in quella di lui. “Ho pensato che una volta libera dagli impegni potevamo comunque trovarci un posto, magari all’old hount...” Si giustificò. “Una festa al college non si può cancellare…”
Castle annuì. “L’avrei fatto anche io. Ma…” Rispose gongolando, “ho trovato di meglio. Devi solo sbrigarti a finire qui e a mandare a casa il simpaticone di là…”
“Ci sto provando, te lo assicuro.” Rispose espirando. “Devo tornare.” Mormorò.
“A dopo. Fa’ presto.” Kate lo baciò velocemente prima di ecclissarsi ai propri compiti.
Castle rimase in piedi, in silenzio. Aveva già intuito come sarebbero andate le cose. Si dispiacque perché il tempo stava scorrendo via velocemente e a lui non restava che indugiare sul caso di omicidio.
Esposito entrò nell’ufficio e gli fece cenno con il capo ma Castle era rimasto in stato catatonico e non ricambiò il saluto. Respirò a lungo per destarsi dai propri pensieri. Quando tornò a dare retta al detective lui lo stava osservando incuriosito.
“Sei vivo.”
“Siamo stanchi entrambi e lei dovrebbe venire a casa. Ha mangiato almeno?” Disse serio.
Esposito annuì. “Sì, Ryan ed io abbiamo controllato che lo facesse.”
Castle gli fece cenno di assenso. “Grazie.”
Per Esposito essere lì solo con Castle era una grossa opportunità di avere un chiarimento. Dopo lo scambio di battute con Beckett qualcosa doveva chiedergli, non avrebbe resistito molto roso com’era dalla curiosità e anche da un certo senso di colpa.
“Senti…” Ruppe il silenzio. Una situazione anomala visto che di solito Castle non la smetteva mai di parlare.
Si voltò verso di lui con aria interrogativa.
“Tu ce l’hai con me?”
La domanda spiazzò lo scrittore. “Cosa?”
“Tu… Beckett mi ha detto che… Insomma…”
“Dillo con parole tue.” Lo incitò.
“Pensi che io sia uno stronzo?”
Castle sgranò gli occhi. “Ogni tanto. Perché lo chiedi?”
“Pensavo davvero te ne fossi andato per non sposarla…” Disse sedendo sul bordo della sua scrivania.
Castle deglutì. “Tu sei così, Javi. Sei come era lei quando ci siamo conosciuti. Sospettosa, distante dai legami, prevenuta.”
Alzò le spalle. “Non l’avrei mai lasciata. Lei lo sa, tanto mi basta.”
“E ce l’hai con me per questo?” Insistette il detective.
Se c’era qualcosa di divertente da fare con i ragazzi era prenderli in giro in casi come quello, Castle avrebbe voluto torturalo per un po’ ma non si sentiva nello spirito giusto per farlo. Gli fece un sorrisino pungente.
“No. Tu sei stato solo te stesso.” Ripose facendosi serio. Si avvicinò ad Esposito e si abbassò leggermente per avvicinarsi al viso dell’uomo. “Ma ricordati, nel caso mi succedesse qualcosa in futuro, che non la lascerei mai. La prossima volta dammi il beneficio del dubbio.”
Esposito annuì. “Ok, contaci. Non sono uno stronzo.”
“Nemmeno io Espo.”
Ryan arrivò e li guardò entrambi. “Vi voglio bene ragazzi, ma dovete darci un taglio. Beckett potrebbe essere gelosa.” Disse fingendo serietà. “E tu trovatene uno libero.” Lanciò a Esposito un fascicolo ridacchiando.
Esposito replicò con qualche epiteto poco elegante, Castle rise e sedette sulla sua sedia per l’inizio di quella che sembrava essere una lunga serata.
 
Tardi, troppo tardi.
Beckett era uscita di corsa dal distretto guardando l’orologio ogni cinque minuti: il taxi sembrava incredibilmente lento nella strada ormai vuota. Doveva proprio decidere di prendere un taxi quella mattina? Che le era saltato in mente?
Castle aveva lasciato il distretto verso le nove e mezza provato dalla stanchezza, aveva mandato un messaggio criptico: la foto di una porta che conosceva, ma così su due piedi non gli aveva prestato molta attenzione.
Una volta arrivata a casa era entrata guardinga in mezzo ad un vero girone dantesco. La festa di Alexis stava andando alla grande non c’era dubbio. Entrò in camera da letto pensando di trovarvi Castle: con sua grande sorpresa non c’era.
Lo aveva chiamato ed il telefono era spento. Imprecò pensando che Rick probabilmente se l’era presa per il suo ritardo. Tornò in soggiorno e incontrò Alexis che la raggiunse preoccupata vedendola tornare a casa sola.
“Papà non è con te?” Chiese la ragazza. Beckett negò. “Credevo fosse qui, non mi risponde.”
Alexis accompagnò Beckett verso lo studio.
“Pensavo avesse organizzato qualcosa fuori…” Avevano abbandonato il soggiorno e potevano parlare senza urlare per sentirsi.
“Mi ha mandato soltanto questa foto ma non riesco a ricordare dove si trovi.”
Quando Alexis vide l’immagine sul telefono di Beckett si mise a ridere, sollevata.
“Devi essere molto stanca Kate, è la porta del vicino del piano di sotto. Sai Kapoor, quello che ha traslocato da poco…”
Beckett sorrise alla ragazza. Si tolse i capelli dal viso con una mano e indicò la porta.
Si eclissò veloce dal loft e scese al piano di sotto con l’ascensore per poi fermarsi titubante alla porta il cui campanello non portava più alcuna dicitura. Aveva visto i camion dei traslochi nei giorni passati. Conosceva poco Kapoor, ma era un uomo gentile e con Castle aveva un buon rapporto.
Si decise ad entrate trovandosi avvolta in una luce fioca e un intenso odore di cera di candele.
L’appartamento doveva essere molto più piccolo rispetto al loft, nella zona giorno in cui era entrata una lampada stava proiettando sul soffitto un cielo stellato. Era ammaliante, doveva ammetterlo. Di Castle nessuna traccia fisica, se non si contava quella del suo operato. Vide una tavola frugale pronta per due ed un carrello portavivande.
Si addentrò notando a terra un tracciato di piccoli tappeti dalle forme strane, bianchi e luminosi. Lo seguì incuriosita per essere infine condotta ad una stanza in cui entrò percependo immediatamente la presenza di qualcuno. Era Castle, il suo profumo aveva invaso il locale. Sentiva un respiro regolare e nel buio attese qualche secondo che gli occhi si abituassero all’oscurità.
Dormiva. Scrutò le sue forme per qualche secondo appoggiata allo stipite della porta, decidendo il da farsi. Non aveva molta voglia di discutere e immaginò che Rick fosse arrabbiato con lei. Lo doveva svegliare comunque. Si avvicinò al letto: era steso sul piumino senza giacca e con ancora le scarpe ai piedi. Forse non aveva avuto l’intenzione di addormentarsi però era reduce da un viaggio stancante ed era crollato nell’attesa.
Il suo senso di colpa non stava attendendo altro. Sedette sul bordo del letto cercando un qualsiasi interruttore della luce. Non riuscì a trovarlo. Nel trasloco era rimasto ben poco in quei locali, che diavolo ci faceva lì Castle? Aveva voluto organizzare per loro una serata tranquilla, in una casa praticamente vuota? Ok da quel poco che aveva visto c’era abbastanza, soprattutto perché c’era lui: non riusciva a vederlo con nitidezza però aveva una gran voglia di toccarlo.
Allungò la mano per trovare quella di lui. Appena lo sfiorò Castle sussultò e sembrò destarsi di colpo.
“Kate?” Mormorò con voce ancora completamente impastata dal sonno. “Che ore sono?”
“Manca poco a mezzanotte.” Rispose contrita. “Mi dispiace Castle.” Aggiunse infine.
L’uomo emise un profondo respiro. Si alzò a sedere e si stropicciò il viso. Il suo silenziò portò Kate a voler aggiungere altre scuse. “Dovevo riuscire a liberarmi prima.” Mormorò. “Immagino sarai arrabbiato con me…”
Castle rispose a bassa voce. “No, lo ero due ore fa credo…”
Kate posò la borsa a terra e ci infilò la pistola. “Due ore fa?”
Castle mugolò cercando di ridestarsi. “Sì, poi sono passato alla delusione…”
Kate si sentì sprofondare. “Castle dai…”
“Non voglio musi lunghi.” Sancì con un profondo respiro. Indicò un punto. “C’è un interruttore per una lampada là…” Le spiegò quindi per non doversi alzare e rischiare di inciampare malamente. Era
Kate tastò per alcuni minuti la parete che lui aveva indicato e trovò quello che cercava: si accese una luce gialla e calda proveniente da una fessura a scomparsa nella parete stessa. Si voltò guardinga a voler carpire il reale stato d’animo di Castle. Lui, al contrario di quanto si era immaginata, era ottenebrato dal sonno ma la guardava con la solita espressione dolce e vacua allo stesso tempo.
Con decisione il suo senso di colpa fece un altro balzo verso l’alto. Non sembrava arrabbiato, forse amareggiato. Era stato lì solo, in attesa di lei.
Tornò a sedergli accanto.
“Perché non sei più arrabbiato?” Gli domandò guardandolo in viso. Spostò delicatamente il suo ciuffo e fece scorrere il dito sulla sua mascella apprezzando l’accenno di barba, un gesto che ripeteva spesso nel privato e le piaceva molto.
“Perché?” Ribatté sorpreso. “Pensavo ti bastasse sapere che non lo sono.”
Beckett gli scoccò un’occhiata pungente. Stava evitando il discorso ovviamente, ma non le rendeva la vita più semplice.  “C’è anche un nuovo caso di omicidio, come hai saputo…” Era una scusa? Il lavoro era stata la ragione di tutto e mettere avanti un altro tassello della sua colpa non era un’opzione così felice in quel momento.
“E’ stato un regolamento di conti.” Rispose Castle cercando di scrollarsi di dosso il torpore.
“Le contusioni sui corpi non sono state inferte in una colluttazione, ma sono post mortem per mascherare l’omicidio.”
Beckett si mise più comoda sul letto allungando una gamba. Lui riuscì a sfilarle la scarpa e la lasciò cadere rumorosamente a terra.
“Come l’hai capito?” Castle pretese anche l’altro piede e lo liberò come aveva fatto con il primo.
“Che razza ti tipo è uno che fa a botte contro due uomini e riesce ad avere la meglio ferendoli entrambi allo stomaco? L’assassino li ha seguiti e li ha giustiziati. Poi ha infierito sui corpi.”
Beckett si limitò ad annuire. Lo aveva capito così anche lei.
“Hai freddo?” Castle cambiò discorso.
“Dopo salgo e mi faccio una doccia però…” Espirò scuotendo il capo. “Mi dispiace davvero.”
Castle gongolò. “Non c’è bisogno di salire. Di là c’è tutto il necessario: doccia, sali, creme per il corpo e una coppia di accappatoi caldi.” Indicò una porta sull’altro lato della stanza. “Il mio problema è scaldare la cena, ma credo di poter trovare una soluzione.”
Kate non poteva dire di avere visto il contenuto della casa però i mezzi dei traslochi avevano portati via i mobili della cucina qualche giorno prima, li aveva notati.
“Come?”
“Un elemento primitivo: il fuoco!”
“Non dare fuoco alla casa…” Lo ammonì mentre si alzava stiracchiandosi. Lui la prese per i fianchi trattenendola e gli diede un bacio.
Era così bello averlo accanto. “Assonnato e sfacciato.” Mormorò.
Si trovò a baciarlo prima di venire sospinta verso il bagno. “Ti piace la lampada in soggiorno?”
“Cielo stupendo.”
“Cambia immagini, ne ha un repertorio incredibile.  Non sarebbe perfetta per una bambina di nome Light?” Spiegò pieno di entusiasmo.
Lei tornò sui propri passi perché il senso di colpa la stava divorando. “Mi dispiace molto…” Aggiunse. Lui disse di no.
“Non ti scusare più. E’ andata così.”
Di nuovo Kate cercò di replicare, Castle l’ammutolì posandole le dita sulle labbra.
“Se andrai avanti a chiedere scusa poi finiremo col discutere. Tu ti irriteresti, ti faresti scudo con il lavoro. Qualcuno di noi potrebbe fare qualche cazzata tipo uscire per starsene da solo.”
Kate espirò. Castle aveva ragione e si era anche già fatta scudo con il lavoro quindi uno degli step era stato maldestramente intrapreso. No, meglio evitare.
“Sono stato via, mi sei mancata molto e non voglio perdere il resto delle poche ore che ci separano dall’alba a litigare con te su ragioni che conosco bene. Accadrà di nuovo e non potrò farci nulla. Per ora sei qui.”
Scandì le parole con chiarezza, lo vide irrigidirsi e capì che era sulla difensiva e che si stava sforzando di essere comprensivo. Non ritenne il caso di dare altra tensione ad una corda già tesa.
Kate annuì con il capo, abbassando lo sguardo.
“Tu sei così, mi sembra di aver sprecato anche fin troppo tempo stasera.” Sorrise addolcendo i suoi tratti.
Lo abbracciò e lo strinse forte. Il calore del suo corpo era quello che aveva desiderato per giorni, non voleva rovinare tutto per ego.
“Prometto che saprò regolarmi meglio. Per tutti e tre.”
Castle fischiò. “Promesse promesse.” Mugugnò baciandola in fronte.
“Ora vado a scaldare la cena con le candele. E’ una zuppa di cereali e pane croccante con olio d’oliva. Prenditi il tempo necessario… credo che mi ci vorrà un po’!”
“Ti ho già fatto aspettare. Sarò rapida.”
Kate ci mise poco prima di rispuntare dal bagno fasciata in un morbido accappatoio bianco.
Castle era intento a rigirare una padella fumante trattenendola sollevata sopra decine di candele. Lo prese alla sprovvista cingendogli la vita. Lui si voltò godendo del suo abbraccio.
“Sto morendo di fame Castle.” Disse più energica di prima. Aveva occhiaie marcate però sembrava più rilassata.
“Quasi pronto.” Rispose Castle. “Cena al lume di candele e sotto un cielo di stelle!”
“E’ perfetto.” Rispose Kate tenendosi abbracciata a lui. “Ma come ci sei finito qui?”
“Diciamo che mi ha inseguito.”
“Castle un appartamento non insegue nessuno.”
“Ma il padrone sì. Kapoor vuole vedermelo.” Kate rimase ferma e Castle si girò per vedere la sua espressione.
“Volevo avere la tua opinione così ho approfittato per stare qui durante la festa di Alexis.” Le spiegò. Kate sembrava corrucciata e con occhi veloci scrutava intorno a sé.
“Vuoi fare un investimento?” Chiese infine lei.
“Si e… no. Dipende. E’ sotto la zona notte del loft. Potrebbe diventare la nostra nuova zona notte. Per entrambi e per i bambini.”
Kate sgranò gli occhi. Plurale.
“Il mio avvocato ha già visto le condizioni, abbiamo un diritto di prelazione ma entro una certa data. Ben Kapoor vuole acquistare la villa in florida che ha affittato e ha bisogno di liquidi. Abbiamo bisogno di una zona privata. Senti? Della festa di sopra non si avverte granché.” Castle divenne serio. “Kapoor deve aver insonorizzato le pareti.”
Kate si chiese quanto tempo aveva passato Castle a speculare su quel posto.
“Abbiamo già un appartamento enorme.” Obiettò. “Questo vorrebbe dire spendere milioni di dollari…”
Le sorrise. “Che abbiamo.” Lei fece una smorfia. “Sì, abbiamo.” Lei sbuffò. Un’altra cosa che li contraddistingueva: lui le offriva agi che lei non aveva mai chiesto.
“Potremmo unire i due appartamenti con una scala di comunicazione. Il nostro angolo di privacy.”
“Angolo?” Replicò Kate si mordendosi le labbra. Era troppo e doveva dirglielo.
“Castle… Questa non è una decisione da poco. Non credi sia eccessivo?”
Castle la prese per una mano e la fece sedere al tavolo. La poltroncina rosso fuoco era comoda e aveva morbidi cucini a farle da schienale. Portò la padella con la zuppa e dopo aver posato due fragranti fette di pane sul fondo dei loro piatti, ci versò sopra un paio di abbondanti mestoli di quello che Kate considerò una delle pietanze più invitanti che vedeva da giorni. Cibo vero made in Castle.
“Mi vuoi corrompere col cibo.”
“Come sempre, ma prima vi nutro. Fagiolino avrò fame quanto se non più di te.” Kate scoppiò a ridere.
“E’ un colpo basso. Lo sai.”
Castle gli fece un bel sorriso. “Un colpo di cucina, ma non mio. L’ho ordinato da – Il Corso –“
Aveva riacceso le candele sparse per tutto il locale. Rosse e bianche, come petali di fiore.
Castle sedette davanti a lei. La vide corrucciata.
“Troppo romantico? Ho della musica pop anni 80 - 90 se vuoi alleggerire l’atmosfera.”
“Un po’di sano huntz huntz arricchirebbe il momento di pathos.” La meraviglia del sarcasmo.
“Castle, questo appartamento ci serve davvero?” Disse esternando i suoi dubbi. “Abbiamo spazio e possiamo comunque ricavarci il necessario.”
Assaggiò un cucchiaio della zuppa e decise di averne subito altri, buttandosi sulla sua deliziosa cena che fino a quel momento aveva ignorato. Aveva molta fame e aveva ignorato anche quella. “E’… fantastica” gemette assaporando il mix di cereali e legumi.
“Fintanto che mamma e Alexis staranno con noi, questa parte di casa potrebbe diventare il nostro nido. La stanza accanto all’ufficio andava bene quando ero single…”
“Oppure sposato a Gina.”
“Appunto, niente fuoco…” Kate non provò nemmeno a trattenere un sorrisetto compiaciuto.
 “Non hai mai voluto fare trasformazioni ma la nostra privacy è sempre in bilico.” Sospirò Castle virgolettando la sua frase con le dita e guardandosi intorno.
Quante serate calde interrotte da imbarazzanti ingressi di Martha o Alexis. Succedeva spesso e doveva ammettere che Kate aveva avuto molta pazienza con la loro famiglia.
“Scendendo qui avremo qualcosa di nostro, comodo e tranquillo. Il bambino avrà la sua stanza, potremmo avere un angolo di paradiso.” Spiegò ancora vendendo perfettamente la sua visione.
“Porteremmo qui la nostra stanza da letto?” Chiese Kate guardandosi ancora in giro. C’erano sicuramente molti argomenti su cui Rick aveva già pensato ed erano pertinenti. Spazio per loro e tranquillità, nessuna attività della casa avrebbe infastidito il sonno del loro piccolo. L’idea la solleticava, ma doveva essere anche quella pragmatica, con i piedi per terra ed analizzare anche i contro.
Lo guardò ingurgitando altri cucchiai di zuppa. Doveva anche smettere di dipendere da lui per il cibo e pensare alle necessità di tutti e due, anche se lui se cavava molto, molto bene. Quando erano a casa era splendido cucinare in coppia, però sentiva di contribuire sempre così poco al loro menage.
Era una questione di orgoglio oltre che di pragmatismo.
“Quanto verrebbe a costare?” Domandò.
“Non ho ancora detto di sì, non gongolare…” Aggiunse contenendo la furba reazione di Castle che fece una smorfia.
“Uno e cinque.” Rispose. “In altre condizioni due o poco meno.”
Kate valutò con calma. “Kapoor rinuncerebbe a 500 mila dollari?”
“Gliene darei uno entro Marzo. Il saldo entro il secondo anno.” Castle chiarì. Kate stava affrontando il discorso seriamente e ne era piacevolmente sorpreso. Abituato com’era ai suoi no categorici...
“Poi ci saranno le spese dei lavori e non saranno spiccioli.” Guardò il marito: non era contraria ma pensava all’esborso finanziario considerevole.
“In futuro se non ne avessimo più necessità torneremo a dividere i due appartamenti e avremo o una casa per Alexis oppure un investimento finanziario su cui speculare.” Le prese la mano posata sul tavolo. Fece scorrere la punta del suo dito sulla fede di lei.  “Possiamo chiedere un quadro sui costi lunedì, con l’architetto.”
Kate sorrise. Se l’era già dimenticato, era stata troppo assente in quei giorni.
“Facciamo fare preventivi per entrambe le opzioni e… in caso decidessimo per il l’acquisto, vorrei usare i miei risparmi per la ristrutturazione. Almeno quanto riesco a coprire…”  Rispose decisa. Castle si accese come un lampione.
“Non stai dicendo no?”
“Non ho ancora detto sì, Castle.” Kate lo stuzzicò e Castle ridacchiò allegro. “Sai come funziona vero?”
“Come per la tua proposta di matrimonio!” Ribatté divertita.
Discussero per un po’ sulle opzioni scherzandoci su, minimizzare li faceva avvicinare a passi lievi alla soluzione.
Castle si ammutolì al primo sbadiglio di Kate. Avevano avuto una lunga giornata e finalmente potevano stare insieme. Il corpo chiamava sonno come anche quello di Kate. Si erano rilassati e rifocillati, mancava solo il proverbiale riposo dei giusti. Castle pensava che entrambi lo fossero, che meritassero ogni secondo del piacere di stare insieme e che non era mai troppo tardi per quello. Ovviamente aveva sperato di più, era riuscito a evitare di discutere del suo ritardo e vedendola così tranquilla pensò di aver fatto la scelta giusta. Dopo tutto ciò che aveva organizzato il minimo era riuscire a godersi la loro privacy in pace. Però lei era arrivata al limite quindi il suo egoismo doveva dare spazio al buonsenso e farla riposare. Kate sbadigliò di nuovo rendendosene conto. “E’ un solo un momento di stanchezza.” Si scusò.
“C’è un bel letto, la casa calda: è venuto il momento del riposo del guerriero.”
Kate rise. “Mi porti a letto, guerriero?”
Castle deglutì. “Mai stato tanto felice di esaudirti!”
“Non abbiamo una lavastoviglie…” Kate indicò la tavola. Castle fece spallucce.
 “Ci arrangeremo. Ma come tuo fiero partner ti accompagnerò prima a quel giaciglio, è molto comodo l’ho sperimentato di persona.”
“Ho notato.” Rispose lei alzandosi. Si mossero cercando di raccogliere quanto avevano sparso nella stanza, portando un po’ di ordine. Castle prese la lampada che proiettava stelle. “Che ne dici se la porto in camera? Dormiremo sotto un magico cielo stellato.” Kate annuì. Lo aiutò e mano nella mano si avviarono verso la camera da letto.
 
Quando Kate si stese nelle lenzuola fresche, le sembrò di stare in paradiso. Fece scivolare via l’accappatoio che Castle raccolse. Aveva accesso la lampada prima di andare in bagno: stelle di galassie lontane si stagliavano sul soffitto. Castle si svestì lentamente, guardandola bearsi della comodità. Osservò il suo corpo coperto solo dalla lingerie, curioso di scorgere anche pochissimi cambiamenti, ma così importanti per lui.
Kate lo accolse accanto a sé, facendosi avvolgere con un abbraccio. Si girò verso di lui e lentamente toccò le sue labbra.
“E’ stato tutto stupendo…” La voce bassa e calda. “Grazie.”
Castle sospirò. “Domani lavori?”
“C’è il caso.”
“Immaginavo. Dormi dai…” Si mosse cercando di mettersi comodo.
Kate respirò placida. Non voleva chiudere così la serata. Liquidare “loro” con il sonno era riduttivo e lo facevano spesso a causa sua. Era lei a scandire la loro serate, glielo doveva.
“Ho guardato quei dvd… Mi sono piaciuti.”
Castle strinse le labbra sgranando gli occhi. “Quindi Abel lo teniamo?”
“Sì. Se sarà maschio si chiamerà Abel.”
Castle sorrise accarezzandola. “Non me lo avevi detto.”
“Anche io volevo fati una piccola sorpresa, anche se non ci sono ovviamente paragoni…”
La indusse a guardarlo. “Ehi, che dici, sono felice che tu l’abbia fatto. Nostro figlio avrà un bel nome.”
Kate alzò la mano e trascinò sul suo ventre quella di Rick.
“Hai pensato a tutto questo ed io mi sono solo lamentata per una settimana pesante.”
Castle ridacchiò. “Ho avuto più tempo di te. Sono stati dei giorni snervanti, progettare tutto questo mi ha rallegrato.” Le avrebbe raccontato l’accaduto ma non quella sera. Lei annuì lasciandolo parlare.
Divenne più serio. “Questo è quello che siamo da sempre. Se fossi rimasta nell’FBI...”
Il loro matrimonio avrebbe resistito? Kate se l’era chiesto spesso e pensava di aver capito che lasciare a lui tutta la volontà di essere in due non era possibile. Non stava però mettendo in pratica la lezione a dovere. Giusto qualche sbavatura di troppo.
“Posso sempre e solo tenderti la mano e cercare di trascinarti via da quel limbo. Mi posso… accontentare.” Non era felice del termine, minimizzava il concetto. “Un bambino ha bisogno...” Castle si interruppe. No, non doveva dirlo.
Lei capì al volo. “Lo so.” Sua madre le mancava ancora così tanto. Inghiottì un po’ di saliva ricacciando indietro i pensieri bui. Si sistemò meglio sospirando. Appoggiò la fronte al petto di Castle e chiuse gli occhi sfinita.
Castle rimase in silenzio. Abbandonò la testa sul cuscino ascoltando il respiro di Kate. Un milione di cose si affacciavano alla sua mente ed era abbastanza stanco da sentirsi confuso e suscettibile per voler parlare d’altro. Aveva già detto due cose sbagliate, o meglio toccato tasti dolenti in modo sciocco.
Le palpebre erano così pesanti da impedire agli occhi di stare aperti, ma il suo corpo percepì lo stato di inquietudine di Kate tramite il suo respiro più irregolare e con un leggero affanno.  Non si mosse sebbene tutto il suo essere urlasse dal bisogno di risolvere quel qualcosa appeso tra loro. Non aveva voluto discutere. Lei aveva preso in considerazione la possibilità di acquistare quell’appartamento ed era più di quel che aveva immaginato qualche ora prima, in preda alla delusione. Si era imposto di usare il cervello e invece l’aveva fatto in modo grossolano.
D’un tratto la sentì muoversi. Kate si alzò e si mise a sedere appoggiando la schiena alla tastiera del letto.
“Non volevo svegliarti.”
“Non dormivo comunque. Sei inquieta.” Si alzò anche lui, stancamente assumendo la sua stessa posizione.
“Cosa c’è…” Mormorò con dolcezza.  Lei strinse le braccia intorno al corpo e lui le portò il lenzuolo fino all’altezza del seno, coprendola.
“C’è che ho rovinato la nostra serata.” Disse scuotendo il capo. Incrociò il suo sguardo sorpreso.
E lui che aveva evitato di discuterne. “Kate…” Cercò di tranquillizzarla. Non era così che doveva andare.
“Ho davvero apprezzato tutto questo. Tu, cibo squisito, poter dormire in un luogo tranquillo lontano dalla bagarre di un festa selvaggia che io stessa ho autorizzato.” Fece una pausa guardando il soffitto illuminato dalle stelle.
“Ti ho lasciato trovare una soluzione, sapevo che avresti fatto la tua magia mentre io ho preso decisioni che avrebbero annichilito la nostra tranquillità e permesso ad un idiota di rubarmi il resto della serata…” Castle percepì una profonda amarezza nelle sue parole e anche rabbia.
“Beh, se ne stiamo anche a parlare… Sentì, va bene così!”
Lo zittì nuovamente. “Castle tu non capisci. A cosa serve il nostro lavoro, la fatica di giorni di indagini e di caccia all’assassino, rinunciare al mio tempo con te, se poi va in mano a qualcuno che annullerà tutto?”
Castle si fece più desto. “A cosa ti riferisci?”
“L’assistente del procuratore distrettuale è un novellino, non ha capito le vere implicazioni del caso, lo tratterà con troppa superficialità o farà sciocchezze. Potrebbe buttare tutto all’aria.”
Eccolo il punto.
“Ma tu e la Gates avete passato giorni a istruire il caso come si deve proprio per non lasciare dubbi.” Castle cominciava a capire il suo malessere. Le loro fatiche potevano essere vanificate dall’imperizia. Con queste premesse l’umore crollava a picco vista la settimana orrenda che avevano vissuto durante quel caso. Già non c’era molta stima per l’attuale procuratore distrettuale e anche i suoi lacchè sembravano essere in linea con la scarsa qualità del loro datore di lavoro.
“Hai tutte le ragioni di avercela con me se ho sacrificato il mio, il nostro tempo per nulla.”
Castle le sorrise. “Prima di tutto ribadisco che non sono arrabbiato. E poi non stai lavorando invano. Stai facendo quello che credi sia giusto. Combatti per la verità come sempre. Non tutti sono alla tua altezza, piccola.”
Kate si morse un labbro guardandolo.
“Ma non è solo per quello. In tua assenza stavo tornando alle vecchie abitudini, ignorare orari e saltare i pasti.” Accettò lo sguardo di rimprovero di suo marito, se lo meritava in fondo.
“Credo che non farò altri viaggi per il prossimo anno. Tu hai bisogno di me.” Concluse Castle.
Kate sorrise dolcemente. Aveva bisogno di lui eccome. Ma decise di evitare la risposta diretta per il momento.
“Voglio cambiare le cose. Giovedì prossimo comincio i corsi da ufficiale poi si vedrà.”
Si era sentita così impotente, strumentalizzata. Ne aveva avuto abbastanza.
“Voglio cominciare a vivere davvero senza rinunciare a nulla. Ho lasciato che le cose funzionassero da sole, perché tu le hai fatte funzionare. Ma adesso basta. Non possiamo solo essere stanchi insieme.”
Lo sguardo di suo marito era pieno di orgoglio. Castle riusciva ancora a stupirla con il suo buon cuore.
Kate sospirò cercando di tranquillizzarsi mentre lui le lasciava piccoli baci sulla testa.
“Dovrebbero fare te procuratore distrettuale.” Castle lo suggerì con convinzione. Le sorrise consapevole che negli occhi di Kate fiammeggiasse una volontà di ferro tesa a qualcosa che avrebbe reso le loro vite migliori. O forse più incasinate ma non gli importava se stavano insieme. Vederla turbata gli faceva sempre un certo effetto. Tardi o noi lei era la donna che aveva bramato per giorni. Ed era anche bellissima.
“Non esageriamo Castle.” Sbottò lei in tutta risposta.
Lui scosse il capo. “Ne saresti capace, saresti pericolosa perché incorruttibile.”
“Ho voglia di luce, di normalità… Di abbandonare la morte e tutto quello che si porta dietro.”
“Ci proverai.” La rincuorò. La sua vita aveva avuto per troppo tempo una lunga ombra su di sé difficile da allontanare.
“E non devi sempre fare… tutto questo. Mi basta che ci sei.” Si allungò verso di lui e lo baciò con dolcezza.
“Lo sai che mi piace farlo.”
“E se ti deludo come stasera?”
“Pagherai pegno.” Risero complici.
“Ti voglio.” Mormorò Kate al suo orecchio. Lui sorrise sornione.
“Anche io, nei hai la forza?” Kate sorrise imbarazzata. Appunto, stanchi insieme: quanto era vero.
Rimasero abbracciati scambiandosi tenerezze. Non era forse perfetto anche solo così?
“Vuoi tornare di sopra?” Disse ad un certo punto Castle.
Kate strinse gli occhi e si scostò da lui. “Dopo tutta la fatica che hai fatto? Non ci penso proprio…” Lo baciò ancora e poi scivolò tra le coperte. “Il letto è caldo, la compagnia stupenda. Il mattino arriverà fin troppo presto e per allora… avrò riacquistato le forze.”
 
______________________________________________
Buonanotte a tutti.
Eccomi qui con l’ultimo capitolo.
Devo dire che sono delusa dai recenti sviluppi della serie, molto molto delusa.
Che dire… Castle mi mancherà, ma in fondo questa stagione mi ha fatto girare i cosiddetti fin dal principio.
Capitolo lungo, lo so. Confido nella vostra pazienza.
Grazie e tutti.
Anna
  
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